29 LUGLIO

LA GLOBALIZZAZIONE IN PIAZZA.
A Genova, sabato 21 Luglio, ho visto con i miei occhi migliaia di persone (forse 300.000 si dirà poi) sfilare per chilometri e ore sotto la canicola estiva di città, formando un corteo del tutto pacifico che fra canti, slogan e giochi in maschera testimoniava in maniera oggettivamente non violenta un dissenso radicale alla globalizzazione neo-liberista. Non era affatto scontato che tanta gente riuscisse a trovare il coraggio di rivendicare il diritto a manifestare il proprio pensiero, dato il clima di tensione che era stato appositamente predisposto nelle giornate precedenti. Alla stazione di Brindisi, venerdì sera, prima di partire, c’è stato chi non se l’è sentita di salire sul treno ed io stesso non dimenticherò mai la paura tagliente che per tutto il viaggio non mi ha dato tregua, al ricordo delle immagini dei disordini che la televisione già andava mostrando e al pensiero della fine orribile del giovane manifestante ammazzato.
A Genova ho visto un serpentone variegato nei colori e nelle culture, forse più consapevole, quindi più orgoglioso anche rispetto al recente passato, della ricchezza che questa pluralità di sensibilità ed espressioni rappresenta al fine di raggiungere, servendosi di strumenti esclusivamente non violenti, l’obiettivo unitario preposto: il conseguimento di un mondo più giusto ed equo.
Ho visto, pure, un manipolo di qualche decina di vandali, i cosiddetti "black block", compiere la loro opera dissennata di distruzione. Lo facevano però, sostanzialmente indisturbati dalla polizia e completamente al di fuori (culturalmente e fisicamente) dal corteo pacifico dei 300.000 del Genoa Social Forum. Un delirio di devastazione fine a se stessa da ripudiare moralmente prima ancora di contestarne una qualche efficacia, utile solo a fornire facili strumenti a chi persegue la strategia mediatica di delegittimare tutto il movimento.
Non ho visto invece arrivare, quando ero a centinaia di metri dal punto in cui i "neri" mettevano a fuoco negozi, automobili e cassonetti, la carica insensata e immotivata che le forze dell’ordine hanno voluto condurre sul corteo pacifico attaccando di sorpresa, anche dalle stradine laterali, proprio nel punto dove mi trovavo con gli amici di Mesagne. E’ stata un’azione di una violenza cieca e brutale, fatta di insulti, sputi in faccia, manganellate in testa e lanci di lacrimogeni ad altezza d’uomo.
Lì abbiamo rischiato di essere, e per pochi interminabili, drammatici secondi lo siamo davvero stati, schiacciati e soffocati dalla folla che spingeva nel panico per trovare un varco che non poteva crearsi nell’intasamento del lungo mare, mentre i lacrimogeni, lanciati a decine dalle camionette della polizia che irrompevano nel corteo e dall’elicottero che a bassa quota volteggiava sulle nostre teste, precipitavano tra la folla terrorizzata ferendo gravemente chiunque ne venisse colpito.
Lì hai la percezione di essere ad un passo dalla fine. Quando sopraffatto dalla ressa non scorgi vie di fuga, quando il fumo denso e amaro dei lacrimogeni ti impedisce di respirare e tenere gli occhi aperti provocandoti bruciore ovunque e continui conati di vomito, se non ti arrendi lasciandoti vincere dalla disperazione allora ti lasci condurre dall’istinto di sopravvivenza, proprio quello che in quei frangenti terribili mi ha preso per i capelli, mi ha strappato dalla morte e mi ha portato fuori dalla mischia.
Altri, tanti, sono stati meno fortunati: le immagini dei feriti con la testa spaccata e ricoperti di sangue, il fatto che mentre scrivo vi siano ancora decine di dispersi, le angoscianti testimonianze delle violenze fisiche e psicologiche subite in carcere da chi è stato arrestato senza ragione (come confermano le immediate scarcerazioni di quasi tutti i fermati) interrogano le coscienze di ognuno.
Ai pochissimi interessati alla mia testimonianza, magari confusi da una informazione televisiva mai così mistificatoria, dico che a Genova era lampante come i "black block" non siano un gruppo violento ma minoritario del movimento antiglobalizzazione: semplicemente non ne fanno parte. Questi vandali mascherati di nero, che qualcuno chiama anarchici e che sono stati sorpresi più volte (da sguardi, videocamere e macchine fotografiche) a confabulare confidenzialmente con la stessa polizia, avevano come intralcio alla loro furia devastatrice solo lacrimogeni lanciati a distanza mentre il corteo pacifico è stato caricato, e caricato duramente, ben lontano dal luogo in cui avvenivano le loro scorribande. Una versione questa che certo può turbare ma che viene corroborata da foto e video oltre che dalle testimonianze dirette delle migliaia di manifestanti ed autorevoli giornalisti malcapitati nel bel mezzo dell’aggressione.
Oggi so, per averlo sperimentato, cosa vuol dire aver paura di morire. Meglio, di essere uccisi. Oggi conosco di che sa l’umiliazione che si prova ad essere sopraffatti da una violenza selvaggia ed arrogante, un’aggressione gratuita e spietata, senza alcuna giustificazione né motivo se non quello di ferire a morte tutto il movimento di protesta all’ordine costituito.
Nulla di nuovo dunque. Il processo di globalizzazione neo-liberista che si realizza mediante l’oppressione e lo sfruttamento dei deboli, che produce ingiustizie, prevaricazioni e divaricazioni sociali, in piazza non può operare se non attraverso la repressione brutale del dissenso. Eppure, a pochissime ore dai fatti che hanno segnato le coscienze di molti e forse la storia contemporanea di questo paese, il dissenso antiliberista ha già dimostrato l’inefficacia di tale reazione rispondendo con imponenti manifestazioni nelle piazze di tutta Italia.
Nessuna sorpresa allora. Solo, oggi capisco meglio che intendeva Umberto Eco durante la scorsa campagna elettorale quando paventava l’instaurazione di un regime di fatto.
Mi vengono in mente alcuni versi di De Gregori. Dicono del perché Genova dovrà essere ricordata: "la storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi, questo prato di aghi sotto il cielo, la storia siamo noi attenzione, nessuno si senta escluso. La storia siamo noi."
Graziano Santoro, Mesagne (BN)

Da un reduce del ’68 e di Genova
Ho cinquant’anni e ne ho impiegati quasi venti a cercare di convincermi che quando vedevo un poliziotto o un carabiniere questo fosse al servizio del cittadino, per proteggerlo e aiutarlo. Dopo i fatti di Genova ho aggiunto alla mia istintiva diffidenza anche la Guardia di Finanza, visto il particolare accanimento con cui i suoi uomini si sono scatenati sabato 21 luglio su gente inerme che stava manifestando. Avevo deciso di andare a Genova perché ritengo giuste le idee e le rivendicazioni portate avanti dal movimento e anche per cercare di capire cosa ci fosse di nuovo al suo interno. Dopo la morte di Carlo Giuliani ho avuto un motivo ancora più importante per partecipare.
La prima cosa che mi ha colpito sabato è stata trovare molte persone che hanno avuto l’estremo coraggio e dignità di venire da sole, senza avere nessun altro riferimento che la semplice struttura che aveva organizzato i pulman. Questo significa che il movimento ha molte anime e che, aldilà della politica ci sono il libero pensiero e la capacità del singolo di capire e osservare i fatti, indipendentemente da un’ideologia. Proprio per comprendere cosa sia successo a Genova e cosa succederà poi, credo sia necessario che le cose vadano guardate in faccia e chiamate con il loro nome senza più scomodare politici e mezzibusti televisivi affaccendati a seguire la moda del politically correct. Perché di corretto a Genova c’è stato ben poco. Innanzitutto le forze dell’ordine, ho dovuto amaramente constatare un vecchio fatto: lo sbirro è sbirro e, come un po’ brutalmente si diceva, è anche servo dei padroni. Non voglio insultare nessuno né rispolverare passati slogan (anche se tutto quello che ho visto, sia personalmente sia in televisione, parecchia rabbia addosso me l’ha messa), ma semplicemente spiegare alcune cose. La prima è che per il governo bisognava difendere a ogni costo il G8, non solo fisicamente ma soprattutto mediaticamente e quindi, dopo il grande successo pacifico del corteo dei migranti, si rischiava che la piazza si contrapponesse con sempre maggiore imponenza nei giorni successivi. La seconda, strettamente collegata alla prima, è che bisognava mettere addosso alla gente una gran paura e farle passare la voglia di portare avanti ogni forma di dissenso.
E’ qui che le forze dell’ordine vengono ad avere un ruolo strategico come strumento repressivo. Dopo anni di frustrazioni e di violenti scontri agli stadi sono stati lasciati liberi di scatenarsi con la promessa di una totale copertura. A testimoniarlo è uno dei pochi poliziotti che ha avuto il coraggio di raccontare di colleghi che gioivano per le teste che avevano potuto spaccare e del fatto che "finalmente ci fosse un governo che ci dà libertà di agire". Molti tra i fermati testimoniano che tra quelli che li hanno picchiati c’erano dei veri e propri fascisti (come definire altrimenti chi sulla segreteria del proprio telefonino ha registrato "faccetta nera" o inneggiava a Pinochet e all’odio razziale verso negri ed ebrei?). Inoltre avete mai provato a stare sotto il sole per ore con un casco in testa e per giunta con una maschera antigas sulla faccia? Se qualche giudice, sportivo e non, si prendesse la briga di fare l’antidoping a questi signori troverebbe più sostanze dopanti e anfetamine che in certi idoli del ciclismo nostrano. Quando poi sostengo che sono "servi dei padroni" intendo dire che sono al servizio di un padrone e non dello stato democratico di cui fanno parte. Questo vale soprattutto per i loro superiori, i quali hanno storicamente imparato che i governi cambiano ma che gli sbirri restano. Solo che per i più ambiziosi di loro il problema è mantenere le poltrone conquistate. De Gennaro ne è un buon esempio, dopo aver solertemente servito il governo precedente (vedi i pestaggi di Napoli), ha pensato bene di ingraziarsi quello nuovo e gli ha regalato il blitz alla scuola Diaz. Poi con una bella faccia tosta si è fatto intervistare da Mentana per rassicurare tutti sul fatto che i suoi uomini sono stati attaccati e che non hanno potuto fare altro che difendersi. Peccato che per i 93 massacrati alla scuola Diaz la procura di Genova abbia già disposto la scarcerazione, quindi i tanto temuti black bloc non c’erano. Già i cattivi, i famigerati black bloc, spauracchio e alibi un po’ per tutti. Loro non mi interessano, sono lupi solitari, troppo facilmente clonabili da chi ha interesse a fomentare disordini e a giustificare cariche e pestaggi di gente inerme Di chi invece bisogna parlare sono le diverse centinaia di giovani che, con o senza i black bloc, gli scontri in piazza li hanno fatti o subiti, tentando di scaricare tutta la rabbia che da tempo si portano dentro.
Quelli come Carlo Giuliani a cui questa società ha negato un futuro e a cui il presente non aveva concesso nulla. Tutti, politici in testa, dovrebbero occuparsi di loro e non considerarli degli "inconvenienti" umiliandone la memoria con falsi cordogli. Anche se nel modo sbagliato loro esprimono l’emarginazione e le forti contraddizioni che questa realtà globalizzata produce ovunque. Mai come questa volta ho visto padri doversi preoccupare per i propri figli, un sindacalista ha pianto il corpo martoriato del figlio, un giornalista ha scritto del volto sfregiato del suo e quale versione dei fatti, come padre, darà il capo della polizia De Gennaro al proprio figlio che, in quell’inferno creato dai suoi uomini, c’era perché stava facendo delle riprese per una televisione privata e avrà avuto modo di vedere direttamente quello che è successo? Non si può risolvere tutto dicendo che sono solo dei violenti e che quindi vanno condannati e possibilmente eliminati come ha provato a fare questo governo di destra. Attenzione, se nessuno si occupa di loro e si pensa solo a reprimere e aumentare il livello dello scontro, qualche cattivo maestro pronto a intervenire ci sarà di sicuro. Dove pensate che reclutassero i loro fiancheggiatori le BR? E cosa pensate che stesse facendo a Genova il misterioso personaggio arrestato qualche giorno prima del vertice? Tutti hanno la memoria corta o fanno finta di nulla o peggio sanno bene dove vogliono andare a parare. Durante gli anni di piombo Berlusconi era troppo impegnato a giocare con le scatole cinesi delle sue società off shore, Fini a non farsi azzoppare e Bossi a prendere il diploma per corrispondenza.
E’ molto pericoloso mettere le sorti di una nazione in mano a gente che vuole mostrare i muscoli ma che non si rende conto a quale gioco stia giocando. Purtroppo di nuovo c’è solo un grande movimento fatto di gente orgogliosa delle proprie idee ma che non sa ancora bene cosa fare e dove andare, tutto il resto è vecchio. Vecchio e pericoloso questo ottuso rigurgito fascista, vecchia e incapace l’opposizione istituzionale. Hanno discusso per giorni sui problemi del mondo, facendo finta di volerli risolvere, ma non si accorgono che lentamente l’esercito dei derelitti, dei dannati della terra si è messo in marcia e prima o poi verrà a presentare il suo conto.
Saluti comunisti
Carlo Straccia

