26 LUGLIO

Gsf (Genoa Song of Freedom)

Sono la tuta bianca
svestita per l'occasione, mescolata nel corteo
sono l'anarcopacifista criminalizzato senza colpa,
il militante senza partito, il volontario, il missionario e la suora,
l'ambientalista e il biocontadino, qualche partito e sindacato,
sono il lillipuziano contro il gigante,
sono il credente nel rito collettivo della strada di tutti,
sono lo striscione e le grida,
sono il sangue e le fratture, sono i computer spaccati,
sono l'acqua regalata dai balconi,
sono i volontari che hanno messo in piedi mille forum, e sedi, e docce,

sono il GSF, il Grande Sogno Fottuto
preso tra due fuochi
a urlare la mia rabbia, la mia impotenza
(le mie idee spacciate per violenza)

Sono lo spirito di Genova
Che vola alto, molto più alto dei vostri elicotteri
Più alto del fumo dei vostri lacrimogeni
Più alto delle botte dei vostri manganelli
Vedo le vostre polizie contro le nostre carni contro i nostri
respiri
ho visto tutto, e sono stanco di perdonarvi
di perdonare la vostra scienza tecnocriminale
la scienza della guerra contro la volontà di pace

sono il Grande Sogno che Faremo,
il sogno collettivo
di più generazioni
e dopo Genova Sogneremo più Forte

Mauro Ferrari
Piadena (CR)

