Un
paese
spolpato
Petrolio e gas agli Usa, aerolinee alla Spagna, telefoni italiani.
L'Argentina non è più argentina. E celebra a sue spese il fallimento dell'Fmi
GIANNI
MINA'
Adesso
che
l'Argentina
è
sull'orlo
dell'insurrezione
e
i
mercati
internazionali
aspettano
a
breve
quello
che
viene
definito
il
default,
il
collasso
di
questo
paese
che,
meno
di
cinquant'anni
fa,
rappresentava
la
"terra
promessa"
per
tanti
emigranti,
vorrei
che
i
famosi
organismi
finanziari
che
da
sempre
ci
impartiscono
lezioni
sulla
indiscutibilità
del
modello
economico
capitalista
(e
con
loro
la
grande
stampa
e
tanti
prestigiosi
opinionisti
televisivi)
avessero
finalmente
il
pudore
di
dichiarare
il
fallimento
delle
loro
certezze
sul
primato
del
modello
economico
neoliberale.
Anzi,
il
suo
tramonto
-
come
è
avvenuto,
dodici
anni
fa,
per
il
comunismo.
L'Argentina
grande
come
un
terzo
dell'Europa,
con
poco
meno
di
40
milioni
di
abitanti,
ricca
di
tutto
(minerali,
petrolio,
ogni
tipo
di
cultura,
allevamenti,
riserve
biogenetiche)
è
infatti
drammaticamente
sull'orlo
della
povertà
più
nera,
spolpata
prima
da
governi
militari
corrotti
dove
tutti
i
generali
della
giunta
avevano
sempre,
come
minimo,
un
posto
nei
consigli
di
amministrazione
delle
multinazionali
nordamericane,
e
poi
definitivamente
disintegrate
dalle
privatizzazioni
avvenute
durante
i
due
mandati
del
presidente
Menem
che
non
ha
solo
tradito
i
suoi
elettori
peronisti
attenti
al
sociale,
ma
ha
messo
in
vendita
l'intero
paese
a
prezzi
di
liquidazione.
Un'operazione
di
saldi
che
ha
favorito
una
colossale
corruzione
e
l'arroganza
di
una
classe
di
potere
che
ha
dato
vita
a
un
regime
non
a
caso
definito
"menemismo".
Gli
argentini,
obbligati,
negli
ultimi
dieci
anni,
a
rispettare
come
soldatini
le
ricette
economiche
del
Fondo
monetario
internazionale
e
della
Banca
mondiale
vivono
così
ora
in
un
paese
che
non
è
più
loro.
Il
petrolio
e
il
gas
sono
degli
Stati
uniti.
La
telefonia
è
degli
italiani.
La
compagnia
aerea
di
bandiera,
l'Aereolinas,
venduta
alla
Iberia
spagnola
pur
essendo,
quando
era
statale,
in
attivo,
è
stata
fatta
fallire,
dopo
vari
passaggi
di
proprietà,
dall'ultimo
padrone,
una
finanziaria,
e
non
esiste
più.
Così
l'Argentina,
un
paese
australe
con
l'esigenza
vitale
di
comunicare
con
il
mondo
non
ha
più
un
vettore
nazionale
e
avendo
nel
frattempo
"tagliato"
molte
tratte
ferroviarie
perché
non
remunerative,
fa
ora
vivere
ai
propri
cittadini
disagi
da
inizio
secolo
per
raggiungere
certe
località
mentre
è
costretta,
per
il
trasporto
aereo,
ad
adeguarsi
alle
esigenze
operative
di
alcune
compagnie
straniere.
E'
la
logica
perversa
del
neoliberismo
dove
lo
stato,
ormai
ostaggio
della
finanza
speculativa,
tutela
solo
una
categoria
piccola
e
privilegiata
di
cittadini.
Il
gruppo
francese
Carrefour
che,
con
il
30
per
cento
è
attualmente
il
leader
in
Argentina
della
grande
distribuzione,
con
22
ipermercati,
130
supermercati
e
227
negozi
hard
discount
ha
chiuso
per
esempio
ieri
tutti
i
suoi
punti
vendita
preoccupato
dagli
assalti
della
gente
alle
tiendas
di
alimentari
al
grido
di
"abbiamo
fame".
Se
la
deriva
sociale
continuerà,
la
Carrefour
non
potrà
fare
altro
che
andarsene
lasciando
in
ginocchio
un
paese
che
in
pochi
anni
ha
visto
scomparire
buona
parte
del
piccolo
commercio.