Dal Forum delle donne di Rifondazione comunista del Lodigiano

Accolgo l'invito del Paese delle Donne e scrivo di me a Genova, non solo per raccontare il trauma che tutte e tutti abbiamo vissuto, ma piuttosto e in via prioritaria per dire dei nuovi contenuti che mi sono stati proposti e di quanto l'ascolto di essi mi abbia dato.
Sono stata a Genova due volte nella settimana dal 16 al 21 luglio, il 17 ed il 21. Il 17 sono partita da Casalpusterlengo, dove abito,per raggiungere le compagne di Milano, Lidia Cirillo, Rosa Calderazzi, Carmen . Poi è arrivata Cecè, insieme ad un'altra compagna che parlava in inglese, grande, rotonda, bionda e riccia, ricordava nelle sue forme le statuette della Dea del Neolitico che ho visto in Puglia, in Calabria ed a Creta. Mi hanno detto che è americana, del Quebec.- E' Starhawck? -ho chiesto, sì era lei. Mi ero decisa a partire e tornare in giornata proprio per sentire lei che conoscevo per i suoi interventi su Marea, da Seattle in poi; mi aveva affascinata per il suo modo di raccontare il movimento, per la straordinaria capacità di fare appello a tutte le energie più segrete e nascoste delle donne, per il suo riferimento ad un sapere femminile antico, per l'esperienza dell'organizzazione in piccoli gruppi, in collegamento tra loro per proteggere meglio le donne e gli uomini che manifestavano pacificamente dagli attacchi della polizia.
Avevo anche provato a proporre questo modello di difesa dagli attacchi delle forze del "disordine", alla Rete Lodigiana contro il G8 alla quale partecipo insieme ad altre donne della Marcia Mondiale delle donne del Lodigiano, senza ottenere una seria discussione sulla questione, quando ci si perdeva sulla questione della violenza all'interno del movimento e non si prendeva in considerazione la possibilità della violenza esercitata sul movimento da parte delle forze della repressione. L'ammirazione per lei, Starhawck, mi ha portata istintivamente ad abbracciarla e baciarla, a chiederle dei suoi libri, in italiano e in inglese, ci ha portate tutte, quelle che si trovavano sul treno, ad ascoltarla come donna autorevole e combattente di prestigio che ha subito arresti e repressione per aver manifestato pacificamente contro i potenti della terra. Alla conferenza stampa, poco dopo l'arrivo a Genova, la forza della sua persona ha permeato il Social Forum di contenuti e simboli femminili potenti, l'intensità delle parole e del gesto invitavano alla rivolta tutte le donne presenti, ma anche gli uomini ne erano catturati.
Abbiamo fatto la "Danza della spirale", la spirale simbolo dell'acqua nell'antica religione della Dea, simbolo della vita, del serpente che viene dalla terra e della sua saggezza primordiale, avrebbe dovuto respingere tutte le energie negative e, di contro, esaltare ed intensificare le nostre energie positive: "Sì se puede", abbiamo cantato, cercando come lei ci indicava, di visualizzare il mondo come lo avremmo voluto. La visione che mi si presentava agli occhi della mente è stata un gruppo di bambini che ridono, non riuscivo a vedere altro. Ogni nostro desiderio, secondo questa concezione del mondo, può essere rappresentato con simboli potenti, da noi scelti, utilizzabili in un rito, nel quale la forza di ciò in cui crediamo può permettere la sua realizzazione. La forza collettiva del rito del manifestare contro coloro che non si preoccupano di affamare il mondo, di ridurlo in macerie di guerra e di devastazione ambientale, avrebbe dovuto dare corpo ad una energia positiva così potente da impedire il successo del G8. Starhawck parlava dell'importanza dell'essere unite ed uniti, della necessità di non dividere il movimento se volevamo che vincesse, dell'importanza delle relazioni politiche per tenere insieme esperienze diverse, non contrapposte, per impedire che diversità di vedute o beghe di potere impediscano il costituirsi ed il concentrarsi della forza verso l'obiettivo comune prioritario. E parlava del rito dei potenti della terra che, in faccia alla distruzione di intere popolazioni e di intere aree geografiche, mettono periodicamente in scena il loro strapotere, con l'aggiunta, a Genova, dell'ipocrisia dell'elemosina e del buonismo cattolicheggiante.
Se il rito dei potenti è fallito, e non per la forza dei nostri riti di protesta ma per l'inconciliabilità degli interessi in campo, i nostri riti si sono spezzati contro la terribilità dell'intervento della repressione, tanto più grande quanto più grandi erano l'entità delle proteste ed il numero di pacifici/pacifiche manifestanti. Già all'appuntamento di via Pisa, che ci eravamo date come Marcia Mondiale delle Donne per la manifestazione del 21, la presenza dei celerini aveva scompaginato i nostri programmi e ci aveva costretto a spostarci prima dell'ora stabilita dato che si preparavano alle nostre spalle in assetto di guerra. Abbiamo recuperato pezzi di noi cercando di sbandierare le sagome delle donne con le nostre scritte ed i nostri striscioni ma molte non sono mai riuscite a raggiungerci. Procedevamo piano, fotografandoci e lasciandoci fotografare, man mano si aggiungevano a noi donne e uomini in cerca di uno spezzone sicuro della manifestazione, infatti giungevano continuamente voci di scontri in atto, prima in coda al corteo poi in testa. Sui lati vedevamo scorrere piccoli gruppi di "manifestanti" vestiti di nero e col volto coperto (non più di tre o quattro alla volta). La televisione messicana ci ha intervistate chiedendoci cosa ne pensavamo come Marcia degli eventi del giorno prima e della morte del giovane Carlo. Dissi che ritenevo le forze dell'ordine e lo Stato italiano responsabili di quella morte, che contro un movimento pacifico erano state create le condizioni per un'esplosione di tensione e di violenza che non potevano che condurre morte e distruzione. Avevo già ipotizzato la presenza di reparti speciali di guastatori di professione, non lo dissi perch
non ne avevo ancora nessuna prova. Ci eravamo fatte una specie di cordone per impedire che entrassero nel nostro spezzone. Che ingenuità! I reparti speciali erano pronti da tempo e non avevano bisogno di manifestanti "violenti" come scusa per intervenire.
All'incrocio di viale Italia con via Zara il fumo nero all'altezza di piazza Kennedy mi fece venire l'angoscia che i compagni del Lodigiano con i quali ero arrivata fossero in mezzo agli scontri. Eravamo ferme, non riuscivo a telefonare al mio compagno, un elicottero stazionava minaccioso sulle nostre teste impedendoci di ascoltarci senza alzare la voce. Forse sarebbe stato il momento giusto per il rito di Starhawck, percepivo il pericolo ma non sapevo come gestire le mie sensazioni. La compagna Valeria Belli di Roma si offrì di accompagnarmi per vedere cosa stava succedendo più avanti. Andammo e non trovammo i compagni nè le compagne che, dopo i fatti del giorno prima, avevano preferito restare con loro anzicchè venire dietro lo striscione della Marcia. Adesso le comprendevo, mentre sentivo crescere in me l'angoscia per il mio compagno e per le altre e gli altri. Non arrivammo a piazza Kennedy, ci fecero deviare prima con lancio di lacrimogeni. Io e Valeria siamo riuscite a correre con il primo troncone della manifestazione, sempre alla ricerca degli altri lodigiani che avevamo superato senza accorgercene proprio correndo nella curva, come ho capito dopo.
Da quel momento si avanzava abbastanza tranquillamente, nonostante ogni tanto arrivassero lacrimogeni dalle strade laterali. Commovente il popolo di Genova che ci accoglieva, ci accudiva con acqua, biscotti e panini, ci salutava e ci sono stati momenti in cui mi sono sentita il cuore pieno di gioia. Dopo che abbiamo superato il sottopassaggio del ponte ci hanno detto che ci avevano imbottigliati e che era impossibile tornare indietro, non avremmo più potuto ritornare alle nostre compagne.
Cominciai ad inviare messaggi SMS al mio compagno per vedere cosa fare per raggiungerlo, erano salvi, si dirigevano ai pullman. Intanto Valeria telefonava al suo compagno che era nello spezzone dietro la marcia e seppe che tutta quella parte del corteo era stata caricata atrocemente a freddo. Correndo lungo tutta la manifestazione ne ho visto la potenza e capisco la sua pericolosità per coloro che voleva contrastare proprio perchè pacifica e diversificata. Per questo è stata scompaginata con mezzi di tipo militare e con il tentativo di screditarne i contenuti, oscurandoli attraverso la violenza gratuita, organizzata ad arte e spettacolarizzata egregiamente dai media.
Valeria Savoca

