29 LUGLIO
LA
GLOBALIZZAZIONE IN PIAZZA.
A Genova, sabato 21 Luglio, ho visto con i miei occhi migliaia di persone
(forse 300.000 si dirà poi) sfilare per chilometri e ore sotto la canicola
estiva di città, formando un corteo del tutto pacifico che fra canti, slogan e
giochi in maschera testimoniava in maniera oggettivamente non violenta un
dissenso radicale alla globalizzazione neo-liberista. Non era affatto scontato
che tanta gente riuscisse a trovare il coraggio di rivendicare il diritto a
manifestare il proprio pensiero, dato il clima di tensione che era stato
appositamente predisposto nelle giornate precedenti. Alla stazione di Brindisi,
venerdì sera, prima di partire, c’è stato chi non se l’è sentita di
salire sul treno ed io stesso non dimenticherò mai la paura tagliente che per
tutto il viaggio non mi ha dato tregua, al ricordo delle immagini dei disordini
che la televisione già andava mostrando e al pensiero della fine orribile del
giovane manifestante ammazzato.
A Genova ho visto un serpentone variegato nei colori e nelle culture, forse più
consapevole, quindi più orgoglioso anche rispetto al recente passato, della
ricchezza che questa pluralità di sensibilità ed espressioni rappresenta al
fine di raggiungere, servendosi di strumenti esclusivamente non violenti,
l’obiettivo unitario preposto: il conseguimento di un mondo più giusto ed
equo.
Ho visto, pure, un manipolo di qualche decina di vandali, i cosiddetti
"black block", compiere la loro opera dissennata di distruzione. Lo
facevano però, sostanzialmente indisturbati dalla polizia e completamente al di
fuori (culturalmente e fisicamente) dal corteo pacifico dei 300.000 del Genoa
Social Forum. Un delirio di devastazione fine a se stessa da ripudiare
moralmente prima ancora di contestarne una qualche efficacia, utile solo a
fornire facili strumenti a chi persegue la strategia mediatica di delegittimare
tutto il movimento.
Non ho visto invece arrivare, quando ero a centinaia di metri dal punto in cui i
"neri" mettevano a fuoco negozi, automobili e cassonetti, la carica
insensata e immotivata che le forze dell’ordine hanno voluto condurre sul
corteo pacifico attaccando di sorpresa, anche dalle stradine laterali, proprio
nel punto dove mi trovavo con gli amici di Mesagne. E’ stata un’azione di
una violenza cieca e brutale, fatta di insulti, sputi in faccia, manganellate in
testa e lanci di lacrimogeni ad altezza d’uomo.
Lì abbiamo rischiato di essere, e per pochi interminabili, drammatici secondi
lo siamo davvero stati, schiacciati e soffocati dalla folla che spingeva nel
panico per trovare un varco che non poteva crearsi nell’intasamento del lungo
mare, mentre i lacrimogeni, lanciati a decine dalle camionette della polizia che
irrompevano nel corteo e dall’elicottero che a bassa quota volteggiava sulle
nostre teste, precipitavano tra la folla terrorizzata ferendo gravemente
chiunque ne venisse colpito.
Lì hai la percezione di essere ad un passo dalla fine. Quando sopraffatto dalla
ressa non scorgi vie di fuga, quando il fumo denso e amaro dei lacrimogeni ti
impedisce di respirare e tenere gli occhi aperti provocandoti bruciore ovunque e
continui conati di vomito, se non ti arrendi lasciandoti vincere dalla
disperazione allora ti lasci condurre dall’istinto di sopravvivenza, proprio
quello che in quei frangenti terribili mi ha preso per i capelli, mi ha
strappato dalla morte e mi ha portato fuori dalla mischia.
Altri, tanti, sono stati meno fortunati: le immagini dei feriti con la testa
spaccata e ricoperti di sangue, il fatto che mentre scrivo vi siano ancora
decine di dispersi, le angoscianti testimonianze delle violenze fisiche e
psicologiche subite in carcere da chi è stato arrestato senza ragione (come
confermano le immediate scarcerazioni di quasi tutti i fermati) interrogano le
coscienze di ognuno.
Ai pochissimi interessati alla mia testimonianza, magari confusi da una
informazione televisiva mai così mistificatoria, dico che a Genova era lampante
come i "black block" non siano un gruppo violento ma minoritario del
movimento antiglobalizzazione: semplicemente non ne fanno parte. Questi vandali
mascherati di nero, che qualcuno chiama anarchici e che sono stati sorpresi più
volte (da sguardi, videocamere e macchine fotografiche) a confabulare
confidenzialmente con la stessa polizia, avevano come intralcio alla loro furia
devastatrice solo lacrimogeni lanciati a distanza mentre il corteo pacifico è
stato caricato, e caricato duramente, ben lontano dal luogo in cui avvenivano le
loro scorribande. Una versione questa che certo può turbare ma che viene
corroborata da foto e video oltre che dalle testimonianze dirette delle migliaia
di manifestanti ed autorevoli giornalisti malcapitati nel bel mezzo
dell’aggressione.
Oggi so, per averlo sperimentato, cosa vuol dire aver paura di morire. Meglio,
di essere uccisi. Oggi conosco di che sa l’umiliazione che si prova ad essere
sopraffatti da una violenza selvaggia ed arrogante, un’aggressione gratuita e
spietata, senza alcuna giustificazione né motivo se non quello di ferire a
morte tutto il movimento di protesta all’ordine costituito.
Nulla di nuovo dunque. Il processo di globalizzazione neo-liberista che si
realizza mediante l’oppressione e lo sfruttamento dei deboli, che produce
ingiustizie, prevaricazioni e divaricazioni sociali, in piazza non può operare
se non attraverso la repressione brutale del dissenso. Eppure, a pochissime ore
dai fatti che hanno segnato le coscienze di molti e forse la storia
contemporanea di questo paese, il dissenso antiliberista ha già dimostrato
l’inefficacia di tale reazione rispondendo con imponenti manifestazioni nelle
piazze di tutta Italia.
Nessuna sorpresa allora. Solo, oggi capisco meglio che intendeva Umberto Eco
durante la scorsa campagna elettorale quando paventava l’instaurazione di un
regime di fatto.
Mi vengono in mente alcuni versi di De Gregori. Dicono del perché Genova dovrà
essere ricordata: "la storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo
noi, questo prato di aghi sotto il cielo, la storia siamo noi attenzione,
nessuno si senta escluso. La storia siamo noi."
Graziano Santoro, Mesagne (BN)
Da un reduce del ’68 e di Genova
Ho cinquant’anni e ne ho impiegati quasi venti a cercare di convincermi
che quando vedevo un poliziotto o un carabiniere questo fosse al servizio del
cittadino, per proteggerlo e aiutarlo. Dopo i fatti di Genova ho aggiunto alla
mia istintiva diffidenza anche la Guardia di Finanza, visto il particolare
accanimento con cui i suoi uomini si sono scatenati sabato 21 luglio su gente
inerme che stava manifestando. Avevo deciso di andare a Genova perché ritengo
giuste le idee e le rivendicazioni portate avanti dal movimento e anche per
cercare di capire cosa ci fosse di nuovo al suo interno. Dopo la morte di Carlo
Giuliani ho avuto un motivo ancora più importante per partecipare.
La prima cosa che mi ha colpito sabato è stata trovare molte persone che hanno
avuto l’estremo coraggio e dignità di venire da sole, senza avere nessun
altro riferimento che la semplice struttura che aveva organizzato i pulman.
Questo significa che il movimento ha molte anime e che, aldilà della politica
ci sono il libero pensiero e la capacità del singolo di capire e osservare i
fatti, indipendentemente da un’ideologia. Proprio per comprendere cosa sia
successo a Genova e cosa succederà poi, credo sia necessario che le cose vadano
guardate in faccia e chiamate con il loro nome senza più scomodare politici e
mezzibusti televisivi affaccendati a seguire la moda del politically correct.
Perché di corretto a Genova c’è stato ben poco. Innanzitutto le forze
dell’ordine, ho dovuto amaramente constatare un vecchio fatto: lo sbirro è
sbirro e, come un po’ brutalmente si diceva, è anche servo dei padroni. Non
voglio insultare nessuno né rispolverare passati slogan (anche se tutto quello
che ho visto, sia personalmente sia in televisione, parecchia rabbia addosso me
l’ha messa), ma semplicemente spiegare alcune cose. La prima è che per il
governo bisognava difendere a ogni costo il G8, non solo fisicamente ma
soprattutto mediaticamente e quindi, dopo il grande successo pacifico del corteo
dei migranti, si rischiava che la piazza si contrapponesse con sempre maggiore
imponenza nei giorni successivi. La seconda, strettamente collegata alla prima,
è che bisognava mettere addosso alla gente una gran paura e farle passare la
voglia di portare avanti ogni forma di dissenso.
E’ qui che le forze dell’ordine vengono ad avere un ruolo strategico come
strumento repressivo. Dopo anni di frustrazioni e di violenti scontri agli stadi
sono stati lasciati liberi di scatenarsi con la promessa di una totale
copertura. A testimoniarlo è uno dei pochi poliziotti che ha avuto il coraggio
di raccontare di colleghi che gioivano per le teste che avevano potuto spaccare
e del fatto che "finalmente ci fosse un governo che ci dà libertà di
agire". Molti tra i fermati testimoniano che tra quelli che li hanno
picchiati c’erano dei veri e propri fascisti (come definire altrimenti chi
sulla segreteria del proprio telefonino ha registrato "faccetta nera"
o inneggiava a Pinochet e all’odio razziale verso negri ed ebrei?). Inoltre
avete mai provato a stare sotto il sole per ore con un casco in testa e per
giunta con una maschera antigas sulla faccia? Se qualche giudice, sportivo e
non, si prendesse la briga di fare l’antidoping a questi signori troverebbe più
sostanze dopanti e anfetamine che in certi idoli del ciclismo nostrano. Quando
poi sostengo che sono "servi dei padroni" intendo dire che sono al
servizio di un padrone e non dello stato democratico di cui fanno parte. Questo
vale soprattutto per i loro superiori, i quali hanno storicamente imparato che i
governi cambiano ma che gli sbirri restano. Solo che per i più ambiziosi di
loro il problema è mantenere le poltrone conquistate. De Gennaro ne è un buon
esempio, dopo aver solertemente servito il governo precedente (vedi i pestaggi
di Napoli), ha pensato bene di ingraziarsi quello nuovo e gli ha regalato il
blitz alla scuola Diaz. Poi con una bella faccia tosta si è fatto intervistare
da Mentana per rassicurare tutti sul fatto che i suoi uomini sono stati
attaccati e che non hanno potuto fare altro che difendersi. Peccato che per i 93
massacrati alla scuola Diaz la procura di Genova abbia già disposto la
scarcerazione, quindi i tanto temuti black bloc non c’erano. Già i cattivi, i
famigerati black bloc, spauracchio e alibi un po’ per tutti. Loro non mi
interessano, sono lupi solitari, troppo facilmente clonabili da chi ha interesse
a fomentare disordini e a giustificare cariche e pestaggi di gente inerme Di chi
invece bisogna parlare sono le diverse centinaia di giovani che, con o senza i
black bloc, gli scontri in piazza li hanno fatti o subiti, tentando di scaricare
tutta la rabbia che da tempo si portano dentro.
