Di chi è la sanità? Dell'Omc (WTO)
Privatizzazioni di ospedali e farmacie, un grande business sulla salute umana
Rotelli, Garofalo, Miraglia, Sansavini, Angelucci e Rocca, sono solo alcuni tra i maggiori imprenditori sanitari, oggi a capo di decine di ospedali in tutta Italia e proiettati sempre più verso la competizione a livello europeo.
Particolarmente gettonate sono le cliniche del Nord, soprattutto quelle lombarde, grazie alla legislazione favorevole della giunta Formigoni, che viene assunta a modello per l’intera nazione dai nuovi padroni del settore. Emblematica in tal senso è l’ascesa del gruppo di Giuseppe Rotelli, già proprietario del Policlinico di San Donato, che a marzo ha acquistato le cinque cliniche milanesi del gruppo Ligresti, a cui si aggiungono la casa di cura La Madonnina, gli istituti Città di Milano, Città di Brescia, Città di Pavia, la bresciana Sant’Anna, la clinica Beato Matteo di Vigevano ed altri due istituti ospedalieri, sempre in Lombardia. Dei quattordici ospedali posseduti, per un totale di 3000 posti letto e 800 miliardi di giro d’affari, dodici sono “accreditati” dalla Regione, che contribuisce con soldi pubblici al buon andamento del gruppo, il quale ha chiuso nel 1998 con 58 miliardi di utili.
Non da meno il gruppo di Raffaele Garofalo, a capo di quattordici cliniche distribuite tra Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lazio per un giro d’affari di 450 miliardi. Seguono il gruppo della famiglia Miraglia, con 13 cliniche sparse in Puglia, dove ha una posizione di rilievo, Lazio, Calabria e Sicilia, quello della famiglia Sansavini, che attraverso il gruppo Villa Maria possiede 12 cliniche in sette regioni tra Nord, Centro e Sud Italia, con un progetto di espansione in Romania e il gruppo Tosinvest della famiglia Angelucci, con cinque ospedali nel Lazio.
Altro potentato, in continua espansione, è sicuramente il gruppo Techosp, controllato dalla Techint, multinazionale dell’acciaio e dell’energia, che fa capo alla famiglia Rocca. Proprietario della clinica Humanitas di Milano e delle cliniche Gavazzeni di Bergamo, il gruppo sta per acquistare il controllo di due importanti cliniche torinesi e del 30% di una terza clinica. Azionisti della Techsop sono anche grandi gruppi come Benetton, De Agostini e Bracco.
Cosa c’entra l’Organizzazione mondiale del commercio?
Diversi
analisti
affermano
che
il
settore
sanitario
italiano
farebbe
già
gola
a
diversi
gruppi
stranieri
che,
secondo
Marco
Campari,
specialista
del
settore,
“stanno
esaminando
acquisizioni
in
Italia”.
In
linea
con
l’emergere
di
nuovi
assetti
proprietari
e
il
consolidarsi
dei
grandi
gruppi
privati
nel
settore
della
salute,
nuova
frontiera
del
business
a
livello
nazionale
e
internazionale,
sono
anche
le
trattative
in
corso
presso
l’Organizzazione
mondiale
del
commercio
per
la
definizione
di
una
versione
aggiornata
dell’AGCS,
ossia
l’Accordo
generale
sul
commercio
dei
servizi.
Di
cosa
si
tratta?
L’AGCS,
nato
nel
1994
(data
di
nascita
dell’OMC),
prevede
entro
il
2000
l’avvio
di
negoziati
finalizzati
alla
liberalizzazione
dei
servizi,
compresi
sanità
e
istruzione,
che
molti
paesi
hanno
già
deciso
di
inserire
nelle
trattative,
dopo
il
vertice
da
poco
terminato
a
Ginevra.
Se
le
trattative
in
corso
produrranno
un
accordo,
l’intero
settore
sanitario
potrebbe
essere
completamente
liberalizzato,
in
un
contesto
di
piena
parità
e
concorrenza
tra
pubblico
e
privato.
Ciò
potrebbe
significare
che
se
il
governo
italiano
decidesse
di
sostenere
economicamente
un
ospedale
pubblico
a
scapito
di
un
privato,
magari
in
mano
ad
una
multinazionale
straniera,
potrebbe
essere
citato
in
giudizio
presso
l’OMC
per
aver
leso
la
concorrenza.
Per difendere le prerogative delle istituzioni pubbliche, la Rete di Lilliput (coordinamento di circa settecento associazioni in tutta Italia), ha promosso un’iniziativa rivolta agli enti locali perché si oppongano con una mozione alle trattative in corso, peraltro condotte, com’è nello stile dell’OMC, in un regime di sostanziale segretezza.
Il caso delle farmacie comunali
Un
servizio
sottoposto
già
ora
ad
un
processo
di
compravendita
sul
mercato
internazionale
è
quello
delle
farmacie
comunali.
Firenze
cederà
il
prossimo
anno
l’80%
delle
21
farmacie
cittadine,
con
un
fatturato
di
54
miliardi
ed
un
utile
di
1,5,
il
comune
di
Prato
il
75%
della
società
che
gestisce
13
punti
vendita,
poi
Lucca
e
Grosseto,
che
cederanno
rispettivamente
il
75%
e
il
49%.
Già
privatizzate,
invece,
le
36
farmacie
comunali
di
Bologna
e
le
15
di
Cremona,
in
entrambi
i
casi
vendute
alla
tedesca
Gehe,
azienda
del
settore
leader
in
Europa,
candidata,
peraltro,
alla
privatizzazione
di
quello
che
viene
considerato
l’affare
più
grosso:
le
84
farmacie
di
Milano.
Si tratta di aziende in attivo, la cui privatizzazione potrebbe provocare una serie di inconvenienti, tra i quali la chiusura dei punti vendita meno redditizi, come le farmacie situate in zone periferiche, che si vedrebbero così private di un servizio essenziale. Altro effetto collaterale potrebbe essere la distorsione delle stesse decantate regole della concorrenza, dal momento che un’unica azienda si troverebbe a controllare tutta la filiera del prodotto, dall’ingrosso al dettaglio, riuscendo magari a dettare le regole alle aziende di distribuzione più piccole, o imporre condizioni peggiorative per l’utenza.
E’ in gioco, ancora una volta, un servizio di prima necessità, che viene progressivamente compromesso dalle logiche del mercato, nel silenzio generale.
* Roberto Cuda è membro del Coordinamento lombardo Nord Sud del mondo)
Notizie
tratte
da:
Vittorio
Malagutti,
Quell’avvocato
va
di
fretta;
Più
Humanitas
per
i
Rocca,
in
CorrierEconomia,
20/11/00
;
Roberta
Scagliarini,
Farmacisti
in
rivolta,
in
CorrierEconomia,
20/11/00
;
Vittorio
Malagutti,
Roberta
Scagliarini,
I
nostri
affari
sono
in
Salute,
in
CorrierEconomia,
20/11/00
;
Maurizio
Meloni,
Accordo
generale
sui
servizi,
chi
non
muore
si
rivede,
in
Altreconomia,
11/00.