2001, Genova, Italia
Alcuni amici mi hanno chiesto di raccontare. E' colpa loro se tutti voialtri ora avete la sfiga di beccarvi questa lettera aperta. Non fa niente se non avrete voglia o tempo di leggerla fino in fondo, ci sono casi in cui scrivere serve anche come valvola di sfogo e come modo per riordinare le idee: sono due esigenze che in questi giorni mi pulsano dentro all'impazzata, e che stiate leggendo o meno mi siete comunque preziosi come immaginari interlocutori.
Impossibile in realtà dar forma scritta alla rabbia, al dolore e all'incredulità per quanto vissuto a Genova. E quando devo esprimere qualcosa per cui mancano le parole, da prolisso divento interminabile. Ve lo dico alla quinta riga così ho la scusa per andare avanti per altre due o tremila.
Siamo andati, e abbiamo visto.
Abbiamo visto e ora dovremo esserne testimoni, mettere insieme tutto ciò che abbiamo vissuto, raccontarlo agli altri, farlo diventare un mezzo di pressione politica e di ricerca della verità. Abbiamo questo dovere.
Ma dobbiamo essere lucidi. Cerco allora un distacco dallo stato emotivo che mi porto dietro da Genova, e lo cerco nella storia.
Conoscete il nome di Giorgiana Masi, una ragazza di 22 anni che il 12 maggio del 1977, durante una manifestazione pacifica, venne uccisa da un colpo di pistola sparato da poliziotti travestiti da autonomi, uomini dei reparti speciali sguinzagliati dal ministro Cossiga per le strade di Roma. L'intento era quello di sempre: seminare panico e violenza facendone ricadere la responsabilità su presunte frange estreme di manifestanti e creando il clima giusto per una repressione generalizzata del corteo da parte delle forze dell'ordine, per annegare nel sangue e nello scontro di piazza un grande movimento nonviolento che aveva delle cose da dire ai potenti e ci stava riuscendo. E allora via con i finti autonomi a far casino da una parte, e con la polizia a caricare dall'altra. E i manifestanti nel mezzo a rimetterci le penne.
E' esattamente quello che abbiamo visto accadere a Genova.
Tanti hanno visto le bande dei black bloc far scoppiare gli scontri e poi riparare dietro le linee di polizia a riprendere fiato, protette dai blindati delle forze dell'ordine, ricevere armi e bastoni da misteriosi camion che solo con la complicità delle forze di polizia potevano entrare e circolare in una città blindata, li abbiamo visti spaccare vetrine e subito dopo parlare con funzionari delle forze dell'ordine per ricevere nuove direttive. Ci sono testimonianze di chi li ha visti nei giorni precedenti dentro le questure, confabulare con gli agenti parlando in tedesco e in inglese. Erano loro, erano i loro uomini. Viene da urlare.
La polizia ignorava loro e caricava e massacrava noi manifestanti che marciavamo a decine di migliaia con le braccia in alto, come a dire "non abbiamo neanche un sasso in mano" e scandivamo senza sosta "nonviolenza-nonviolenza". Abbiamo vissuto ore in cui vedevamo i black bloc spuntare come funghi, distruggere tutto davanti e dietro di noi, i poliziotti ignorarli o proteggerli e caricare noi, sparando lacrimogeni ad altezza d'uomo.
Se i momenti di panico, durante le cariche e i lanci di lacrimogeni, non sono sfociati in fughe generali ed incontrollate dei manifestanti, che calpestandosi gli uni con gli altri avrebbero portato a contare alla fine decine di morti, è stato solo grazie alla maturità e alla preparazione di un movimento che per mesi e mesi si è autoimposto un percorso di formazione a questo appuntamento, imparando le tecniche di reazione nonviolenta che sono state decisive per mantenere quanto più possibile calmo e serrato il corteo nei momenti peggiori. Era impressionante vedere migliaia di persone reagire alle cariche non voltandosi e fuggendo come sarebbe istintivo ma alzando le braccia e rimanendo fermi, faccia a faccia con il fumo dei lacrimogeni e con i manganelli della polizia. Avete presente la celebre foto dello studente di piazza Tienanmenn immobile davanti a una fila di carroarmati? Quella. Immaginatela e trasportatela a Genova, applicata a trecentomila persone.
C'è gente che si è beccata ore di lacrimogeni, pur di non spostare di un metro la propria postazione di puntello come servizio d'ordine, dando così tranquillità e punti di riferimento a chi sfilando doveva passare dove era automatico aver paura, ci sono compagni che hanno rischiato di trovarsi in prima linea sotto la carica pur di non mollare la presa del braccio del vicino a costituire il cordone di sicurezza, indispensabile per tenere insieme il corteo e salvaguardare la sicurezza dei partecipanti, evitandone una dispersione che sarebbe stata pericolosissima se non mortale. In una manifestazione che fosse stata priva di una preparazione così accurata ad affrontare certi momenti, il comportamento delle forze dell'ordine avrebbe causato scene di fuga e panico tali da portare alla morte per calpestio e schiacciamento di non so quanta gente. Chi ha diretto polizia e carabinieri cercava la strage. Per questo è giusto parlare di trecentomila superstiti.
Infine, lo avrete letto: i compagni che sono rimasti in città anche sabato notte sono stati assaliti da centinaia di poliziotti che hanno fatto irruzione nella scuola dove dormivano, li hanno massacrati a colpi di manganello e calci in faccia mentre erano nei loro sacchi a pelo, hanno distrutto tutto, avevano l'intento di far sparire tutte i filmati e le fotografie che i manifestanti avevano realizzato durante la giornata per testimoniare la collusione tra le bande nere e le forze dell'ordine. Dopo aver spaccato nasi ed ossa si sono accaniti contro i computer, spaccando tutto e asportando i dischi fissi con le informazioni riguardanti denunce, elenchi di persone ferite o di cui non si hanno più notizie, arresti ritenuti illegittimi. Prove scomode. Una retata in puro stile-Pinochet, selvaggiamente compiuta nel 2001 a Genova, Italia.
Un massacro contro gente disarmata che crede nella pace e non sa tirare neanche un sasso. I più fortunati, i pochi che non sono usciti da quella scuola in barella, sono stati ammanettati e arrestati.
Io non so bene cosa possiamo fare di fronte a tutto ciò, ma ci dobbiamo provare. Dobbiamo contrastare le menzogne di chi ha voluto tutto questo e ora tenta di ritorcerlo contro un movimento fatto di donne e di uomini che hanno marciato a braccia alzate. Tutti voi avete letto quello che ha detto il ministro dell'Interno, non ve lo sto a ripetere. Riprendendo un articolo del manifesto, vi ricordo invece un analogo discorso fatto da un altro personaggio, oltre trent'anni fa. Sì, cerco ancora lucidità nella storia. Era il pomeriggio del 7 luglio 1960, quando 350 uomini della Celere armati di pistola e mitra caricarono 300 operai delle officine di Reggio Emilia in sciopero, armati di maniche di camicia e nient'altro. E' un massacro, Afro Tondelli muore schiacciato da una jeep, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Lauro Ferioli e Marino Serri cadono a terra sotto colpi d'arma da fuoco. E' di loro che parla la più struggente canzone del repertorio operaio italiano, "Morti di Reggio Emilia", che tanti compagni ancora oggi si emozionano a cantare e a tramandare di generazione in generazione. Il presidente del consiglio era Ferdinando Tambroni, al governo grazie all'appoggio del Movimento Sociale Italiano e dichiarato oppositore della Costituzione fondata sulla Resistenza del'Italia antifascista. Così riferì al Parlamento dopo i fatti di Reggio: "circondati dai dimostranti che tiravano sassi, gli agenti furono costretti a sparare per legittima difesa".
Carlo Giuliani aveva la stessa età dei ragazzi di Reggio Emilia e di Giorgiana Masi. La sua imprudenza di ventenne lo ha consegnato a un elenco di vittime che affonda le sue radici in un passato maledetto. L'uomo che lo ha ucciso era appena maggiorenne. Entrambi tragiche comparse di un gioco al massacro tra poveri, in cui il potere trae buon gioco dal creare scontri e disordini per serrare le fila e reprimere nel sangue qualunque energia alternativa e antagonista, soprattutto quando queste energie iniziano a conquistare una posizione culturale e politica tale da renderle agli occhi dell'opinione pubblica un interlocutore importante, maturo e degno di essere ascoltato: una voce troppo pericolosa per otto mercanti di armi e di droga barricati in una nave blindata a spartirsi il pianeta. E allora contro ai manifestanti si mandano le forze dell'ordine, uomini in divisa che in buona parte altro non sono che ragazzi assoldati negli strati sociali più disagiati pescando nella disperazione della disoccupazione, addestrati alla guerra selvaggia con uno scientifico lavaggio del cervello, armati senza magari aver mai visto una pistola fino a una settimana prima, drogati chissà con che cazzo di sostanze e mandati allo sbaraglio contro l'inferno scatenato ad hoc da uomini misteriosi vestiti di nero, quei black bloc assoldati, armati, organizzati e diretti come un corpo speciale, come le teste di cuoio. Non sono fantasie, li abbiamo visti. Loro a spaccare tutto da una parte, la polizia dall'altra, i manifestanti in mezzo. C'è un pezzo di Stato che ha voluto ed organizzato tutto questo.