Quelli come Carlo Giuliani a cui questa società ha negato un futuro e a cui il
presente non aveva concesso nulla. Tutti, politici in testa, dovrebbero
occuparsi di loro e non considerarli degli "inconvenienti" umiliandone
la memoria con falsi cordogli. Anche se nel modo sbagliato loro esprimono
l’emarginazione e le forti contraddizioni che questa realtà globalizzata
produce ovunque. Mai come questa volta ho visto padri doversi preoccupare per i
propri figli, un sindacalista ha pianto il corpo martoriato del figlio, un
giornalista ha scritto del volto sfregiato del suo e quale versione dei fatti,
come padre, darà il capo della polizia De Gennaro al proprio figlio che, in
quell’inferno creato dai suoi uomini, c’era perché stava facendo delle
riprese per una televisione privata e avrà avuto modo di vedere direttamente
quello che è successo? Non si può risolvere tutto dicendo che sono solo dei
violenti e che quindi vanno condannati e possibilmente eliminati come ha provato
a fare questo governo di destra. Attenzione, se nessuno si occupa di loro e si
pensa solo a reprimere e aumentare il livello dello scontro, qualche cattivo
maestro pronto a intervenire ci sarà di sicuro. Dove pensate che reclutassero i
loro fiancheggiatori le BR? E cosa pensate che stesse facendo a Genova il
misterioso personaggio arrestato qualche giorno prima del vertice? Tutti hanno
la memoria corta o fanno finta di nulla o peggio sanno bene dove vogliono andare
a parare. Durante gli anni di piombo Berlusconi era troppo impegnato a giocare
con le scatole cinesi delle sue società off shore, Fini a non farsi azzoppare e
Bossi a prendere il diploma per corrispondenza.
E’ molto pericoloso mettere le sorti di una nazione in mano a gente che vuole
mostrare i muscoli ma che non si rende conto a quale gioco stia giocando.
Purtroppo di nuovo c’è solo un grande movimento fatto di gente orgogliosa
delle proprie idee ma che non sa ancora bene cosa fare e dove andare, tutto il
resto è vecchio. Vecchio e pericoloso questo ottuso rigurgito fascista, vecchia
e incapace l’opposizione istituzionale. Hanno discusso per giorni sui problemi
del mondo, facendo finta di volerli risolvere, ma non si accorgono che
lentamente l’esercito dei derelitti, dei dannati della terra si è messo in
marcia e prima o poi verrà a presentare il suo conto.
Saluti comunisti
Carlo Straccia
Dal Forum delle donne di Rifondazione comunista del Lodigiano
Accolgo l'invito del Paese delle Donne e scrivo di me a Genova, non solo per
raccontare il trauma che tutte e tutti abbiamo vissuto, ma piuttosto e in via
prioritaria per dire dei nuovi contenuti che mi sono stati proposti e di quanto
l'ascolto di essi mi abbia dato.
Sono stata a Genova due volte nella settimana dal 16 al 21 luglio, il 17 ed il
21. Il 17 sono partita da Casalpusterlengo, dove abito,per raggiungere le
compagne di Milano, Lidia Cirillo, Rosa Calderazzi, Carmen . Poi è arrivata Cecè,
insieme ad un'altra compagna che parlava in inglese, grande, rotonda, bionda e
riccia, ricordava nelle sue forme le statuette della Dea del Neolitico che ho
visto in Puglia, in Calabria ed a Creta. Mi hanno detto che è americana, del
Quebec.- E' Starhawck? -ho chiesto, sì era lei. Mi ero decisa a partire e
tornare in giornata proprio per sentire lei che conoscevo per i suoi interventi
su Marea, da Seattle in poi; mi aveva affascinata per il suo modo di raccontare
il movimento, per la straordinaria capacità di fare appello a tutte le energie
più segrete e nascoste delle donne, per il suo riferimento ad un sapere
femminile antico, per l'esperienza dell'organizzazione in piccoli gruppi, in
collegamento tra loro per proteggere meglio le donne e gli uomini che
manifestavano pacificamente dagli attacchi della polizia.
Avevo anche provato a proporre questo modello di difesa dagli attacchi delle
forze del "disordine", alla Rete Lodigiana contro il G8 alla quale
partecipo insieme ad altre donne della Marcia Mondiale delle donne del
Lodigiano, senza ottenere una seria discussione sulla questione, quando ci si
perdeva sulla questione della violenza all'interno del movimento e non si
prendeva in considerazione la possibilità della violenza esercitata sul
movimento da parte delle forze della repressione. L'ammirazione per lei,
Starhawck, mi ha portata istintivamente ad abbracciarla e baciarla, a chiederle
dei suoi libri, in italiano e in inglese, ci ha portate tutte, quelle che si
trovavano sul treno, ad ascoltarla come donna autorevole e combattente di
prestigio che ha subito arresti e repressione per aver manifestato pacificamente
contro i potenti della terra. Alla conferenza stampa, poco dopo l'arrivo a
Genova, la forza della sua persona ha permeato il Social Forum di contenuti e
simboli femminili potenti, l'intensità delle parole e del gesto invitavano alla
rivolta tutte le donne presenti, ma anche gli uomini ne erano catturati.
Abbiamo fatto la "Danza della spirale", la spirale simbolo dell'acqua
nell'antica religione della Dea, simbolo della vita, del serpente che viene
dalla terra e della sua saggezza primordiale, avrebbe dovuto respingere tutte le
energie negative e, di contro, esaltare ed intensificare le nostre energie
positive: "Sì se puede", abbiamo cantato, cercando come lei ci
indicava, di visualizzare il mondo come lo avremmo voluto. La visione che mi si
presentava agli occhi della mente è stata un gruppo di bambini che ridono, non
riuscivo a vedere altro. Ogni nostro desiderio, secondo questa concezione del
mondo, può essere rappresentato con simboli potenti, da noi scelti,
utilizzabili in un rito, nel quale la forza di ciò in cui crediamo può
permettere la sua realizzazione. La forza collettiva del rito del manifestare
contro coloro che non si preoccupano di affamare il mondo, di ridurlo in macerie
di guerra e di devastazione ambientale, avrebbe dovuto dare corpo ad una energia
positiva così potente da impedire il successo del G8. Starhawck parlava
dell'importanza dell'essere unite ed uniti, della necessità di non dividere il
movimento se volevamo che vincesse, dell'importanza delle relazioni politiche
per tenere insieme esperienze diverse, non contrapposte, per impedire che
diversità di vedute o beghe di potere impediscano il costituirsi ed il
concentrarsi della forza verso l'obiettivo comune prioritario. E parlava del
rito dei potenti della terra che, in faccia alla distruzione di intere
popolazioni e di intere aree geografiche, mettono periodicamente in scena il
loro strapotere, con l'aggiunta, a Genova, dell'ipocrisia dell'elemosina e del
buonismo cattolicheggiante.
Se il rito dei potenti è fallito, e non per la forza dei nostri riti di
protesta ma per l'inconciliabilità degli interessi in campo, i nostri riti si
sono spezzati contro la terribilità dell'intervento della repressione, tanto più
grande quanto più grandi erano l'entità delle proteste ed il numero di
pacifici/pacifiche manifestanti. Già all'appuntamento di via Pisa, che ci
eravamo date come Marcia Mondiale delle Donne per la manifestazione del 21, la
presenza dei celerini aveva scompaginato i nostri programmi e ci aveva costretto
a spostarci prima dell'ora stabilita dato che si preparavano alle nostre spalle
in assetto di guerra. Abbiamo recuperato pezzi di noi cercando di sbandierare le
sagome delle donne con le nostre scritte ed i nostri striscioni ma molte non
sono mai riuscite a raggiungerci. Procedevamo piano, fotografandoci e
lasciandoci fotografare, man mano si aggiungevano a noi donne e uomini in cerca
di uno spezzone sicuro della manifestazione, infatti giungevano continuamente
voci di scontri in atto, prima in coda al corteo poi in testa. Sui lati vedevamo
scorrere piccoli gruppi di "manifestanti" vestiti di nero e col volto
coperto (non più di tre o quattro alla volta). La televisione messicana ci ha
intervistate chiedendoci cosa ne pensavamo come Marcia degli eventi del giorno
prima e della morte del giovane Carlo. Dissi che ritenevo le forze dell'ordine e
lo Stato italiano responsabili di quella morte, che contro un movimento pacifico
erano state create le condizioni per un'esplosione di tensione e di violenza che
non potevano che condurre morte e distruzione. Avevo già ipotizzato la presenza
di reparti speciali di guastatori di professione, non lo dissi perch
non ne avevo ancora nessuna prova. Ci eravamo fatte una specie di cordone per
impedire che entrassero nel nostro spezzone. Che ingenuità! I reparti speciali
erano pronti da tempo e non avevano bisogno di manifestanti "violenti"
come scusa per intervenire.
All'incrocio di viale Italia con via Zara il fumo nero all'altezza di piazza
Kennedy mi fece venire l'angoscia che i compagni del Lodigiano con i quali ero
arrivata fossero in mezzo agli scontri. Eravamo ferme, non riuscivo a telefonare
al mio compagno, un elicottero stazionava minaccioso sulle nostre teste
impedendoci di ascoltarci senza alzare la voce. Forse sarebbe stato il momento
giusto per il rito di Starhawck, percepivo il pericolo ma non sapevo come
gestire le mie sensazioni. La compagna Valeria Belli di Roma si offrì di
accompagnarmi per vedere cosa stava succedendo più avanti. Andammo e non
trovammo i compagni nè le compagne che, dopo i fatti del giorno prima, avevano
preferito restare con loro anzicchè venire dietro lo striscione della Marcia.
Adesso le comprendevo, mentre sentivo crescere in me l'angoscia per il mio
compagno e per le altre e gli altri. Non arrivammo a piazza Kennedy, ci fecero
deviare prima con lancio di lacrimogeni. Io e Valeria siamo riuscite a correre
con il primo troncone della manifestazione, sempre alla ricerca degli altri
lodigiani che avevamo superato senza accorgercene proprio correndo nella curva,
come ho capito dopo.
