SINTESI DEL RAPPORTO UNICEF
"LA CONDIZIONE DELL'INFANZIA NEL MONDO 2002"



Nel settembre 1990 si svolse a New York, alla presenza di un numero senza precedenti di Capi di Stato e di Governo, il Vertice mondiale per l'infanzia; la guerra fredda era finita e si era diffusa la speranza che il denaro precedentemente speso in armamenti potesse essere investito nello sviluppo umano, in un "dividendo per la pace". Il Vertice rispecchiava le speranze del mondo per i bambini: i governanti si impegnarono a far ratificare la Convenzione sui diritti dell'infanzia, approvata all'unanimità dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989; vennero sottoscritti obiettivi ambiziosi mirati a ridurre la mortalità infantile, ad ampliare la protezione vaccinale, a diffondere l'istruzione di base insieme a tutta una serie di altri obiettivi da raggiungere entro il 2000. La Dichiarazione sulla quale i governi avevano apposto la firma era audace e inequivocabile: "il benessere dell'infanzia richiede interventi politici ai massimi livelli".

11 anni dopo: i figli degli anni Novanta

Se il totale dei bambini nati all'epoca del Vertice mondiale del 1990 venisse considerato pari a cento, come sarebbero suddivisi? E quali esperienze avrebbero vissuto negli ultimi dieci anni?
Di questi 100 bambini 55 sarebbero nati in Asia, e, di questi, 19 in India e 18 in Cina; 8 nella regione America latina / Caraibi, 7 in Medio Oriente e Nord Africa, 16 nell'Africa subsahariana, 6 nell'Europa orientale e nell'ex Unione sovietica e 8 nei paesi industrializzati.
La nascita di 33 di questi bambini non è stata registrata: di conseguenza essi non esistono ufficialmente, non hanno alcuna nazionalità. Ad alcuni di loro è precluso qualsiasi accesso a strutture sanitarie o a scuole, senza un documento ufficiale che attesti la loro età e identità.
Circa 32 bambini hanno sofferto di malnutrizione prima dei cinque anni e 27 non hanno ricevuto alcuna vaccinazione contro le malattie; 9 sono morti prima di aver raggiunto i cinque anni. Dei restanti 91, 18 non frequentano la scuola e, di questi, 11 sono bambine; 18 bambini non hanno accesso ad acqua potabile e 39 vivono in aree prive di impianti igienici.
La differenza tra le esperienze e le condizioni di vita di questi 100 bambini e quelle di un gruppo analogo di undicenni del 1990 è deludente rispetto alle aspettative che aveva la comunità internazionale dieci anni fa, quando le varie iniziative furono avviate.

A undici anni dal Vertice mondiale, i governanti della Terra si sarebbero dovuti riunire di nuovo a New York, alle Nazioni Unite, tra il 19 e il 21 settembre 2001, per esaminare la condizione dell'infanzia nel mondo e per valutare gli anni trascorsi dalla Dichiarazione e dal Piano d'azione e dall'attuazione di quegli obiettivi che avrebbero dovuto migliorare la vita dei bambini. E avrebbero dovuto fare i conti con la constatazione che i progressi sono stati frammentari, in un mix di successi e fallimenti, ma i tragici attentati compiuti a New York lo scorso 11 settembre hanno costretto le Nazioni Unite a rimandare questo importante appuntamento.

