Dal 20 al 22 luglio otto uomini siederanno attorno ad un grande tavolo: si faranno le congratulazioni a vicenda per quanto sono bravi e si destreggeranno per ottenere la posizione migliore sulle foto ricordo. Si sentiranno molto importanti; del resto, sono loro i leaders delle otto nazioni più industrializzate del mondo: Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, USA, Canada, Giappone, Russia.
Genova, la città dove stanno per incontrarsi, assomiglierà invece ad una zona di guerra: ampie parti della città saranno chiuse ai cittadini, militari armati stazioneranno sui tetti, telecamere saranno sistemate agli incroci, elicotteri si libreranno sopra le teste.
Nel 1997 la dichiarazione ufficiale di chiusura del summit dei G8 sosteneva: “Faremo della globalizzazione un successo da cui tutti potranno trarre beneficio”; in realtà il nuovo millennio comincia sotto cattivi auspici.
La loro globalizzazione ha rivelato la sua vera natura: una dittatura orwelliana delle più potenti banche e corporazioni multinazionali, il tentativo di cancellare un secolo di progresso sociale e di trasformare la distribuzione delle risorse da ineguale a inumana.
Vogliono portarci a credere che il sistema economico operi nel nostro interesse e che chi muove i fili del potere sia illuminato e mosso da buoni intenti: del resto… “il tasso di inquinamento non incentiva l’effetto serra, le bombe che sganciamo contengono materiale radioattivo innocuo, le compagnie biotech hanno un gran desiderio di sfamare il mondo (con pomodori giganti), il proibizionismo è la via che salverà il mondo dalle droghe, ingrassiamo le mucche con farine animali per il vostro bene, il lavoro mobile e flessibile è l’unica soluzione alla disoccupazione, le telecamere a circuito chiuso per le strade sono installate per la vostra sicurezza”.
Queste sono le fandonie che ci vengono raccontate quotidianamente dai potenti del mondo, quelli che si arrogano il diritto di decidere per tutti, pregiandosi di utilizzare strumenti che dicono democratici: la volontà popolare, espressa attraverso il voto e il referendum, il dialogo tra le parti, i mezzi di comunicazione liberi da strumentalizzazioni di regime.
Il progetto di questa globalizzazione prevede in realtà un’intensificazione (iniqua) della crescita economica, un “libero” mercato governato dalle multinazionali come unica via per un futuro prosperoso: le barriere locali al commercio vengono eliminate, viene imposto lo smantellamento del welfare state e la circolazione dei flussi finanziari liberalizzata, mentre vengono innalzate fortezze che, di fatto, impediscono la libera circolazione delle persone.
Nuove e più profonde povertà, disastri ambientali, aumento dei flussi migratori, fallimentari “politiche di sicurezza” sono trattate dai media come se fossero eventi non correlati, mentre dipendono tutte da quel famelico meccanismo chiamato neoliberismo.
I rappresentanti dei paesi più ricchi e potenti, nel governare la globalizzazione, agiscono in effetti come un dipartimento di pubbliche relazioni che difende le forze nascoste dietro al libero mercato; costituiscono un’organizzazione che, mentre da un lato si dichiara sensibile alle istanze dei paesi più poveri, nella realtà dei fatti si traduce nel consolidamento e nello sviluppo di un sistema oligarchico, dissipativo, sperequativo e profondamente ingiusto.
Il ventilare una svolta riformista degli organi sopranazionali, solo apparentemente aperti al dialogo democratico generato dal basso, appare illusorio. Per coloro che soffrono la sempre maggiore povertà ed ineguaglianza e che in tali organizzazioni non hanno alcuna voce, non può essere questione di riforma.
L’intera architettura economica e sociale del pianeta ha bisogno di essere demolita e poi ricostruita a partire dal basso.
Ben coscienti di essere parte delle contraddizioni dominanti, rivendichiamo la necessità di lottare contro il capitalismo, l’autoritarismo, il nazionalismo e la xenofobia, volendo fermamente escludere queste forme di oppressione e discriminazione dalla realtà che intendiamo costruire discutendo, sviluppando e concretizzando un altro modello di società.