Da quel momento si avanzava abbastanza tranquillamente, nonostante ogni tanto
arrivassero lacrimogeni dalle strade laterali. Commovente il popolo di Genova
che ci accoglieva, ci accudiva con acqua, biscotti e panini, ci salutava e ci
sono stati momenti in cui mi sono sentita il cuore pieno di gioia. Dopo che
abbiamo superato il sottopassaggio del ponte ci hanno detto che ci avevano
imbottigliati e che era impossibile tornare indietro, non avremmo più potuto
ritornare alle nostre compagne.
Cominciai ad inviare messaggi SMS al mio compagno per vedere cosa fare per
raggiungerlo, erano salvi, si dirigevano ai pullman. Intanto Valeria telefonava
al suo compagno che era nello spezzone dietro la marcia e seppe che tutta quella
parte del corteo era stata caricata atrocemente a freddo. Correndo lungo tutta
la manifestazione ne ho visto la potenza e capisco la sua pericolosità per
coloro che voleva contrastare proprio perchè pacifica e diversificata. Per
questo è stata scompaginata con mezzi di tipo militare e con il tentativo di
screditarne i contenuti, oscurandoli attraverso la violenza gratuita,
organizzata ad arte e spettacolarizzata egregiamente dai media.
Valeria Savoca
La mia esperienza è poca cosa
Dopo aver visto e letto quello che è accaduto ad altri a Genova e nelle
caserme, in fondo la mia esperienza è poca cosa, posso dire che in fondo mi e'
andata bene, ma vorrei comunque raccontarla.
Siamo partiti venerdi' notte, io e un gruppetto di amici e colleghi, con il
treno speciale di Rifondazione, dopo che una società di trasporti di Roma ha
disdetto il pulman della Lilliput con cui avremmo dovuto viaggiare... (troppo
pericoloso accompagnarci, anche fuori dalla citta': il pulman costa 130
milioni!!)
Con ancora negli occhi le tragiche immagini di Carlo Giuliani ucciso dallo Stato
Italiano - il nostro stesso datore di lavoro - siamo andati a Genova intimoriti
dalle notizie che arrivavano ma convinti che restare a casa non sarebbe stato
giusto: dovevamo essere in tantissimi a sfilare per le vie della citta', per
dare un segnale forte, contro il chiaro tentativo di criminalizzare il movimento
anti G8, facendolo passare per un gruppetto di scalmanati devastatori (il
segnale che cercavano di dare i Ds annullando la loro partecipazione ufficiale
al corteo qual'era, forse nella confusione mi e' sfuggito...) All'arrivo il
cuore ti si riempiva di emozione nel vedere che nonostante tutto le persone
erano scese in piazza...tante, tantissime. La parte sana del paese c'era tutta,
a prescindere dalle adesioni ufficiali!
Anche i cittadini di Genova sembravano aver capito l'importanza di esserci, e
aiutavano il corteo lungo il percorso assolato con getti d'acqua e riempiendo
bottiglie... nonostante il tentativo di criminalizzare tutto il movimento e
nonostante gli atti di vandalismo subiti, hanno compreso che chi sfilava sotto
le loro finestre era venuto in pace, a reclamare giustizia, a chiedere ai
potenti e allo stato italiano una globalizzazione dei diritti oltre che
economica! ma qui sembra che i diritti vogliano ridurli anche a chi li ha
conquistati in passato, figuriamoci quanto i potenti del G8 vogliano concederli
a chi non ne ha mai avuti!!
La parte di corteo in cui eravamo e' arrivato pacificamente fino a Corso Italia,
sul lungo mare: qualche attimo di tensione c'e' stato solo davanti ad una
caserma, sotto cui e' risuonato ovviamente il grido di "assassini"
indirizzato alla polizia schierata a distanza in assetto da guerra, ma a parte
questo piccolo scontro verbale il corteo ha proseguito tranquillo.
Camminando ho notato pero' che le strade laterali era tutte presidiate da
schieramenti imponenti della polizia, e quando il corteo si è fermato a pochi
metri da Piazzale Kennedy ci siamo tutti resi conto che eravamo in trappola.
Dalla radio iniziavano ad arrivare notizie di scontri sia nella testa che nella
coda del corteo, sul mio cellulare arrivavano messaggi da casa del tipo "Ho
visto in televisione che vi stanno aspettando a Piazzale Kennedy, cercate di non
arrivarci". Ma era troppo tardi per gli avvertimenti: da un lato il mare,
dall'altro un muro di 20 metri, avanti e dietro la polizia...cosi' abbiamo
aspettato fermi e con le mani alzate insieme ai compagni della federazione
romana, quelli di Pisa, quelli di Bologna, i Cobas, i famosi
"anarchici", presunti responsabili dei disordini, che in realta' erano
fisicamente al nostro fianco con le loro bandiere rosse e nere (beati loro:
hanno il dono dell'ubiquita'!!), la Fiom e a tanti altri ancora: gente comune,
anziani e giovani donne accaldate...In televisione ho sentito poi dire che il
corteo era stato spezzato in due perche' diertro erano rimasti "solo i
cattivi", cioe' gli autonomi e gli anarchici: NON E' VERO!
Ricordo persone con la pettorina gialla del GsF che passavano lungo il corteo
dicendoci di mantenere la calma, di gridare "Pace" e di tenere le mani
alzate, ma poi in due secondi il finimondo: i lacrimogeni sono piovuti dall'alto
della collinetta alla nostra destra, lanciati senza nessuna ragione su un corteo
di persone inermi, incapaci anche solo di vedere in faccia chi ci sparava a
dosso e perche'...
Una nuvola fetida ha ucciso la liberta' di manifestare a Genova: gli occhi pieni
di lacrime, le mucose del naso e della gola gonfie ed un senso di sconfitta e di
smarrimento: in che paese sono? non e' possibile che stia accadendo davvero, che
cosa abbiamo fatto? da qui non abbiamo visto neanche l'ombra degli scontri,
perche' i lacrimogeni?
Non dimentichero' mai quell'odore acre e disgustoso e quella rabbia che ti sale
dentro quando ti rendi conto che stanno cercando di buttare in pasto alla
polizia e ai media addomesticati la liberta' di questo paese... era il mio primo
corteo di grandi dimensioni, ma non sara' l'ultimo: non impediranno con il
terrore alla gente di esprimere il proprio dissenso.
Tania Cappadozzi
Trecentomila circondati ed aggrediti
Cari amici e compagni,
giunto a Genova Sabato 21 ho partecipato ad un corteo che per molte ore si è
snodato pacificamente per le vie della città.
Vi era la consapevolezza di essere tantissimi, tant'è che molte sono state le
pause lungo i viali per attendere che la gente defluisse.
I pochi genovesi rimasti in città perlopiù applaudivano al nostro passaggio o
ci davano dell'acqua necessaria per sopportare il gran caldo. Prima di
immmeterci in corso Italia una chiesa ci aveva salutato suonando le campane ed
esponendo striscioni che recitavano in tantissime lingue "cancella il
debito". Le notizie che arrivavano da Radio Gap erano che il corteo era
lunghissimo, pacifico e festoso. Ad un certo punto, su corso Italia siamo stati
bloccati; alla radio parlavano di scontri imprivvisi scoppiati in luogo nel
quale il corteo non avrebbe dovuto neanche passare, ed allora tra rabbia e
sconcerto ci si chiedeva: 1) da dove erano saltati fuori questi violenti, 2)
perché non venivano bloccati e isolati dato che lo schieramento di "forze
dell'ordine" era immenso, 3) che significato strategico aveva bloccare un
corteo pacifico che marciava in zone dove nulla era accaduto.
Mentre ci si domandava ciò, il mio spezzone di corteo era bloccato davanti ad
una caserma di carabinieri, i quali guardavano tranquilli, quello che invece
inquietava noi è che accanto a persone in divisa, sulle terrazze della caserma,
si vedevano strani figuri in maglietta nera, jeans e bandana... che ci facevano,
chi erano?
Dopo quasi mezz'ora il corteo ripartiva, faceva poche centinaia di metri e
veniva bloccato nuovamente. Allora mi sono portato su una terrazza laterale e ho
potuto osservare che il corteo era stato spezzato e bloccato da un imponente e
mai visto schieramento di uomini e mezzi. Tra la nuova testa del corteo,
assolutamente pacifica, e le forze di polizia agivano pochi violenti che
avrebbero potuto essere bloccati facilmente. E' qui invece che comincia una
tattica criminale da parte delle "forze dell'ordine ", che cominciano
a sparare una selva di lacrimogeni contro il corteo; allora rientro nel corteo
convinto che se avessimo mostrato le nostre intenzioni pacifiche si sarebbero
fermati. Rientrato nel corteo io ed altri invitiamo tutti ad alzare le mani, a
gridare pace e poco dopo addirittura viene accolta l'idea di un sit in a mani
alzate. Le forze dell'ordine vedono tutto ciò in quanto due o tre elicotteri
continuano a sorvolare a bassa quota. Nonostante ciò inizia verso le 16 e 20,
penso, inizia l'inferno: un attacco efferato a un corteo di trecentomila persone
inermi che sfilano in percorso autorizzato. Una cosa mai vista, un'azione degna
delle più feroci dittature.
Al primo attacco, decidiamo di arretrare ma dato che l'attacco viene portato
anche da dietro, la calca che si crea rischia di far capitare una tragedia stile
Heysel. Per fortuna alcune persone riescono a defluire in qualche vietta
laterale. Successivamente, squadroni sbucano da vie laterali e forse dalla
spiaggia e sparando lacrimogeni ad altezza d'uomo cominciano a picchiare
selvaggiamente manifestanti inermi di tutte le età. Lo spezzone di corteo ove
mi trovavo viene attaccato da reparti della Guardia di Finanza. Anch'io prendo
un paio di bastonante, ma riesco fortunatamente a proteggermi la testa e un
limone mi salva da una intossicazione. Pur continuando a gridare pace, con le
mani alzate vengo insultato da spaventose voci metalliche :"cane, bastardo
comunista, adesso ve la faremo pagare!". Poco distante vedo gente
sanguinante, insultata, nuovamente picchiata ed arrestata senza motivo. Vedo
questi picchiatori alzare la maschera antigas per sputare sulla gente a terra,
vedo altri prendere bandiere dei partiti, dei sindacati, delle associazioni, del
volontariato e stracciarle.
Mentre vedo ciò provo un infinita rabbia e vorrei in qualche modo aiutare
quella gente umiliata offesa e picchiata, ma capisco anche l'impotenza di non
poterlo fare perché controllato a vista da violenti persecutori armati fino ai
denti; per la mia compagna e per me decido di obbedire, di arretrare a mani
alzate, l'unico gesto che mi concedo è quello di chinarmi per raccogliere una
bandiera del mio partito.