Obiettivi raggiunti e obiettivi mancati

L'obiettivo primario fissato dal Vertice mondiale consisteva nella riduzione di un terzo, tra il 1990 e il 2000, dei tassi di mortalità infantile e di mortalità sotto i cinque anni.. La riduzione complessiva è stata del 14%: un miglioramento considerevole, che significa che oggi riescono ad arrivare al quinto compleanno 3 milioni di bambini in più rispetto a dieci anni fa. L'obiettivo della riduzione di un terzo è stato raggiunto da oltre 60 paesi, tra i quali la maggior parte degli Stati dell'Unione europea e dell'Africa settentrionale e molti altri in Asia orientale, in Oceania, nelle Americhe e in Medio Oriente.
In alcuni Stati ricchi l'obiettivo è stato mancato, mentre paesi poverissimi, con impegni giganteschi e politiche efficienti, sono riusciti nell'intento. La tragedia dell'HIV/AIDS, in particolar modo in Africa, non solo ha fatto risalire vertiginosamente i tassi di mortalità infantile, dopo anni di miglioramento, ma ha anche agito da zavorra rispetto al risultato globale.
Per quanto riguarda la diarrea, una delle principali cause di mortalità infantile, è stato possibile, a livello mondiale, ridurre il tasso di mortalità del 50%. Nel caso del morbillo l'obiettivo era ancor più ambizioso: riduzione del 95% dei decessi e del 90% dei casi d'infezione entro il 1995. Nell'arco del decennio il numero di infezioni da morbillo è sceso di quasi due terzi, il che rappresenta in ogni caso un risultato ragguardevole. Anche per il tetano neonatale si era posto un obiettivo ambizioso: eliminazione entro il 1995. La verifica più recente mostra che, su 161 paesi in via di sviluppo, 104 hanno raggiunto l'obiettivo, e che il 90% di tutti i restanti casi di tetano neonatale sono concentrati in soli 27 paesi. La poliomielite doveva essere completamente debellata entro l'anno 2000. I progressi sono stati straordinari, anche se l'obiettivo non è stato raggiunto. Oltre 175 paesi hanno eliminato la poliomielite e tutto lascia sperare che entro il 2005 si riesca a sconfiggerla completamente. In tal caso essa diventerà la seconda malattia, dopo il vaiolo, a essere completamente eradicata. Inoltre, nel corso del decennio il numero dei casi denunciati di dracunculosi (verme di Guinea) è sceso del 97%. Attualmente l'infezione è presente solo in 13 paesi africani e in un paese del Medio Oriente.
La vaccinazione universale dei bambini ha però cominciato a subire contraccolpi nel corso degli anni. Va detto che all'epoca del Vertice mondiale il tasso di copertura vaccinale dei bambini (73%) era stato stimato in eccesso. Nel decennio successivo non solo non si è raggiunto il grado di protezione vaccinale fissato dal Vertice (90%), ma il mondo ha dovuto lottare per mantenere gli stessi livelli. Più di un quarto (circa 30 milioni) dei bambini del mondo non ricevono ancora le principali vaccinazioni. Nell'Africa subsahariana solo il 47% viene vaccinato contro difterite, pertosse e tetano.
Nel settore nutrizionale, l'obiettivo principale era dimezzare il tasso di malnutrizione dei bambini sotto i cinque anni. Nonostante questo obiettivo sia stato largamente raggiunto in Sudamerica, nei paesi in via di sviluppo il tasso è sceso soltanto del 17%. In Asia, dove vivono più dei due terzi di tutti i bambini malnutriti, il calo è stato relativamente modesto, dal 36% al 29%, mentre nell'Africa subsahariana il numero di bambini malnutriti è addirittura aumentato. Il numero totale di bambini malnutriti nei paesi in via di sviluppo è passato da 177 milioni a 149 milioni.
Il Vertice mondiale per l'infanzia aveva individuato come fattori chiave per prevenire la "fame nascosta", due micronutrienti, la vitamina A e lo iodio: e in questo si sono registrati buoni risultati negli anni 90. La carenza di vitamina A può condurre alla cecità e rendere i bambini più vulnerabili alle malattie, ma è possibile prevenirla con un'alimentazione arricchita o mediante distribuzione di capsule vitaminiche durante le campagne di vaccinazione. Dal 1996 al 1999 il numero di paesi nei quali la copertura distributiva di vitamina A è stata superiore al 70% è salito da 11 a 43. La carenza di iodio, invece, che è la causa principale del ritardo mentale, è facilmente superabile arricchendo il sale con questo micronutriente. L'obiettivo di eliminare i disturbi da carenza di iodio non è stato raggiunto, ma la percentuale di popolazione dei paesi in via di sviluppo che consuma sale iodato è salita dal 20% a circa il 72%. Considerati questi progressi, l'eliminazione dei disturbi dovuti a carenza di iodio entro il 2005 pare essere una prospettiva realistica, ma richiederà un impegno continuo, in quanto vi sono ancora 37 paesi nei quali meno della metà delle famiglie consuma sale iodato.
