Rimedi e proposte del PdCI
Globalizzazione e ordine internazionale democratico
Nel corso dell'ultimo decennio il sistema delle relazioni internazionali che ha caratterizzato la fase centrale di questo secolo è stato di fatto superato. Si pone dunque il problema decisivo del rapporto tra le vecchie forme istituzionali e la nuova tendenza strutturale. La scelta politica dei Comunisti italiani è quella di lottare per trasformare in senso progressista sia le vecchie Istituzioni sia i nuovi rapporti di forza.
La ristrutturazione del sistema delle relazioni internazionali sta avvenendo, sia per quanto riguarda la dimensione politico-militare che quella economica, per effetto della vittoria degli Stati Uniti nella guerra fredda e della nuova fase di internazionalizzazione capitalistica, comunemente definita 'globalizzazione". Su questa base si sta andando verso un nuovo "ordine" mondiale tendenzialmente monopolare, con l'unificazione gerarchica del mercato e della politica sotto gli Stati Uniti.
Un nuovo "ordine" mondiale di questo tipo rivela fin da ora limiti e contraddizioni che lo rendono insostenibile sotto il profilo economico-finanziario e inaccettabile sotto quello della democrazia politica e delle relazioni tra le classi, tra le nazioni, tra le parti più evolute e quelle più arretrate dell'umanità. Quanto più si andrà in questa direzione, tanto più aumenterà il disordine internazionale. In sostanza, è impossibile costruire e mantenere un autentico ordine internazionale, relativamente stabile, come "ordine" di tipo imperiale anziché come ordine di tipo democratico. ¨
Obiettivo dei Comunisti italiani è quindi quello di contribuire alla costruzione di un nuovo ordine internazionale democratico, ispirandoci in questo alla lezione ideale di Antonio Gramsci e alla tradizione politica del Partito comunista italiano, aggiornate entrambe agli specifici compiti del presente.
Serve quindi un disegno politico di lotta contro il neoliberismo su scala planetaria, contestando gli specifici caratteri regressivi di questa "globalizzazione" capitalistica in nome di un obiettivo che la "globalizzazione" stessa sta ponendo di nuovo all'ordine del giorno: "l'unificazione interiore ed esteriore" del genere umano.
Occorre contrastare anche sul piano culturale l'idea della inevitabilità del processo di globalizzazione dell'economia sui i parametri imposti dal neoliberismo.
Come già le crisi finanziarie hanno dimostrato anche la globalizzazione necessita la definizione di regole a tutela non solo delle merci ma anche dei lavoratori e dell'indipendenza "nazionale".
Per questo come tappa di questo processo storico, vogliamo favorire ovunque - democratizzandoli su tutti i piani - i processi di unificazione e di integrazione nei quali va valorizzata la molteplicità delle identità (locali, regionali, nazionali) preesistenti in modo che le nuove realtà sovranazionali da edificare risultino più coese, combattendo invece fermamente ogni spinta regressiva verso tipi di appartenenza pre-nazionali o sub-nazionali.
Un obiettivo strategico di questa portata ci suggerisce di rivisitare il principio della "unità nella diversità" estendendone l'applicazione ad ambiti, nazionali e internazionali, anche diversi da quelli originari. L'unità delle forze comuniste, di sinistra, democratiche, pur nella diversità - e, dunque, nella completa e totale autonomia di ciascuna di esse - è per noi un obiettivo da raggiungere. Nello stesso tempo questo obiettivo rappresenta anche il metodo per costruire un soggetto politico, articolato e plurale, il cui scopo è quello di un nuovo ordine internazionale democratico.
Un obiettivo che va perseguito innanzitutto su scala europea; ma se per noi quello europeo è un orizzonte di riflessione e di azione naturale e obbligato, la nostra scala progettuale non può che essere quella globale.
Un'Europa del lavoro, sociale ed ecologica.
L'unificazione dell'intero Continente è, oggi, ancora un sogno politico ma nello stesso tempo è una tappa fondamentale del nostro disegno strategico internazionale. Nell'immediato vogliamo trasformare profondamente il processo di integrazione europea. L'Unione europea che vogliamo costruire è quella del lavoro, sociale ed ecologica, solidale e democratica, pacifica e attiva protagonista della costruzione del nuovo ordine internazionale. Vogliamo imprimere questa svolta profonda, da sinistra, all'Unione partendo dalla collaborazione in primo luogo delle forze comuniste e di progresso che hanno condiviso l'appello di Parigi, ma collaborando anche con tutte le altre forze comuniste e di progresso che hanno ritenuto di non condividerlo.