Ciò che ho vissuto ed ho cercato di descrivervi e tanto grave perché non è
stata l'azione di qualche singolo impazzito, ma un'azione di repressione
violenta coordinata che ha visto in campo tre corpi delle forze dell'ordine :
Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza; questa azione e le altre sono state
volute ai massimi livelli da politici e dirigenti che disprezzano la democrazia
e i diritti dell'uomo e che sono i veri colpevoli. La foga con cui hanno agito
in quei giorni i picchiatori dellle forze coinvolte ci dice chiaramente che
sapevano di potere e dovere fare una repressione che forse nella storia della
pur travagliata Repubblica italiana, per sfacciataggine non ha paragoni. Poco
dopo l'aggressione ho telefonato ad una radio libera dicendo oggi ho visto
iniziare praticamente una nuova era fascista.
Un invito a tutti parlate e vigilare perché sia fatta piena giustizia ...
Ora e sempre RESISTENZA.
Luigi Carosso
Lettera aperta alle forze dell'ordine
Cari robottini,
io non vi odio.
Mi ci devo sforzare ma ce la faccio.
Siete troppi, migliaia, ed anche se tutti assomigliate, con diverse sfumature,
ai poliziotti delle avventure di Nathan Never (in alcuni casi soltanto per
l'equipaggiamento, adatto per una guerra già guerreggiata), in ogni caso siete
esseri umani, tutti, quindi necessariamente non identici, anche se
"disciplinati".
E in quanto esseri umani, io non vi potrei mai aggredire. Al massimo, se
possibile, difendermi.
Il 20 luglio, a Genova, per la prima volta in vita mia, sono stato cosciente, in
modo assolutamente cristallino, di non essere nelle condizioni di influire, se
non in parte infinitesima, sulla integrità delle mie ossa, del mio viso, dei
miei amici, dei miei oggetti.
La violenza psicologica di massa che è stata esercitata sistematicamente a
Genova è il risvolto meno cruento dei fatti tragici avvenuti nei 2 giorni in
cui gli 8 nani "hanno cominciato a risolvere gli inconvenienti del
pianeta". Migliaia di persone "normali" vivono in uno stato di
disagio determinato dalla miriade di esperienze, vissute in un intervallo fuori
dal fluire normale del tempo, tutte accomunate dal terrore, dall'angoscia e
dalla rabbia, tutte gravate dal rovesciamento acclarato e innegabile
dell'assioma di fondo della democrazia reale (non realizzata) italiana, l'unica
occidentale che non è mai riuscita a cambiare davvero le proprie forze
dell'ordine, a democratizzarle integralmente e senza compromessi. Io, come tante
persone, come la maggioranza schiacciante, preponderante, delle persone che
c'erano, che appartengono o apparterranno presto alla galassia di associazioni e
gruppi che formano il c.d. "movimento", ho timore (che è molto
diverso dal rispettare) degli uomini e delle donne che indossano una divisa.
Ho paura per me (e non che mi vengano a prelevare a casa o altro del genere,
ma...alla prossima manifestazione, spero non ci sia contrapposizione muscolare:
potrebbe essere solo peggio di quanto già non sia), ho paura per le persone che
conosco, e, soprattutto, temo la replica (già iniziata, per chi non se ne fosse
ancora accorto) di un film che in Italia abbiamo già visto troppe volte.
Spero che chi appartiene ai diversi corpi di polizia dello Stato (e a Genova
c'erano tutti, massicciamente rappresentati e abbastanza omogenei) non sia
ancora una volta lo strumento (non poche volte considerato sacrificabile da chi
governa...la storia italiana è chiara) della repressione, violenta o latente,
dell'enorme e naturale e, questa volta come non mai, insopprimibile voglia di
cambiamento.
Spero che la parte "democratica" alzi la testa, faccia ciò che deve
fare chiunque abbia un cervello pensante ed il coraggio di lottare per le
proprie idee, mai come in questo caso basilari, fino a ieri, per molti
cittadini, scontate.
E non con denunce, più o meno coperte, ai giornali, ma partecipando, come è
necessario per chi abbia la dignità di cittadino italiano che serve il suo
Stato, al tentativo (in ogni caso, ultra accidentato e pericolante) di
modificare una realtà aberrante e assolutamente spregevole come è stata quella
che per la prima volta ho sperimentato il 20 luglio.
Firma da non pubblicare
non cosi'
IL MINISTRO SORRIDE
STRINGE BRAVO LE MANI
GIA' ME LO VEDO
AL TIGIUNO
OH MINISTRO,MIO CARO
TU SI' CHE SEI
UN POLIZIOTTO
BUONO AD ARTE
MA QUI CI SONO
QUELLI CATTIVI
SOLO VEDIAMO
STRETTI, DEI PUGNI
MINISTRO SORRIDI
QUI OGGI SI CORRE
LUNGO UNA VITA
COME D'UN URLO
SORRIDI MINISTRO
QUI OGGI SI CREPA
mario panzarino
A CHE (CHI) E’ SERVITA LA POLIZIA A GENOVA?
Siamo arrivati a Genova venerdì 20 luglio alle ore 15.00. Siamo arrivati
con il nostro piccolo camper, noi due con i nostri due figli. Superata senza
nessun controllo la barriera di entrata, ci siamo ritrovati tutti soli dentro la
zona gialla: strade vuote, case deserte. Percorrendo Corso Italia, stavamo per
arrivare al centro accoglienza del Genoa Social Forum, quando ci siamo imbattuti
in una manifestazione che avanzava in senso contrario: un po’ meno di un
centinaio di persone, immerse in una leggera nuvola di polvere. Intuito che non
era un gruppo ‘normale’, sfiorando i primi manifestanti, abbiamo dirottato
su una laterale a destra, per riprendere, due traverse più avanti, di nuovo
Corso Italia, decisi a raggiungere la nostra meta. Impensabile. Corso Italia,
che prima percorrevamo veloci godendoci la veduta sul mare, non era più lui. Le
vetrine erano sfondate, c’erano fotocopiatrici rotte in mezzo alla strada e
perfino calcinacci. Avanzammo ancora due - trecento metri, facendo lo slalom fra
i cassonetti rovesciati e i vetri per terra, finché ci trovammo la strada
sbarrata da una cinquantina di poliziotti in assetto di guerra. A questo punto
abbiamo dovuto procedere a piedi. Mia moglie e mia figlia passarono la barriera
dei poliziotti senza difficoltà. Io e mio figlio chiedemmo di passare con il
camper, per parcheggiarlo su un posto più tranquillo. Ci fu negato il permesso
sia di spostare il camper, sia anche, seppure per un po’, di passare a piedi.
Superata finalmente la barriera dei poliziotti, sbrigate le nostre pratiche al
centro di accoglienza e saputo che il posto per dormire per noi era nella zona
Nervi, risuperammo, questa volta facilmente, il blocco dei poliziotti, ora
intenti a mangiarsi un panino, e riprendemmo a ritroso, con il camper, il Corso
Italia.
Nel frattempo (circa mezz’ora) cosa aveva fatto l’orda dei barbari? Aveva
semplicemente percorso, in tutta tranquillità, Corso Italia, devastando tutto
quello che incontrava. Tutta la strada percorsa con serenità prima, era ora un
caos di vetri, cassonetti, auto infrante.
Tre chilometri dopo, all’altezza dell’incrocio con Via Pisa, siamo stati di
nuovo bloccati: a sirene spiegate, arrivarono i poliziotti dei panini.
Era finalmente scoccata l’ora prevista di fermare i vandali?
Leopoldo Rebellato e Maria Nichele
Cittadella 24 luglio 2001
I finti BlacK Bloc
Io sono un ragazzo di Roma e vedendo e rivedendo le immagini delle
devastazioni di Genova in televisione mi sono accorto che molti dei cosidetti
"black bloc" che hanno devastato i negozi e le automobili (obbiettivi
che gli anarchici e il blak bloc, in particolare, non attaccano quasi mai) hanno
i tratti tipici, le pettinature, la gestualità e l'abbigliamento delle stesse
persone che frequentano lo stadio olimpico di Roma. Anzi se si analizzano le
immagini delle devastazioni del dopo partita di napoli/roma credo che qualcuno
possa essere identificato. E con l'occasione punterei l'obbiettivo della
telecamera anche in curva Nord....
Non è un segreto che a Roma c'è un bel rapporto tra gli ambienti delle
tifoserie di destra e certi ministeri....
Vorrei che si ponesse per un attimo l'accento sull'abbigliamento di certi black
bloc: ci sono alcuni che di nero hanno solo un passamontagna... altri che sono
coperti in volto da una specie di panno bianco... altri che indossano magliette
nere di note marche in voga tra il "fascio" romano.
Inoltre, rubando una frase dal film Carlito's Way - "ci sono facce che non
vanno d'accordo con certe divise" - riferendosi ad una faccia da mafioso
che indossa una divisa da poliziotto. Ci sono facce nelle immagini di genova che
"stonano" con la Sinistra, figuriamoci con gli anarchici e con il
Black Bloc.
Io sono cresciuto con questa gente... ci sono andato a scuola e sfortunatamente
mi abitano accanto. So come ragionano e come vestono... e posso dirvi che a
Genova molto probabilmente c'erano anche loro.
Il Black Bloc è un'altra cosa, c'è uno spirito guida e un codice morale che lo
anima.
Sono precisi e meticolosi nell'agire e nel vestire, definire quei teppisti
disorganizzati "black bloc" è un errore. Volete vedere dei veri black
bloc? Guardate le immagini di Goteborg... sono tutti rigorosamente vestiti con
tute nere e bandana rossa in viso, e le facce degli arrestati mostrano piercing
e tagli di capelli tipici degli ambienti anarchici. A Goteborg non è stato
toccato un negozio, solo banche e multinazionali. Il vero Black Bloc è quello
che sfila nei cortei con le bandiere nere e i tamburi... annunciando la sua
presenza. Altra differenza fondamentale... è il Black Bloc ad attirare o
spingere la Polizia dove vuole, non il contrario. In molti paesi europei ci sono
Black Bloc, anche in spagna e nel nord italia, non è vero che da noi non
esistono: a Genova le "guide" dei Black Bloc stranieri erano
genovesi... e sono stati loro a segnalare vie, scorciatoie, punti di raduno, e
luoghi fuori Genova dove accamparsi.
Grazie dell'attenzione.
R.B.