Gli obiettivi posti dal Vertice mondiale entro il Duemila sull'accesso universale all'acqua potabile e a impianti igienici e fognari, invece, non sono stati neppure sfiorati. In entrambi i casi si è registrato un miglioramento della percentuale di persone che ne fruiscono, dal 79% all'82% per l'acqua potabile e dal 55% al 60% per gli impianti igienici e fognari. Rimangono però ancora 1,1 miliardi di persone che non hanno disponibilità di acqua potabile e 2,4 miliardi di persone che vivono in aree prive di impianti igienici e fognari, tra i quali la metà degli abitanti dell'Asia.
L'obiettivo di garantire un accesso universale all'istruzione di base è ancora lontano. Il tasso di iscrizione alla scuola elementare è salito in tutto il mondo, ma oltre 100 milioni di bambini (di questi, circa il 60% bambine) non frequentano la scuola e molti di più ricevono un'istruzione di scarsa qualità. Sono principalmente bambini lavoratori, disabili, affetti da HIV/AIDS o che vivono in situazioni di guerra, bambini di famiglie povere o di minoranze etniche, di zone rurali, delle periferie degradate delle città o di aree remote, e sono soprattutto bambine.
Il divario esistente tra maschi e femmine riguardo all'iscrizione scolastica e al completamento dell'istruzione di base è ancora troppo ampio. Sensibili progressi sono stati però registrati in molti paesi del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale. L'analfabetismo tra gli adulti è sceso, nell'ultimo decennio, dal 25% (895 milioni di adulti analfabeti) al 21% (875 milioni).
Ma anche nel campo della salute femminile si sono registrati pochi progressi, segno che in molte società la condizione della donna è tuttora poco considerata. Sull'obiettivo di dimezzare il tasso di mortalità materna non si registrano risultati degni di nota. Lontano è rimasto anche l'obiettivo di garantire a tutte le gestanti cure prenatali e assistenza al parto con personale adeguatamente formato: solo il 29% dei parti in Asia meridionale è assistito, e solo il 37% in Africa subsahariana. Ogni anno 515.000 donne muoiono per cause legate alla gravidanza e al parto. Tra i 60 e i 100 milioni di donne sono "scomparse" dalla popolazione mondiale, vittime di infanticidi per discriminazione sessuale, aborti selettivi, malnutrizione e abbandono. Il 90% dei lavoratori domestici, il gruppo più consistente di bambini lavoratori in tutto il mondo, sono ragazze di età compresa tra i 12 e i 17 anni.
Tuttavia i due ostacoli più grandi che impediscono il rispetto dei diritti dei bambini sono i conflitti armati e l'HIV/AIDS. Nell'ultimo decennio del XX secolo i conflitti hanno reso orfani o separato dalle proprie famiglie oltre 1 milione di bambini. Tra il 1990 e il 2000, 2 milioni di bambini sono stati uccisi, 6 milioni feriti o resi invalidi e 12 milioni sono rimasti senza casa a causa di un conflitto. I civili rappresentano tra l'80 e il 90% dei morti e dei feriti nel corso dei conflitti; in gran parte si tratta di bambini e delle loro madri. Dei 35 milioni di rifugiati e profughi nel mondo, l'80% sono donne e bambini.
La devastante diffusione dell'HIV/AIDS sta vanificando l'impegno di molti paesi per la promozione dello sviluppo umano, dei diritti delle donne e dell'infanzia. Nell'area dell'America latina e della Regione caraibica, ad esempio, si stima che nel corso dell'anno 2000, 210.000 tra adulti e bambini abbiano contratto il virus, portando a 1,8 milioni il numero totale delle persone sieropositive. Il paese più colpito della regione è Haiti, dove 74.000 bambini sono orfani a causa dall'AIDS.
Ma l'epidemia flagella soprattutto l'Africa meridionale e orientale, dove, dopo decenni di progressi continui, la speranza di vita sta crollando ai valori del periodo coloniale. La metà di tutti i nuovi casi di HIV è costituita da giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni; si stima che in tutto il mondo 1,4 milioni di ragazzi al di sotto dei 15 anni siano sieropositivi e l'80% di loro vive in Africa. Dall'inizio dell'epidemia sono morti a causa dell'AIDS 4,3 milioni di ragazzi sotto i 15 anni e oltre 13 milioni sono rimasti orfani.

