BENETTON

i colori dello sfruttamento

 

Eccovi il reportage che Lorenzo Mangini, di Carta, pubblicò dopo essere stato a Pignataro in seguito all'occupazione da parte dei compagni del centro sociale del megastore di Benetton a Napoli contro il ciclo continuo in fabbrica.

 

Tutti i colori di Pignataro Maggiore

 

Mai sentito parlare di Pignataro Maggiore, provincia di Caserta? O di Castrette, provincia di Treviso? O ancora di Maiten, in Argentina? O di quel che l'imprenditore italiano più progressista, quasi verde-ulivo, fa in Ungheria? Ecco vi tre buoni "motivi" per boicottare Benetton.

da Carta settimanale

 

 

Vetulazio, Giano Vetusto, Pignataro Maggiore. Un gruppo di paesi sdraiati lungo la via Appia, tra Capua e Caserta. Un territorio agricolo, per vocazione e per tradizione, sul quale sono stati innestati insediamenti industriali finanziati dalla Cassa del Mezzogiorno.

Una volta, si diceva che questa zona doveva diventare la Brianza del sud, con le fabbrichette tessili, l'indotto e tutto il resto. Ora ci sono molti capannoni abbandonati.

 

Dopo una lunga manovra di avvicinamento, fatta di contatti, subappalti e commesse, atterra a Pignataro un'astronave dalla luce di un inconfondibile verde multinazionale.  Benetton accetta di rilevare la Bertrand, una fabbrica tessile esistente dall'inizio dal '90, e lancia un piano produttivo di centinaia di miliardi di investimenti promessi, del miraggio di centinaia di posti di lavoro, in una zona dove la disoccupazione giovanile sfonda molte volte il tetto della media europea.

È un affare: la fabbrica è in gestione commissariale per via di una serie di peripezie finanziarie. È un affare anche mediatico. Da Treviso al Sud, a portare lavoro, a sfruttare i vantaggi fiscali e gli accordi con la Regione Campania e il ministero del lavoro. Arriva l'astronave e porta una filosofia del lavoro e del profitto riassunta in una formula: ciclo continuo. È questa la condizione posta da Treviso ai sindacati. "Ciclo continuo", dice un operaio che preferisce non essere citato per nome: "Sì, ma noi mica siamo contro il ciclo continuo. Solo che vorremmo un ciclo continuo umano, che ci dia il tempo per vivere". 

 

Ci sono almeno due modi di raccontare quello che è successo a Pignataro Maggiore. Del disagio in fabbrica e delle agitazioni che hanno portato all'occupazione del negozio Benetton di via Roma, nel centro di Napoli. Dello stress che subiscono gli operai, che hanno fermato la produzione per tre giorni, a fine maggio. Degli autolicenziamenti per le condizioni di lavoro troppo pesanti, e del ruolo dei sindacati.

Ci sono almeno due modi per parlare del contatto fecondo tra i giovani operai dell'Olympias e i ragazzi del centro sociale Tempo Rosso, da due anni attivo in una zona dove il tessuto sociale è come i capannoni abbandonati.

 

I vecchi e i giovani

 

Il primo modo è il racconto della resistenza degli operai "vecchi", veterani della Bertrand, che si sono opposti al ciclo continuo. È il racconto di una vertenza sindacale, che Benetton vince perché i giovani, assunti dal 1998, non hanno esperienza di lotta e fanno già il ciclo continuo nei due reparti nuovi, quello della maglieria e della filatura, che si affiancano al reparto carderia, dove sono concentrati i più anziani.

È anche il racconto di un sindacato che, preoccupato di salvaguardare i contratti d'area e gli investimenti, accetta un accordo che in fabbrica viene osteggiato, e che prevede, per i nuovi assunti, meno salario, nove giorni di ferie non pagate, un buono mensa di 650 lire al mese [avete letto bene, c'è uno zero solo], in lavoro domenicale pagato come un giorno feriale.

"In un mese, ciascuno di noi lavora al massimo 21 giorni, distribuiti in turni di pomeriggio, mattina e notte, alternati a turni di riposo che vengono pagati con quello che dovremmo avere per le ferie". Totale: un milione e seicentomila lire, che possono diventare di più con il lavoro notturno. Poco di più.

 

Il secondo modo di raccontare la Benetton di Pignataro è parlare della sostanza su cui galleggia l'accordo, che i sindacati sono anche contenti di aver concluso, "perché abbiamo mantenuto una struttura produttiva e magari possiamo agire dal di dentro, in futuro", come dice Angelo Spena della Filtea-Cgil.