La mia esperienza è poca cosa

Dopo aver visto e letto quello che è accaduto ad altri a Genova e nelle caserme, in fondo la mia esperienza è poca cosa, posso dire che in fondo mi e' andata bene, ma vorrei comunque raccontarla.
Siamo partiti venerdi' notte, io e un gruppetto di amici e colleghi, con il treno speciale di Rifondazione, dopo che una società di trasporti di Roma ha disdetto il pulman della Lilliput con cui avremmo dovuto viaggiare... (troppo pericoloso accompagnarci, anche fuori dalla citta': il pulman costa 130 milioni!!)
Con ancora negli occhi le tragiche immagini di Carlo Giuliani ucciso dallo Stato Italiano - il nostro stesso datore di lavoro - siamo andati a Genova intimoriti dalle notizie che arrivavano ma convinti che restare a casa non sarebbe stato giusto: dovevamo essere in tantissimi a sfilare per le vie della citta', per dare un segnale forte, contro il chiaro tentativo di criminalizzare il movimento anti G8, facendolo passare per un gruppetto di scalmanati devastatori (il segnale che cercavano di dare i Ds annullando la loro partecipazione ufficiale al corteo qual'era, forse nella confusione mi e' sfuggito...) All'arrivo il cuore ti si riempiva di emozione nel vedere che nonostante tutto le persone erano scese in piazza...tante, tantissime. La parte sana del paese c'era tutta, a prescindere dalle adesioni ufficiali!
Anche i cittadini di Genova sembravano aver capito l'importanza di esserci, e aiutavano il corteo lungo il percorso assolato con getti d'acqua e riempiendo bottiglie... nonostante il tentativo di criminalizzare tutto il movimento e nonostante gli atti di vandalismo subiti, hanno compreso che chi sfilava sotto le loro finestre era venuto in pace, a reclamare giustizia, a chiedere ai potenti e allo stato italiano una globalizzazione dei diritti oltre che economica! ma qui sembra che i diritti vogliano ridurli anche a chi li ha conquistati in passato, figuriamoci quanto i potenti del G8 vogliano concederli a chi non ne ha mai avuti!!
La parte di corteo in cui eravamo e' arrivato pacificamente fino a Corso Italia, sul lungo mare: qualche attimo di tensione c'e' stato solo davanti ad una caserma, sotto cui e' risuonato ovviamente il grido di "assassini" indirizzato alla polizia schierata a distanza in assetto da guerra, ma a parte questo piccolo scontro verbale il corteo ha proseguito tranquillo.
Camminando ho notato pero' che le strade laterali era tutte presidiate da schieramenti imponenti della polizia, e quando il corteo si è fermato a pochi metri da Piazzale Kennedy ci siamo tutti resi conto che eravamo in trappola. Dalla radio iniziavano ad arrivare notizie di scontri sia nella testa che nella coda del corteo, sul mio cellulare arrivavano messaggi da casa del tipo "Ho visto in televisione che vi stanno aspettando a Piazzale Kennedy, cercate di non arrivarci". Ma era troppo tardi per gli avvertimenti: da un lato il mare, dall'altro un muro di 20 metri, avanti e dietro la polizia...cosi' abbiamo aspettato fermi e con le mani alzate insieme ai compagni della federazione romana, quelli di Pisa, quelli di Bologna, i Cobas, i famosi "anarchici", presunti responsabili dei disordini, che in realta' erano fisicamente al nostro fianco con le loro bandiere rosse e nere (beati loro: hanno il dono dell'ubiquita'!!), la Fiom e a tanti altri ancora: gente comune, anziani e giovani donne accaldate...In televisione ho sentito poi dire che il corteo era stato spezzato in due perche' diertro erano rimasti "solo i cattivi", cioe' gli autonomi e gli anarchici: NON E' VERO!
Ricordo persone con la pettorina gialla del GsF che passavano lungo il corteo dicendoci di mantenere la calma, di gridare "Pace" e di tenere le mani alzate, ma poi in due secondi il finimondo: i lacrimogeni sono piovuti dall'alto della collinetta alla nostra destra, lanciati senza nessuna ragione su un corteo di persone inermi, incapaci anche solo di vedere in faccia chi ci sparava a dosso e perche'...
Una nuvola fetida ha ucciso la liberta' di manifestare a Genova: gli occhi pieni di lacrime, le mucose del naso e della gola gonfie ed un senso di sconfitta e di smarrimento: in che paese sono? non e' possibile che stia accadendo davvero, che cosa abbiamo fatto? da qui non abbiamo visto neanche l'ombra degli scontri, perche' i lacrimogeni?
Non dimentichero' mai quell'odore acre e disgustoso e quella rabbia che ti sale dentro quando ti rendi conto che stanno cercando di buttare in pasto alla polizia e ai media addomesticati la liberta' di questo paese... era il mio primo corteo di grandi dimensioni, ma non sara' l'ultimo: non impediranno con il terrore alla gente di esprimere il proprio dissenso.
Tania Cappadozzi

Trecentomila circondati ed aggrediti
Cari amici e compagni,
giunto a Genova Sabato 21 ho partecipato ad un corteo che per molte ore si è snodato pacificamente per le vie della città.
Vi era la consapevolezza di essere tantissimi, tant'è che molte sono state le pause lungo i viali per attendere che la gente defluisse.
I pochi genovesi rimasti in città perlopiù applaudivano al nostro passaggio o ci davano dell'acqua necessaria per sopportare il gran caldo. Prima di immmeterci in corso Italia una chiesa ci aveva salutato suonando le campane ed esponendo striscioni che recitavano in tantissime lingue "cancella il debito". Le notizie che arrivavano da Radio Gap erano che il corteo era lunghissimo, pacifico e festoso. Ad un certo punto, su corso Italia siamo stati bloccati; alla radio parlavano di scontri imprivvisi scoppiati in luogo nel quale il corteo non avrebbe dovuto neanche passare, ed allora tra rabbia e sconcerto ci si chiedeva: 1) da dove erano saltati fuori questi violenti, 2) perché non venivano bloccati e isolati dato che lo schieramento di "forze dell'ordine" era immenso, 3) che significato strategico aveva bloccare un corteo pacifico che marciava in zone dove nulla era accaduto.
Mentre ci si domandava ciò, il mio spezzone di corteo era bloccato davanti ad una caserma di carabinieri, i quali guardavano tranquilli, quello che invece inquietava noi è che accanto a persone in divisa, sulle terrazze della caserma, si vedevano strani figuri in maglietta nera, jeans e bandana... che ci facevano, chi erano?
Dopo quasi mezz'ora il corteo ripartiva, faceva poche centinaia di metri e veniva bloccato nuovamente. Allora mi sono portato su una terrazza laterale e ho potuto osservare che il corteo era stato spezzato e bloccato da un imponente e mai visto schieramento di uomini e mezzi. Tra la nuova testa del corteo, assolutamente pacifica, e le forze di polizia agivano pochi violenti che avrebbero potuto essere bloccati facilmente. E' qui invece che comincia una tattica criminale da parte delle "forze dell'ordine ", che cominciano a sparare una selva di lacrimogeni contro il corteo; allora rientro nel corteo convinto che se avessimo mostrato le nostre intenzioni pacifiche si sarebbero fermati. Rientrato nel corteo io ed altri invitiamo tutti ad alzare le mani, a gridare pace e poco dopo addirittura viene accolta l'idea di un sit in a mani alzate. Le forze dell'ordine vedono tutto ciò in quanto due o tre elicotteri continuano a sorvolare a bassa quota. Nonostante ciò inizia verso le 16 e 20, penso, inizia l'inferno: un attacco efferato a un corteo di trecentomila persone inermi che sfilano in percorso autorizzato. Una cosa mai vista, un'azione degna delle più feroci dittature.
Al primo attacco, decidiamo di arretrare ma dato che l'attacco viene portato anche da dietro, la calca che si crea rischia di far capitare una tragedia stile Heysel. Per fortuna alcune persone riescono a defluire in qualche vietta laterale. Successivamente, squadroni sbucano da vie laterali e forse dalla spiaggia e sparando lacrimogeni ad altezza d'uomo cominciano a picchiare selvaggiamente manifestanti inermi di tutte le età. Lo spezzone di corteo ove mi trovavo viene attaccato da reparti della Guardia di Finanza. Anch'io prendo un paio di bastonante, ma riesco fortunatamente a proteggermi la testa e un limone mi salva da una intossicazione. Pur continuando a gridare pace, con le mani alzate vengo insultato da spaventose voci metalliche :"cane, bastardo comunista, adesso ve la faremo pagare!". Poco distante vedo gente sanguinante, insultata, nuovamente picchiata ed arrestata senza motivo. Vedo questi picchiatori alzare la maschera antigas per sputare sulla gente a terra, vedo altri prendere bandiere dei partiti, dei sindacati, delle associazioni, del volontariato e stracciarle.
Mentre vedo ciò provo un infinita rabbia e vorrei in qualche modo aiutare quella gente umiliata offesa e picchiata, ma capisco anche l'impotenza di non poterlo fare perché controllato a vista da violenti persecutori armati fino ai denti; per la mia compagna e per me decido di obbedire, di arretrare a mani alzate, l'unico gesto che mi concedo è quello di chinarmi per raccogliere una bandiera del mio partito.
Ciò che ho vissuto ed ho cercato di descrivervi e tanto grave perché non è stata l'azione di qualche singolo impazzito, ma un'azione di repressione violenta coordinata che ha visto in campo tre corpi delle forze dell'ordine : Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza; questa azione e le altre sono state volute ai massimi livelli da politici e dirigenti che disprezzano la democrazia e i diritti dell'uomo e che sono i veri colpevoli. La foga con cui hanno agito in quei giorni i picchiatori dellle forze coinvolte ci dice chiaramente che sapevano di potere e dovere fare una repressione che forse nella storia della pur travagliata Repubblica italiana, per sfacciataggine non ha paragoni. Poco dopo l'aggressione ho telefonato ad una radio libera dicendo oggi ho visto iniziare praticamente una nuova era fascista.
Un invito a tutti parlate e vigilare perché sia fatta piena giustizia ...
Ora e sempre RESISTENZA.
Luigi Carosso