Verso una nuova leadership: per mantenere le promesse

Quando i governanti parlano di milioni di persone, gli individui vengono ridotti a cifre e il loro dolore tradotto in statistiche e in tendenze demografiche. Ma tutti i bambini nati dopo il 1990 hanno un nome e una storia; tutti hanno diritto alla salute, all'istruzione e alla tutela, il diritto a realizzare pienamente il proprio potenziale e il diritto di partecipare alla formazione del mondo in cui vivono. Questi diritti, però, in moltissimi casi continuano a essere violati.
Nel corso di questo decennio, l'umanità ha dimostrato ripetutamente il proprio ingegno e le proprie capacità tecnologiche; di fronte ad eventi straordinari, come la messa in orbita del telescopio spaziale Hubble o lo sviluppo rapidissimo di Internet, c'è qualcuno che possa seriamente affermare che la Dichiarazione d'intenti per l'infanzia pronunciata dai leader mondiali nel 1990 rappresenti un sogno impossibile? Disponiamo sia di risorse che di conoscenze tecnologiche. Che queste ricchezze e queste capacità non siano ancora state convogliate per rendere il mondo un luogo adatto all'infanzia è, dunque, il risultato diretto di una leadership indifferente e inadempiente.
Ma il problema della leadership non riguarda solo i governi e il mondo politico. Nel settore privato, un direttore generale d'impresa che sapesse trascendere i criteri angusti della "competitività" o simili regole aziendali, introducendo rigorosi principi etici contrari al lavoro minorile e a favore della famiglia, darebbe un esempio di leadership lungimirante. Ed esempi di questa lungimiranza sono venuti anche, ad esempio, dagli studenti dell'Università di Yale, negli Stati Uniti, che hanno lanciato una grande campagna per convincere l'Università - che incassa 40 milioni di dollari all'anno grazie al brevetto su un farmaco anti AIDS, la stavudina - ad usare la propria autorevolezza per rendere i farmaci anti-AIDS disponibili a basso costo in Africa.
Un altro esempio è la GAVI - Alleanza Globale per i Vaccini - costituita nel 1999 per raggiungere quei 30-40 milioni di bambini dei paesi in via di sviluppo esclusi dalla vaccinazione. I membri della GAVI (governi nazionali, UNICEF, OMS, Banca Mondiale, Programma per le Vaccinazioni della Fondazione Bill e Melinda Gates, Fondazione Rockefeller, Federazione internazionale delle associazioni delle industrie farmaceutiche, enti sanitari pubblici e istituti di ricerca come il CEDC di Atlanta) si sono alleati per ampliare la portata e l'efficacia dei programmi di vaccinazione nei paesi più poveri e con i più bassi tassi di vaccinazione, fornendo vaccini per un valore di 600 milioni di dollari.
Rimane tuttavia fondamentale il ruolo della leadership individuale, che si tratti di persone comuni o di personalità rilevanti, come Nelson Mandela. Insieme a Graça Machel, già ministro dell'istruzione in Mozambico e leader mondiale a favore dei bambini coinvolti nei conflitti armati, Mandela si è dedicato alla causa dei diritti dell'infanzia. In collaborazione con l'UNICEF e altri organismi per l'infanzia, Machel e Mandela puntano a ottenere l'impegno dei Capi di Stato mondiali perché assumano misure concrete per creare un mondo a misura di bambino. "Il futuro dei nostri bambini è affidato alle scelte che fanno i leader - hanno scritto - Noi ci appelliamo, come già in passato, agli uomini di governo affinché si uniscano a noi in una nuova alleanza mondiale impegnata a realizzare questo cambiamento. Invitiamo anche tutti coloro che non abbiamo mai conosciuto di persona a unirsi a noi in questo movimento mondiale per l'infanzia".

Cambiare il mondo con i bambini

Da quando è stato fondato, l'UNICEF ha continuato a richiamare l'attenzione del mondo sulla condizione dell'infanzia - sui molti bambini colpiti da eventi nazionali e dall'economia globale, dalle sofferenze dovute all'indigenza delle famiglie, da problemi di salute causati da carenza alimentare e vaccinazioni incomplete, dagli impedimenti allo sviluppo causati da salute precaria, maltrattamenti, incuria e assenza di istruzione - e ha lavorato strenuamente per contrastare questi danni.
Nel corso degli anni '80, l'UNICEF ha incentrato le proprie energie su una rivoluzione nella salute dei bambini, consapevole che interventi specifici - come la vaccinazione, l'allattamento al seno e la terapia di reidratazione orale - possono salvare la vita di milioni di bambini. I risultati sono stati notevoli, e ciò dimostra che quando la volontà politica, le competenze e le risorse convergono nella stessa direzione, problemi apparentemente insuperabili possono essere risolti.
La Convenzione sui diritti dell'infanzia, approvata nel 1989 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore l'anno seguente, ha cambiato radicalmente l'impegno del mondo nei confronti dei bambini. Come la Dichiarazione sui diritti umani del 1948, la Convenzione è diventata uno spartiacque e un punto di riferimento per tutte le generazioni future. La Convenzione raccoglie una vasta gamma di diritti dei bambini e di impegni che la società deve assumersi nei loro confronti - espressi in termini legali, sotto forma di un documento che i governi nazionali hanno sottoscritto e si sono impegnati a rispettare.
La Convenzione contribuisce a mutare la situazione, non solo perché i governi che l'hanno firmata e ratificata si sono assunti una responsabilità giuridica, ma anche perché il riconoscimento dell'idea stessa di diritti dei bambini avvia una dinamica indipendente. Il modo in cui il mondo considera l'infanzia sta cambiando. Alla luce della Convenzione, il bambino è un membro attivo della famiglia, della comunità e della società, alle quali apporta il suo contributo. Diventa sempre più evidente che quando gli adulti interagiscono con i bambini, riconoscendone i diritti, tutto cambia.