Vari popoli nel mondo continuano a resistere alla distruzione delle loro vite e delle loro comunità, creando radicali e sostenibili alternative all’economia globale, acquistando straordinaria forza e ispirazione dalla consapevolezza che le loro lotte locali sono solo un aspetto della battaglia contro una più universale malattia: il neoliberismo.
Un vasto e innovativo movimento di realtà di base ha raccolto l’appello lanciato dal Messico Zapatista alla lotta contro questo alienante sistema, basato sul denaro e non sul bisogno, sul potere e non sulle persone, ed ha riconosciuto che, nonostante le ampie differenze particolari, le lotte nelle parti più privilegiate e meno privilegiate dell’impero globale hanno sempre più elementi in comune, aprendo così la strada ad una nuova forma di agire politico.
Il fallimento del vertice dell’OMC a Seattle ha dato ragione alle centinaia di migliaia di persone, di ogni estrazione e credo, che hanno impedito agli accordi commerciali di scavalcare e vanificare ogni precedente trattato faticosamente raggiunto in difesa ed applicazione dei diritti dell’uomo e dell’ambiente, dimostrando che una vasta ondata di resistenza globale sta crescendo contro il neoliberismo.
La nostra epoca, l’epoca della globalizzazione economica, pare abbia prodotto una serpe in seno: il cosiddetto popolo di Seattle.
Sotto tale nome è stata definita la realtà policentrica, variegata e difforme che da tempo, nomade ed instancabile, si da appuntamento in luoghi diversi del pianeta a contestare i pranzi di gala della globalizzazione economica: vertici mondiali ed economici, vertici europei, “appuntamenti” scientifici sulle biotecnologie, etc. etc.
Tale popolo si darà appuntamento a Genova in luglio, quando si terrà il G8 2001.
Da decenni non irrompeva sulla scena una realtà simile. La principale dote di questo popolo è la sua molteplicità: soggetti, desideri, culture, pratiche, interessi, lingue e religioni lontane e separate trovano il modo di comunicare, ma non solo: trovano il modo di riempire di movimento, critica, contestazione, protesta, colore, ma soprattutto di migliaia di uomini e di donne piazze e strade di città lontanissime.
Pochissimo tempo fa’ sarebbe stato impensabile.
Certo, e qui sta un primo limite, fra queste soggettività vi sono distanze spesso abissali: di più, molte di queste realtà forse animano la loro protesta di forme e contenuti reazionari o conservatori, di nostalgia per il passato; non tutti insomma colgono nel passaggio di paradigma l’occasione per innovare, utilizzare strumenti e contraddizioni, essere insomma una reale serpe nel seno della globalizzazione, che ha creato essa stessa le condizioni materiali che hanno messo in moto la protesta globale del popolo di Seattle: reclamare un ritorno alle “sicurezze” del passato o forse questo passaggio epocale contiene in sé strumenti di liberazione che bisogna saper cogliere? Non è probabilmente attuale, forse nemmeno utile, dare una sintesi del variegato movimento che tenta l’assalto all’impero.
Ma è forse possibile individuare condizioni paradigmatiche, figure che assumano in sé la gran parte delle contraddizioni prodotte dalla globalizzazione economica? La figura del nostro tempo è quella degli invisibili: coloro i quali nessun compromesso del nuovo millennio ha donato uno status di diritti, una rappresentanza, una legittimazione, una voce.
Il vertice dei G8 sarà l’occasione per dare voce e volto agli invisibili.