Lettera aperta alle forze dell'ordine
Cari robottini,
io non vi odio.
Mi ci devo sforzare ma ce la faccio.
Siete troppi, migliaia, ed anche se tutti assomigliate, con diverse sfumature, ai poliziotti delle avventure di Nathan Never (in alcuni casi soltanto per l'equipaggiamento, adatto per una guerra già guerreggiata), in ogni caso siete esseri umani, tutti, quindi necessariamente non identici, anche se "disciplinati".
E in quanto esseri umani, io non vi potrei mai aggredire. Al massimo, se possibile, difendermi.
Il 20 luglio, a Genova, per la prima volta in vita mia, sono stato cosciente, in modo assolutamente cristallino, di non essere nelle condizioni di influire, se non in parte infinitesima, sulla integrità delle mie ossa, del mio viso, dei miei amici, dei miei oggetti.
La violenza psicologica di massa che è stata esercitata sistematicamente a Genova è il risvolto meno cruento dei fatti tragici avvenuti nei 2 giorni in cui gli 8 nani "hanno cominciato a risolvere gli inconvenienti del pianeta". Migliaia di persone "normali" vivono in uno stato di disagio determinato dalla miriade di esperienze, vissute in un intervallo fuori dal fluire normale del tempo, tutte accomunate dal terrore, dall'angoscia e dalla rabbia, tutte gravate dal rovesciamento acclarato e innegabile dell'assioma di fondo della democrazia reale (non realizzata) italiana, l'unica occidentale che non è mai riuscita a cambiare davvero le proprie forze dell'ordine, a democratizzarle integralmente e senza compromessi. Io, come tante persone, come la maggioranza schiacciante, preponderante, delle persone che c'erano, che appartengono o apparterranno presto alla galassia di associazioni e gruppi che formano il c.d. "movimento", ho timore (che è molto diverso dal rispettare) degli uomini e delle donne che indossano una divisa.
Ho paura per me (e non che mi vengano a prelevare a casa o altro del genere, ma...alla prossima manifestazione, spero non ci sia contrapposizione muscolare: potrebbe essere solo peggio di quanto già non sia), ho paura per le persone che conosco, e, soprattutto, temo la replica (già iniziata, per chi non se ne fosse ancora accorto) di un film che in Italia abbiamo già visto troppe volte.
Spero che chi appartiene ai diversi corpi di polizia dello Stato (e a Genova c'erano tutti, massicciamente rappresentati e abbastanza omogenei) non sia ancora una volta lo strumento (non poche volte considerato sacrificabile da chi governa...la storia italiana è chiara) della repressione, violenta o latente, dell'enorme e naturale e, questa volta come non mai, insopprimibile voglia di cambiamento.
Spero che la parte "democratica" alzi la testa, faccia ciò che deve fare chiunque abbia un cervello pensante ed il coraggio di lottare per le proprie idee, mai come in questo caso basilari, fino a ieri, per molti cittadini, scontate.
E non con denunce, più o meno coperte, ai giornali, ma partecipando, come è necessario per chi abbia la dignità di cittadino italiano che serve il suo Stato, al tentativo (in ogni caso, ultra accidentato e pericolante) di modificare una realtà aberrante e assolutamente spregevole come è stata quella che per la prima volta ho sperimentato il 20 luglio.
Firma da non pubblicare

non cosi'
IL MINISTRO SORRIDE
STRINGE BRAVO LE MANI
GIA' ME LO VEDO
AL TIGIUNO
OH MINISTRO,MIO CARO
TU SI' CHE SEI
UN POLIZIOTTO
BUONO AD ARTE
MA QUI CI SONO
QUELLI CATTIVI
SOLO VEDIAMO
STRETTI, DEI PUGNI
MINISTRO SORRIDI
QUI OGGI SI CORRE
LUNGO UNA VITA
COME D'UN URLO
SORRIDI MINISTRO
QUI OGGI SI CREPA
mario panzarino

A CHE (CHI) E’ SERVITA LA POLIZIA A GENOVA?
Siamo arrivati a Genova venerdì 20 luglio alle ore 15.00. Siamo arrivati con il nostro piccolo camper, noi due con i nostri due figli. Superata senza nessun controllo la barriera di entrata, ci siamo ritrovati tutti soli dentro la zona gialla: strade vuote, case deserte. Percorrendo Corso Italia, stavamo per arrivare al centro accoglienza del Genoa Social Forum, quando ci siamo imbattuti in una manifestazione che avanzava in senso contrario: un po’ meno di un centinaio di persone, immerse in una leggera nuvola di polvere. Intuito che non era un gruppo ‘normale’, sfiorando i primi manifestanti, abbiamo dirottato su una laterale a destra, per riprendere, due traverse più avanti, di nuovo Corso Italia, decisi a raggiungere la nostra meta. Impensabile. Corso Italia, che prima percorrevamo veloci godendoci la veduta sul mare, non era più lui. Le vetrine erano sfondate, c’erano fotocopiatrici rotte in mezzo alla strada e perfino calcinacci. Avanzammo ancora due - trecento metri, facendo lo slalom fra i cassonetti rovesciati e i vetri per terra, finché ci trovammo la strada sbarrata da una cinquantina di poliziotti in assetto di guerra. A questo punto abbiamo dovuto procedere a piedi. Mia moglie e mia figlia passarono la barriera dei poliziotti senza difficoltà. Io e mio figlio chiedemmo di passare con il camper, per parcheggiarlo su un posto più tranquillo. Ci fu negato il permesso sia di spostare il camper, sia anche, seppure per un po’, di passare a piedi. Superata finalmente la barriera dei poliziotti, sbrigate le nostre pratiche al centro di accoglienza e saputo che il posto per dormire per noi era nella zona Nervi, risuperammo, questa volta facilmente, il blocco dei poliziotti, ora intenti a mangiarsi un panino, e riprendemmo a ritroso, con il camper, il Corso Italia.
Nel frattempo (circa mezz’ora) cosa aveva fatto l’orda dei barbari? Aveva semplicemente percorso, in tutta tranquillità, Corso Italia, devastando tutto quello che incontrava. Tutta la strada percorsa con serenità prima, era ora un caos di vetri, cassonetti, auto infrante.
Tre chilometri dopo, all’altezza dell’incrocio con Via Pisa, siamo stati di nuovo bloccati: a sirene spiegate, arrivarono i poliziotti dei panini.
Era finalmente scoccata l’ora prevista di fermare i vandali?
Leopoldo Rebellato e Maria Nichele
Cittadella 24 luglio 2001

I finti BlacK Bloc
Io sono un ragazzo di Roma e vedendo e rivedendo le immagini delle devastazioni di Genova in televisione mi sono accorto che molti dei cosidetti "black bloc" che hanno devastato i negozi e le automobili (obbiettivi che gli anarchici e il blak bloc, in particolare, non attaccano quasi mai) hanno i tratti tipici, le pettinature, la gestualità e l'abbigliamento delle stesse persone che frequentano lo stadio olimpico di Roma. Anzi se si analizzano le immagini delle devastazioni del dopo partita di napoli/roma credo che qualcuno possa essere identificato. E con l'occasione punterei l'obbiettivo della telecamera anche in curva Nord....
Non è un segreto che a Roma c'è un bel rapporto tra gli ambienti delle tifoserie di destra e certi ministeri....
Vorrei che si ponesse per un attimo l'accento sull'abbigliamento di certi black bloc: ci sono alcuni che di nero hanno solo un passamontagna... altri che sono coperti in volto da una specie di panno bianco... altri che indossano magliette nere di note marche in voga tra il "fascio" romano.
Inoltre, rubando una frase dal film Carlito's Way - "ci sono facce che non vanno d'accordo con certe divise" - riferendosi ad una faccia da mafioso che indossa una divisa da poliziotto. Ci sono facce nelle immagini di genova che "stonano" con la Sinistra, figuriamoci con gli anarchici e con il Black Bloc.
Io sono cresciuto con questa gente... ci sono andato a scuola e sfortunatamente mi abitano accanto. So come ragionano e come vestono... e posso dirvi che a Genova molto probabilmente c'erano anche loro.
Il Black Bloc è un'altra cosa, c'è uno spirito guida e un codice morale che lo anima.
Sono precisi e meticolosi nell'agire e nel vestire, definire quei teppisti disorganizzati "black bloc" è un errore. Volete vedere dei veri black bloc? Guardate le immagini di Goteborg... sono tutti rigorosamente vestiti con tute nere e bandana rossa in viso, e le facce degli arrestati mostrano piercing e tagli di capelli tipici degli ambienti anarchici. A Goteborg non è stato toccato un negozio, solo banche e multinazionali. Il vero Black Bloc è quello che sfila nei cortei con le bandiere nere e i tamburi... annunciando la sua presenza. Altra differenza fondamentale... è il Black Bloc ad attirare o spingere la Polizia dove vuole, non il contrario. In molti paesi europei ci sono Black Bloc, anche in spagna e nel nord italia, non è vero che da noi non esistono: a Genova le "guide" dei Black Bloc stranieri erano genovesi... e sono stati loro a segnalare vie, scorciatoie, punti di raduno, e luoghi fuori Genova dove accamparsi.
Grazie dell'attenzione.
R.B.