E' tutto troppo evidente e pazzesco. Ne siamo stati testimoni, dicevo all'inizio. E allora testimoniamo. Noi che eravamo a Genova non ci stanchiamo di incontrarci, di raccontarci a vicenda quello che abbiamo visto, di mettere insieme i pezzi, di ricostruire i fatti e di parlare. Raccogliamo la documentazione che la polizia non ha distrutto, rendiamola visibile a tutti, affinché tutti abbiano gli elementi per capire la gravità e le proporzioni di quello che è accaduto in questi giorni.
Chi invece a Genova non c'era ci stia vicino, vi prego, ve lo chiedo con voce straziata, abbiamo tremendamente bisogno di voi. Aiutateci a raccogliere le idee e a tentare di trovare calma e lucidità in una situazione che ci ha sconvolto e che rischia di farci impazzire dalla rabbia. E insieme a noi leggete, informatevi, documentatevi, state a sentire le voci e fatele rimbalzare ovunque. Collegatevi alla pagina http://www.peacelink.it/altrinformazione in cui si stanno raccogliendo e si continueranno a raccogliere tutte le testimonianze. Alcune sono accompagnate dalle foto di un gruppo di carabinieri che si travestono da black bloc fuori da una caserma. Ormai ne circolano parecchie di foto come questa, per lo più scattate da manifestanti o fotografi amatoriali, alcune immagini sono già nelle mani di grandi agenzie.
Cliccate anche su http://www.mir.it e sul sito del manifesto www.ilmanifesto.it, leggetevi gli articoli usciti su questo quotidiano negli ultimi giorni. In particolare l'edizione straordinaria del 23 luglio merita una lettura approfondita. Rispetto ad altri movimenti del passato abbiamo in più questo mezzo straordinario di comunicazione e di divulgazione del materiale, e allora non vi stancate di girare per la rete, di seguire i racconti andando avanti di link in link, di conoscere e di capire quello che è accaduto. Se non avete tempo di leggere a video, stampate tutto, e utilizzate i momenti morti della settimana - le attese nel traffico dei giorni feriali o le ore in spiaggia del sabato e della domenica - per riprendere in mano quei fogli. Per favore fatelo. E' un dovere civile e morale prima ancora che politico.
Il Genoa social forum continuerà il suo lavoro, verranno indetti nuovi appuntamenti, preparandosi ad una grande manifestazione nazionale a Roma il 10 novembre, in concomitanza della riunione del Wto che si svolgerà in Quatar. Le iniziative, sia di formazione e di studio su queste tematiche che di presenza in piazza, si moltiplicheranno. Di fronte a tutto questo, e soprattutto di fronte a quanto avvenuto a Genova, è il momento di prendere posizione. Per questo è importante leggere e conoscere: per poter scegliere da che parte stare. Chi sta dalla parte di questo movimento, se ancora non l'ha fatto lo dica. Oppure dica che non ci sta. Ma decida. Decida! Perché è il momento di schierarsi. O da una parte o dall'altra. La strategia della sinistra di governo o aspirante tale (chiamatela strategia dalemiana o veltroniana o rutelliana, alla resa dei conti per me pari son...) di "un colpo al cerchio e uno alla botte" pur di aspirare a prendere i voti di tutti è una strategia indegna, fa vomitare, e se qualcuno non se ne fosse accorto è pure perdente. La preparazione di una manifestazione di rilievo mondiale su tematiche di scala planetaria per mesi viene ignorata, non ci si schiera in nessun modo, quando si tratta di prendere uno straccio di posizione non si sa bene che rispondere, per un po' l'adesione viene esclusa, poi viene data in extremis ma con mille distinguo e polemiche interne, poi viene revocata quando muore un ragazzo (cioè proprio nel momento in cui era ancora più opportuno esserci e schierarsi!) Questo è quello che hanno fatto gli immondi vertici dei diesse. Se la base di questo partito, o una parte della base, non si riconosce in questo comportamento è ora che lo urli forte. Alcuni compagni diessini lo hanno fatto: alla festa dell'Unità di Firenze il segretario regionale toscano è stato contestato mentre tentava di difendere la vergognosa posizione assunta dal partito sulla questione G8, ed è stato costretto ad interrompere il suo immondo intervento dalla reazione di una platea composta da oltre mille persone tra militanti ed iscritti diessini, esponenti di associazioni, giovani, anziani. Tra le persone che sono intervenute al dibattito anche un anziano iscritto che si è detto "vergognato dalla posizione di questo nostro partito".
Bene compagni, cosa si aspetta a far avvenire ciò in tutte le feste dell'unità, in tutte le sezioni, in tutte le federazioni? Le dichiarazioni di D'Alema e Fassino non sono migliori di quelle del segretario toscano. Sono rivoltanti. La base del partito ha l'ultima occasione, ma davvero l'ultima, di riprendersi la propria storia (quella per cui ancora si cantano i "morti di Reggio Emilia"), la propria dignità, la propria identità di sinistra, mettendo quest'ultima davanti alla propria fedeltà ai vertici e facendo scomparire dalla scena politica chi ha guidato il partito negli ultimi anni, dai dirigenti nazionali a quelli di federazione cittadina e di unità circoscrizionali. Fuori tutti coloro che sono stati responsabili o conniventi rispetto a certe scelte sciagurate oltreché suicide (numeri elettorali alla mano). E' ora di ricominciare. Ma in fretta, che non c'è tempo. Perché è ora di fare l'appello, chi ci sta bene, e chi non ci sta è dall'altra parte. Dall'altra parte! Questo deve essere chiaro. Non è più tempo di mezze scelte, di compromessi, di sfumature che vogliono salvare capra e cavoli. C'è da scegliere. Bianco o nero? Testa o croce? Destra o sinistra? Ripeto e sottolineo: destra o sinistra?
I cittadini di Genova questa scelta l'hanno fatta. Per dieci chilometri di percorso abbiamo visto cestini calar giù dalle finestre, raccogliere bottiglie di plastica ormai vuote e ricalarle giù dopo un minuto, riempite d'acqua. Neanche ai box della Ferrari sono così efficienti. Chi ha vissuto momenti di panico particolarmente brutti e si è ritrovato nei vicoli senza via d'uscita, accerchiato da bande nere e forze di polizia, si è visto aprire le porte di casa da gente che li ha così tratti in salvo. Sul viale che finalmente conduceva all'arrivo, un signore dal primo piano ha offerto una quanto mai desiderata doccia ai manifestanti accaldati da tante ore sotto il sole e stremati da tanta tensione e paura, spruzzando acqua con la pompa del balcone. Subito dopo si è aperta un'altra finestra al piano di sopra, poi un'altra, poi un'altra ancora, e nel giro di pochi istanti l'intera facciata del palazzo si è animata di persone che spuntavano d'incanto chi con una tinozza, chi con un secchio o una bottiglia, tutti a buttar giù acqua, e non era solo un modo per dare refrigerio a chi lì sotto si inzuppava contento, no, era un atto politico, un simbolo, era come sventolare una bandiera o soffiare in tanti fischietti, era come dire "ci vedete? ci siamo anche noi". Il popolo dei rubinetti, o se preferite il popolo delle mutande, quelle sventolate da arzille nonne ottantenni che si affacciavano a salutare chi sfilava, in risposta all'ordinanza che ha vietato l'esposizione del bucato alle finestre per non disturbare la vista degli otto grandi.
Ecco, il popolo della sinistra è chiamato - ultima chiamata - a fare qualcosa di altrettanto facile ed insieme dirompente. Ad uscire una buona volta dai congressi di sezione, dalle riunioni di direttivo, dagli attivi di federazione, dalle assemblee con se stessi e con i propri modestissimi dirigenti. A lasciare quelle benedette sedie per aprire le finestre e tornare a guardare la gente, le masse, i compagni, le realtà territoriali, i movimenti, le persone, e ad aprire quei rubinetti diventati un simbolo nelle case di Genova. Di fronte alla gravità di quanto accaduto nei giorni scorsi, io credo che si abbia il diritto di sapere chi sta da una parte e chi dall'altra. E lo vogliamo sapere subito.
Ancora una cosa.
Carlo, lo apprendo dai giornali, esattamente un mese fa era con noi al Circo Massimo, in una giornata di festa per un evento sportivo, un concerto animato da un milione di persone e da altrettante bandiere, quelle di una squadra di calcio. Questo futile particolare, la cui citazione può sembrare fuori luogo, è però elemento per capire che la vita di ogni singola persona è fatta di tante cose, grandi e piccole, di elevati ideali e di passioni frivole, di razionalità e di istinto, di lucidità e di follia, di pensieri adulti e di pulsioni infantili, di atteggiamenti responsabili e di comportamenti sprovveduti, i cui confini sono talvolta così labili che un solo attimo, uno solo, può bastare a rendere tutto bello o tutto tragico. Non so cosa sia passato per la testa di quel ragazzo, in quell'attimo, per esporsi così imprudentemente alla reazione folle di un coetaneo con la divisa e la pistola. So però che la vita di Carlo era uguale alla nostra vita, non era diversa, e che quella pallottola ha dilaniato pure me, noi, voi. Nessuno ha il diritto di ritenersi estraneo a quel corpo sull'asfalto. Nessuno.
Filippo Thiery (thiery@tin.it)