Per connotare l’incontro G8 come un G8 dei diritti di cittadinanza negati, quelli dei precari in tutto: nel reddito, nella casa e nell’accesso ai servizi. Non è il caso di stilare l’elenco della spesa.Forse è il caso di andare oltre, ossia dar voce a quella figura che fra quelle comprese in questa descrizione, assume in sé maggiormente di altre il peso drammatico della ridefinizione dell’assetto geoeconomico e politico: il migrante. I migranti sono l’emblema di tutto ciò, l’emblema dell’esclusione sociale, discriminati e stigmatizzati e pure figure straordinariamente e concretamente simboliche: si apre ogni barriera alla circolazione del denaro, se ne ergono di nuove, trasversali ai confini nazionali, barriere che significano esclusione dallo status di cittadino. Emblemi e cifra reale della deregolamentazione, della flessibilità che hanno ridisegnato la nostra società.
Ai migranti crediamo si debba dar voce da qui a luglio a Genova. L’occasione in cui i migranti, gli esclusi egli invisibili tutti dovranno uscire allo scoperto. Tra l’altro ciò assume una valenza simbolica e contingente del tutto casuale in più: la zona rossa, la vetrina del G8 a Genova, coincide perfettamente con la zona di città dove risiede la maggior parte dei migranti che vive e lavora a Genova. Una grande manifestazione ed uno sciopero di cittadinanza le tappe culminanti di tale mobilitazione.
Una mobilitazione che dal G8 in poi dovrà trovare lo spunto per proseguire, assumere l’Europa come terreno geografico e politico di scontro e affermazione. Un’Europa divisa su molto, quasi su tutto: politica monetaria e militare – assetto istituzionale dell’unione – politica agroalimentare – scelte bioetiche, assai meno coesa di quanto si voglia far credere, ma unita - dalla Gran Bretagna all’Italia, alla Germania, dalle forze dell’Ulivo mondiale o della sinistra socialdemocratica alla destra moderata e radicale – proprio dai migranti, ovunque scacciati, ovunque sfruttati o reclusi. Ed allora… che siano i migranti, assieme agli altri invisibili, alle varie forme della precarietà, a pensare e proporre assieme ovunque – dalle piazze ai luoghi tradizionali del lavoro operaio – una nuova Europa, una globalizzazione dei diritti di cittadinanza, un nuovo mondo.
Ogni epoca, ogni fase nuova della lotte determinate dalle contraddizioni presenti nei rapporti sociali di produzione, ha sempre visto nuovi soggetti sociali che hanno rinnovato e reinventato gli strumenti tradizionali del conflitto o ne hanno creato di nuovi.
Nel dicembre del 1900, in seguito allo scioglimento della Camera del Lavoro disposto dal Prefetto, venne indetto a Genova il primo sciopero generale. Nel giugno del 1960, sempre a Genova, la risposta di piazza ha bloccato il tentativo da parte dell’Msi di tenere il suo convegno. Le diverse forme di conflittualità si protrassero sino al 1980, quando lo sciopero dei 35 giorni alla Fiat determinò una cesura epocale nella storia sindacale e del movimento.
La forma dello sciopero viene continuamente reinventata ogni giorno per i motivi più disparati. Come a livello planetario esistono delle campagne di boicottaggio (per es.: Nestlé) che per certi versi prefigurano la dimensione dello sciopero di solidarietà, analogamente sotto la spinta dei fenomeni connessi alla globalizzazione dell’economia e alla frantumazione del lavoro e delle identità, viene a determinarsi l’esigenza di trovare degli strumenti adeguati di lotta, che sappiano interpretare a livello sociale lo spirito di critica puntuale emerso dal ciclo di contestazione e mobilitazione innescato, o comunque reso visibile, dalla cosiddetta “battaglia di Seattle” nel novembre 1999.
Tra varie ipotesi interpretazioni e possibilità crediamo che uno sciopero ancora una volta possa assumere su di se la valenza simbolica della caratterizzazione di una nuova fase di nuovi bisogni legati alla volontà di protagonismo di nuove soggettività. Uno sciopero di cittadinanza per i diritti negati.