La carica ai 200.000
Venerdì 20 luglio- Con uno dei quattro pullman delle Rdb provenienti da Bologna arrivo a Genova alle dieci di mattina dal versante di Ponente, per partecipare alla manifestazione dei sindacati autonomi. Ci sono gruppi da tutta Europa oltre a rappresentanze anarchiche con striscioni neri e bianchi, il corteo si è mosso tranquillo lungo il percorso stabilito. Qualche tensione solo alla fine: giunti al limite dell’itinerario stabilito, si voleva provare a "contrattare" qualche altro metro, uno degli organizzatori lo dice da un megafono. Intanto ci si ferma sullo spartiacque della catena umana dei lavoratori stretti in prima fila, presi per mano lungo il fronte del corteo. A pochi metri, in assetto da guerra vicino ai cellulari, i carabinieri non indietreggiano. Nel frattempo in pochi istanti gruppetti di gente vestita di nero che non avevo notato prima si coagulano in un grosso raggruppamento uno di fianco all'altro, tutti uniti comunicano visibilmente tra di loro. Sono dietro il cordone dei sindacati. Uomini di mezza età, operai si guardano indietro e a ridosso delle loro spalle vedono questa macchia nera armata fino ai denti: sono tutti col volto coperto e con grosse spranghe belle in mostra, fisici atletici, allenati e scattanti. Il cordone non molla, non ci pensano neanche i lavoratori a farli passare. Non mi rendo conto subito, un enorme compagno appena conosciuto con elmetto e bandana mi afferra e mi dice: vieni torniamo indietro, questi stronzi vogliono rovinare tutto. Il cordone ferreo rimane lì, si inverte la marcia e in pochissimo tempo si rifà il percorso a ritroso. La lucidità lungimirante di chi è abituato da anni a scendere in piazza li ha isolati e bloccati. Il gruppo di black desiste e in parte si dilegua per le vie laterali, attaccare significherebbe passare sui corpi dei lavoratori che li identificano subito come nemici e non ci pensano neanche a farli andare oltre la linea segnata dalle loro braccia.
Allo stadio Carlini sono accampati alcuni amici da qualche giorno, decido di restare a Genova e di raggiungerli. Verso le 17.30 saluto gli altri di rientro per Bologna e mi metto in cammino: direzione Piazzale Kennedy. Solo più tardi scopro che da via Cantore, in cui mi trovo, la distanza è interminabile. Tento di verificare le indicazioni da seguire nell’immediato, fermo un signore, gli metto fretta, mi dice che il posto è lontano e che da quelle parti hanno ammazzato un manifestante. L'umore cambia, la solitudine appesantisce i bagagli. Faccio per attraversare, in procinto di imboccare una strada sulla sinistra che mi è stata appena indicata quando sfrecciano quattro camionette dell'esercito, la prima mi sfiora e frena, mi stava investendo. Non reagisco e proseguo, il cammino è troppo in salita. Mi guardo intorno in cerca di una soluzione che mi possa far spostare in fretta. Intanto mi chiamano gli amici: un filo di voce, sono nella piazza dell’omicidio, dicono che è la guerra e che se non arrivo il prima possibile si sposteranno, ci sono scontri. Chiedo un passaggio: si ferma un signore di Genova, può accompagnarmi per un pezzo. Appena salita in macchina, mi lascia il suo numero di telefono e mi dice che abita con moglie e figlia, se ho bisogno per me e per i miei amici può darci da mangiare e da dormire…Mi parla dell'esperienza che ha avuto con le forze dell'ordine durante i "preparativi" per il g8. Collabora con le guardie forestali da 23 anni, racconta, un giorno ha notato un incendio nella periferia della città e come ha sempre fatto in questi casi è accorso a spegnerlo: arriva la polizia, lo blocca, gli chiede cosa sta facendo, lo identifica, gli sequestra attrezzi da lavoro che normalmente usa; lui reagisce: arresto e condanna a tre mesi con la condizionale, è incensurato… "Sto dalla vostra, sono dei pazzi criminali".
Lo ringrazio e poi mi affianco poi a fortuiti compagni di percorso. Tutti quelli a cui chiediamo indicazioni esprimono giudizi, fino al grido: "Non andate che vi ammazzano!" Più avanti un semaforo è messo al contrario poggiato al muro; tra le auto bruciate, anche un cellulare dei carabinieri incenerito, piazzato al centro di una strada, per terra cartelloni divelti con enormi basi di cemento attaccate ai pali di sostegno…
Una ragazza sola, seduta su un muretto singhiozza, mi avvicino, è inglese e parla pochissimo l’italiano. Alla domanda se sta bene dice "Ma perché bisogna arrivare a tanto, non è possibile", Le sue parole meritano silenzio, la mia risposta è guardare i suoi occhi chiari rossissimi bagnati dal terrore…. Resta lì, inconsolabile, accenna a un sorriso quando la salutiamo. Ancora chilometri e ambulanze, finalmente la galleria di Brignole, la oltrepassiamo, continuiamo tra barricate e transenne in fila indiana. Poi ci dividiamo senza salutarci. Sono nei pressi di piazza Alimonia, c’è una strettoia sulla sinistra creata da cellulari e carabinieri così bardati da sembrare robot; solo quel varco per passare, agitata li sfioro senza guardarli. Strani rifiuti urbani rivelano una lotta impari…ogni tanto una scarpa, uno zaino semiaperto, gusci di lacrimogeni, vetri, armature fatte coi tappetini di gomma…qualche manifestante torna a recuperare scudi persi nella battaglia urbana.
Poi, la piazza dell'omicidio: odore acre, fiori rossi coprono il tracciato e il sangue sull'asfalto. Incontro i miei amici, distrutti, continuiamo insieme per lo stadio Carlini. Là un dibattito accesissimo si protrae fino alle quattro di mattina.
Sabato, ore 14: imponente manifestazione dei due o trecentomila, la gente affacciata alle finestre esprime gratitudine e solidarietà. Percorro tutto il corteo fino ad arrivare all’altezza di via Torino, più avanti si alza una colonna di fumo altissima, si intravede Piazzale Kennedy. La situazione è tesa, l'arrivo e il passaggio dei black distrugge e scompiglia, si impegnano poco distante a sventrare banche, anche un tabacchi, si ha paura di fermarli … è un tessersi di traiettorie di molotov, lacrimogeni, sampietrini. Più avanti cariche della polizia, ci si precipita dal lato mare oltre la strada a tre corsie per mettersi in salvo. Chi è riuscito a scavalcare ostacoli e i si è buttato lungo la costa.
Lì rimaniamo in trappola per circa due ore e mezza, lo spazio si restringe sempre più, le forze dell’ordine sembra vogliano incastrarci nell'imbuto di stabilimenti balneari provvisti di alte recinzioni di ferro. I black incendiano tutto ciò che trovano sul loro cammino, continuando spietati ad appiccare il fuoco anche sulla poca superficie vitale a disposizione dei manifestanti, lungo la costa; urliamo di smetterla e scappano, mentre mucchi di roba non meglio identificata ha già preso fuoco. L’ "intrappolamento" vede la polizia dal mare coi gommoni, dall’alto un nugolo di elicotteri assordanti e cariche e lacrimogeni da terra; alcuni manifestanti li afferrano in fretta e li lanciano lontano. A un certo punto le braccia di molti si alzano verso il mare, verso il cielo, qualcuno chiede aiuto alla polizia, la risposta è data a più riprese a mezzo di cariche e di lacrimogeni sputati anche dagli elicotteri, in un ventaglio di scie ne ho visti cinque lanciati in contemporanea sopra di noi, non c’è più terra dove stare. La folla si accalca e si ferisce, molti sono pressati contro le sbarre di ferro come di una prigione, ci sono anche signore di mezza età. Cercando a malapena di tenere la calma si riesce poi a piegare la robusta recinzione e a trovare una via di fuga aiutandosi a passare. Il ritorno si snoda per le vie laterali, ovunque presidiate.
Verso le 20 rientro al Carlini, preparativi per la partenza, poi autobus diretto a Brignole; arrivo in stazione alle 22. Ordini e contrordini ufficiosi e ufficiali, altoparlanti annunciano poi smentiscono arrivi e partenze, saliamo su un treno che sembra essere quello giusto invece poi ci precipitiamo a scendere.
Nell'attesa qualcuno è all’ascolto di Radio città del Capo: dalla diretta apprendiamo dell'aggressione e dei pestaggi in atto al centro stampa del Gsf. Dalla stazione si vedono processioni veloci di ambulanze illuminare le vie deserte. Un esponente di Rifondazione dice a voce bassa che la cosa più urgente è andarsene da Genova facendo il meno casino possibile, perché se fossimo tornati in piazza o andati dove stava succedendo il ("brillante" è stato definito da Fede) bliz "cileno" saremmo stati in pericolo tutti, per questo motivo si cerca in stazione di non far circolare molto la notizia. Tra di noi si trovano anche feriti che non sono andati al pronto soccorso per evitare il filo diretto con il fermo (una ragazza colpita alla testa da un lacrimogeno, fasciata alla meglio aspetta con noi l'ora incognita della partenza).
Tanta la rabbia, ho chiesto in un ufficio ferroviario quando sarebbe partito il treno, mi hanno risposto vagamente che se perdevano tempo con spiegazioni non potevano organizzarlo, ho fatto osservare non proprio gentile che eravamo ammassati lì da ore infreddoliti e senza niente da mangiare. Mi hanno risposto che loro non ci potevano fare niente e che il treno per Bologna sarebbe partito di sicuro all'1 e 30, binario ufo. E' partito invece verso le quattro di notte, mentre la nostra attesa e il loro massacro si consumavano senza fretta.
Silvana Fracasso