"E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri
senza le barricate, senza feriti, senza granate
se avete preso per buone le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti."

Fabrizio De André, 1973

Improvvisamente
Ero nella sede del Gsf la sera di venerdì, malgrado il desiderio e il bisogno di andarmene a dormire dopo la tragedia della giornata, ero rimasta perché due ragazzi mi avevano chiesto di restare con loro, temevano l'arrivo della polizia.
Improvvisamente abbiamo sentito urla provenire dalla strada. Abbiamo guardato dalla finestra, una squadra di poliziotti cercava con manganellate e spinte di aprire il cancello della scuola Diaz-Pertini, non ci sono riusciti, si sono spostati e hanno fatto fare il lavoro ad una camionetta della polizia, poi sono entrati come ossessi nel cortile della scuola precipitandosi contro le finestre e le porte, picchiando forsennate manganellate ai vetri. Dopo qualche momento sono arrivati anche da noi. Hanno fatto inginocchiare le persone a terra con le mani alzate. Non lo hanno fatto con me, ho detto che ero europarlamentare. Ho cominciato a telefonare freneticamente a giornalisti. Nel frattempo si sentivano urla che venivano dall'altra scuola. Sono andata negli altri piani per vedere che non colpissero le persone. Il "tenente" mi ha detto che non potevo dare ordini alla polizia. Risparmio i dettagli.
Sono scesa per andare nell'altra scuola, erano già arrivati altri parlamentari, il portavoce del Gsf e la nostra Monica Lanfranco. Con Gigi Malabarba abbiamo tentato di superare il cordone della polizia per entrare nella scuola, inutile. Un responsabile della questura,mentre arrivano ambulanze che portavano via ragazze e ragazzi che perdevano sangue, ci diceva che non succedeva niente che stavano solo perquisendo, e quelli che vedevamo portare via erano persone con ferite"pregresse".
Ho superato non so come il muro dei poliziotti e sono riuscita ad arrivare alle ambulanze cercando di parlare con i feriti per avere i loro nomi, una ragazza turca grondava sangue dalla testa: "Ci hanno messi per terra e colpiti". Sono andata a cercarla all'ospedale la mattina dopo, trauma cranico, il medico mi ha detto che soffriva di epilessia ed aveva avuto un attacco, era piantonata, c'era l'ordine (così come per gli altri feriti), di non permettere a nessuno parlarle. Ho impietosito il poliziotto mentre diceva che lo avrei messo nei guai e sono riuscita ad avvicinarmi, parlarle lasciandole il nome dell'avvocato, e ad avere un numero di telefono per comunicare del suo fermo ai suoi, in Germania. Dentro la scuola siamo entrati solo quando la polizia se n'è andata. Atroce, oggetti tutti alla rinfusa, creme, libri, vestiti, mele. Ragazzi e ragazze inebetiti o piangenti. Sangue, sui muri, per terra, sui vetri Mi passavano le immagini della Palestina, del Cile, dell'Argentina. Sgomento, dolore, rabbia, impotenza. Sì, perché mai come quella notte ho sentito la perdita del diritto qui nel mio paese, in Italia. Un colpo di stato, la polizia superiore a tutto, non esistevano avvocati, medici, parlamentari, solo polizia e noi eravamo alla loro mercé. Vedere portare via corpi insanguinati e noi davanti a loro senza potere. Non è stata solo rappresaglia, ma volontà e scelta di rompere e fermare un movimento che si presenta alternativo anche nella scelta della nonviolenza. E terrorizzare. Tentare ancora la strada degli anni di piombo.
Perché dopo questi giorni, molti dei giovani forse non manifesteranno più, come Livia, che mi telefona continuamente terrorizzata che la vadano a prendere. Altri si rafforzeranno a pensare che a violenza si risponde con violenza.
Perché al di là dei disegni polizieschi o delle infiltrazioni, i gruppi organizzati o anche i singoli che hanno sfasciato banche, negozi, uffici postali o aggredito manifestanti e polizia, certamente non vogliono un mondo nuovo di giustizia, di solidarietà, ma sono lo specchio irrazionale e distruttivo del vecchio mondo.
Ma questo movimento non lo lasceremo morire. E' in grado di essere maturo e non ripeterà i vecchi errori, non ci faremo riprendere dalla spirale della violenza e della repressione e non ci lasceremo intimidire né dal governo e dalla polizia né dai gruppi che praticano la violenza. Lo abbiamo visto nella manifestazione di sabato e non solo nella nuova generazione di giovani, donne e uomini che rifiuta la cultura della guerra e del guerriero.
L'essere contro il liberismo, la politica delle multinazionali, la povertà, le discriminazioni sessuali, l'ingiustizia ci fa anche essere contro ogni forma di violenza. In questo senso come donne, femministe e pacifiste dobbiamo agire nel movimento come protagoniste e non solo come partecipanti.
Luisa Morgantini