Ascoltare i ragazzi
Il punto di vista del bambino o della bambina non è qualcosa di superfluo: il mondo appare diverso, visto con i loro occhi. La partecipazione dei ragazzi cambia il modo di pensare e modifica la definizione di progetti e programmi.
I messaggi dei bambini possono essere scomodi e imbarazzanti, ma la verità può emergere soltanto consultando in prima persona i diretti interessati. Come nel caso di maltrattamenti o abusi sessuali, che sono un tema ricorrente nei sondaggi tra i bambini. Tuttavia, l'analisi sistematica delle opinioni di bambini e adolescenti è ancora poco diffusa. Nel tentativo di acquisire informazioni in modo più sistematico, nel corso degli ultimi due anni, circa 40 mila bambini tra i 9 e i 18 anni, di 72 Paesi di tre grandi aree geografiche (Asia orientale/regione del Pacifico, Europa/Asia centrale, America latina/regione caraibica) sono stati oggetto di una indagine sistematica organizzata dall'UNICEF. I ragazzi sono stati intervistati su argomenti quali la scuola, la violenza quotidiana e le aspettative riposte nei rispettivi governi.
Dare ascolto alle voci dei bambini contribuisce a individuare i cambiamenti necessari affinché siano rispettati i loro diritti fondamentali. L'altra faccia della medaglia è che la mancanza di interesse nei confronti delle loro opinioni li ha resi pressoché invisibili agli occhi di quanti determinano le politiche a tutti i livelli della società; come ha dichiarato il presidente del Parlamento Europeo, Nicole Fontaine, l'invisibilità dei bambini ha "un effetto profondamente discriminatorio".
La discriminazione nei confronti dei bambini è di solito meno diretta e palese di quella, ad esempio, nei confronti di gruppi etnici o razziali. Si parte dal presupposto che i bambini e i loro interessi vengano rappresentati e salvaguardati dagli adulti, siano essi i genitori, gli insegnanti o altre figure autorevoli. Ma i bambini non hanno diritto al voto, né a essere rappresentati sul piano politico. In molti paesi è legale la punizione corporale. Le loro opinioni sono raramente richieste o rese note attraverso i mezzi di informazione.
Come hanno affermato in una dichiarazione congiunta i ragazzi che hanno preso parte all'incontro della Commissione preparatoria per la Sessione speciale delle Nazioni Unite sull'infanzia, "Vorremmo che gli adulti mantenessero le promesse che ci hanno fatto, in modo da poter aspirare a un futuro migliore… Chiediamo anche una maggiore partecipazione di bambini e ragazzi, perché noi conosciamo più di chiunque altro le questioni che ci riguardano direttamente. Chiediamo che i nostri governi rispettino i nostri diritti. La Sessione speciale è per l'infanzia: dovete ascoltare la nostra voce. Dopo tutto, se non per noi, per chi è tutto questo? Bisognerebbe vedere e ascoltare i bambini, non 'vederli e non sentirli…".

Il Movimento mondiale per l'infanzia
L'influenza della Convenzione sui diritti dell'infanzia nell'ultimo decennio del ventesimo secolo è stata rilevante, e continua ad aumentare, anche se lentamente. Ogni giorno funzionari di governi locali e nazionali devono tenere conto dei diritti dei bambini; ogni giorno un numero sempre maggiore di bambini e adolescenti impara a esercitare con più efficacia il diritto a essere ascoltati e a incidere sulle opinioni degli adulti. Questo proliferare di idee e attività sta generando un movimento mondiale nel quale partecipano bambini, famiglie e coloro che hanno a cuore i diritti dell'infanzia. Per avere la massima risonanza a livello internazionale, sei tra le principali organizzazioni che si occupano di infanzia - BRAC, Fondazione Netaid.org, PLAN International, Save the Children, UNICEF e World Vision - si sono riunite per dare vita a un Movimento mondiale per l'infanzia con l'obiettivo di coinvolgere tutti coloro che ritengono che i diritti dei bambini debbano essere prioritari: genitori, ministri, associazioni interessate al problema, insegnanti, assistenti sociali.
Si tratta di un movimento che sta acquisendo un'influenza e una forza morale tali che i politici non potranno ignorare. Nei mesi che precedono la Sessione speciale delle Nazioni Unite sull'infanzia che riconsidererà l'attività svolta nei dieci anni trascorsi dal Vertice mondiale per l'infanzia e stabilirà i nuovi obiettivi da raggiungere nei prossimi anni - il Movimento mondiale ha cercato consensi in tutto il mondo per stilare un programma in dieci punti che intende a "cambiare il mondo con i bambini". Il messaggio contenente i 10 Punti è stato diffuso in villaggi, paesi e città in ogni parte del mondo, con una vastissima campagna di sensibilizzazione in cui l'UNICEF ha svolto un ruolo determinante. A vecchi e giovani, anche attraverso internet, viene chiesto di "dire sì per i bambini" ("Say Yes for Children"), scegliendo le azioni che ritengono prioritarie.
Il lancio a livello nazionale della campagna "Yes for Children" nei vari paesi del mondo, a partire dal marzo del 2001, ha avuto un grande impatto, sia per l'originalità delle iniziative che per le personalità coinvolte: presidenti e primi ministri, star della musica e dello sport, capi religiosi e scrittori hanno unito le loro forze a quelle di migliaia di bambini, per raggiungere il più vasto pubblico possibile.

