Intervista: Globalizzazione

MALAYSIA

"Globalizzazione e aiuti vogliono dire miseria"
Parla Anthony Roger, leader dell'Ufficio sviluppo umano

La Malaysia sta attraversando forse il momento più difficile della sua storia dopo la konfrontasi, la guerra che l'ha posta di fronte all'Indonesia di Sukarno all'inizio degli anni Sessanta. Ora poi che, dopo le ultime convulsioni repressivo-scandalistiche, il premier Mahatir Mohammed ha annunciato la nomina a vice-premier dell'attuale ministro degli esteri Abdullah Ahmad badawi in sostituzione di Anwar Ibrahim, destituito lo scorso settembre, incarcerato e attualmente sotto processo per sodomia e corruzione. fatti che relegano in secondo piano il dramma della crisi economico-sociale malese. Eppure la crisi asiatica è nata proprio qui e, dopo aver sconvolto mezza Asia, è tornata a scompigliare l'apparato politico, sino a ieri considerato monoliticamente arroccato attorno al suo leader, Mohamad Mahathir. Ma più che di nascita di un'opposizione organizzata, si dovrebbe parlare di lotta intestina per il potere, dato che Anwar, l'ex pupillo di Mahathir che ha cercato di spodestarlo dal vertice del governo, non ha progetti politici e sociali che si discostano da quelli del suo patrigno. In realtà i movimenti d'opposizione malesi si sono dissolti una decina d'anni fa ed ora i loro leader sono in prigione o si sono allineati sulle posizioni di Mahathir. Tranne uno: Anthony Roger, membro della Congregazione dei Fratelli di De la Salle, un organismo religioso cattolico, che dal 1990 è direttore di quello che può essere considerato la spina nel fianco del governo malese: l'Ufficio Nazionale per lo Sviluppo Umano. La fama di "ribelle" di Anthony si è sparsa in tutta la Malaysia accompagnata da un rispetto quasi reverenziale per la sua proverbiale onestà e coerenza. Più volte si è dovuto difendere per posizioni radicali definite comuniste o sovversive dal governo di Kuala Lumpur.

Lo incontro nel suo piccolo studio nel centro della capitale, proprio di fianco all'edificio in stile vittoriano del prestigioso St. Joseph Institute.

Per Mahathir la crisi economica in Malesia è da imputarsi solo alle speculazioni finanziarie di Soros appoggiato dalla Casa Bianca. E' d'accordo?

Mahathir è nel giusto quando dice che la ragione va ricercata nelle istituzioni finanziarie mondiali; l'Fmi e la Banca Mondiale tentano di giustificare la loro politica fallimentare addossando la colpa ad un capro espiatorio: in Indonesia è stato Suharto, qui Mahathir, i quali hanno certamente delle enormi responsabilità. Ma queste vengono condivise con gli stessi organismi internazionali che li hanno lodati e protetti fino a poco tempo fa. Una seconda causa è che la Malaysia ha avuto uno sviluppo troppo accelerato; ha costruito un'economia senza fondamenta. Abbiamo i grattacieli più alti del mondo, aeroporti supermoderni, ma non esistono basi reali su cui appoggiare queste strutture. Infine la corruzione, altissima e diffusa ovunque. La crisi economica ha le radici in queste tre cause fondamentali e congiunte.

L'attuale situazione ha portato molti analisti a prospettare il pericolo del fondamentalismo islamico. E' una tesi che potrà tramutarsi in realtà?

C'è grande paura in Malaysia negli ambienti religiosi, specie musulmani; paura che l'edonismo e il secolarismo diventino le nuove fedi del XXI secolo. Questo porta un senso di insicurezza all'interno dei gruppi che giungono a considerarsi l'un l'altro come competitori. Ci si sente quindi obbligati a difendere il territorio religioso, con la conseguenza che ci si chiude a riccio. La soluzione di tutto questo è la creazione di una nuova società morale che rispetti l'uomo e non il profitto.

Quale società alternativa proporrebbe?

