Speciale in Medioriente

 

Il diritto dei Palestinesi al ritorno in patria

 

La storia del conflitto Israeliano-Palestinese è costellata di atrocità e di atti di ferocia inaudita messi in atto da entrambi i contendenti. L'articolo che segue è utile a ricordare come , a partire dai mesi immediatamente successivi alla costituzione dello Stato di Israele nel lontano 1948, il seme dell'odio tra i due popoli fosse già stato gettato.

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di Robin Miller *

Il "problema dei profughi palestinesi" cioè la tragedia umana attuata dagli israeliani con l'espulsione dei palestinesi dalla loro patria, la Palestina, continua a rimanere un aspetto apparentemente insolubile della questione mediorientale.Eppure l'espulsione dei palestinesi è stato un esito inevitabile della decisione delle Nazioni Unite del 1947 di dividere per l'anno seguente la Palestina in due stati separati, quello arabo e quello ebraico. (Lo stato arabo non è mai nato).

Prima di questa suddivisione, gli ebrei formavano solo un terzo della popolazione della Palestina che comprendeva circa 608.000 ebrei e 1.237.000 arabi. Anche all'interno dell'area destinata ad Israele secondo il piano di ripartizione delle Nazioni Unite, la popolazione consisteva di circa 500.000 ebrei e 330.000 arabi. Come era possibile che un paese con una minoranza araba così ampia diventasse la patria degli ebrei ?

La risposta è che non era possibile. Era necessario un trasferimento enorme della popolazione. E questo fu ben compreso dai capi delle forze armate israeliane durante la guerra del 1947-1948. David Ben-Gurion, padre di Israele e capo delle forze armate, preannunciava in via confidenziale il 7 febbraio 1948 che nei prossimi mesi "sicuramente ci sarà un grande cambiamento nella popolazione del paese." Aveva ragione.

Non c'è alcuna prova dell'esistenza di un piano formale da parte delle maggiori organizzazioni sionistiche di cacciare i palestinesi dalla terra che è diventata Israele. Comunque, durante la guerra c'era la convinzione condivisa da molti capi ebrei delle forze armate (più tardi israeliani) che l'intera popolazione palestinese fosse il nemico. Agendo sulla base di questa convinzione la milizia ebraica (l'ufficiale Haganah e quelle non riconosciute ufficialmente come la Stern Gang e l'Irgun) si impegnava in un genere di comportamenti intesi a provocare la fuga della popolazione araba - e così è avvenuto. (Il mito israeliano dell'esodo dei palestinesi su comando dei capi arabi è una menzogna dimostrata come tale già da molto tempo)


David Ben Gurion legge la dichiarazione di indipendenza - 14 Maggio 1948, Tel Aviv

Ci sono molte prove di espulsioni causate con la forza. La più nota è la marcia della morte di Lydda/Ramle. Il 12 e il 13 luglio del 1948 per ordine diretto di Ben-Gurion, le forze israeliane espulsero 50.000 abitanti dalle città di Lydda e dalla vicina Ramle. Yitzak Rabin, diventato successivamente Primo Ministro israeliano, scrisse nelle sue memorie che "non c'era modo di evitare l'uso della forza e di sparare colpi di avvertimento per far fare agli abitanti le 10 o 15 miglia" necessarie per raggiungere le postazioni arabe. Prima che se ne andassero, gli abitanti della città erano "sistematicamente spogliati dei loro averi" secondo quanto raccontava l'Economist, il giornale di Londra. Molti degli espulsi morirono durante lo spostamento sotto una canicola di 100 gradi F.

Alla fine i profughi provenienti da Lydda e Ramle arrivarono ai campi profughi vicino a Ramallah. Il conte Folke Bernadotte, nobile svedese e mediatore delle Nazioni Unite, cercò di dare aiuto. Successivamente scrisse che: "Ho visto molti campi di profughi, ma non ho mai visto uno spettacolo più terribile di quello di Ramallah" (In seguito nello stesso anno Bernadotte fu ucciso dalla Stern Gang. Uno dei capi di questa banda, Yitzhak Shamir, è diventato Primo Ministro di Israele nel 1983.)