La carica ai 200.000
Venerdì 20 luglio- Con uno dei quattro pullman delle Rdb provenienti
da Bologna arrivo a Genova alle dieci di mattina dal versante di Ponente, per
partecipare alla manifestazione dei sindacati autonomi. Ci sono gruppi da tutta
Europa oltre a rappresentanze anarchiche con striscioni neri e bianchi, il
corteo si è mosso tranquillo lungo il percorso stabilito. Qualche tensione solo
alla fine: giunti al limite dell’itinerario stabilito, si voleva provare a
"contrattare" qualche altro metro, uno degli organizzatori lo dice da
un megafono. Intanto ci si ferma sullo spartiacque della catena umana dei
lavoratori stretti in prima fila, presi per mano lungo il fronte del corteo. A
pochi metri, in assetto da guerra vicino ai cellulari, i carabinieri non
indietreggiano. Nel frattempo in pochi istanti gruppetti di gente vestita di
nero che non avevo notato prima si coagulano in un grosso raggruppamento uno di
fianco all'altro, tutti uniti comunicano visibilmente tra di loro. Sono dietro
il cordone dei sindacati. Uomini di mezza età, operai si guardano indietro e a
ridosso delle loro spalle vedono questa macchia nera armata fino ai denti: sono
tutti col volto coperto e con grosse spranghe belle in mostra, fisici atletici,
allenati e scattanti. Il cordone non molla, non ci pensano neanche i lavoratori
a farli passare. Non mi rendo conto subito, un enorme compagno appena conosciuto
con elmetto e bandana mi afferra e mi dice: vieni torniamo indietro, questi
stronzi vogliono rovinare tutto. Il cordone ferreo rimane lì, si inverte la
marcia e in pochissimo tempo si rifà il percorso a ritroso. La lucidità
lungimirante di chi è abituato da anni a scendere in piazza li ha isolati e
bloccati. Il gruppo di black desiste e in parte si dilegua per le vie laterali,
attaccare significherebbe passare sui corpi dei lavoratori che li identificano
subito come nemici e non ci pensano neanche a farli andare oltre la linea
segnata dalle loro braccia.
Allo stadio Carlini sono accampati alcuni amici da qualche giorno, decido di
restare a Genova e di raggiungerli. Verso le 17.30 saluto gli altri di rientro
per Bologna e mi metto in cammino: direzione Piazzale Kennedy. Solo più tardi
scopro che da via Cantore, in cui mi trovo, la distanza è interminabile. Tento
di verificare le indicazioni da seguire nell’immediato, fermo un signore, gli
metto fretta, mi dice che il posto è lontano e che da quelle parti hanno
ammazzato un manifestante. L'umore cambia, la solitudine appesantisce i bagagli.
Faccio per attraversare, in procinto di imboccare una strada sulla sinistra che
mi è stata appena indicata quando sfrecciano quattro camionette dell'esercito,
la prima mi sfiora e frena, mi stava investendo. Non reagisco e proseguo, il
cammino è troppo in salita. Mi guardo intorno in cerca di una soluzione che mi
possa far spostare in fretta. Intanto mi chiamano gli amici: un filo di voce,
sono nella piazza dell’omicidio, dicono che è la guerra e che se non arrivo
il prima possibile si sposteranno, ci sono scontri. Chiedo un passaggio: si
ferma un signore di Genova, può accompagnarmi per un pezzo. Appena salita in
macchina, mi lascia il suo numero di telefono e mi dice che abita con moglie e
figlia, se ho bisogno per me e per i miei amici può darci da mangiare e da
dormire…Mi parla dell'esperienza che ha avuto con le forze dell'ordine durante
i "preparativi" per il g8. Collabora con le guardie forestali da 23
anni, racconta, un giorno ha notato un incendio nella periferia della città e
come ha sempre fatto in questi casi è accorso a spegnerlo: arriva la polizia,
lo blocca, gli chiede cosa sta facendo, lo identifica, gli sequestra attrezzi da
lavoro che normalmente usa; lui reagisce: arresto e condanna a tre mesi con la
condizionale, è incensurato… "Sto dalla vostra, sono dei pazzi
criminali".
Lo ringrazio e poi mi affianco poi a fortuiti compagni di percorso. Tutti quelli
a cui chiediamo indicazioni esprimono giudizi, fino al grido: "Non andate
che vi ammazzano!" Più avanti un semaforo è messo al contrario poggiato
al muro; tra le auto bruciate, anche un cellulare dei carabinieri incenerito,
piazzato al centro di una strada, per terra cartelloni divelti con enormi basi
di cemento attaccate ai pali di sostegno…
Una ragazza sola, seduta su un muretto singhiozza, mi avvicino, è inglese e
parla pochissimo l’italiano. Alla domanda se sta bene dice "Ma perché
bisogna arrivare a tanto, non è possibile", Le sue parole meritano
silenzio, la mia risposta è guardare i suoi occhi chiari rossissimi bagnati dal
terrore…. Resta lì, inconsolabile, accenna a un sorriso quando la salutiamo.
Ancora chilometri e ambulanze, finalmente la galleria di Brignole, la
oltrepassiamo, continuiamo tra barricate e transenne in fila indiana. Poi ci
dividiamo senza salutarci. Sono nei pressi di piazza Alimonia, c’è una
strettoia sulla sinistra creata da cellulari e carabinieri così bardati da
sembrare robot; solo quel varco per passare, agitata li sfioro senza guardarli.
Strani rifiuti urbani rivelano una lotta impari…ogni tanto una scarpa, uno
zaino semiaperto, gusci di lacrimogeni, vetri, armature fatte coi tappetini di
gomma…qualche manifestante torna a recuperare scudi persi nella battaglia
urbana.
Poi, la piazza dell'omicidio: odore acre, fiori rossi coprono il tracciato e il
sangue sull'asfalto. Incontro i miei amici, distrutti, continuiamo insieme per
lo stadio Carlini. Là un dibattito accesissimo si protrae fino alle quattro di
mattina.
Sabato, ore 14: imponente manifestazione dei due o trecentomila, la gente
affacciata alle finestre esprime gratitudine e solidarietà. Percorro tutto il
corteo fino ad arrivare all’altezza di via Torino, più avanti si alza una
colonna di fumo altissima, si intravede Piazzale Kennedy. La situazione è tesa,
l'arrivo e il passaggio dei black distrugge e scompiglia, si impegnano poco
distante a sventrare banche, anche un tabacchi, si ha paura di fermarli … è
un tessersi di traiettorie di molotov, lacrimogeni, sampietrini. Più avanti
cariche della polizia, ci si precipita dal lato mare oltre la strada a tre
corsie per mettersi in salvo. Chi è riuscito a scavalcare ostacoli e i si è
buttato lungo la costa.
Lì rimaniamo in trappola per circa due ore e mezza, lo spazio si restringe
sempre più, le forze dell’ordine sembra vogliano incastrarci nell'imbuto di
stabilimenti balneari provvisti di alte recinzioni di ferro. I black incendiano
tutto ciò che trovano sul loro cammino, continuando spietati ad appiccare il
fuoco anche sulla poca superficie vitale a disposizione dei manifestanti, lungo
la costa; urliamo di smetterla e scappano, mentre mucchi di roba non meglio
identificata ha già preso fuoco. L’ "intrappolamento" vede la
polizia dal mare coi gommoni, dall’alto un nugolo di elicotteri assordanti e
cariche e lacrimogeni da terra; alcuni manifestanti li afferrano in fretta e li
lanciano lontano. A un certo punto le braccia di molti si alzano verso il mare,
verso il cielo, qualcuno chiede aiuto alla polizia, la risposta è data a più
riprese a mezzo di cariche e di lacrimogeni sputati anche dagli elicotteri, in
un ventaglio di scie ne ho visti cinque lanciati in contemporanea sopra di noi,
non c’è più terra dove stare. La folla si accalca e si ferisce, molti sono
pressati contro le sbarre di ferro come di una prigione, ci sono anche signore
di mezza età. Cercando a malapena di tenere la calma si riesce poi a piegare la
robusta recinzione e a trovare una via di fuga aiutandosi a passare. Il ritorno
si snoda per le vie laterali, ovunque presidiate.
Verso le 20 rientro al Carlini, preparativi per la partenza, poi autobus diretto
a Brignole; arrivo in stazione alle 22. Ordini e contrordini ufficiosi e
ufficiali, altoparlanti annunciano poi smentiscono arrivi e partenze, saliamo su
un treno che sembra essere quello giusto invece poi ci precipitiamo a scendere.
Nell'attesa qualcuno è all’ascolto di Radio città del Capo: dalla diretta
apprendiamo dell'aggressione e dei pestaggi in atto al centro stampa del Gsf.
Dalla stazione si vedono processioni veloci di ambulanze illuminare le vie
deserte. Un esponente di Rifondazione dice a voce bassa che la cosa più urgente
è andarsene da Genova facendo il meno casino possibile, perché se fossimo
tornati in piazza o andati dove stava succedendo il ("brillante" è
stato definito da Fede) bliz "cileno" saremmo stati in pericolo tutti,
per questo motivo si cerca in stazione di non far circolare molto la notizia.
Tra di noi si trovano anche feriti che non sono andati al pronto soccorso per
evitare il filo diretto con il fermo (una ragazza colpita alla testa da un
lacrimogeno, fasciata alla meglio aspetta con noi l'ora incognita della
partenza).
Tanta la rabbia, ho chiesto in un ufficio ferroviario quando sarebbe partito il
treno, mi hanno risposto vagamente che se perdevano tempo con spiegazioni non
potevano organizzarlo, ho fatto osservare non proprio gentile che eravamo
ammassati lì da ore infreddoliti e senza niente da mangiare. Mi hanno risposto
che loro non ci potevano fare niente e che il treno per Bologna sarebbe partito
di sicuro all'1 e 30, binario ufo. E' partito invece verso le quattro di notte,
mentre la nostra attesa e il loro massacro si consumavano senza fretta.
Silvana Fracasso
TESTIMONIANZA G8 SABATO
Salve, volevo darvi la mia testimonianza relativa alla giornata di Sabato 21
Luglio, anche se non ho visto nessuna scena violenta, spero comunque possa
servire.
Io (Alessandro Costetti di Reggio Emilia) ed il mio amico Franco ( Malvezzi di
Fiorenzuola - PC- , entrambi 35enni, siamo partiti con le nostre moto sabato
mattina da Perugia, dove eravamo in campeggio per seguire Umbria Jazz, e siamo
usciti dall'autostrada a Nervi intorno alle 14.00 di sabato. Appena fuori dal
casello una pattuglia della polizia aveva fermato un furgoncino, mentre noi
siamo passati senza che ci degnassero di un'occhiata, anche se avevamo entrambi
tre bauli, e Franco aveva pure una brandina di quelle smontabili coi tubi di
metallo legata tra la sella e il bauletto.