Interventi che possono fare la differenza
I paesi che detengono il potere nell'economia globale devono essere i primi a sostenere e salvaguardare i diritti dei bambini. Ma la povertà non esonera i governi dei paesi in via di sviluppo dal porre attenzione ai problemi che riguardano l'infanzia. I diritti dei bambini sono della massima importanza e vanno garantiti in toto, senza eccezioni.
Il migliore investimento che un governo possa fare è quello sull'infanzia. Secondo la Banca Mondiale una delle ragioni principali, oltre a una buona gestione macroeconomica, per cui i paesi dell'Asia orientale registravano negli anni 70 e 80 tassi di sviluppo economico di gran lunga superiori a quelli dei paesi dell'Africa subsahariana, è che avevano investito molto sull'infanzia nei decenni precedenti. In altre parole, stavano raccogliendo i frutti di quanto seminato negli anni 50 e 60 per la salute, la corretta alimentazione e l'istruzione delle nuove generazioni.
Negli anni 90, inoltre, l'UNICEF ha studiato la situazione di nove paesi in via di sviluppo e dello stato indiano del Kerala; i paesi erano stati selezionati in base agli eccellenti risultati ottenuti nel campo della salute e dell'istruzione, di gran lunga superiori a quelli di altri Stati in analoghe condizioni economiche. Lo scopo era scoprire se esisteva un denominatore comune che potesse servire da modello per altri paesi in via di sviluppo. I governi delle Barbados, del Botswana, del Costa Rica, di Cuba, della Malesia, delle Mauritius, della Repubblica di Corea, dello Sri Lanka, dello Zimbabwe e dello Stato del Kerala avevano diversi orientamenti politici, ma tutti si erano posti l'obiettivo di investire sull'infanzia, con significativi finanziamenti statali destinati ai servizi sociali di base. Rispetto ad altri paesi, tutti avevano investito una percentuale più alta del reddito nazionale nell'istruzione elementare, alla quale si accedeva senza pagare alcuna tassa scolastica.
Studi recenti condotti in oltre trenta paesi indicano invece che per i servizi di base viene stanziato in media tra il 12 e il 14 per cento della spesa pubblica. Tale percentuale è decisamente inadeguata: i governi nazionali dovrebbero garantire ai servizi sociali di base una spesa pari a circa il 20 per cento del bilancio, come si erano impegnati a fare durante il Vertice mondiale per lo sviluppo sociale del 1995 quando hanno aderito all'iniziativa 20/20; quest'ultima prevede che i Paesi in via di sviluppo e i paesi donatori stanzino il 20% rispettivamente del loro bilancio statale e dell'aiuto ufficiale allo sviluppo ai servizi sociali di base. I paesi che non investono abbastanza nei servizi sociali vengono a trovarsi in una posizione di netto svantaggio, perché garantire a tutta la popolazione la possibilità di accedere a questi servizi è un modo di mitigare l'impatto a livello sociale che il difficoltoso percorso verso un'economia globalizzata comporta, offrendo ai poveri una possibilità maggiore di trarne beneficio e rendendo così l'intero processo della globalizzazione più democratico.