Le espulsioni forzate erano praticate comunemente dalle forze armate ebree/israeliane durante il 1948: fra le tante Qisariya il 15 febbraio; Arab Zahrat al-Dumayri, al-Rama e Khirbat al-Sarkas ad aprile, al-Ghabisiya, Danna, Najd e Zarnuqa il mese seguente; Jaba, Ein Ghazal e Ijzim il 24 luglio; e al-Bi'na e Deir al-Assad il 31 ottobre. Lo storico israeliano Benny Morris ha identificato 34 comunità arabe i cui abitanti furono espulsi. Comunque, non potremo mai sapere l'entità reale delle espulsioni perché, come Morris evidenzia, l'archivio israeliano della Difesa "ha una linea di condotta politica che non consente di aprire documenti che descrivano esplicitamente le espulsioni e gli orrori"

Comunque, molto spesso sono stati utilizzati il terrore e la sfiducia della popolazione araba come strumenti di espulsione. Le forze armate ebraiche hanno utilizzato diversi tipi di tattica per conseguire questo scopo. Una di queste è stata la guerra psicologica. Trasmissioni via radio in lingua araba mettevano in guardia contro i traditori all'interno della comunità araba, diffondendo sentimenti di paura e di malessere, denunciavano confusione e terrore fra gli arabi, dicevano che i palestinesi erano stati abbandonati dai loro capi e accusavano le milizie arabe di aver commesso crimini contro i civili arabi.

Un'altra efficace tattica di guerra psicologica comportava l'uso di camion con altoparlanti. A più riprese esortavano i palestinesi a scappare prima di restare tutti uccisi, comunicavano che gli israeliani stavano usando gas tossici e armi nucleari o trasmettevano registrazioni di "suoni orribili"- grida, gemiti, l'urlo delle sirene e il frastuono degli allarmi antincendio.

Una seconda tattica economica di guerra, favorita da Ben-Gurion che la definiva "l'obiettivo strategico" delle forze ebraiche era "distruggere le comunità (arabe) urbane." "Private dei trasporti, del cibo e delle materie prime" osservava successivamente con soddisfazione, "le comunità urbane hanno subito un processo di disintegrazione, di caos e fame."

Una terza tecnica adottata per indurre gli arabi alla fuga fu l'attacco militare sulla popolazione araba di qualche città. Questi attacchi spesso si servirono di cannoni Davidka - terribilmente imprecisi, ma utilissimi per creare terrore - e di ordigni esplosivi. Questi ultimi consistevano di barili, botti e fusti metallici riempiti con una miscela di esplosivo ed olio combustibile. Quando si facevano rotolare nel settore arabo di una città creavano "un inferno di fiamme selvagge ed esplosioni senza fine." Un'altra strategia distruttiva descritta dallo scrittore Arthur Koestler era "lo spietato far saltare con la dinamite blocco su blocco" della comunità araba.

Non raramente le forze ebraiche ricorrevano al semplice terrorismo. Qualche volta assumeva la forma di bombe nascoste in veicoli o in edifici: 30 morti a Jaffa il 4 gennaio 1948 con una bomba su un carro, 20 uccisi il giorno dopo quando fu fatto saltare l'Hotel Semiramis a Gerusalemme; 17 uccisi due giorni dopo da una bomba al Jaffa Gate a Gerusalemme.

Più spesso le forze armate ebraiche entravano in un villaggio arabo e massacravano i civili, sia nel corso di un raid notturno sia dopo la conquista del villaggio. I massacri iniziarono presto: il generale di divisione R. Dare Wilson, che aveva prestato servizio con i reparti britannici cercando di mantenere la pace in Palestina prima della fine del mandato inglese, riferì che il 18 dicembre 1947 gli Haganah uccisero 10 persone, soprattutto donne e bambini, nel villaggio arabo di al-Khisas con bombe a mano e mitragliatrici. Wilson descrisse anche come il 31 dicembre gli Haganah trucidarono altre 14 persone, ancora donne e bambini per la maggior parte, utilizzando mitragliatrici e lanciando granate nelle case abitate, questa volta a Balad Esh-Sheikh.

I massacri continuarono nel corso di tutto il 1948: 60 a Sa'sa' il 15 febbraio; 100 uccisi ad Acre dopo la sua conquista da parte degli Haganah il 18 maggio; parecchie centinaia a Lydda il 12 luglio, con 80 mitragliatrici all'interno della moschea di Dahmash; 100 a Dawayma il 29 ottobre con un testimone oculare israeliano che riportava che "i bambini furono uccisi spaccando loro la testa con le mazze"; 13 giovani uomini falciati da mitragliatrici nei campi aperti fuori Eilabun il 30 ottobre; nello stesso giorno ad altri 70 giovani furono bendati gli occhi e poi furono uccisi, uno dopo l'altro, a Safsaf ; 12 uccisi a Majad al-Kurum sempre il 30 ottobre sotto gli occhi di un osservatore belga dell'ONU che scrisse "non ci sono dubbi su queste stragi"; un numero ignoto di persone furono uccise il giorno successivo a al-Bi'na e a Deir al-Assad, e l'azione fu descritta da un incaricato dell'ONU come "uccidere deliberatamente senza provocazione"; 14 "liquidati" secondo il rapporto delle forze israeliane, a Khirbet al-Wa'ra as Sauda il 2 di novembre.