Uno sciopero generale politico e di massa che non è solo quello, è una assunzione di orgoglio e dignità di chi oggi è meccanismo centrale della macchina di accumulazione capitalista ma rotella invisibile sul piano della rappresentanza, spettro ignorato nella redistribuzione dei diritti, dei redditi, della qualità della vita.
Lavoratori precari, socialmente utili, a tempo determinato, immigrati, disoccupati e soci lavoratori di una cooperativa e via proseguendo nell'infinita voragine che ha inghiottito il lavoro triturandolo e con esso l'acquisizione dei diritti di cittadinanza ad esso storicamente correlati.
Proviamo ad immaginare uno sciopero di cittadinanza in occasione del vertice del G8 che si terrà a Genova nel luglio del 2001, ad esempio il primo giorno, venerdì 20 luglio.
Una campagna di mesi dovrebbe portare a rifiutare di fare volontariato per il g8 con lo slogan 'io aderisco allo sciopero di cittadinanza!'; tramite le associazioni dei migranti fare in modo che gli ambulanti non vadano sulle spiagge, le colf dagli anziani e, perché no? le prostitute sulle strade. Organizzare incontri con i sindacati (o con pezzi di essi) sia confederali che extraconfederali perché questo concetto circoli, venga assunto e comunque interpretato da ognuno secondo le sue sensibilità e diversità, ma con una presenza in piazza.
Creiamo un immaginario collettivo forte su questo evento e contro la desertificazione in cui si vuole costringere la protesta rispondiamo con la paralisi della città, obblighiamo tutte le reti a confrontarsi ed a dibattere su questo.
Il convegno dei G8 a Genova sarà la prossima grande opportunità per esprimere la necessità di giustizia globale.
Sollecitiamo quindi l’azione diretta e il confronto su queste tematiche fra tutti coloro che ritengono valori fondamentali la pace, la giustizia e la dignità fra gli uomini, la conservazione e la rinascita dell’ecosistema, ribadendo che la globalizzazione, gestita dalle multinazionali, proseguirà in maniera sempre più inumana quanto più dal basso ci sarà indifferenza verso il problema.
La nostra opposizione ai G8 è radicale: non riconosciamo ai leaders delle otto potenze industrializzate la legittimità di stringere accordi che hanno conseguenze su tutta l’umanità; infatti, sebbene il G8 non abbia potere decisionale ed esecutivo, ma consultivo, gli accordi di principio che lì vengono presi diventano presto effettivi, attraverso organizzazioni sopranazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, che sono tutte parti integranti dello stesso meccanismo.
Tutto questo esclude qualsiasi forma di dialogo con gli otto giganti, poiché non intendiamo dare loro la possibilità di darsi un’immagine di organismo aperto e pacifico, nonché democratico, quando questa propagandata democraticità si riassume negli schieramenti di forze dell’ordine messi a presidiare i luoghi dell’incontro, nel proibire qualsiasi manifestazione anche se pacifica, nell’impedire ad una grossa parte di cittadini la libera circolazione per l’intera durata del summit, nel mettere tiratori scelti sui tetti circondanti la “zona rossa”.
La nostra radicalità si traduce in una forte diffidenza nei confronti di quei partiti e di quei settori istituzionali che, di fatto, legittimano l’operato di organismi quali il G8.
Il nostro scopo è rinforzare le forze antagoniste a questo summit e organizzare una forte e ampia mobilitazione in grado di poterlo BLOCCARE.
Dall’Italia al resto del mondo in molti vogliono portare a Genova quell’ondata che già si è alzata nel maggio 2000, travolgendo Tebio (la fiera delle biotecnologie), ma che si è fatta sentire a Milano, a Bologna, ad Ancona, e poi ancora a Praga, a Madrid, a Ventimiglia, a Helsinki, a Roma: quella disobbedienza civile che ha visto migliaia di persone pronte a mettere in gioco i propri corpi contro le illegittime ed inumane strutture detentive per migranti, contro le assisi internazionali tanto potenti quanto senza controllo dal basso, contro i ripetersi delle guerre ed il riaffacciarsi dei fascismi.