Usciti dallo svincolo autostradale abbiamo imboccato la strada statale che porta
a Genova, seguendo le indicazioni per il centro e per l'Acquario. Dopo un po'
abbiamo iniziato ad incontrare, fermi in fila sulla destra, una decina di
autoblindo della polizia, apparentemente tranquilli. Proseguendo abbiamo visto
sulla sinistra un esercito di vigili urbani, poi una serie infinita di pullman
parcheggiati sul fianco della strada. Avevo ricevuto via SMS indicazioni dalla
mia ragazza, Greta, già nel corteo insieme all'Arci di RE, di raggiungere via
Cavallotti, dove avrei potuto incontrare lei e gli altri amici. Quando ho
ritenuto di essere abbastanza vicino al centro ho chiesto indicazioni ad un
altro motociclista su come raggiungere la via suddetta, che molto gentilmente mi
sono state date: "alla prima strada a sinistra in cui è possibile, svolta
e procedi verso il mare". La strada su cui eravamo era percorsa solo da
alcuni motociclisti e scooteristi, e qua e là c'erano poche persone a piedi a
piccoli gruppi, presumibilmente manifestanti. Abbiamo svoltato a sinistra, e
dopo poche centinaia di metri, con nostra grande sorpresa, ci siamo trovati di
fronte ... il corteo che ci veniva incontro. Eravamo ( ho saputo dopo ) su viale
Torino, e ci siamo arrivati senza che nessun agente di polizia o vigile o anche
un cartello ci avesse avvisato che stavamo entrando nella zona della
manifestazione. Il traffico era regolarmente aperto e chiunque poteva
trasportare qualsiasi cosa fin dentro al corteo senza problemi.
A questo punto abbiamo parcheggiato le nostre moto in una via laterale a destra
verso il centro ( via Ruspoli o qualcosa del genere ) e siamo tornati
sull'incrocio a guardare il passaggio della testa del corteo, in attesa di
incontrare i nostri amici. Erano circa le 14.30. Dopo circa 15 minuti il corteo
sembrava finito, e visto che non sapevo nè dov'ero nè che percorso facevano i
nostri amici ho pensato che forse non stavamo guardando il corteo giusto. Invece
dopo altri 10 minuti circa hanno ricominciato a passare persone, e dopo poco,
grazie anche a qualche scambio di SMS ( le chiamate normali non funzionavano )
ho incontrato gli amici dell'Arci di RE. Erano abbastanza sconvolti ed un po'
impauriti, dalla tensione e da scontri che avevano intravisto all'incrocio con
il lungomare. Greta era distrutta, ho cercato di calmarla un po', io che ero
ancora tranquillo. Ci siamo uniti a loro ed abbiamo percorso viale Torino e
corso Venezia fino a piazza Ferraris. Lungo il percorso i manifestanti ballavano
e cantavano, il clima sembrava molto pacifico e festante, i Genovesi dalle
finestre buttavano bottiglie d'acqua o innaffiavano con secchi e gomme i
manifestanti, ricevendo applausi da tutti. Siamo arrivati a piazza Ferraris,
siamo rimasti fermi lì circa mezz'ora, poi, avendo intuito che avevamo
parcheggiato in una zona "calda", abbiamo deciso di andare a
recuperare le moto per andarcene. Anche Greta ha salutato gli amici ed è
partita con noi. Da una radiolina che mi ero portato ho sentito di scontri nel
tunnel che avevamo percorso per arrivare alla piazza. Abbiamo quindi deciso di
aggirare l'ostacolo, salendo una scala a fianco della piazza, e seguendo una
strada alternativa; abbiamo chiesto indicazioni a diversi Genovesi che molto
gentilmente ci hanno indicato strade alternative. In una di queste abbiamo
incontrato ancora persone che scappavano nel senso opposto, allora abbiamo
allargato ulteriormente il giro. Abbiamo attraversato la ferrovia su di un ponte
dove molte persone andavano in senso opposto per cercare di raggiungere,
attraverso le stesse vie "traverse" fatte da noi, piazza Ferraris:
erano stati tagliati fuori dalla chiusura del tunnel e non avevano potuto
compiere il percorso completo del corteo. Abbiamo poi chiesto ancora indicazioni
ad alcuni agenti di Polizia in divisa tradizionale, che molto gentilmente ci
hanno aiutati. Nel percorso abbiamo incontrato macchine, negozi e cassonetti
bruciati, anche se tutto sembrava ormai finito, gli incendi sembravano del
giorno prima. Erano le 17.30 circa. Le moto erano integre, con mia sorpresa ho
trovato un biglietto che mi diceva: hai lasciato la chiave, passa nel mio
negozio a prenderla. Sono andato, il negozio era chiuso, ma ho telefonato e una
persona gentilissima mi ha aperto e restituito la chiave, che avevo dimenticato
sulla moto dalla fretta di raggiungere il corteo, e che lui aveva pensato di
mettere al sicuro. Con qualche difficoltà siamo riusciti ad uscire dalla città,
in alcuni casi passando in mezzo a strade piene di gente a piedi che si
allontanava dal centro. A pochi chilometri di distanza sembrava un altro mondo:
la gente in spiaggia, negozi aperti, il traffico del mare della domenica. Siamo
andati in spiaggia a fare il bagno, tra famiglie rumorose e ragazzini festanti.
Greta, che aveva fatto l'andata al mattino col pullman dell'Arci, partito da
Reggio alle 6.00, si è sdraiata sulla sabbia e si è addormentata. Mi aveva
appena detto: "ho bisogno di piangere." Da almeno 15 anni ( ne ha 31 )
partecipa a manifestazioni, molte per la pace, in tutta Italia. Per tutta la
sera ha ripetuto questa frase : "Non ho mai avuto tanta paura.". E non
avevamo visto niente ...
Sperando possa in qualche modo esservi utile, vi saluto.
Alessandro Costetti
NOBORDER-NONATION
ARTE E CULTURA come mezzi di riattivazione di un intelligenza collettiva
La ‘Publix Theatre caravan’ è un progetto artistico-culturale di
informazione , scambio di esperienze, documentazione e sensibilizzazione che
vuole portare nelle strade e in altri spazi pubblici degli spettacoli teatrali e
interagire con i cittadini affrontando in modo creativo e artistico temi
fondamentali nella nostra societa’ come l'ambiente, la libera circolazione dei
corpi e delle culture e la diversita' culturale .
La carovana è organizzata nel quadro delle iniziative della rete europea
Noborder da un gruppo facente parte della piattaforma "Per un mondo senza
razzismo"di Vienna.
Modi di azione
- Partecipazione a festival e manifestazioni pubbliche in forma di eventi
culturali ( teatro di strada, sound-systems, programmi radio,...)
- Campagna itinerante di sensibilizzazione con volantini, infoshops, video,
letture, documenti,...
- Documentazione sulle attività ( video, musica, pagine internet, rete)
La partecipazione dei Noborders a Genova il 17-18-19 di luglio è inserita in un
più ampio tour dei teatranti nella regione Liguria. Infatti, il gruppo è stato
invitato dal Comune di LaSpezia a partecipare al Festival artistico ‘Cultura e
diversita’il 14 e 16 luglio. Dopo l’evento pubblico di La Spezia i
performers si sono esibiti anche in eventi culturali nella citta’ di Genova
durante il vertice dei G8.
Le loro performances prevedono l'uso di attrezzi e strumenti atti a costruire
strutture teatrali mobili e oggetti che vengono usati per spettacoli circensi o
performance pirotecniche.
Il 22 luglio i NoBorders, terminati i loro interventi teatrali sono partiti da
Genova nei furgoni della ‘Publix theatre caravan’ ma sono stati fermati per
strada dalla polizia e portati in questura.
Le accuse non sono ancora confermate ma attraverso i telegiornali abbiamo visto
i loro oggetti e strumenti di lavoro esposti sul tavolo della questura e
ritenuti oggetti da sequestrare perche’ possibili oggetti contundenti usati in
modo violento durante le manifestazioni. Noi abbiamo dei filmati che documentano
i loro spettacoli mostrando l’uso creativo, culturale e non-violento che in
Noborder fanno dei propri attrezzi e che provano la presenza dei Noborder il 20
di luglio all’interno del blocco ‘pink’ mentre partecipano ad un corteo
creativo e pacifico.
Non c’e nessuna ragione o spiegazione per i loro arresto tranne il tentativo
di far passare per criminali violenti artisti di strada che contribuiscono
attraverso il loro lavoro artistico -culturale alla riattivazione di un
intelligenza e sensibilita’ collettiva e che dovrebbero essere presi come
esempio di una ricerca verso forme di espressione creativa e nuovi linguaggi
comunicativi.
Muoviamo quindi un appello agli intellettuali, artisti, teatranti , politici e
avvocati perche’ esprimino solidarieta’ con il gruppo teatrale domandando
l’immediato rilascio dei 25 performers (tra cui anche un membro del
performance group GradoZero e un attivista della ONG A Seed Europe) che al
momento si trovano nelle prigioni di Voghera e Alessandria in misura cautelare.
I Noborders , come molti altri sono vittime di un tentativo dello Stato di
omologazione culturale e criminalizzazione delle diversita’ espressive e delle
forme di comunicazione libera e indipendente.
La mia testimonianza
Vi prego di leggere e far circolare questo brevissimo messaggio che altro
non vuole essere che la mia personale testimonianza durante le giornate di
manifestazione contro il vertice dei g8 (spero siate gia' informati su tutti i
fatti gravissimi successi in questi giorni che la maggior parte dei media
ignora). Ancora non riesco a credere a quello che ho subito e visto subire,
sembra irreale a me, figuriamoci a quelli che non c'erano. E' stato tremendo:
ancora, come tanti altri, non mi sono ripresa completamente, anche se sono stata
molto piu' fortunata di molti.
Ho avuto una paura tremenda, specie dalla giornata di venerdi'. Stavamo cercando
di raggiungere il centro di smistamento del forum e ci siamo ritrovati nel bel
mezzo di un attacco delle forze "dell'ordine": per prima cosa abbiamo
visto individui vestiti di nero (solo dopo abbiamo sentito parlare dei
cosiddetti black block, che prima di venerdi non si erano fatti vedere) che,
indisturbati, spaccavano e incendiavano ogni cosa; allora cisiamo messi a
correre via, ma a noi si affiancavano questi neri, che si muovevano con una
sicurezza quasi militare, e dietro la polizia che sferrava manganellate
indiscriminatamente, su chiunque si trovasse nei paraggi (eccetto i neri), su
vecchietti/e, donne (chiamate troie tra un calcio e una manganellata), gente che
si trovava li per caso, tutti inermi.
Eravamo accecati e soffocati dai lacrimogeni (solo dopo ci hanno detto che erano
urticanti e molto piu' forti di quelli usati finora), avevo un bruciore
insopportabile e non riuscivo a capire dove stessi andando, finche'
miracolosamente siamo riusciti a raggiungere un posto "sicuro". Da
quel momento la sensazione (chiaramente motivata) era quella di non essere al
sicuro in nessun posto. Per fortuna sono riuscita a scapparmene via sabato sera
(sarei voluta venir via prima ma era impossibile muoversi) e ad arrivare a
torino, proprio mentre stavano irrompendo e massacrando tutti al centro stampa
della scuola Diaz (uno dei fatti piu' gravi ).