Le aree prioritarie d'intervento per il prossimo decennio
L'importanza fondamentale dello sviluppo nella prima infanzia è oggi molto più riconosciuta di quanto non lo fosse all'epoca del Vertice mondiale del 1990. Un'assistenza adeguata nei primissimi anni di vita è un requisito essenziale per uno sviluppo equilibrato. È anche un diritto umano fondamentale. I governi dei diversi paesi devono garantire che tutti i bambini, senza eccezioni, vengano registrati alla nascita, che la loro vita inizi senza che conoscano violenza e abusi, che ricevano un'alimentazione appropriata, acqua potabile, misure igieniche adeguate e assistenza sanitaria. Programmi efficaci di Assistenza alla Prima Infanzia (API) si pongono tutti gli obiettivi legati alla sopravvivenza di un bambino con cui l'UNICEF è tradizionalmente identificato: buone condizioni di salute della madre, parto sicuro, controlli periodici regolari dopo la nascita, vaccinazioni, allattamento al seno, alimentazione integrativa, somministrazione di sostanze essenziali alla crescita, informazione dei genitori su quanto è necessario per una corretta nutrizione e per la salute del bambino. Questi programmi prendono in considerazione anche lo sviluppo mentale, sociale, emotivo e spirituale del bambino fin dai suoi primissimi anni di vita e l'assistenza che riceve sul piano fisico e psicosociale.
Un'altra priorità assoluta su cui investire è quella dell'istruzione elementare. Degli oltre 100 milioni di bambini che non frequentano la scuola, 60 milioni sono femmine. L'opportunità di investire nell'istruzione elementare di qualità - in particolare per quanto riguarda le bambine - è stata ampiamente assodata. L'istruzione migliora la qualità della vita e aumenta le occasioni per tutti. I benefici che comporta sono facilmente riscontrabili. Agricoltori che sanno leggere e hanno appreso come ricercare e selezionare informazioni saranno in grado di tenere il passo con i progressi nelle tecniche di coltivazione: uno studio condotto su tredici paesi a basso reddito ha rilevato che un agricoltore che ha frequentato la scuola per quattro anni produce in media raccolti superiori del 9 per cento rispetto a uno analfabeta. L'istruzione si è dimostrata una sorta di "vaccino" contro i pericoli del lavoro minorile e dell'HIV/AIDS. Le ragazze che hanno l'opportunità di frequentare la scuola, inoltre, tendono a migliorare non solo le proprie possibilità di sopravvivenza e le proprie potenzialità, ma anche quelle dei figli e delle famiglie che avranno in futuro, oltre a quelle della società nel suo complesso. È stato dimostrato che l'istruzione femminile riduce il tasso di mortalità infantile, migliora le condizioni di salute e la nutrizione dei bambini, rafforza la salute delle donne e riduce anche la crescita demografica, dato che le ragazze che hanno studiato tendono a sposarsi più tardi e ad avere meno figli. L'UNICEF coordina la UN Girls Education Initiative, per l'istruzione delle bambine, e indica come obiettivo da raggiungere entro il 2015 l'accesso a un'istruzione primaria da parte di tutti indistintamente: bambine, minoranze etniche e quanti vivono in condizioni di disagio.
La terza opportunità per investire in modo oculato è rappresentata dall'adolescenza. Gli anni dell'adolescenza rappresentano per ogni ragazzo un periodo di crescita molto rapida, sul piano fisico, emotivo, psicologico, sociale e spirituale. Si tratta anche di una fase molto delicata e pericolosa. È proprio questa l'età in cui i ragazzi sono più vulnerabili rispetto ad alcune minacce che mettono a repentaglio i loro diritti - l'HIV/AIDS, lo sfruttamento sessuale, il lavoro minorile, le guerre o il reclutamento come soldati. Gli adolescenti sono spesso costretti a confrontarsi con questi rischi senza le informazioni, le competenze e la possibilità di usufruire dei servizi di sostegno dei quali avrebbero bisogno. L'introduzione di provvedimenti specifici che rispondano alle necessità dei giovani viene spesso accantonata a favore delle più incisive richieste e priorità degli adulti, i quali sono in condizione di esercitare pressioni politiche. Ma, ancora una volta, i governi che hanno sottoscritto la Convenzione sui diritti dell'infanzia devono riconoscere che gli adolescenti hanno dei diritti inalienabili, al momento palesemente ignorati. Hanno il diritto di ricevere informazioni importanti e affidabili dai genitori, gli insegnanti, i mezzi di comunicazione e altri educatori. Hanno il diritto di ricevere insegnamenti che li preparino ad affrontare gli anni dell'adolescenza, nei quali scopriranno la propria identità e l'indipendenza, e a sviluppare la capacità di negoziare, risolvere conflitti, pensare in modo critico, prendere decisioni, comunicare e guadagnarsi da vivere.