Non obbediremo alle dinamiche coercitive che il capitale globale ha a sua disposizione, non riconoscendo il senso di legalità che vuole portare avanti.
Non obbediremo al divieto posto dalle autorità che, per bocca del ministro plenipotenziario per il G8, hanno assicurato che già dalla settimana precedente al vertice nessuna manifestazione sarà permessa.
Non obbediremo al divieto di oltrepassare il confine di quella che è stata definita “zona rossa”, un’area comprendente gran parte del centro storico cittadino e nelle intenzioni delle autorità riservato al passaggio dei delegati, protetti dal vigile occhio delle telecamere e dai mirini dei cecchini.
Metteremo in gioco i nostri corpi per esercitare il diritto a manifestare il nostro dissenso dalle scriteriate politiche economiche delle otto potenze mondiali; lo faremo in maniera pacifica e risoluta.
La DISOBBEDIENZA CIVILE non è solo una metodologia di lotta, ma anche strumento politico; infatti si prende parte ad azioni di disobbedienza civile solo se si è consapevoli delle motivazioni per cui ci si schiera disarmati ed a mani alzate davanti a militari addestrati e professionisti.
Il resistere dietro ad uno scudo di plexiglass o ad un gommone ricavato dalle camere d’aria dei camion implica un forte coinvolgimento emotivo, ma dotato di una razionale consapevolezza che permette di sconfiggere la reazione più naturale: la paura.
L’interesse e la spinta personale, il continuo discutere fra i gruppi, la consapevolezza che quello che si sta facendo è una cosa giusta e necessaria, fanno aumentare in coloro che prendono parte all’azione di massa la determinazione e la sicurezza nei proprio mezzi.
Sebbene il confronto con gli eserciti professionisti sia fin dall’inizio impari e la sfida ricordi quella biblica fra Golia e Davide, la forte motivazione che non prezzolata, permette ai soggetti disobbedienti di resistere alle peggiori cariche degli sgherri di stato.
Inoltre l’analisi ideologica che prepara “l’assalto all’impero” non fa altro che portare alla conclusione che quello che si sta facendo è più che giusto; poiché noi portiamo avanti le istanze dal basso, da quella base che resta sempre inascoltata dalle istituzioni statali e dalle corporazioni multinazionali.
Noi lottiamo per tutti coloro che sono sfruttati ed oppressi da questo scellerato sistema economico. Non lottiamo per gli interessi di pochi, ma per i diritti e la dignità di tutti. Nessuno tra noi è il capo con il suo seguito, tutti siamo capi, tutti siamo seguito. Noi intendiamo restituire nuovamente senso all’agire politico, dopo l’empasse di questo ventennio, sicuri del fatto di combattere tanto per i nostri diritti tanto per quelli dei senza volto, dei senza nome, degli esclusi di tutto il mondo.
La disobbedienza civile deve riuscire a trasformare l’illegalità in legalità, facendo perdere consenso al nemico e aumentare il senso del proprio agire. Se la “legalità” viene difesa da polizia ed eserciti, noi attraverso l’azione diretta intendiamo sconfigger la “violenza legale” evidenziando quelle contraddizioni insite nel sistema dominante, che vuole attivisti e contestatori offensivi e violenti. Palese è la menzogna quando si assiste al contatto fra invisibile e polizia: chi usa manganelli, lacrimogeni ad altezza d’uomo, autoblindo come arieti, sono i tutori dell’ordine. Gli attivisti si riparano dietro quei pochi mezzi di autodifesa che il “do it your self” ha inventato: scudi, gommoni e gommapiuma, per ridurre il più possibile i danni fisici causabili dalla violenza istituzionalizzata.