TESTIMONIANZA G8 SABATO
Salve, volevo darvi la mia testimonianza relativa alla giornata di Sabato 21 Luglio, anche se non ho visto nessuna scena violenta, spero comunque possa servire.
Io (Alessandro Costetti di Reggio Emilia) ed il mio amico Franco ( Malvezzi di Fiorenzuola - PC- , entrambi 35enni, siamo partiti con le nostre moto sabato mattina da Perugia, dove eravamo in campeggio per seguire Umbria Jazz, e siamo usciti dall'autostrada a Nervi intorno alle 14.00 di sabato. Appena fuori dal casello una pattuglia della polizia aveva fermato un furgoncino, mentre noi siamo passati senza che ci degnassero di un'occhiata, anche se avevamo entrambi tre bauli, e Franco aveva pure una brandina di quelle smontabili coi tubi di metallo legata tra la sella e il bauletto.
Usciti dallo svincolo autostradale abbiamo imboccato la strada statale che porta a Genova, seguendo le indicazioni per il centro e per l'Acquario. Dopo un po' abbiamo iniziato ad incontrare, fermi in fila sulla destra, una decina di autoblindo della polizia, apparentemente tranquilli. Proseguendo abbiamo visto sulla sinistra un esercito di vigili urbani, poi una serie infinita di pullman parcheggiati sul fianco della strada. Avevo ricevuto via SMS indicazioni dalla mia ragazza, Greta, già nel corteo insieme all'Arci di RE, di raggiungere via Cavallotti, dove avrei potuto incontrare lei e gli altri amici. Quando ho ritenuto di essere abbastanza vicino al centro ho chiesto indicazioni ad un altro motociclista su come raggiungere la via suddetta, che molto gentilmente mi sono state date: "alla prima strada a sinistra in cui è possibile, svolta e procedi verso il mare". La strada su cui eravamo era percorsa solo da alcuni motociclisti e scooteristi, e qua e là c'erano poche persone a piedi a piccoli gruppi, presumibilmente manifestanti. Abbiamo svoltato a sinistra, e dopo poche centinaia di metri, con nostra grande sorpresa, ci siamo trovati di fronte ... il corteo che ci veniva incontro. Eravamo ( ho saputo dopo ) su viale Torino, e ci siamo arrivati senza che nessun agente di polizia o vigile o anche un cartello ci avesse avvisato che stavamo entrando nella zona della manifestazione. Il traffico era regolarmente aperto e chiunque poteva trasportare qualsiasi cosa fin dentro al corteo senza problemi.
A questo punto abbiamo parcheggiato le nostre moto in una via laterale a destra verso il centro ( via Ruspoli o qualcosa del genere ) e siamo tornati sull'incrocio a guardare il passaggio della testa del corteo, in attesa di incontrare i nostri amici. Erano circa le 14.30. Dopo circa 15 minuti il corteo sembrava finito, e visto che non sapevo nè dov'ero nè che percorso facevano i nostri amici ho pensato che forse non stavamo guardando il corteo giusto. Invece dopo altri 10 minuti circa hanno ricominciato a passare persone, e dopo poco, grazie anche a qualche scambio di SMS ( le chiamate normali non funzionavano ) ho incontrato gli amici dell'Arci di RE. Erano abbastanza sconvolti ed un po' impauriti, dalla tensione e da scontri che avevano intravisto all'incrocio con il lungomare. Greta era distrutta, ho cercato di calmarla un po', io che ero ancora tranquillo. Ci siamo uniti a loro ed abbiamo percorso viale Torino e corso Venezia fino a piazza Ferraris. Lungo il percorso i manifestanti ballavano e cantavano, il clima sembrava molto pacifico e festante, i Genovesi dalle finestre buttavano bottiglie d'acqua o innaffiavano con secchi e gomme i manifestanti, ricevendo applausi da tutti. Siamo arrivati a piazza Ferraris, siamo rimasti fermi lì circa mezz'ora, poi, avendo intuito che avevamo parcheggiato in una zona "calda", abbiamo deciso di andare a recuperare le moto per andarcene. Anche Greta ha salutato gli amici ed è partita con noi. Da una radiolina che mi ero portato ho sentito di scontri nel tunnel che avevamo percorso per arrivare alla piazza. Abbiamo quindi deciso di aggirare l'ostacolo, salendo una scala a fianco della piazza, e seguendo una strada alternativa; abbiamo chiesto indicazioni a diversi Genovesi che molto gentilmente ci hanno indicato strade alternative. In una di queste abbiamo incontrato ancora persone che scappavano nel senso opposto, allora abbiamo allargato ulteriormente il giro. Abbiamo attraversato la ferrovia su di un ponte dove molte persone andavano in senso opposto per cercare di raggiungere, attraverso le stesse vie "traverse" fatte da noi, piazza Ferraris: erano stati tagliati fuori dalla chiusura del tunnel e non avevano potuto compiere il percorso completo del corteo. Abbiamo poi chiesto ancora indicazioni ad alcuni agenti di Polizia in divisa tradizionale, che molto gentilmente ci hanno aiutati. Nel percorso abbiamo incontrato macchine, negozi e cassonetti bruciati, anche se tutto sembrava ormai finito, gli incendi sembravano del giorno prima. Erano le 17.30 circa. Le moto erano integre, con mia sorpresa ho trovato un biglietto che mi diceva: hai lasciato la chiave, passa nel mio negozio a prenderla. Sono andato, il negozio era chiuso, ma ho telefonato e una persona gentilissima mi ha aperto e restituito la chiave, che avevo dimenticato sulla moto dalla fretta di raggiungere il corteo, e che lui aveva pensato di mettere al sicuro. Con qualche difficoltà siamo riusciti ad uscire dalla città, in alcuni casi passando in mezzo a strade piene di gente a piedi che si allontanava dal centro. A pochi chilometri di distanza sembrava un altro mondo: la gente in spiaggia, negozi aperti, il traffico del mare della domenica. Siamo andati in spiaggia a fare il bagno, tra famiglie rumorose e ragazzini festanti. Greta, che aveva fatto l'andata al mattino col pullman dell'Arci, partito da Reggio alle 6.00, si è sdraiata sulla sabbia e si è addormentata. Mi aveva appena detto: "ho bisogno di piangere." Da almeno 15 anni ( ne ha 31 ) partecipa a manifestazioni, molte per la pace, in tutta Italia. Per tutta la sera ha ripetuto questa frase : "Non ho mai avuto tanta paura.". E non avevamo visto niente ...
Sperando possa in qualche modo esservi utile, vi saluto.
Alessandro Costetti
 
NOBORDER-NONATION
ARTE E CULTURA come mezzi di riattivazione di un intelligenza collettiva
La ‘Publix Theatre caravan’ è un progetto artistico-culturale di informazione , scambio di esperienze, documentazione e sensibilizzazione che vuole portare nelle strade e in altri spazi pubblici degli spettacoli teatrali e interagire con i cittadini affrontando in modo creativo e artistico temi fondamentali nella nostra societa’ come l'ambiente, la libera circolazione dei corpi e delle culture e la diversita' culturale .
La carovana è organizzata nel quadro delle iniziative della rete europea Noborder da un gruppo facente parte della piattaforma "Per un mondo senza razzismo"di Vienna.
Modi di azione
- Partecipazione a festival e manifestazioni pubbliche in forma di eventi culturali ( teatro di strada, sound-systems, programmi radio,...)
- Campagna itinerante di sensibilizzazione con volantini, infoshops, video, letture, documenti,...
- Documentazione sulle attività ( video, musica, pagine internet, rete)
La partecipazione dei Noborders a Genova il 17-18-19 di luglio è inserita in un più ampio tour dei teatranti nella regione Liguria. Infatti, il gruppo è stato invitato dal Comune di LaSpezia a partecipare al Festival artistico ‘Cultura e diversita’il 14 e 16 luglio. Dopo l’evento pubblico di La Spezia i performers si sono esibiti anche in eventi culturali nella citta’ di Genova durante il vertice dei G8.
Le loro performances prevedono l'uso di attrezzi e strumenti atti a costruire strutture teatrali mobili e oggetti che vengono usati per spettacoli circensi o performance pirotecniche.
Il 22 luglio i NoBorders, terminati i loro interventi teatrali sono partiti da Genova nei furgoni della ‘Publix theatre caravan’ ma sono stati fermati per strada dalla polizia e portati in questura.
Le accuse non sono ancora confermate ma attraverso i telegiornali abbiamo visto i loro oggetti e strumenti di lavoro esposti sul tavolo della questura e ritenuti oggetti da sequestrare perche’ possibili oggetti contundenti usati in modo violento durante le manifestazioni. Noi abbiamo dei filmati che documentano i loro spettacoli mostrando l’uso creativo, culturale e non-violento che in Noborder fanno dei propri attrezzi e che provano la presenza dei Noborder il 20 di luglio all’interno del blocco ‘pink’ mentre partecipano ad un corteo creativo e pacifico.
Non c’e nessuna ragione o spiegazione per i loro arresto tranne il tentativo di far passare per criminali violenti artisti di strada che contribuiscono attraverso il loro lavoro artistico -culturale alla riattivazione di un intelligenza e sensibilita’ collettiva e che dovrebbero essere presi come esempio di una ricerca verso forme di espressione creativa e nuovi linguaggi comunicativi.
Muoviamo quindi un appello agli intellettuali, artisti, teatranti , politici e avvocati perche’ esprimino solidarieta’ con il gruppo teatrale domandando l’immediato rilascio dei 25 performers (tra cui anche un membro del performance group GradoZero e un attivista della ONG A Seed Europe) che al momento si trovano nelle prigioni di Voghera e Alessandria in misura cautelare.
I Noborders , come molti altri sono vittime di un tentativo dello Stato di omologazione culturale e criminalizzazione delle diversita’ espressive e delle forme di comunicazione libera e indipendente.

La mia testimonianza
Vi prego di leggere e far circolare questo brevissimo messaggio che altro non vuole essere che la mia personale testimonianza durante le giornate di manifestazione contro il vertice dei g8 (spero siate gia' informati su tutti i fatti gravissimi successi in questi giorni che la maggior parte dei media ignora). Ancora non riesco a credere a quello che ho subito e visto subire, sembra irreale a me, figuriamoci a quelli che non c'erano. E' stato tremendo: ancora, come tanti altri, non mi sono ripresa completamente, anche se sono stata molto piu' fortunata di molti.
Ho avuto una paura tremenda, specie dalla giornata di venerdi'. Stavamo cercando di raggiungere il centro di smistamento del forum e ci siamo ritrovati nel bel mezzo di un attacco delle forze "dell'ordine": per prima cosa abbiamo visto individui vestiti di nero (solo dopo abbiamo sentito parlare dei cosiddetti black block, che prima di venerdi non si erano fatti vedere) che, indisturbati, spaccavano e incendiavano ogni cosa; allora cisiamo messi a correre via, ma a noi si affiancavano questi neri, che si muovevano con una sicurezza quasi militare, e dietro la polizia che sferrava manganellate indiscriminatamente, su chiunque si trovasse nei paraggi (eccetto i neri), su vecchietti/e, donne (chiamate troie tra un calcio e una manganellata), gente che si trovava li per caso, tutti inermi.
Eravamo accecati e soffocati dai lacrimogeni (solo dopo ci hanno detto che erano urticanti e molto piu' forti di quelli usati finora), avevo un bruciore insopportabile e non riuscivo a capire dove stessi andando, finche' miracolosamente siamo riusciti a raggiungere un posto "sicuro". Da quel momento la sensazione (chiaramente motivata) era quella di non essere al sicuro in nessun posto. Per fortuna sono riuscita a scapparmene via sabato sera (sarei voluta venir via prima ma era impossibile muoversi) e ad arrivare a torino, proprio mentre stavano irrompendo e massacrando tutti al centro stampa della scuola Diaz (uno dei fatti piu' gravi ).
Non riesco ancora a capacitarmi di essere stata in una situazione del genere, ci penso costantemente e ho gli incubi.
Non dobbiamo farci influenzare dalla tv e dalla stampa di quelli che comandano, mi sembra chiaro che sia veramente a rischio la liberta' di tutti, la democrazia; non e' esagerato paragonare la situazione al sudamerica, o parlare di stato di polizia (molti si sono sentiti dire da membri delle forze dell'ordine, che usavano la violenza indiscriminatamente perfino su preti , suore, medici e avvocati del genoa social forum, cose come "adesso abbiamo mano libera stronzi/comunisti di merda" ecc ecc). E' poi chiaro ormai che i neri non solo siano fascistoidi ecc strumentalizzati dalle forze dell'ordine ma che tra essi ci siano infiltrati (polizia, servizi segreti anche stranieri e quant'altro). Non dimentichiamoci poi dei "desaparecidos" (circa una ventina). Grazie per aver letto questa testimonianza .
Heather Jones.