Non riesco ancora a capacitarmi di essere stata in una situazione del genere, ci
penso costantemente e ho gli incubi.
Non dobbiamo farci influenzare dalla tv e dalla stampa di quelli che comandano,
mi sembra chiaro che sia veramente a rischio la liberta' di tutti, la
democrazia; non e' esagerato paragonare la situazione al sudamerica, o parlare
di stato di polizia (molti si sono sentiti dire da membri delle forze
dell'ordine, che usavano la violenza indiscriminatamente perfino su preti ,
suore, medici e avvocati del genoa social forum, cose come "adesso abbiamo
mano libera stronzi/comunisti di merda" ecc ecc). E' poi chiaro ormai che i
neri non solo siano fascistoidi ecc strumentalizzati dalle forze dell'ordine ma
che tra essi ci siano infiltrati (polizia, servizi segreti anche stranieri e
quant'altro). Non dimentichiamoci poi dei "desaparecidos" (circa una
ventina). Grazie per aver letto questa testimonianza .
Heather Jones.
UNA STORIA GENOVESE: LA PATTUGLIA PERDUTA
Venerdì 20 Luglio. Genova. Il concentramento per il corteo-sit in della
rete Lilliput e delle varie realtà non violente e previsto a piazza Manin verso
le 11. La piazza è gremita di gente. Osservandola da un punto sopraelevato si
notano le moltitudini di colori che la compongono: ci sono i pacifisti, con le
loro magliette bianche, che si stanno dipingendo le mani dello stesso colore, e
poco più in là i Verdi con accanto i Pink Block, ragazzi in prevalenza inglesi
e tedeschi, vestiti di rosa che cantano e ballano come forsennati.
Ma scendendo nella piazza l’emozione è ancora più forte, si vede una cosa
che, chi scrive, non aveva mai visto in un corteo. Ci sono dei bambini che
giocano a rincorrersi tra le gambe degli adulti, e altri ancora più piccoli che
stanno in braccio alle loro mamme.
Verso le 13 il corteo si forma e imbocca Via Assaroti, l’obbiettivo e quello
di arrivare di fronte ad una delle tante cancellate che chiudono la zona rossa
per appendervi striscioni e volantini di protesta. Tutto procede nel migliore
dei modi, il corteo avanza in modo tranquillo. Quando giunge quasi a
destinazione si scorgono i primi poliziotti, si tratta per lo più di giovani
che non superano i 25 anni, comandati da un ufficiale con la faccia da padre di
famiglia. Dopo una breve trattativa i manifestanti ottengono il permesso per
avvicinarsi alla grande gabbia di protezione, che in men che non si dica è
tutta ricoperta di volantini e striscioni.
All’interno del corteo vivono però due linee politiche: c’è chi pensa che
manifestare davanti ad una cancellata che non ha la funzione di ingresso alla
zona rossa non sia incisivo, quindi una parte dei manifestanti si sposta a
piazza Marsala, adiacente a Via Assaroti, dove invece si trova uno degli accessi
alla zona proibita. Il tutto si svolge con molta serenità, la gente si accalca
vicino alla nuova gabbia e inizia ad urlare slogan anti G8. Una ragazza tenta di
arrampicarsi sulla rete per mettere dei fiori, ed è a quel punto che la
tensione si alza improvvisamente: dall’altra parte della barricata parte un
getto d’acqua che colpisce in pieno la manifestante, alcuni ragazzi corrono
per sorreggerla mentre il resto del sit-in le urla: "resisti, resisti".
Tutto sembra favorire e sottolineare la determinazione dei manifestanti, ma è
chiaro che la polizia non intende fermarsi lì. Infatti dopo pochi secondi
partono i primi lacrimogeni, un ragazzo con i capelli rasta se ne ritrova uno in
mezzo ai piedi e lo guarda incredulo, intorno scoppia il caos: la gente fugge
terrorizzata, mentre il comandante della polizia (quello con la faccia da padre
di famiglia) da ordini perentori ai suoi uomini, che indossano maschere antigas
e a loro volta iniziano a bombardare i contestatori con piccoli candelotti. Il
tutto dura non più di due, tre minuti.
Poi la polizia sembra calmarsi, i manifestanti cercano di ricomporsi per
ricominciare l’assedio; ma non appena la piccola piazza è nuovamente gremita
di gente parte un secondo lancio di lacrimogeni, e poi un terzo ed un quarto. A
quel punto il piccolo sit-in è totalmente smembrato.
Con un gruppo di ragazzi ci ritroviamo in uno dei tanti vicoli di Genova.; c’è
chi urla contro la polizia e chi è talmente intossicato dai lacrimogeni da non
riuscire neppure a tenersi in piedi. Qualcuno tenta con i telefonini cellulari
di raggiungere gli amici smarriti durante la fuga, ed è così che veniamo a
sapere che un gruppo di anarchici, i così detti Black Block, si sta dirigendo
verso piazza Manin.
La decisione non è semplice. Cosa fare? Restare a piazza Marsala dove la
tensione sembra ormai rientrata? O dirigersi verso piazza Manin per presidiarla?
Con i ragazzi del vicolo decidiamo che è più corretta la seconda opzione e
torniamo indietro risalendo Via Assaroti.
Arrivati nella piazza troviamo un folto cordone dei pacifisti che con le mani
alzate urla: "non violenza, non violenza". Dopo pochi secondi
da una delle vie sbuca un orda di tute nere che devasta tutto al suo passaggio
con lancio di sassi e bastonate contro le vetrine, I Blacks vanno diritti verso
i pacifisti, ma vengono fermati: quello è un corteo non violento e la loro
presenza lì non è gradita. I ragazzi con i bastoni si guardano in giro un
po’ smarriti, poi decidono che è meglio imboccare una piccola via laterale.
Ma la polizia dov’è? Eccola. La polizia sbuca dalla stessa via da dove sono
arrivate le tute nere, in perfetto assetto anti-sommossa. Si schiera di fronte
al cordone dei pacifisti: i due schieramenti si guardano per un attimo negli
occhi, dopo di che si sente un ordine dato con voce autoritaria che da il via ad
una violenta carica che travolge l’intera piazza.
Nuovamente una fuga, nuovamente urla disperate e lancio di lacrimogeni. Con dei
ragazzi fuggiamo su per delle scale cercando un rifugio, lo troviamo in un
piccolo giardinetto, dove probabilmente nelle serate tranquille vanno le
coppiette genovesi. Ora invece qui c’è gente disperata che non conosce la
città e che ancora non ha ben compreso che era appena iniziata la battaglia di
Genova.
Gli stessi bambini che prima correvano in piazza ora hanno gli occhi gonfi dai
lacrimogeni e nel loro sguardo si legge tutta l’assurdità del mondo degli
adulti.
Ci sono molte perplessità sul da farsi. Si passa circa tre quarti d’ora a
discutere come muoversi, poi si decide che la cosa migliore e dirigersi
nuovamente verso piazza Manin per vedere se ci sono altri gruppi dispersi.
Quando rientriamo nella piazza la troviamo ridotta ad un campo di battaglia, si
vedono grandi macchie di sangue sull’asfalto, vetrine in frantumi, una pompa
di benzina totalmente devastata ed ovunque sassi e bottiglie in frantumi. Il
bilancio e molto grave: ci sono 4 feriti ed un numero imprecisato di arrestati.
Il corteo è ormai frantumato, nella piazza resta solo uno sparuto gruppo di
pacifisti insieme ad un gruppo più consistente di ragazzi tedeschi ed inglesi
(i Pink Block). Tra i due gruppi hanno visioni diverse sul da farsi: i pacifisti
pensano che sia ancora necessario presidiare la piazza, mentre i Pink pensano
che sia necessario organizzare un corteo per raggiungere Piazzale Kennedy dove
il Genova Social Forum sta cercando di raggruppare i vari cortei sparsi per la
città.
Intanto radio G.A.P. da il resoconto di quello che sta succedendo in città: ci
sono scontri ovunque, la polizia sta caricando e arrestando chiunque si trovi
isolato, un corrispondente dice che si trova a piazza Alimonda e che c’è un
ragazzo a terra, ma non si capisce se è ferito o morto. Purtroppo più tardi si
saprà che quel ragazzo si chiamava Carlo Giuliani e che un carabiniere suo
coetaneo gli aveva sparato in faccia.
Con un gruppo di italiani decidiamo che la cosa migliore da fare e aderire alla
soluzione proposta dai Pink. Il problema e che nessuno conosce la città e non
si ha la minima idea di come arrivare giù al lungo mare. Coraggiosamente dei
ragazzi di Roma si propongono per guidare il corteo, dopo che un gruppo di tute
nere aveva chiesto il permesso, naturalmente negato, di aggregarsi al mini
corteo.
La gente si muove con perplessità, ma si è convinti che ormai il peggio sia
passato. Il primo ostacolo che troviamo è uno schieramento di uomini della
guardia di finanza messi a protezione dello stadio Marassi. Si decide, per non
farli innervosire, di mandare una delegazione che chieda il permesso di passare.
L’ufficiale nella divisa grigia dice che è possibile solo se il corteo si
divide in piccoli gruppi di massimo trenta persone. E’ un rischio, ma non c’è
altra possibilità: così sfiliamo in piccoli gruppi davanti allo schieramento
di polizia e ci ricompattiamo qualche metro più in là. Il corteo avanza lento
e compatto, ma ancora c’è allegria tra le persone che lo compongono.
Verso le 17:30 i cellulari di diverse persone iniziano a squillare, e arrivata
la notizia più triste e preoccupante della giornata. E’ ufficiale: Carlo
Giuliani è morto, non si sa ancora bene come, ma è morto.
Sul mini corteo, che fino a quel punto era rimasto abbastanza festante cala un
silenzio irreale, tutti sono presi dallo sdegno e da una sensazione di
impotenza; ma non ci si può fermare a riflettere sull’accaduto, bisogna
muoversi, ora e chiaro a tutti che il pericolo è veramente gravissimo.
Marciando in silenzio il corteo sbuca a piazza Giusti. La strada più veloce per
arrivare a piazzale Kennedy è seguire Corso Torino, ma in quella direzione c’è
un grosso sbarramento della polizia. Si opta per seguire la tattica usata in
precedenza. Una piccola delegazione va a parlare con un dirigente in borghese
con la fascia tricolore. Alla richiesta di far passare il corteo la risposta è
negativa, allora si domanda qual è la strada più sicura, quello risponde che
non lo sa perché ha la radio rotta, ma che pensa che seguendo Via Giacometti ci
sia qualche possibilità.
Chissà perché non ci fidiamo e decidiamo che e meglio mandare un staffetta a
dare un occhiata in quella direzione. La staffetta torna dopo qualche minuto,
dicendoci che a circa cento metri stanno infuriando degli scontriviolentissimi.