"Mamma non preoccuparti, l'unica che può menarmi sei tu"
Ho 46 anni, tre figli, sono giornalista. Mi chiamo Flavio Brighenti. Ero a Genova. Tra i manifestanti pacifici. Qui voglio testimoniare quello che ho vissuto. Solo quello che ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie.
Sabato 21 luglio
Ore 13.30
Sono in corso Torino con mia moglie e un gruppo di amici. Osservo partire il corteo, migliaia di persone che si muovono in direzione di Marassi, dove si terrà il comizio del Genoa social forum. Noi restiamo immobili, colpiti dall'incredibile campionario umano dei manifestanti. Folgorati dalla ricchezza degli slogan, delle sigle, degli abbigliamenti. La sensazione è che rabbia ed ironia possano marciare insieme.
Ore 14.45
Nella strada parallela, a ridosso di piazza Rossetti, si alzano i fumi dei lacrimogeni. La battaglia di Genova è iniziata. Decidiamo di risalire il corteo, virando verso corso Italia, per allontanarci dalla zona della guerriglia e per raggiungere altri amici che sono in coda. Lassù c'è anche mio fratello, medico, sanitario del Gsf. Ci teniamo in collegamento con i telefonini. Ci auguriamo buona fortuna. Gli comunico che qui, purtroppo, sta esplodendo il casino. Noi non ci siamo ancora mossi da via Caprera, mi dice Camillo. E aggiunge che c'è un mare di gente. Impressionante. E poi: stai tranquillo, da noi è tutto assolutamente calmo.
Ore 15
Siamo attestati all'inizio della salita di corso Italia, all'altezza di via Casaregis. Sulle nostre teste volteggiano ad alta quota gli elicotteri. Sui tetti dei palazzi si scorgono i poliziotti con le telecamere che filmano e fotografano. A un chilometro la battaglia infuria. Da piazza Rossetti, dense volute di fumo nero si alzano verso il cielo. Il corteo continua ad avanzare verso corso Torino, sempre più concitatamente. Si capisce che, restando fermi, si rischia di restare isolati. Di perdere il collegamento con la testa del corteo, che conta già decine di migliaia di manifestanti.
Ore 15.15
Risaliamo la corrente di un centinaio di metri, forse duecento. Ci sediamo sulla balaustra, per osservare, per capire cosa è il caso di fare. Se avanzare o indietreggiare. Il corteo ora è praticamente immobile. Sembra decapitato. I fumi da piazza Rossetti si fanno sempre più alti. Ora i candelotti dei lacrimogeni piovono anche sulla tendopoli di piazzale Kennedy. Praticamente in ogni direzione. Sul mare, molte pilotine dei carabinieri dominano la scena. Nessuno potrebbe sfuggire. A proposito, incredibile ma vero: decine di persone nel frattempo prendono il sole in quella sorta di baia, inquinata. Vedo un paio di ragazze in topless e molti altri bagnanti in costume. Surreale.
Ore 15.30
Squilla il cellulare. Camillo mi chiede com'è la situazione. Gliela descrivo. Loro si sono mossi da un'oretta da via Caprera, senza incidenti. Qui sembra Apocalypse Now, gli rispondo. Ciao, a dopo. Il corteo ormai è bloccato. La polizia guadagna metri e risale verso di noi. Calma, calma. Non lasciamoci prendere dal panico. Un'amica suggerisce di andare nella zona di punta Vagno, dove c'è un altro tendone del Gsf. Ma sei impazzita, dico io. Se ci infognamo lì facciamo la fine dei topi. Restiamo in campo aperto, dove c'è libertà di movimento. Intanto, i bagnanti vengono fatti rivestire in tutta fretta dalla polizia. Brutto segno, commenta Guido.
Ore 16
Fa caldo. Non abbiamo da bere. Davanti a noi spuntano due ragazzi con uno striscione. Sopra c'è scritto: Mamma non preoccuparti, l'unica che può menarmi sei tu. Riusciamo a ridere. E comunque, rideremo ancora per poco. Dal basso, i manifestanti rinculano di corsa. Panico. Con calma, con calma, urliamo tutti. Io, mia moglie e gli amici finiamo, all'altezza del ristorante Punta Vagno, bloccati nella calca. Proprio in mezzo agli anarchici, sotto le bandiere rossonere. Gli anarchici hanno rinserrato le fila, improvvisando un servizio d'ordine. Che cazzo fate, lasciateci passare. Rispondono: la polizia sta caricando da dietro. Penso alla coda del corteo. A mio fratello. Lo richiamo. Risponde la segreteria telefonica. Cristo. Riprovo, due minuti dopo. Squilla. Millo (lo chiamo così da sempre), vi stanno caricando? No no, siamo in corteo, tutti uniti. Qui continuano a dire che sulla coda caricano, perché? Non lo so, ma stai tranquillo.
Torno all'attacco con gli anarchici. Insisto: non è vero che abbiamo la polizia alle spalle, me lo ha hanno appena comunicato da là. Lo vedi questo cellulare? E loro: ma noi non parliamo della coda del corteo, la pula è qui dietro. Dove? L'incrocio con via Piave è distante un centinaio di metri. Ma siamo troppi, troppi per riuscire a vedere qualcosa. E così ammassati che non possiamo muoverci.
Ore 16.15
C'è un silenzio irreale. Si percepisce che siamo in un cul de sac. Alcuni cercano rifugio su una sorta di collinetta sul lato mare. Il terreno è friabile, ci sono alberelli di pitosforo che a me sembrano scheletri, e una rete metallica sfondata poco più su. Ma il buco nella maglia è piccolo: ci passa una persona alla volta, a fatica. Urlo a mia moglie: non andate lì, restate sulla strada. E comunque: siamo così pigiati che le intenzioni restano tali. Per tutti.