La sostanza è fatta, innanzi tutto, del ricatto del licenziamento per chi frequenta il centro sociale, con tanto di allusione a questa attività davanti al prefetto, durante un incontro tra le "parti sociali". È una sostanza spessa, composta di nuova logica industriale e di buon, vecchio clientelismo. Molti dei nuovi assunti lo hanno subìto direttamente: in cambio del "favore" della segnalazione per un posto in fabbrica, un politico locale ha chiesto di tesserarsi a quel tale sindacato, che non si era mai visto alla Bertrand e che, giocando con il malcontento degli operai, è riuscito ad arrivare al tavolo delle trattative. È una sostanza tenuta insieme dai 51 miliardi di finanziamenti che Benetton ha ricevuto dalla Regione Campania, in cambio di assunzioni di cui si è persa traccia, tra un piano industriale e l'altro.

Assunzioni che, dato il numero di macchine presenti a Pignataro, renderebbero i turni di lavoro un po' più umani. Ed è una sostanza in cui lo stile delle relazioni in fabbrica porta i direttori a chiamare gli operai uno a uno, chiedendo conto della protesta. O a convocare in fabbrica, telefonando a casa, chi sta facendo il turno di riposo per chiedere di un pezzo difettoso finito nello scatolone di quelli buoni. "Se chiama la fabbrica, digli che non ci sono". Piccola resistenza.

 

Una fabbrica modello Pignataro sarebbe dovuto diventare un modello di insediamento industriale nel sud, tanto che la casa madre parlava di un polo tessile in grado di servire tutto il Mediterraneo. E Pignataro è un modello, ma per vedere una multinazionale al lavoro sotto casa. Il ricatto della disoccupazione, come altrove al sud, spinge ad accettare qui condizioni di lavoro che nel nord est sarebbero respinte. E a ringraziare, perfino. "Hai capito il meccanismo?", dice uno dei ragazzi del centro sociale di Pignataro: "Dicono che portano la nuova economia e lo sviluppo, ma il tessuto sociale non cambia, anzi, tutto serve a mantenere il torpore, anche le nuove fabbriche, visto che appena uno rivendica diritti che fino a pochi anni fa erano dati per scontati, oppure rivendica i diritti dei disoccupati, subito volano le minacce di chiusura e le accuse agli operai, che sarebbero i responsabili del fallimento del piano industriale". Dice un altro indicando tra la statale e le colline: "Da qui è tutto di un padrone solo. Anche quel terreno dove sorge l'Olympias.

 

Benetton si è anche lamentato della burocrazia meridionale. Poi, dopo la sua sparata sulla stampa, il comune di Pignataro è stato sciolto per infiltrazione camorrista e adesso è commissariato. Non è che Benetton ha legami con la camorra, però qui il clima è tale che nessuno protesta, al massimo si delega ai politici o ai sindacati, senza aspettarsi nulla, perché tanto si sanno come vanno le cose. Di fronte al lavoro in nero o al niente, o alla camorra, anche Benetton va bene, anche il ciclo continuo, anche le ferie non pagate vanno bene. E loro, gli imprenditori progressisti, lo sanno benissimo. Per questo stiamo tentando un esperimento di auto-organizzazione, che abbiamo proposto anche agli operai della Benetton, che non accettano l'accordo firmato dai sindacati".

 

Racconta un operaio: "La vertenza è iniziata quando l'azienda ha deciso di estendere il ciclo continuo anche al reparto cardatura, ma la cosa che ha fatto traboccare il vaso è stata la questione delle macchine.

L'azienda avrebbe dovuto portare qui un centinaio di macchine per la filatura. Ne ha portate 54. Quando sono iniziate le agitazioni, hanno minacciato di toglierne 24. Hanno detto che si trattava di problemi tecnici, ma i tecnici erano venuti qui già altre volte. Che bisogno c'è di portare le macchine a Treviso?". Gli operai hanno temuto che fosse il preludio alla chiusura, e allora sono entrati in assemblea permanente. Ma il gioco era un altro. Non si buttano miliardi di investimenti e finanziamenti. Pignataro conviene, ma a certe condizioni, quelle, appunto, dell'accordo dei sindacati, al quale Benetton si appella, e che ha esteso il ciclo continuo a tutti i reparti. Tanto, nel giro di qualche anno, i "vecchi" vanno in pensione, e un modo di raccontare Pignataro finisce con loro. I giovani, cresciuti a disoccupazione e a poster e maglioni United colors, saranno il cento per cento, o poco meno, di una forza lavoro smemorata.