In una sfera più ampia rientra il rapporto con le socialdemocrazie; si tratta di forze diverse che a volte praticano politiche moderate, però non riconducibili a un unico denominatore. Con esse si deve interloquire ma, soprattutto, su esse si deve esercitare una spinta da sinistra per indurle a praticare il massimo di cambiamento democratico possibile.
Colmare il deficit democratico europeo è un impegno qualificante dei Comunisti italiani per la trasformazione dell'Unione Europea in istituzione autenticamente democratica. Occorre convocare una Costituente europea che restituisca ai cittadini gli elementari poteri democratici e di decisione legislativa.
La Nato e una nuova politica di cooperazione e sicurezza ad est e a sud dell'Europa
Nella prospettiva storica di una comunità europea continentale le relazioni dell'Unione con l'Europa centro orientale e, in particolare, con la Federazione Russa, devono essere poste in termini di collaborazione e di cooperazione ed essere quindi sempre più dirette. La intermediazione di soggetti politico-militari come la Nato, percepiti dalla Russia come storicamente aggressivi, non facilitano i rapporti con questo paese. A prescindere dalla diversità di giudizi sull'esigenza politica e militare di tale organizzazione, è comunque interesse dell'intera Europa dare subito concreta attuazione agli impegni assunti al momento della fondazione del Consiglio di cooperazione della Nato ed escludere, quindi, l'ingresso in essa di ex repubbliche sovietiche.
La posizione geografica dell'Italia offre al nostro Paese una opportunità quasi unica per favorire un dialogo con i paesi del Mediterraneo fondato sul rispetto delle diversità e su una cooperazione che abbia al centro il rafforzamento dei legami storici, ambientali, culturali ed economici tra i popoli. L'obiettivo dei Comunisti italiani è fare del bacino del Mediterraneo una zona di pace e di interscambio politico-culturale, favorendo così la stabilità e la sicurezza di questa area: una stabilità e una sicurezza che esigono come condizione necessaria, anche se non sufficiente, il rispetto universale dei diritti umani più elementari, a cominciare da quelli di espressione, di pensiero, di religione anche e soprattutto quando questa sia diversa da quella maggioritaria in un determinato Paese.
Nella parte orientale del bacino del Mediterraneo la questione kurda è recentemente riesplosa in termini particolarmente drammatici anche in seguito alla vicenda di Ocalan, conclusasi col suo rapimento e la sua detenzione in Turchia. Essa è una delle questioni più difficili del pur difficile mosaico mediorientale, sicché è indispensabile agire subito per scioglierne almeno i nodi più intricati. Per farlo occorre però partire da un riconoscimento di responsabilità storica: la questione kurda è uno dei tanti problemi lasciati irrisolti dai vincitori della prima guerra mondiale, per responsabilità primarie degli europei (dei colonialisti inglesi e francesi, in primo luogo) e dei kemalisti turchi (che pretesero di trasformare i kurdi in "turchi dei montagna"). Il popolo kurdo, diviso all'interno di 5 Stati, è rimasto per 70 anni oggetto e vittima di repressioni violente e sanguinose, che hanno trovato pretesti e coperture in tutte le tensioni internazionali che hanno investito l'area mediorientale. Chi è all'origine di questa quasi secolare tragedia non può più lavarsene le mani, come in troppi hanno fatto nel corso dell'odissea di Ocalan: per motivi politici e di interesse, se non per motivi etici. Perciò l'Unione europea - là dove stanno gli eredi di chi ha la massima responsabilità storica nell'apertura della ferita kurda - deve muoversi subito per sollecitare una soluzione: con realismo, ma anche con determinazione. Si tratta di passare dalla irragionevole negazione del problema kurdo al suo riconoscimento come problema nazionale della turchia e insieme come problema internazionale; di passare dalla repressione alla politica; di passare dallo scontro armato al confronto diplomatico. In questo processo l'Unione europea può svolgere un ruolo attivo e positivo, promuovendo una conferenza internazionale che veda protagoniste tutte le entità statuali e politiche coinvolte. Lo scopo principale di tale conferenza dovrebbe essere quello di dare visibilità internazionale ai problemi reali che la questione kurda include, nominandoli apertamente e avviando la ricerca di soluzioni universalmente accettabili. In ogni caso, in questo momento lo scopo immediato del Partito dei comunisti italiani è quello umanitario di salvare la vita ad Ocalan, attivando a tal fine una forte pressione internazionale sul governo turco, che abbia tra i suoi più decisi protagonisti il governo italiano. Contestualmente, i Comunisti italiani sono impegnati ad evidenziare in tutte le sedi il fatto che la questione kurda coinvolge e interessa direttamente la sicurezza dell'Unione europea la quale quindi, anche per questo motivo, deve farsi carico in prima persona della ricerca di una soluzione generale della crisi, di cui il caso Ocalan rappresenta soltanto un drammatico aspetto.