Domingo
Cavallo,
superministro
dell'economia
che
proprio
dieci
anni
fa,
nel
1991,
quando
era
nel
governo
Menem,
equiparando
il
peso
argentino
al
dollaro
statunitense
ha
dato
inizio
ad
un
decadimento
sociale
che
ora
ci
accorgiamo
essere
senza
fine,
si
è
dimesso
dopo
aver
fallito
il
suo
compito
di
presunto
risolutore
dell'emergenza.
Un
compito
che
il
governo
di
centro-sinistra
del
radicale
De
la
Rua
ha
ereditato,
un
anno
fa,
da
Menem.
De
la
Rua,
accettando
le
dimissioni
di
Cavallo,
come
già
aveva
fatto
con
quelle
di
José
Luis
Machinea
e
di
Ricardo
Lopez
Murphy,
che
lo
avevano
preceduto
senza
successo
alla
guida
dell'economia,
ha
sancito
anche
l'inadeguatezza
del
suo
governo
progressista
che,
con
un
autogol
senza
precedenti,
aveva
pensato,
nella
primavera
scorsa,
di
tirarsi
fuori
dalle
sabbie
mobili
della
bancarotta
richiamando
il
più
neoliberista
degli
ex
ministri
del
governo
peronista.
Quel
Cavallo
che,
dopo
essere
stato
consulente
della
giunta
militare,
aveva
portato,
prima
di
litigare
con
Menem,
la
disoccupazione
alla
cifra
record
del
20
per
cento.
Una
cifra
mai
più
diminuita
e
che
corrisponde
a
3
milioni
e
400mila
persone
senza
lavoro.
Nel
disperato
governo
di
De
la
Rua,
Cavallo,
uomo
del
Fondo
monetario
internazionale,
aveva
pieni
poteri,
perfino
quello
di
creare
o
sopprimere
ministeri
o
di
diminuire,
come
ha
fatto
impunemente,
gli
stipendi
statali
del
20
per
cento.
I
risultati
della
sua
gestione
sono
davanti
a
tutti.
E
anche
la
debacle
della
sinistra
quando
crede
di
adeguarsi
ai
tempi
e
di
essere
moderna
sposando
le
sciagurate
scelte
liberiste
imposte
da
organismi
economici
internazionali
come
Fondo
monetario
e
Banca
mondiale.
Ora
che
i
morti,
mentre
scriviamo,
sono
già
14
e
centinaia
i
feriti
nella
repressione
decisa
dalla
polizia
argentina
per
bloccare
questa
incontenibile
"battaglia
per
il
pane"
di
quello
che
fu
un
paese
leader
del
continente,
il
Fondo
monetario
si
sveglia
e
fa
sapere
"di
essere
in
ansia".
Proprio
il
Fondo
monetario
le
cui
"ricette"
hanno
salassato
l'Argentina.
Non
stupisce
invece
che
Berlusconi
esprimendo
la
stessa
preoccupazione
afferma
che
il
suo
governo
cercherà
di
dare
una
mano
all'Argentina
non
solo
perché
"ci
sono
là
molti
italiani
che
rappresentano
il
nostro
paese
in
modo
operoso",
ma
anche
perché
l'Argentina
"ha
sviluppato
politiche
nelle
sedi
internazionali
molto
vicine
all'Italia".
Sono
le
famose
politiche
neoliberali
che
hanno
annichilito
la
patria
di
Gardel,
Borges,
Piazzolla,
Maradona
e
anche
di
tutti
quei
figli
e
nipoti
di
emigranti
italiani
che
adesso,
per
ironia
della
storia,
chiedono
di
fare
il
cammino
inverso
dei
loro
nonni
e
dei
loro
padri
costretti
fino
a
quarant'anni
fa
a
partire
dall'Italia
per
cercare
nella
terra
del
Rio
della
Plata
e
delle
pampas
un
modo
per
sopravvivere.
Ma
evidentemente
Berlusconi
non
se
n'è
accorto.
Non
ci
sorprende.
Ora
che
l'Argentina
brucia,
così
come
a
luglio
quando
il
movimento
antiglobal
chiedeva
di
farsi
ascoltare
a
Genova,
c'è
chi
sostiene
che
quello
che
sta
accadendo
è
il
risultato
"di
un
piano
premeditato
di
agitatori
professionisti".
Purtroppo
sappiamo
che
non
è
così
e
l'Argentina
è
solo
la
punta
di
un
iceberg,
quello
di
una
umanità
con
le
spalle
al
muro.