Qualcuno sbotta: "ma allora gli sbirri ci volevano mandare in bocca a gli
scontri!".
La confusione si impadronisce del corteo, non si vede una via di fuga, qualcuno
propone di sfondare il cordone di polizia, opzione subito scartata. Mentre si
discute sul da farsi un gruppo di camionette dei carabinieri corre verso di noi
a sirene spiegate, il grosso del corteo è ammassato su un lato della piazza,
mentre pochi singoli si trovano isolati al centro e sono proprio questi ad
essere puntati a settanta all’ora dagli autisti delle camionette che li
evitano all’ultimo momento con manovre spericolate, mentre altri carabinieri
urlano: "ora torniamo e vi facciamo un culo così".
La situazione si fa disperata, ora anche l’unica via di fuga è chiusa dai
carabinieri. Qualcuno pensa che forse il dialogo con l’arma possa portare a
qualche soluzione. Così si forma un’altra delegazione. La risposta dei
carabinieri alla richiesta di dialogo e semplice e concisa: "se vi
avvicinate vi carichiamo".
La paura è tanta, la carica sembra ormai imminente, i carabinieri con caschi
scudi e manganelli scalpitano, la gente quasi spontaneamente decide di sedersi a
terra ed urlare ancora una volta "non violenza, non violenza…".
Poi il miracolo. Il cordone di polizia che chiudeva via Torino sale sulle
camionette e schizza via a tutto gas. La via e libera il corteo in men che non
si dica si riforma e si avvia verso piazzale Kennedy. Il percorso non è molto
lungo ma ovunque si posi lo sguardo c’è solo distruzione.
Veniamo accolti a piazzale Kennedy da un lungo applauso, ci abbracciamo
dicendoci che ce l’abbiamo fatta. Ma non è finita. Non è finita perché un
ragazzo è stato ucciso. Non è finita perché l’indomani c’è un altro
corteo, che ora sappiamo essere stato ancora teatro di violenze e di cariche
indiscriminate della polizia. Ma questa è un'altra storia genovese.
Andrea Provvisionato
Richiesta di aiuto
Testimoni: cerco i giornalisti che hanno assistito al mio pestaggio...
Buongiorno, mi chiamo Delfino Gianluca e sono di Cuneo. Sto spedendo queste
e-mail per rintracciare i due giornalisti che nel giorno 20-07-01,intorno alle
ore 15.45-16.00, nei pressi di via Antiochia (zona della stazione Brignole) a
GENOVA hanno assistito al mio pestaggio con conseguente arresto.
Ricordo la loro indignazione e so che nulla avrebbero potuto fare, ma se ora
potessi rintracciarli sarebbe un grande aiuto, poiché potrebbero rappresentare
una testimonianza importante nel processo in cui sono imputato per resistenza e
violenza aggravata. Ero disarmato, senza protezioni, da solo e a mani alzate;
nonostante ciò il mio arresto è stato convalidato. Al momento indossavo dei
pantaloni beige corti fin sotto al ginocchio, una maglietta nike nera ed uno
zaino viola. Sono alto circa 1,75m e ho i capelli scuri, corti.
Chiedo a chiunque di aiutarmi a rintracciare questi due giornalisti, per non
dover subire ulteriori umiliazioni, oltre ai danni fisici e psicologici che già
ho dovuto sopportare durante l'arresto e nelle terribili ore in questura, nonchè
nei giorni passati in carcere ad Alessandria.
Chiunque fosse in grado di fornirmi informazioni utili la/lo prego di
contattarmi al numero 0171/402545 oppure tramite e-mail a: gianlucadelfino@hotmail.com.
Il mio indirizzo è: (Delfino Gianluca) via Dei Lerda n.17, Madonna delle
Grazie,Cuneo.
Grazie per l'interessamento. ...
Gianluca
Ragionamenti
a caldo (e a titolo personale) di un militante della Federazione Anarchica
Italiana
di Pietro Stara
Perché gli agenti di polizia non hanno sulla tuta un
codice identificativo?
Vorrei che giraste una domanda al Procuratore di Genova, al Capo della
Polizia, al Ministro dell' Interno ed al Ministro della Funzione Pubblica: perché
gli agenti di polizia non hanno sulla tuta un codice identificativo?
Ricordo che a Praga la polizia aveva sulle divise, bene in vista, un numero di
codice scritto in giallo sul blu notte delle divise, un codice breve, di sole
quattro cifre, e quindi facilmente memorizzabile, tant' é che io stesso ho
avuto modo di segnalare al Ministero dell'Interno della Repubblica Ceca il
comportamento scorretto dell'agente 2446 (un graduato) e di alcuni suoi
sottoposti nella stazione di Ceske Budejovice nei confronti di due ragazze che
stavano sul treno.
Mi sembra di ricordare anche che una direttiva del Ministero della Funzione
Pubblica di alcuni ani fa, peraltro largamente disapplicata, imponga a tutti i
pubblici dipendenti di portare un cartellino di identificazione: la direttiva
non vale per gli agenti delle varie polizie?
L'applicazione di tale direttiva non servirebbe ad identificare personalmente
gli autori degli abusi, ad evitare le "coperture"? Si tenga presente
che "coprire" le responsabilità delle "mele marce" non
giova all'immagine delle forze di polizia, getta discredito su istituzioni la
cui credibilità é già gravemente compromessa, e si ritorce in un danno
incalcolabile per i molti poliziotti onesti che svolgono correttamente il
proprio lavoro.
Si consideri infine che, se non vengono individuati, puniti ed espulsi i
colpevoli delle violenze si innesca un meccanismo di ritorsioni e reazioni a
catena che possono giungere a rendere ingovernabile qualsiasi manifestazione
pubblica, di qualsiasi natura.
Sono rimasto allibito di fronte alla proposta dell'On. Achille Occhetto,
riportata da "La Repubblica" per una legge sull'addestramento
democratico delle forze di polizia.
C'é bisogno di una legge per questo? Non basta la Costituzione ed il giuramento
di fedeltà alla stessa? Vi ringrazio dell'attenzione.
Efrem Fava
Riva del Garda
Agente in borghese:"andate via se no vi ammazzo!"
Sentite un po' cosa succede alla festa del vino di Pergola, piccolo comune
del pesarese.
Ma basta leggere i giornali? (Corriere Adriatico, Resto del Carlino) . No
sicuramente, perché quella sera del 28/07 non c'erano i giornalisti e non si può
scrivere un articolo (o meglio, un giornale) basandosi solo sulle testimonianze
calunniatrici dell' "arma".
Io ero uno dei, per loro 100/200 "cattivi", in realtà 30/35 ragazzi
che stavano continuando la festa suonando bonghi e ballando. Cinque carabinieri
da un lato osservavano silenziosi. Mi son chiesto come mai non vengono a dirci
che la festa è finita, che è ora di andare a casa (come poi riferiranno ai
giornalisti e come mi è sempre capitato di vedere a una festa del vino). Poi
qualcuno dice che c'è una telecamera...mi giro e in fondo al vicolo un losco
figuro che riprende, rivelatosi poi carabiniere in borghese a tre miei amici che
si sono avvicinati e si sono ritrovati una pistola puntata in faccia:
"andate via se no vi ammazzo" (dimenticando di mostrare il tesserino
di riconoscimento). Almeno le parole se le poteva risparmiare perchè una
pistola terrorizza già abbastanza e perchè si sa che sono cose che loro fanno.
Comunque il cameramen fugge (da cosa?..ah!..sa dove si sta dirigendo) e
ingenuamente i tre miei amici che gli ridevan dietro si ritrovano di fronte a
minimo dieci carabinieri in "assetto anti-sommossa" (uso le virgolette
perchè non so se per scarsità di dotazioni alcuni oltre all'attrezzatura
ordinaria anti-sommossa avevano manganelli improvvisati: bastoni con impugnatura
di nastro adesivo).
Logicamente il primo a prendere una bastonata é stato chi lo poteva sopportare
meno, un ragazzo di piccola costituzione con gravi problemi a una gamba per un
incidente che ha avuto anni fa. Crollato a terra proprio per quella gamba
l'abbiamo visto trascinare via nell'arresto, dopo che, solo arrivati a questo
punto, e cioè di fronte alla violenza gratuita delle forze dell'ordine é
iniziato un enorme lancio d'insulti e uno molto più contenuto di oggetti
(difficili per altro da trovare, perchè alla festa solo bicchieri di plastica).
Riassumendo: 5 arresti (fra cui 2 ragazzi che il giorno dopo sono andati a
chiedere notizie degli amici arrestati sul fatto) con l'accusa di resistenza
aggravata a pubblico ufficiale (e ancora nessuno a loro notizie);2 carabinieri
lievemente feriti; una festa uccisa dalle forze dell'ordine, basti vedere
l'atmosfera che c'era il secondo giorno con squadrette di 4/5 carabinieri
impettiti e pattuglianti che ricordano "il fatto" come dalle loro
bocche sorridenti l'ho sentito chiamare. Quel fatto l'opinione pubblica rischia
di non conoscerlo mai perchè quella sera c'eravamo solo noi e i carabinieri. Ho
paura che adesso non si possa più contestare pacificamente, senza trovarsi di
fronte a divise, caschi, manganelli, ma soprattutto teste che vogliono far
violenza e che si sentono autorizzate a farlo.
Giulia Toni, Marco Natale
Intervista a Christian Stroebele, deputato dei Verdi tedeschi
Dopo i primi disordini gravi, il deputato dei Grunen tedeschi Christian
Stroebele si è precipitato a Genova "in veste privata", ed è andato
alla ricerca dei tedeschi feriti, incarcerati, dispersi. Dai loro resoconti ha
dedotto "gravissime irregolarità" nel comportamento delle forze
dell’ordine. Poi si è scontrato con l’ostracismo del questore e alla fine
ha gridato alla "notte cilena" e ha chiesto, al suo rientro in
Germania, l’immediata istituzione di una commissione d’inchiesta
internazionale sui fatti di Genova. "La Mitteleuropa deve mostrare cosa
significano democrazia e libertà", ha dichiarato al quotidiano berlinese
Tageszeitung.
Alla domanda su cosa abbia visto a Genova Stroebele risponde: "Ho visitato
due ospedali, il carcere di Vercelli e la scuola Diaz. Quello che ho visto e
sentito e inaudito. Tra i feriti negli ospedali ce n’erano alcuni gravi. Un
ragazzo berlinese di 21 anni, ad esempio, ferito alla testa la notte
dell’irruzione alla scuola Diaz. Lo avevano operato d’urgenza e gli avevano
asportato un enorme ematoma alla testa. Questo ragazzo non aveva contatti con
nessuno da tre giorni ed era sorvegliato a vista da due poliziotti, come un
pericoloso criminale.