Un modo di uccidere particolarmente disgustoso utilizzato dalle milizie ebraiche era il far saltare in aria le case con i loro abitanti, spesso di notte. La milizia sistemava cariche di esplosivo intorno alle case di pietra, inzuppava di benzina gli infissi di legno di porte e finestre e quindi apriva il fuoco, facendo esplodere contemporaneamente la dinamite e bruciando vivi gli abitanti che dormivano"

Menachem BeginIl supremo atto di terrorismo compiuto dalle milizie ebraiche fu il massacro quasi totale del villaggio di Deir Yassin il 9 aprile 1948. Secondo Jacques de Reynier, un medico svizzero che lavorava per la Croce Rosse ed era arrivato prima della fine della strage, 254 persone furono "deliberatamente massacrate a sangue freddo." "Tutto quello a cui fui in grado di pensare" disse più tardi "erano gli squadroni delle SS che avevo visto ad Atene." Secondo Meir Pa'il che aveva prestato servizio come ufficiale delle comunicazioni per gli Haganah a Deir Yassin ed era presente durante l'attacco, 25 uomini superstiti furono portati a Gerusalemme in parata per le vie della città in una perversa celebrazione di vittoria e poi uccisi a sangue freddo.

Menachem Begin, il capo dell'Irgun, una delle milizie coinvolte negli orrori di Deir Yassin, ha definito queste mostruosità uno "splendido atto di conquista." Nel 1977 Begin è stato eletto primo ministro di Israele.

Il massacro di Deir Yassin ha giocato un ruolo cruciale nel minare il morale della popolazione palestinese. Come scrisse de Reynier, il medico svizzero, "fu generato uno stato generale di terrore fra gli arabi, un terrore alimentato astutamente dagli ebrei."

Dopo che le forze armate israeliane ebbero indotto con la forza i palestinesi a fuggire, le varie istituzioni israeliane fecero in modo di assicurarsi che non fosse possibile il loro ritorno. Il nuovo governo israeliano decise il 16 giugno del 1948 - solo un mese dopo la dichiarazione di indipendenza di Israele, e prima che una metà dei profughi fosse diventata tale - che ai palestinesi non sarebbe stato permesso di ritornare nella loro patria. Nel frattempo le forze militari lavoravano in modo da rendere fisicamente impossibile il loro ritorno. Rasero al suolo 418 paesi e villaggi palestinesi cancellando la maggior parte delle organizzazioni sociali palestinesi dalla faccia della terra.

 

Completando il processo di espropriazione, Israele assunse il controllo della terra degli arabi ai quali non sarebbe stato più possibile ritornare. Prima del 1948 gli ebrei possedevano solo un milione e mezzo di "dunams" di terra in Palestina (una "dunam" l'unità di misura locale per la terra, equivale a un quarto di acro) Dopo l'espulsione dei palestinesi, Israele estendeva il suo controllo su 20 milioni di dunams, un incremento dal 6% al 77% sul totale. Semplicemente rubarono un intero paese.

Moshe Dayan, eroe di guerra israeliano, descrisse laconicamente questa realtà in un discorso del 1969: "I villaggi ebrei furono costruiti al posto di quelli arabi. Non conoscete nemmeno il nome di quei villaggi arabi e non vi biasimo perché sui libri di geografia non esistono più; non solo non esistono i libri, ma nemmeno i villaggi arabi ci sono .... Non c'è un solo posto costruito in questo paese che non abbia avuto una precedente popolazione araba."

Mentre un'ingiustizia di tali incalcolabili proporzioni non potrà mai essere realmente risanata, una pura considerazione di giustizia richiede che ai palestinesi profughi da quello che oggi è Israele e ai loro discendenti sia consentito di ritornare a casa.

Robin Miller

* Robin Miller è una scrittrice freelance di New York il cui interesse è focalizzato sui temi della giustizia sociale. Può essere contattata al seguente indirizzo: complex.gal@home.com

L'articolo originale comprensivo delle note bibliografiche e di una completa lista delle fonti e dei testi sull'argomento è reperibile all'indirizzo:http://www.zmag.org/meastwatch/miller.htm