Debito estero
Quella del Debito Estero è, prima di tutto, una questione
politica: un ideale strumento di controllo internazionale sui Paesi poveri, un
vero colpo di genio, più efficace del colonialismo. Uno strumento che ha
ricadute negative su tutta la popolazione mondiale, in termini di distruzione
ambientale, migrazioni, disoccupazione; ma da cui c'è chi trae vantaggi enormi:
la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che si trovano a gestire
gli affari finanziari di tre quarti del mondo; le élite dei Paesi indebitati,
che hanno contratto i debiti scaricandone gli effetti sulle popolazioni; le
imprese transnazionali, che godono dei vantaggi economici offerti loro dagli
interventi di aggiustamento strutturale imposti da Banca Mondiale e FMI ai Paesi
debitori; le banche private, felicissime di finanziare i progetti, per lo più
inutili e distruttivi, sponsorizzati dalla Banca Mondiale perchè gli interessi
di tali prestiti sono 30 volte maggiori di quelli che otterrebbero in altre
transazioni; i governi del G7, a cui la crisi del debito ha consentito di
espandere in tutto il mondo il sistema neoliberalista. A rimetterci invece l'80%
della popolazione dei Paesi indebitati esposta agli interventi di aggiustamento
strutturale, il miliardo e 300 milioni di persone costrette a vivere con meno di
un dollaro al giorno. Sono popoli come quello dello Zambia, dove ogni anno si
perde in interessi sul debito una somma 35 volte maggiore a quella spesa per
l'istruzione dei bambini, o della Tanzania, in cui gli interessi assorbono un
capitale doppio a quello impiegato per assicurare l'acqua alla popolazione.
Paesi presi al cappio dell'usura internazionale, e senza più via di uscita: tra
il 1988 e il 1994 il debito dei Paesi in via di sviluppo è cresciuto del 60%,
arrivando a 510 miliardi di dollari.
Il Debito Estero è appena la punta dell'iceberg di tutto un sistema mondiale
neoliberista. Ma non basta più reclamare la cancellazione dei debiti. E'
necessario un più serrato slancio di comprensione economica. Ed è consolante
constatare come in questi ultimi tempi, sollecitati da avvenimenti drammatici
come la devastazione portata dall'uragano Mitch in Honduras e in Nicaragua o
dalla spinta delle Chiese e dei vari movimenti nazionali e internazionali,
qualcosa si sta muovendo anche ai più alti livelli degli organismi mondiali.
Ha sorpreso una recente esternazione del Presidente della Banca Mondiale, James
Walfersohn, ebreo australiano, ma cittadino americano, il quale ha affermato che
"senza un patrimonio religioso non possibile un futuro per l'umanità".
Naturalmente non diceva questo per fare cosa gradita ai vescovi presenti, ma
piuttosto per mettere in rilievo l'enorme bisogno che c'è che le persone
prendano coscienza delle loro responsabilità individuali, e si organizzino in
maniera tale affinchè le Istituzioni Statali e Civili facilitino realmente la
partecipazione dei cittadini al cambiamento. Queste istituzioni devono diventare
le naturali istanze in cui si decide la migliore applicazione delle risorse per
lo sviluppo.
Il sig.Wolfersohn ha poi presentato alcuni dati in possesso della Banca
Mondiale. Ricordava che nei paesi in cui esiste un "miglior capitale
umano", le risorse applicate nella lotta contro la povertà e la
diminuzione delle diseguaglianze sociali, hanno permesso di ottenere dei
risultati molto più soddisfacenti che altrove. In questo senso bisogna
sostenere e difendere i valori etici. Terminava dicendo che "tutte le
persone dovrebbero sentirsi responsabili del mondo". L'aver affermato
chiaramente, tra l'altro, che diventa obbligatoria "l'unione tra fede e
economia", diede l'impressione ai presenti che si fosse messo daccordo con
vescovi e con gli economisti.
Paul Sammelson, premio Nobel per l'economia e professore al Mit di Boston,
prende quasi i toni del filosofo mentre commenta le iniziative avviate:
"Era ora. Sono molto contento della decisione presa dal Fondo Monetario e
dalla Banca Mondiale di intervenire per ridurre il debito dei Paesi più poveri
del mondo. Giudico importanti gli interventi a favore di Paesi del Terzo Mondo
per due motivi: dal punto di vista economico consentire a questi Stati di
risolvere il problema del debito, e rilanciare il loro sviluppo, e
nell'interesse diretto anche dei Paesi ricchi occidentali. Nel lungo termine,
infatti, la globalizzazione avrà bisogno di tutte lo forze disponibili, e non
potremo permetterci di lasciare fuori interi continenti, abbandonandoli ad una
depressione che spesso provoca instabilità, disordini, e guerre dannose per
l'economia di tutto il mondo. Dal punto di vista politico, invece, sono contento
di vedere che l'idea della solidarietà riesca a trovare uno spazio anche nel
gelido mondo della finanza.
Tra le Organizzazioni non governative impegnate su questo fronte, tre sono le
Compagnie più promettenti: "Giubileo 2000" (presente in 19 Paesi),
"Eurodad" (una rete di 16 organizzazioni non governative europee),
"Sdebitarsi" (30 associazioni di volontariato, laiche e religiose).
Hanno scelto Roma per mettere a punto una piattaforma comune per il 1999, in
quanto città fulcro del Giubileo: l'hanno in cui dovrebbero essere rimessi
tutti i debiti, come più volte ha auspicato Giovanni Paolo II. I tre movimenti
hanno in programma di aumentare la pressione su governi e istituzioni
internazionali (Banca Mondiale e Fondo monetario intenazionale) perchè dalle
buone intenzioni passino ai fatti. E' dal '96, infatti, che Bm e Fmi discutono
di riduzione del debito dei Paesi poveri altamente indebitati con tanto di
classifiche e cifre, ma di risultati concreti ancora non c'è traccia.
Durante la lotta contro la schiavitù, combattuta nel secolo scorso, non si discuteva rispetto al 10 o più per cento dell'abolizione del debito, ma per la sua abolizione totale. Allo stesso modo, oggi, non è possibile parlare di forme giuste per controllare il debito che tanti Paesi del Terzo Mondo hanno contratto: la schiavitù del debito che va eliminata. |