All'improvviso, accade quello che temevamo. La polizia carica. Ci piovono addosso i lacrimogeni. Sono decine, forse centinaia. Arrivano da ogni parte, me ne arrivano un paio tra i piedi. Cerco di stringere gli occhialetti Speedo da piscina, che ho portato per protezione, per riuscire a tenere gli occhi aperti. Ma si spezza l'elastico. E i polmoni mi si riempiono di un'aria disgustosa, irrespirabile. Respiro gas. Mi sento morire. Vorrei afferrare la mano di Lucia. Non ci riesco. Decido di buttarmi sulla strada. Ho fortuna. C'è un sanitario del Gsf. Mi dice: apri la bocca. E inala uno spray che mi allarga i polmoni. Dio, torno a respirare. Mi guardo attorno. È l'inferno. La polizia ci è addosso. Tanti manifestanti sono a terra. Impotenti. I celerini avanzano, intabarrati nelle loro armature. Sembrano guerrieri spaziali, sotto i loro caschi, dietro le maschere antigas, e gli scudi, e le armi puntate. Vedo un ragazzo senza più scarpe né maglietta, solo i pantaloni luridi. Corre, cerca di sfuggire ai poliziotti. Ha il volto coperto di sangue. Scivola sul selciato, cade a terra. Gli sono addosso, lo caricano di manganellate. Vorrei gridare: noooo! La voce non mi esce dalla gola. Esce da altre, la polizia lo prende con le cattive e lo rimette in piedi, mentre lui implora. Intanto, i poliziotti raccolgono da terra i vessilli scegliendoli con cura e li buttano dentro i loro cellulari.
Ora vedo gli amici a braccia alzate. Ma dov'è Lucia? Per fortuna è ancora là, aggrappata a un albero, con gli occhi rossi. Scendete, presto, dico a lei e a Roberto. Dalla parte opposta della collinetta i manifestanti vengono tirati giù con il manganello. Ho le mani nei capelli. Gli occhi pieni di lacrime. Ma ora Lucia è con me. E Roberto. Più in là Luisa. All'appello mancano Guido e sua sorella. Dove sono?
Siamo tutti a braccia alzate. Camminiamo tra ali di celerini. Sono forche caudine. Ci urlano: bastardo, stronzo, figlio di puttana, comunista di merda. Sulla destra un poliziotto mi guarda con occhi di odio: bastardo (lui lo dice, io lo penso). Sulla sinistra un altro mi afferra il braccio e mi rassicura: è tutto apposto. Grazie, gli dico. Ma un minuto più tardi Lucia mi delude. Lei e altri manifestanti hanno sentito distintamente: zitti zitti, c'è la stampa. Il giorno successivo, domenica, a TG2 Dossier, verso le 21.30, scorrono le immagini della nostra "resa". Ecco qual era la "stampa" cui alludeva quel celerino. Però le immagini vengono mandate in onda senza sonoro. Senza rumore d'ambiente: il pubblico non può sentire gli insulti che ci hanno regalato.
Le ingiurie restano nella nostra memoria, la mia, quella di Lucia, di Roberto, di tutti gli altri democratici che le hanno subìte. Altri hanno subito qualcosa di infinitamente peggiore.
Ore 16.30
Miracolo. Siamo ancora interi. Con mia moglie risaliamo via Piave. È pieno di cellulari. I celerini ci guardano con odio. Poi ripartono sui loro mezzi, simulando dalle torrette di spararci altri lacrimogeni. La macchina che chiude la fila sgomma verso un crocchio di manifestanti, più su.
Ore 17, circa.
Da mezz'ora cerco disperatamente di sentire mio fratello. Il suo telefonino è "morto". Prego che lui sia vivo. Arriviamo alla scuola Diaz, centro del Gsf, quello che poi, durante la notte, subirà la visita "cilena" della polizia. Arriva un'ambulanza del Gsf, ha il lunotto sfondato. Presto, questo ragazzo sta male, portatelo su. Ma cosa è successo? Lo abbiamo raccolto dalla parti di via Zara, ha il volto sfigurato, raccontano i sanitari. Lo abbiamo caricato sull'ambulanza, la polizia ci ha sparato un lacrimogeno dentro. Salgo le scale con loro. Nella sala medica ci sono molti feriti. Mi vergogno, quando chiedo ancora un po' di spray per respirare. Chiedo se sanno niente di Camillo, il loro collega coi capelli biondi e ricci, mio fratello. Nessuno sa nulla. Entro nel panico. Esco. Abbiamo ritrovato Guido, c'è anche sua sorella.
Ore 18
Squilla il telefonino. Compare la scritta: Millo. Mi si apre il cuore. Flavio, sto bene, stiamo bene. Ci hanno caricati, ma ora è finita. Cerchiamo di raggiungervi. Sembra facile. Ma muoversi per Genova è un'impresa titanica. I poliziotti sono dappertutto, sbarramenti di cellulari e blindati ovunque. Siamo alla loro mercé. Riusciremo a rivederci solo tre ore più tardi, dopo che il mio gruppo di amici ha trovato rifugio nel frattempo a casa di amici, dopo vani tentativi di dirigerci verso la casa dei miei genitori, che sta su a Castelletto. Oltre la zona rossa. Irraggiungibile.
Ore 21
Siamo su un taxi, dalle parti dello stadio Carlini. Mio fratello è arrivato alla Diaz. Veniamo a prenderti, gli dico, non muoverti di lì. Quando sale sul taxi, ci descrive un po' di situazioni vissute. Ha soccorso ragazzi con la schiena devastata dalle manganellate. Li hanno bastonati con rara ferocia. Racconta: ho contato quarantotto manganellate sul corpo di un ragazzo, avrà avuto diciotto anni. Un mio collega ha trovato una ragazza straniera che aveva la gamba spezzate in tre punti diversi. Prima l'hanno manganellata, poi l'hanno sollevata di peso e l'hanno butta giù da un muretto.
Ore 21.30
Siamo sulla nostra macchina, a Castelletto. Diretti verso casa, nel Levante. Sulla circonvallazione a monte incontriamo molti autostoppisti. È difficile muoversi, per chi non abbia auto private o soldi per i (pochi) taxi in movimento. Prendiamo a bordo tre ragazze svizzere. Dove andate? Verso corso Italia, rispondono. Ci raccontano cose agghiaccianti. Loro erano a Marassi, la zona dove Agnoletto e gli altri del Gsf sono riusciti a tenere il comizio, mentre noi eravamo ancora in corteo. Dicono che sono fuggite, verso sera, quando hanno visto i poliziotti salire su un autobus di linea carico di ragazzi, e hanno iniziato a manganellarli. Le ragazze ci dicono: non abbiamo mai visto polizia tanto feroce in nessun'altra parte d'Europa.
Eppure, il ministro degli Interni Scajola loderà in Parlamento le forze dell'ordine per la loro abnegazione e la loro professionalità. E il presidente del Consiglio prometterà un aumento di stipendio. La battaglia di Genova è finita. Forse anche la democrazia nel nostro paese.