Iniziamo col dire che nell'economia, così com'è strutturata oggi, non c'è morale. I soldi sono l'unica regola. Questo porta gli individui a raggiungere un riconoscimento sociale attraverso il loro status materiale piuttosto che su basi morali. La modernizzazione afferma non solo che "avere di più significa essere migliori di altri", ma anche che "per essere qualcuno occorre avere più degli altri". Questo costringe ad entrare in un ciclo di lavoro-consumo-lavoro infinito in cui corruzione, criminalità, menzogna non sono che strumenti per raggiungere i bisogni umani. Tutto questo è frutto di una politica economica che non rispetta le reali esigenze dell'uomo. Quello che noi invece proponiamo è semplicissimo: lasciare che sia la gente a muoversi per proteggere la propria cultura, la propria terra, i propri diritti. E' quello che ha fatto l'Ufficio che dirigo e che sta facendo la Chiesa cattolica in Malaysia con l'istituzione delle cooperative, che preferiamo chiamare Comunità Umane di Base (Cab). L'unica via d'uscita che riesco a trovare da questo tunnel che ci ha condotti al cosiddetto boom economico è uno sviluppo sostenibile. Nello Stato del Sarawak, ad esempio, i tribali stanno chiedendo la corrente elettrica. E sa perché? Per avere la Tv satellitare che il governo, con la complicità di compagnie multinazionali commerciali ha proposto loro. Ma noi pensiamo che si debbano fare altri passi prima di giungere alla televisione. Perché non promuovere piccole industrie, progetti agricoli che permetterebbero alla gente di migliorare la loro situazione? Poi, un giorno, potrà anche arrivare la Tv.

Una delle conseguenze peggiori riscontrate dal degrado sociale in Malaysia è l'aumento del traffico di droga, che ha raggiunto proporzioni allarmanti nonostante l'introduzione della pena di morte per gli spacciatori...

La pena di morte non è mai un deterrente. In nessun caso! Molti dei ragazzi con cui lavoriamo sono tossicodipendenti che si sentono tremendamente soli. Ecco il motivo per cui si ricorre alla droga: sfuggire alla solitudine, all'incomprensione che questa società senza valori ha costruito.

Una società senza valori non ha rispetto neppure dei diritti umani. Eppure Mahathir riscuote successo quando afferma che le culture asiatiche e occidentali sono differenti e che la Dichiarazione Universale del Diritti dell'Uomo è stata redatta dall'Occidente misurandosi esclusivamente sui propri valori. Come si può sfuggire a questo dilemma?

E' vero che la Dichiarazione è piena di difetti. Il primo è che non è universale, ma selettiva: ad esempio, quando parliamo di popoli che soffrono la fame non pensiamo mai che vengano violati i loro diritti. Un secondo difetto è che finora i diritti umani sono sempre stati disgiunti dall'aspetto economico. Detto questo però, non si possono usare i cosiddetti "valori asiatici" per giustificare le azioni di governi contro Timor Est, contro gli studenti in Myanmar... Terzo difetto: nessun paese al mondo è esente da violazioni dei Diritti Umani: la Svizzera, maggior promotore mondiale di pace, ospita banche che riciclano soldi da traffici illeciti. E neppure nessun economista o finanziere è esente da tali violazioni: computer di poche centinaia di dollari manovrati da pochi uomini senza scrupoli possono rovinare miliardi di persone. Dobbiamo cercare di "umanizzare" l'economia.

In Occidente ha fatto scalpore una sua coraggiosa critica agli aiuti che le organizzazioni sia governative e non, devolvono ai Paesi del Terzo Mondo. Vorrebbe spiegarsi meglio?

Ma lei non trova strano che nelle passate decadi, più l'ingiustizia nel mondo aumentava, più aumentavano gli aiuti che il ricco Primo Mondo mandava ai poveri e agli emarginati del Terzo Mondo? Dobbiamo essere coscienti del pericolo di usare i nostri progetti di carità esclusivamente per mostrare la nostra superiorità o per nascondere sensi di colpa. Se si usa questa facciata per fare della carità, e le assicuro che molti lo fanno, gli stessi poveri non sono che uno strumento per attrarre fondi atti a costruire nuovi uffici, nuove associazioni e pagare gli alti costi di gestione che si hanno nei vostri paesi. Ecco perché affermo che sono i nostri poveri a mantenere chi dice di volerli aiutare.

Concludendo la nostra conversazione, a quale sfida è chiamata la società malese alle soglie del Duemila?

Sfortunatamente dove la privatizzazione è estesa in ogni aspetto dei servizi sociali, è il denaro che motiva la gente a badare ai vecchi, agli infermi, ai disabili, ai poveri. In questo contesto la sfida che la Chiesa cattolica e il nostro Ufficio e la società intera sono chiamati a rispondere, è la creazione di una società morale e umana nel vero senso della parola.