Dopo le trasformazioni mondiali ed europee dell'ultimo decennio, l'obiettiva esigenza della sicurezza si pone oggi in termini radicalmente diversi da quelli tradizionali della difesa atlantica. Oggi più che mai è indimostrabile che sia possibile garantire una sicurezza reale e duratura che non sia sicurezza collettiva, cioè di tutti. Mentre è evidente che non esiste oggi una minaccia di aggressione militare né per l'Italia né per l'Unione europea né, tanto meno, per l'alleanza "euroatlantica". I rischi per la sicurezza dell'Italia e dell'Europa traggono origine prevalentemente da fattori economici, sociali, demografici, ambientali, culturali, mondiali .
Inoltre, come documentano anche la strage del Cermis e la recente, unqualificabile, sentenza della "giustizia" statunitense, per i cittadini italiani questi rischi traggono origine anche dalla presenza di basi straniere in Italia, che rischiano di qualificare sempre più il nostro Paese come coloniale. In nome di un interesse nazionale correttamente inteso è perciò indispensabile procedere rapidamente alla rinegoziazione dello status complessivo delle basi militari presenti sul territorio nazionale, puntando in particolare all'eliminazione urgente di quelle straniere, e comunque alla rimozione di tutti gli armamenti atomici ivi detenuti, facendo dell'Italia un'area denuclearizzata.
Una nuova solidarietà internazionale
I Comunisti italiani individuano nella contraddizione Nord-Sud la causa principale dello squilibrio economico del pianeta.
L'affermarsi del monopolarismo e la vittoria strategica del capitalismo hanno ulteriormente favorito i processi di esclusione dei Paesi poveri peggiorando le condizioni del pianeta.
La cancellazione del debito estero assieme all'introduzione di norme di salvaguardia per il valore delle materie prime nel sistema internazionale degli scambi possono contribuire a determinare un parziale riequilibrio nelle relazioni internazionali, favorendone anche la stabilità. Allo scopo di modificare la struttura del debito serve una radicale riforma degli organismi finanziari internazionali e la fine dei programmi di aggiustamento strutturale.
La fase di internazionalizzazione capitalistica in cui stiamo vivendo incide direttamente sulla natura e sulla praticabilità dell'internazionalismo dei lavoratori. Stanno maturando le condizioni obbiettive per passare da un internazionalismo fondato sulla separazione della classe operaia all'interno degli Stati nazione a un nuovo "cosmopolitismo" fondato sull'interconnessione tra gli interessi materiali delle diverse parti di una classe operaia ormai anch'essa "mondializzata".
Le condizioni obbiettive che si vengono creando esigono però un consapevole impegno per contribuire a creare le condizioni di una collaborazione su scala transnazionale del movimento dei lavoratori e dei loro alleati, nel rispetto delle specificità e delle identità di tutte le attuali organizzazioni che vi fanno riferimento.
Nell'ottica della solidarietà internazionalista le relazioni con Cuba hanno un significato esemplare per i Comunisti italiani. Come realtà rivoluzionaria e come simbolo della resistenza nazionale all'imperialismo occorre un che tali relazioni si concretizzino, oltre che sul terreno della società civile e del volontariato, anche su quello istituzionale delle Regioni e del governo italiano. Lo stesso atteggiamento vale per tutti i Paesi dell'Africa e dell'Asia protagonisti di storiche svolte rivoluzionarie di cui non si sottovalutano né i limiti né le contraddizioni, ma che vanno in ogni modo criticamente sostenuti.