P.S. Domenica mio fratello mi telefona, e mi racconta un episodio che mi aveva taciuto il giorno prima.
Intorno a mezzogiorno e mezzo di sabato, mentre lui è di scorta sanitaria alle tute bianche, all'altezza della scuola Champagnat, viene segnalato l'arrivo di manifestanti "non identificati" alle spalle della polizia, che vigila a ridosso delle stesse tute bianche. Dopo averne discusso nel gruppo, si decide di avvertire la polizia del pericolo. Camillo e un altro ragazzo del Gsf, giornalista free lance, si rivolgono a un funzionario di Ps, dicendo: state attenti, sta arrivando qualcuno che non è dei nostri. E non vogliamo che accadano incidenti. Il funzionario risponde, gentile ma risoluto: all'ordine pubblico pensiamo noi. Sappiate solo che se ci tirano addosso due sassi, chiunque ce li tiri, noi carichiamo. E oggi vi massacriamo. Se volete un consiglio, mandate a casa le vostre donne e i vostri figli.

Sono un vecchio ambientalista genovese
Venerdi 20 Luglio, a piazza Manin sono stato testimone (e ho documentato fotograficamente) degli effetti degli ordini ricevuti dalla polizia per tutelare l' ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini genovesi. I fatti che descriverò hanno una loro logica spiegazione solo se alla loro origine ci sono i seguenti ordini: lasciare liberi i Black Block, di distruggere indisturbati quello che vogliono, usare questi gruppi per disperdere i manifestanti pacifisti. A piazza Manin, era regolarmente autorizzato il raduno d' ambientalisti, scout, gruppi femministi, Lilliput. Nessun "anarchico insurrezionalista" era presente. La manifestazione era assolutamente pacifica e senza tensioni. Don Gallo, insieme a Franca Rame, era riuscito a mediare con il colonnello responsabile delle forze dell'ordine, schierate a 40 metri dalle cancellate, in fondo a via Assarotti, la possibilità di poterci avvicinare in fila indiana alle cancellate stesse e di affiggere cartelli e striscioni, cosa che è stata fatta, in un clima relativamente calmo.
Analoga situazione in piazza Marsala dove, dopo qualche momento di
tensione, si è assistito anche ad episodi di fraternizzazione tra polizia e dimostranti.
Improvvisamente, provenienti da via Montano, alcune decine di Black
Blocks sono arrivati in piazza Manin, seguiti a poche decine di metri di distanza da una squadra di circa 20 poliziotti. Appena arrivati sulla piazza questi ultimi iniziavano il lancio di lacrimogeni provocando la fuga disordinata di molti presenti, mentre il gruppo di Lilliput, rimasto compatto, bloccava sia a Black Blocks che ai poliziotti l'accesso a via Assarotti, alzando le mani dipinte di bianco.
Black Blocks e poliziotti sfilavano lungo questa barriera umana (e qui
cominciavano le prime manganellate ai pacifisti) poi i due gruppi,
distanziati da alcune decine di metri, imboccavano corso Armellini, dove
incominciavano gli atti di vandalismo.
A questo punto i blacks erano chiaramente separati dai manifestanti che si erano dati alla fuga e, all'altezza di piazza S. Bartolomeo degli Armeni, coi cassonetti e le campane per il vetro rovesciate facevano una barricata da dove cominciavano un fitto lancio di bottiglie verso i poliziotti sopraggiunti dopo alcuni minuti. Questi avanzavano in gruppo compatto ed ordinato fino alla barricata ma giunti nei suoi pressi, contro ogni apparente logica, invece di inseguire i Black Blocks, chiaramente
individuabili e rimasti gli unici occupanti del corso, su comando del
caposquadra si fermavano e deviavano compatti verso l'adiacente piazza di San Bartolomeo dove aveva trovato rifugio un gruppo di pacifisti, in maggior parte donne e ragazze, assolutamente inermi e senza vie di fuga e due signore anziane, di passaggio. Il comandante del plotone faceva allontanare le due signore e poi dava ordine di colpire i pacifisti.
Una delle ragazze, pesantemente picchiata, era strappata con forza al gruppo e portata via. La polizia scendeva quindi verso via Assarotti dove
altre testimonianze raccontano di ulteriori aggressioni ai manifestanti presenti, nonostante, lo ricordiamo, fossero autorizzati ad occupare quella
strada e avevano atteggiamenti assolutamente pacifici, anche verbalmente.
Nel frattempo, i Black Blocks continuavano indisturbati la loro opera di
distruzione lungo corso Solferino, mentre la presenza di un'altra squadra di forze dell' ordine, alla fine di questo corso e pochi uomini posti a presidiare salita San Rocchino, avrebbe permesso facilmente di bloccarli in
modo definitivo, soluzione realizzabile senza difficoltà se solo si fossero voluti spostare lungo via Bertola e via Palestro parte degli uomini schierati a difesa della zona rossa, alla fine di via Assarotti e nella vicina piazza Marsala. Questa operazione sicuramente si sarebbe potuta realizzare anche in accordo e con la collaborazione dei dimostranti che, preoccupati dal preannunciato arrivo dei Black Blocks, avevano già sgombrato la parte bassa di via Assarotti, temendo di rimanere chiusi tra la polizia e "gli anarchici".
Siamo certi che la polizia schierata in piazza Marsala era a conoscenza
dell'arrivo dei Neri in quanto ha collaborato al rapido sgombero dei dimostranti in questa zona, anch'essi preoccupati dell'arrivo dei Black
Blocks. Peraltro, durante le devastazioni in via Solferino, nessun poliziotto ha lasciato la sua posizione a difesa della zona rossa.
Testimonianze dei residenti, già rese pubbliche, segnalano che giunti all'altezza dell'Ospedale Evangelico, i Neri tranquillamente si cambiavano d'abito per mescolarsi tra i manifestanti dispersi nelle "crouse" intorno. Il loro compito, fornire una scusa per disperdere i dimostranti,era finito.
Altre testimonianze di residenti hanno riferito che da parte dei Neri sono state utilizzate spranghe nascoste in precedenza nei cassonetti. Il controllo di questi ultimi, anche per la tutela dei dimostranti dal possibile occultamento di ordigni, non era previsto?
E' il caso di sottolineare come, sia in questo caso che per tutto il resto delle due giornate di guerriglia a Genova, agli "anarchici" non gliene sia potuto
fregare di meno dell'abbattimento delle barriere della zona rossa, mentre le strade deserte e la città abbandonata dai suoi abitanti sono stati il terreno ideale per attuare, assolutamente indisturbati, la loro strategia di distruzione vandalica, abilmente programmata con ampio anticipo.
Un vecchio ambientalista genovese
Federico Valerio