La metodologia di piazza della disobbedienza civile caratterizzandosi come non violenta permette di contaminare e portare sui propri percorsi tutti quegli attivisti che non si riconoscono, sia nei contenuti che nelle metodologie, nelle tradizionali forme di lotta.Ben coscienti che la rivoluzione non può essere fatta da pochi ed in breve tempo, preferiamo unire quei tasselli che si riconoscono nei nostri percorsi ponendoci sempre in un’ottica di ascolto per amalgamare ed unire il più alto numero di realtà. “Camminare domandando” è il nostro motto, mutuato dallo zapatismo.
Il cammino che abbiamo intrapreso non è certo facile soprattutto pensando a quello che è il nostro attuale obiettivo: bloccare il summit del G8. Abbiamo deciso di fermare la ruota, di non essere più ingranaggi bensì bastoni nel motore malato della finanza occidentale. Per questo metteremo in gioco i nostri corpi e non ci fermeremo davanti alle postazioni di chi strumento nelle mani dei potenti. La disobbedienza civile assumerà varie forme: non sarà soltanto “prenderle senza farsi male”, sarà soprattutto tentare di raggiungere l’obiettivo con gli strumenti che di volta involta si renderanno necessari; la sfida è quella di riuscire a produrre effetti concreti senza dare l’idea né di “scena” né di azione isolata e assolutamente senza prospettive.
Il summit dei G8 non sarà soltanto un’occasione per levare in alto le nostre voci di protesta, sarà anche un’esplosione di libertà, di festeggiamenti, musica, danze e divertimento. Quando gli otto grandi si incontreranno per discutere il futuro economico e politico di tutta l’umanità fronteggeranno una derisione globale. Migliaia di persone da tutto il mondo occuperanno le strade di Genova ridendo del potere che essi rappresentano e della polizia pronta ad usare le maniere forti. Uno spontaneo, e quindi rivoluzionario, carnevale sarà la voce della nostra resistenza. Un carnevale di disobbedienza pronto a portare la propria festa nel cuore della zona rossa.
E’ necessario portare con se reti sociali che non si dissocino da ciò che si fa, ma che approvino, sostengano, rivendichino, difendano,in maniera sicura e non vacillante le azioni di disobbedienza civile e che non siano spazzate via alla prima difficoltà. L’importante sarebbe lasciare uno spazio a chi vuole combattere il G8 su posizioni e con metodi di lotta differenti, riuscendo a coordinare il tutto tramite un network. Interessanti sono state le mobilitazioni di Bologna, dove si è costituita una rete fra le differenti realtà tutte concordi nel rivendicare qualsiasi forma di contestazione all’OCSE e quella di Praga, che, partita unitariamente, si è poi divisa in tre blocchi di affinità; modelli che si sono dimostrati validi e potenzialmente riproponibili a Genova. E’ soprattutto l’organizzazione della piazza per la contestazione al FMI che ci ha conquistato, in quanto ha evitato il coinvolgimento di soggetti con una propria identità e sensibilità in metodologie di lotta distanti dal proprio sentire, dando a ciascuno l’opportunità di esprimere la propria protesta nel modo soggettivamente più congeniale.
Noi ci identifichiamo in quello che a Praga è stato il blocco giallo, lo spezzone “disobbediente” impegnato per ore nei tentativi di raggiungere “il palazzo”, che forse non ha saputo, ma più precisamente non ha potuto, arrivare al proprio obbiettivo, ma che di certo con la propria determinazione ed il proprio coraggio è riuscita a coinvolgere nella disobbedienza civile attivisti da ogni parte d’Europa.
Il blocco giallo non promuoverà alcun tipo di violenza contro persone, animali, cose, ma anzitutto sosterrà il diritto dei cittadini a dimostrare. Ci opponiamo fermamente a qualsiasi misura da parte delle autorità che vieti alla gente di esercitare questo diritto.
Un possibile scenario vede il giorno precedente all’inizio del vertice, 19 Luglio, una mobilitazione europea ed internazionale di migranti per rivendicare i diritti di cittadinanza universali. Il 20 Luglio avrà inizio il carnevale di disobbedienza e saranno attuate le iniziative di blocco del vertice, che si prolungheranno fino al termine dello stesso.