UNA STORIA GENOVESE: LA PATTUGLIA PERDUTA
Venerdì 20 Luglio. Genova. Il concentramento per il corteo-sit in della rete Lilliput e delle varie realtà non violente e previsto a piazza Manin verso le 11. La piazza è gremita di gente. Osservandola da un punto sopraelevato si notano le moltitudini di colori che la compongono: ci sono i pacifisti, con le loro magliette bianche, che si stanno dipingendo le mani dello stesso colore, e poco più in là i Verdi con accanto i Pink Block, ragazzi in prevalenza inglesi e tedeschi, vestiti di rosa che cantano e ballano come forsennati.
Ma scendendo nella piazza l’emozione è ancora più forte, si vede una cosa che, chi scrive, non aveva mai visto in un corteo. Ci sono dei bambini che giocano a rincorrersi tra le gambe degli adulti, e altri ancora più piccoli che stanno in braccio alle loro mamme.
Verso le 13 il corteo si forma e imbocca Via Assaroti, l’obbiettivo e quello di arrivare di fronte ad una delle tante cancellate che chiudono la zona rossa per appendervi striscioni e volantini di protesta. Tutto procede nel migliore dei modi, il corteo avanza in modo tranquillo. Quando giunge quasi a destinazione si scorgono i primi poliziotti, si tratta per lo più di giovani che non superano i 25 anni, comandati da un ufficiale con la faccia da padre di famiglia. Dopo una breve trattativa i manifestanti ottengono il permesso per avvicinarsi alla grande gabbia di protezione, che in men che non si dica è tutta ricoperta di volantini e striscioni.
All’interno del corteo vivono però due linee politiche: c’è chi pensa che manifestare davanti ad una cancellata che non ha la funzione di ingresso alla zona rossa non sia incisivo, quindi una parte dei manifestanti si sposta a piazza Marsala, adiacente a Via Assaroti, dove invece si trova uno degli accessi alla zona proibita. Il tutto si svolge con molta serenità, la gente si accalca vicino alla nuova gabbia e inizia ad urlare slogan anti G8. Una ragazza tenta di arrampicarsi sulla rete per mettere dei fiori, ed è a quel punto che la tensione si alza improvvisamente: dall’altra parte della barricata parte un getto d’acqua che colpisce in pieno la manifestante, alcuni ragazzi corrono per sorreggerla mentre il resto del sit-in le urla: "resisti, resisti". Tutto sembra favorire e sottolineare la determinazione dei manifestanti, ma è chiaro che la polizia non intende fermarsi lì. Infatti dopo pochi secondi partono i primi lacrimogeni, un ragazzo con i capelli rasta se ne ritrova uno in mezzo ai piedi e lo guarda incredulo, intorno scoppia il caos: la gente fugge terrorizzata, mentre il comandante della polizia (quello con la faccia da padre di famiglia) da ordini perentori ai suoi uomini, che indossano maschere antigas e a loro volta iniziano a bombardare i contestatori con piccoli candelotti. Il tutto dura non più di due, tre minuti.
Poi la polizia sembra calmarsi, i manifestanti cercano di ricomporsi per ricominciare l’assedio; ma non appena la piccola piazza è nuovamente gremita di gente parte un secondo lancio di lacrimogeni, e poi un terzo ed un quarto. A quel punto il piccolo sit-in è totalmente smembrato.
Con un gruppo di ragazzi ci ritroviamo in uno dei tanti vicoli di Genova.; c’è chi urla contro la polizia e chi è talmente intossicato dai lacrimogeni da non riuscire neppure a tenersi in piedi. Qualcuno tenta con i telefonini cellulari di raggiungere gli amici smarriti durante la fuga, ed è così che veniamo a sapere che un gruppo di anarchici, i così detti Black Block, si sta dirigendo verso piazza Manin.
La decisione non è semplice. Cosa fare? Restare a piazza Marsala dove la tensione sembra ormai rientrata? O dirigersi verso piazza Manin per presidiarla?
Con i ragazzi del vicolo decidiamo che è più corretta la seconda opzione e torniamo indietro risalendo Via Assaroti.
Arrivati nella piazza troviamo un folto cordone dei pacifisti che con le mani alzate urla: "non violenza, non violenza". Dopo pochi secondi da una delle vie sbuca un orda di tute nere che devasta tutto al suo passaggio con lancio di sassi e bastonate contro le vetrine, I Blacks vanno diritti verso i pacifisti, ma vengono fermati: quello è un corteo non violento e la loro presenza lì non è gradita. I ragazzi con i bastoni si guardano in giro un po’ smarriti, poi decidono che è meglio imboccare una piccola via laterale.
Ma la polizia dov’è? Eccola. La polizia sbuca dalla stessa via da dove sono arrivate le tute nere, in perfetto assetto anti-sommossa. Si schiera di fronte al cordone dei pacifisti: i due schieramenti si guardano per un attimo negli occhi, dopo di che si sente un ordine dato con voce autoritaria che da il via ad una violenta carica che travolge l’intera piazza.
Nuovamente una fuga, nuovamente urla disperate e lancio di lacrimogeni. Con dei ragazzi fuggiamo su per delle scale cercando un rifugio, lo troviamo in un piccolo giardinetto, dove probabilmente nelle serate tranquille vanno le coppiette genovesi. Ora invece qui c’è gente disperata che non conosce la città e che ancora non ha ben compreso che era appena iniziata la battaglia di Genova.
Gli stessi bambini che prima correvano in piazza ora hanno gli occhi gonfi dai lacrimogeni e nel loro sguardo si legge tutta l’assurdità del mondo degli adulti.
Ci sono molte perplessità sul da farsi. Si passa circa tre quarti d’ora a discutere come muoversi, poi si decide che la cosa migliore e dirigersi nuovamente verso piazza Manin per vedere se ci sono altri gruppi dispersi.
Quando rientriamo nella piazza la troviamo ridotta ad un campo di battaglia, si vedono grandi macchie di sangue sull’asfalto, vetrine in frantumi, una pompa di benzina totalmente devastata ed ovunque sassi e bottiglie in frantumi. Il bilancio e molto grave: ci sono 4 feriti ed un numero imprecisato di arrestati.
Il corteo è ormai frantumato, nella piazza resta solo uno sparuto gruppo di pacifisti insieme ad un gruppo più consistente di ragazzi tedeschi ed inglesi (i Pink Block). Tra i due gruppi hanno visioni diverse sul da farsi: i pacifisti pensano che sia ancora necessario presidiare la piazza, mentre i Pink pensano che sia necessario organizzare un corteo per raggiungere Piazzale Kennedy dove il Genova Social Forum sta cercando di raggruppare i vari cortei sparsi per la città.
Intanto radio G.A.P. da il resoconto di quello che sta succedendo in città: ci sono scontri ovunque, la polizia sta caricando e arrestando chiunque si trovi isolato, un corrispondente dice che si trova a piazza Alimonda e che c’è un ragazzo a terra, ma non si capisce se è ferito o morto. Purtroppo più tardi si saprà che quel ragazzo si chiamava Carlo Giuliani e che un carabiniere suo coetaneo gli aveva sparato in faccia.
Con un gruppo di italiani decidiamo che la cosa migliore da fare e aderire alla soluzione proposta dai Pink. Il problema e che nessuno conosce la città e non si ha la minima idea di come arrivare giù al lungo mare. Coraggiosamente dei ragazzi di Roma si propongono per guidare il corteo, dopo che un gruppo di tute nere aveva chiesto il permesso, naturalmente negato, di aggregarsi al mini corteo.
La gente si muove con perplessità, ma si è convinti che ormai il peggio sia passato. Il primo ostacolo che troviamo è uno schieramento di uomini della guardia di finanza messi a protezione dello stadio Marassi. Si decide, per non farli innervosire, di mandare una delegazione che chieda il permesso di passare. L’ufficiale nella divisa grigia dice che è possibile solo se il corteo si divide in piccoli gruppi di massimo trenta persone. E’ un rischio, ma non c’è altra possibilità: così sfiliamo in piccoli gruppi davanti allo schieramento di polizia e ci ricompattiamo qualche metro più in là. Il corteo avanza lento e compatto, ma ancora c’è allegria tra le persone che lo compongono.
Verso le 17:30 i cellulari di diverse persone iniziano a squillare, e arrivata la notizia più triste e preoccupante della giornata. E’ ufficiale: Carlo Giuliani è morto, non si sa ancora bene come, ma è morto.
Sul mini corteo, che fino a quel punto era rimasto abbastanza festante cala un silenzio irreale, tutti sono presi dallo sdegno e da una sensazione di impotenza; ma non ci si può fermare a riflettere sull’accaduto, bisogna muoversi, ora e chiaro a tutti che il pericolo è veramente gravissimo.
Marciando in silenzio il corteo sbuca a piazza Giusti. La strada più veloce per arrivare a piazzale Kennedy è seguire Corso Torino, ma in quella direzione c’è un grosso sbarramento della polizia. Si opta per seguire la tattica usata in precedenza. Una piccola delegazione va a parlare con un dirigente in borghese con la fascia tricolore. Alla richiesta di far passare il corteo la risposta è negativa, allora si domanda qual è la strada più sicura, quello risponde che non lo sa perché ha la radio rotta, ma che pensa che seguendo Via Giacometti ci sia qualche possibilità.
Chissà perché non ci fidiamo e decidiamo che e meglio mandare un staffetta a dare un occhiata in quella direzione. La staffetta torna dopo qualche minuto, dicendoci che a circa cento metri stanno infuriando degli scontriviolentissimi. Qualcuno sbotta: "ma allora gli sbirri ci volevano mandare in bocca a gli scontri!".
La confusione si impadronisce del corteo, non si vede una via di fuga, qualcuno propone di sfondare il cordone di polizia, opzione subito scartata. Mentre si discute sul da farsi un gruppo di camionette dei carabinieri corre verso di noi a sirene spiegate, il grosso del corteo è ammassato su un lato della piazza, mentre pochi singoli si trovano isolati al centro e sono proprio questi ad essere puntati a settanta all’ora dagli autisti delle camionette che li evitano all’ultimo momento con manovre spericolate, mentre altri carabinieri urlano: "ora torniamo e vi facciamo un culo così".
La situazione si fa disperata, ora anche l’unica via di fuga è chiusa dai carabinieri. Qualcuno pensa che forse il dialogo con l’arma possa portare a qualche soluzione. Così si forma un’altra delegazione. La risposta dei carabinieri alla richiesta di dialogo e semplice e concisa: "se vi avvicinate vi carichiamo".
La paura è tanta, la carica sembra ormai imminente, i carabinieri con caschi scudi e manganelli scalpitano, la gente quasi spontaneamente decide di sedersi a terra ed urlare ancora una volta "non violenza, non violenza…". Poi il miracolo. Il cordone di polizia che chiudeva via Torino sale sulle camionette e schizza via a tutto gas. La via e libera il corteo in men che non si dica si riforma e si avvia verso piazzale Kennedy. Il percorso non è molto lungo ma ovunque si posi lo sguardo c’è solo distruzione.
Veniamo accolti a piazzale Kennedy da un lungo applauso, ci abbracciamo dicendoci che ce l’abbiamo fatta. Ma non è finita. Non è finita perché un ragazzo è stato ucciso. Non è finita perché l’indomani c’è un altro corteo, che ora sappiamo essere stato ancora teatro di violenze e di cariche indiscriminate della polizia. Ma questa è un'altra storia genovese.
Andrea Provvisionato