Responsabilità senza frontiere

Tutti i paesi del mondo hanno ottime ragioni economiche per investire nei bambini. Tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sui diritti dell'infanzia hanno accettato il principio che i governi nazionali debbano rispettare i diritti riconosciuti ai bambini dalla Convenzione "fino al limite massimo consentito dalle risorse a loro disposizione"; hanno accettato anche di assumersi l'obbligo morale e legale di agire sempre, qualora si impongano scelte economiche difficili, nel migliore interesse dei bambini. I responsabili dei ministri delle finanze, così come le istituzioni finanziarie, devono assumersi la responsabilità della gestione delle risorse nazionali a favore dell'infanzia. Tuttavia, la Convenzione pone una condizione aggiuntiva, indicando che, "qualora si rendesse necessario", le risorse devono essere ricercate "nel quadro della cooperazione internazionale". I paesi in via di sviluppo devono fare tutto il possibile, ma è ormai chiaro che la maggior parte di essi non raggiungerà gli obiettivi stabiliti per il 2015 e riconfermati dalla comunità internazionale riunita per il Vertice del millennio, a meno che non si registri un aumento sostanziale degli aiuti esterni e una maggiore disponibilità di risorse derivante dalla riduzione del debito.
Dopo tutto, il terzo ostacolo fondamentale al rispetto dei diritti dei bambini, oltre alle guerre e all'HIV/AIDS, è la povertà ed è assolutamente necessario che quanti traggono i maggiori benefici dall'economia globale si adoperino affinché i più vulnerabili - le donne e i bambini dei paesi più poveri - possano beneficiarne a loro volta. L'aumento del benessere globale è in gran parte concentrato in pochi paesi. Il divario tra i paesi più ricchi e quelli più poveri cresce di giorno in giorno. Nel 1990, il reddito pro capite nei paesi industrializzati era 60 volte più alto che nei paesi meno sviluppati; nel 1999, era superiore di quasi 100 volte. Più di mezzo miliardo di bambini vive con meno di un dollaro al giorno.
Alcuni dei paesi più ricchi iniziano ad attuare seriamente l'impegno di combattere la povertà. Durante gli anni 80 e 90, organizzazioni non governative, gruppi religiosi e organizzazioni internazionali - compresa l'UNICEF, con i suoi rapporti annuali su "La Condizione dell'infanzia nel mondo" - hanno condotto una lunga campagna con l'obiettivo di persuadere i governi e le istituzioni finanziarie internazionali più influenti a intraprendere azioni più rapide e incisive rispetto al grave problema dell'indebitamento. In particolare, il lavoro svolto dalla coalizione per il Giubileo 2000 per trasformare la questione del debito da una "preoccupazione marginale" a una proposta seria e concreta è stato a dir poco straordinario. Ora l'Iniziativa a favore dei "Paesi poveri fortemente indebitati", che si è avviata con estrema lentezza e ha avuto sulle prime effetti molto limitati, sta finalmente iniziando a funzionare. Nei primi mesi del 2000, l'Iniziativa aveva deliberato la riduzione del debito in quattro paesi soltanto: Bolivia, Guyana, Mozambico e Uganda. Oggi 22 paesi poveri cominciano a beneficiare di una riduzione del debito, e un altro sviluppo molto positivo è stato l'annuncio da parte dei paesi membri del G7, che condoneranno il 100 per cento del debito bilaterale a tutti i paesi riconosciuti come Paesi poveri fortemente indebitati.
Dopo anni in cui gli aiuti allo sviluppo erano irregolari o scarsi, il governo del Regno Unito si è impegnato ad aumentare i propri stanziamenti dallo 0,24 per cento del Prodotto Nazionale Lordo (PNL) concesso nel 1999 allo 0,31 per cento nel corso dei prossimi due anni. L'aumento è benvenuto, ma i paesi nord europei - Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia - da tempo detengono il primato avendo raggiunto o superato la quota minima dello 0,7 per cento del PNL raccomandata dalle Nazioni Unite. Al momento, i flussi di assistenza allo sviluppo (AUS) provenienti dai paesi industrializzati sono inferiori di circa 100 miliardi di dollari l'anno a quelli che i loro governi si erano impegnati a stanziare. Fino a quando l'AUS si manterrà così bassa, i paesi ricchi non terranno fede agli impegni che si sono assunti. Le nazioni che rivendicano un ruolo di leadership nell'economia globalizzata non possono più continuare a disattendere gli impegni assunti come hanno fatto nel secolo scorso: l'obiettivo minimo di destinare lo 0,7 per cento del bilancio nazionale all'aiuto allo sviluppo deve essere raggiunto al più presto.


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