Richiesta di aiuto
Testimoni: cerco i giornalisti che hanno assistito al mio pestaggio...
Buongiorno, mi chiamo Delfino Gianluca e sono di Cuneo. Sto spedendo queste e-mail per rintracciare i due giornalisti che nel giorno 20-07-01,intorno alle ore 15.45-16.00, nei pressi di via Antiochia (zona della stazione Brignole) a GENOVA hanno assistito al mio pestaggio con conseguente arresto.
Ricordo la loro indignazione e so che nulla avrebbero potuto fare, ma se ora potessi rintracciarli sarebbe un grande aiuto, poiché potrebbero rappresentare una testimonianza importante nel processo in cui sono imputato per resistenza e violenza aggravata. Ero disarmato, senza protezioni, da solo e a mani alzate; nonostante ciò il mio arresto è stato convalidato. Al momento indossavo dei pantaloni beige corti fin sotto al ginocchio, una maglietta nike nera ed uno zaino viola. Sono alto circa 1,75m e ho i capelli scuri, corti.
Chiedo a chiunque di aiutarmi a rintracciare questi due giornalisti, per non dover subire ulteriori umiliazioni, oltre ai danni fisici e psicologici che già ho dovuto sopportare durante l'arresto e nelle terribili ore in questura, nonchè nei giorni passati in carcere ad Alessandria.
Chiunque fosse in grado di fornirmi informazioni utili la/lo prego di contattarmi al numero 0171/402545 oppure tramite e-mail a: gianlucadelfino@hotmail.com. Il mio indirizzo è: (Delfino Gianluca) via Dei Lerda n.17, Madonna delle Grazie,Cuneo.
Grazie per l'interessamento. ...
Gianluca

Ragionamenti a caldo (e a titolo personale) di un militante della Federazione Anarchica Italiana
di Pietro Stara

Perché gli agenti di polizia non hanno sulla tuta un codice identificativo?
Vorrei che giraste una domanda al Procuratore di Genova, al Capo della Polizia, al Ministro dell' Interno ed al Ministro della Funzione Pubblica: perché gli agenti di polizia non hanno sulla tuta un codice identificativo?
Ricordo che a Praga la polizia aveva sulle divise, bene in vista, un numero di codice scritto in giallo sul blu notte delle divise, un codice breve, di sole quattro cifre, e quindi facilmente memorizzabile, tant' é che io stesso ho avuto modo di segnalare al Ministero dell'Interno della Repubblica Ceca il comportamento scorretto dell'agente 2446 (un graduato) e di alcuni suoi sottoposti nella stazione di Ceske Budejovice nei confronti di due ragazze che stavano sul treno.
Mi sembra di ricordare anche che una direttiva del Ministero della Funzione Pubblica di alcuni ani fa, peraltro largamente disapplicata, imponga a tutti i pubblici dipendenti di portare un cartellino di identificazione: la direttiva non vale per gli agenti delle varie polizie?
L'applicazione di tale direttiva non servirebbe ad identificare personalmente gli autori degli abusi, ad evitare le "coperture"? Si tenga presente che "coprire" le responsabilità delle "mele marce" non giova all'immagine delle forze di polizia, getta discredito su istituzioni la cui credibilità é già gravemente compromessa, e si ritorce in un danno incalcolabile per i molti poliziotti onesti che svolgono correttamente il proprio lavoro.
Si consideri infine che, se non vengono individuati, puniti ed espulsi i colpevoli delle violenze si innesca un meccanismo di ritorsioni e reazioni a catena che possono giungere a rendere ingovernabile qualsiasi manifestazione pubblica, di qualsiasi natura.
Sono rimasto allibito di fronte alla proposta dell'On. Achille Occhetto, riportata da "La Repubblica" per una legge sull'addestramento democratico delle forze di polizia.
C'é bisogno di una legge per questo? Non basta la Costituzione ed il giuramento di fedeltà alla stessa? Vi ringrazio dell'attenzione.
Efrem Fava
Riva del Garda

Agente in borghese:"andate via se no vi ammazzo!"

Sentite un po' cosa succede alla festa del vino di Pergola, piccolo comune del pesarese.
Ma basta leggere i giornali? (Corriere Adriatico, Resto del Carlino) . No sicuramente, perché quella sera del 28/07 non c'erano i giornalisti e non si può scrivere un articolo (o meglio, un giornale) basandosi solo sulle testimonianze calunniatrici dell' "arma".
Io ero uno dei, per loro 100/200 "cattivi", in realtà 30/35 ragazzi che stavano continuando la festa suonando bonghi e ballando. Cinque carabinieri da un lato osservavano silenziosi. Mi son chiesto come mai non vengono a dirci che la festa è finita, che è ora di andare a casa (come poi riferiranno ai giornalisti e come mi è sempre capitato di vedere a una festa del vino). Poi qualcuno dice che c'è una telecamera...mi giro e in fondo al vicolo un losco figuro che riprende, rivelatosi poi carabiniere in borghese a tre miei amici che si sono avvicinati e si sono ritrovati una pistola puntata in faccia: "andate via se no vi ammazzo" (dimenticando di mostrare il tesserino di riconoscimento). Almeno le parole se le poteva risparmiare perchè una pistola terrorizza già abbastanza e perchè si sa che sono cose che loro fanno. Comunque il cameramen fugge (da cosa?..ah!..sa dove si sta dirigendo) e ingenuamente i tre miei amici che gli ridevan dietro si ritrovano di fronte a minimo dieci carabinieri in "assetto anti-sommossa" (uso le virgolette perchè non so se per scarsità di dotazioni alcuni oltre all'attrezzatura ordinaria anti-sommossa avevano manganelli improvvisati: bastoni con impugnatura di nastro adesivo).
Logicamente il primo a prendere una bastonata é stato chi lo poteva sopportare meno, un ragazzo di piccola costituzione con gravi problemi a una gamba per un incidente che ha avuto anni fa. Crollato a terra proprio per quella gamba l'abbiamo visto trascinare via nell'arresto, dopo che, solo arrivati a questo punto, e cioè di fronte alla violenza gratuita delle forze dell'ordine é iniziato un enorme lancio d'insulti e uno molto più contenuto di oggetti (difficili per altro da trovare, perchè alla festa solo bicchieri di plastica).
Riassumendo: 5 arresti (fra cui 2 ragazzi che il giorno dopo sono andati a chiedere notizie degli amici arrestati sul fatto) con l'accusa di resistenza aggravata a pubblico ufficiale (e ancora nessuno a loro notizie);2 carabinieri lievemente feriti; una festa uccisa dalle forze dell'ordine, basti vedere l'atmosfera che c'era il secondo giorno con squadrette di 4/5 carabinieri impettiti e pattuglianti che ricordano "il fatto" come dalle loro bocche sorridenti l'ho sentito chiamare. Quel fatto l'opinione pubblica rischia di non conoscerlo mai perchè quella sera c'eravamo solo noi e i carabinieri. Ho paura che adesso non si possa più contestare pacificamente, senza trovarsi di fronte a divise, caschi, manganelli, ma soprattutto teste che vogliono far violenza e che si sentono autorizzate a farlo.
Giulia Toni, Marco Natale

Intervista a Christian Stroebele, deputato dei Verdi tedeschi

Dopo i primi disordini gravi, il deputato dei Grunen tedeschi Christian Stroebele si è precipitato a Genova "in veste privata", ed è andato alla ricerca dei tedeschi feriti, incarcerati, dispersi. Dai loro resoconti ha dedotto "gravissime irregolarità" nel comportamento delle forze dell’ordine. Poi si è scontrato con l’ostracismo del questore e alla fine ha gridato alla "notte cilena" e ha chiesto, al suo rientro in Germania, l’immediata istituzione di una commissione d’inchiesta internazionale sui fatti di Genova. "La Mitteleuropa deve mostrare cosa significano democrazia e libertà", ha dichiarato al quotidiano berlinese Tageszeitung.
Alla domanda su cosa abbia visto a Genova Stroebele risponde: "Ho visitato due ospedali, il carcere di Vercelli e la scuola Diaz. Quello che ho visto e sentito e inaudito. Tra i feriti negli ospedali ce n’erano alcuni gravi. Un ragazzo berlinese di 21 anni, ad esempio, ferito alla testa la notte dell’irruzione alla scuola Diaz. Lo avevano operato d’urgenza e gli avevano asportato un enorme ematoma alla testa. Questo ragazzo non aveva contatti con nessuno da tre giorni ed era sorvegliato a vista da due poliziotti, come un pericoloso criminale.