Récit des événements de la nuit
Cette nuit vers minuit, plusieurs vehicules de police ont fait irruption dans la rue Cesare Battisti ou se trouve l'immeuble du Genoa social forum, qui abrite les locaux de l'organisation du contre-sommet, de son equipe d'avocats et d'Indymedia. En face se trouve une ecole qui abrite des terminaux avec acces internet et qui sert de dortoir a de nombreux activistes. Des l'irruption de la police au bout de la rue, toutes les personnes presentes dans la rue devant les immeubles se sont refugiees au
pas de course dans l'un ou l'autre batiment. Dans l'immeuble du Gsf, la porte principale a ete barricadee, mais les policiers sont parvenus a
entrer par une porte laterale. Des avant d'avoir investi les immeubles, les policiers se sont mis a matraquer tout ceux qui leur tombaient sous la
main.
Au troisieme etage, dans les locaux d'Indymedia, l'effervescence creee par la nouvelle de leur arrivee fut breve: en quelques minutes, ils'etaient en haut et ordonnaient a toutes les personnes presentes de poser les mains sur les murs du couloir. Pendant ce temps, ils se sont mis a chercher un peu tout et n'importe quoi: ils ont d'abord trouve quelques masques a gaz, pourtant conseilles officiellement (et necessaires!) pour participer a
toute manifestation. Ensuite, des armes: un petit couteau Opinel, quelques tournevis, une pince,... Ils ont egalement fouille de nombreux sacs et confisque des minidiscs, bandes video, etc. Visiblement, ils ne savaient
pas tres bien ce qu'ils cherchaient. Sans doute n'importe quoi qui puisse
nuire au mouvement en general et a Indymedia en particulier. En vain, a l'exception de... quelques vetements noirs, pieces a conviction s'il en
est. Pendant ce temps, apres une petite demi-heure a regarder le mur, les IMCistes ont recu l'autorisation de s'asseoir et l'atmosphere s'est legerement detendue. Finalement, une parlementaire europeenne est arrivee et a obtenu la levee du siege, en vertu du fait que nous etions une assemblee internationale et que nos activites se cantonnent a l'information.
Aux autres etages de l'immeuble prete au Gsf, la "prise d'otages" avait ete moins longue, mais au premier, dans les locaux de l'equipe juridique, les forces de l'ordre avaient pris soin de massacrer les bureaux, les telephones et les ordinateurs, qui contenaient toutes les informations des derniers jours relatives a l'assistance juridique. Sans doute un hasard...
Ce n'est qu'alors que nous avons decouvert ce qui se tramait dans l'immeuble d'en face: sous la protection de dizaines de policiers anti-emeutes, leurs camarades s'en donnaient a coeur-joie. Des leur irruption dans l'ecole, ils s'etaient mis a tabasser, parfois jusqu'a une dizaine a la fois, des personnes a terre qui n'offraient aucune resistance, souvent a plusieurs reprises, a coups de pied et de matraque. Il va sans dire que tout le materiel sur place y est passe egalement.
Les gardiens de la paix ont ensuite commence a vider l'immeuble de tous ses occupants: les pas trop invalides en panier a salade, les blesses plus serieux en ambulance, escortes par des infirmiers ou sur des civieres.
Plusieurs personnes ont ete evacuees inconscientes. A chaque nouveau groupe de prisonniers embarques, a chaque nouvelle civiere qui passait, les gens du batiment du Gsf, masses sur le trottoir, hurlaient leur indignation:
"Assassini", "Genova libera" et autres "The whole world is watching" (heureusement, les medias etaient egalement presents en tres grand
nombre). Plusieurs dizaines de personnes ont ete emmenees en ambulance, dont au moins une bonne quinzaine en civiere, et les autres ont ete emmenes au poste, ou l'on craint deviner ce qui les attendait.
Apres le repli strategique de la flicaille, le spectacle du champ de bataille a l'interieur de l'ecole etait ahurissant: outre les destructions, ce sont surtout les flaques et les longues trainees de sang un peu partout dans l'immeuble qui donnaient la chair de poule.
Rien de ce que dira la police ne pourra justifier cette bestialite.
On a deja appris qu'ils cherchaient soi-disant des mitraillettes (!), ou
encore des casseurs, mais ils avaient deja affirme aussi, dans un premier temps, qu'il n'y avait eu que 5 arrestations et une dizaine de blesses, dont
certains se seraient blesses deja lors de la manifestation de l'apres-midi.. Ils inventeront encore d'autres sornettes. Ils ont beau mentir, c'est bel et bien leur vrai visage qu'ils ont montre cette nuit.

Genova, 20-21-22
Violenza. Violenza Pura.
Potente, Armata, Repressiva. Il terrore a macchia d'olio, per far partire la
testa. Per Non Permetterti di Pensare Più. Per farti dimenticare tutti i
Buoni Motivi per cui sarete sceso a Genova anche a piedi. Hanno voluto far capire Bene chi è davvero che comanda, in italia. Nel Mondo.
Il Movimento è arrivato stremato in p.zza Ferraris, ultima tappa del Corteo
per la Vita.
Che hanno voluto disperdere, schiacciare.
Un Fiume Arcobaleno diviso da continui assalti camuffati, giustificati come attacchi ai violenti, infiltratisi fra di Noi, ma Controllati da Loro.
Hanno strumentalizzato coloro che purtroppo, in Questa società, non hanno più nulla da dare, per poter soffocare, tra pianti e lacrimogeni, chi
invece, crede ancora in un Mondo Diverso. In un Mondo più Giusto.
Ma l'egoismo, la sete di denaro a braccetto col Potere dell'Arma, ha fatto
una strage. Una strage di cuori oramai segnati dalle centinaia di macchie di
sangue, sparse nel Movimento. Anime disorientate, incredule,sconvolte.
Fiori Rossi spezzati nel loro sbocciare. Il Movimento giusto, ora non può più arretrare. E' stato colpito, è stato ferito, umiliato, Terrorizzato.
E' stato accerchiato ed ammanettato da quella Nube che lo Stato, gli ha
sparato addosso. Ad altezza Uomo. Per fare del Male.
Per far sì che il panico e la confusione vincesse su tutto ciò che era, ed
è, il nostro Contesto. Il nostro Contenuto. Equo, Colorato, Vivo.
Ed è stato Pestato. Calpestato. E ci hanno messo negli occhi la Morte.
La Disperazione. Il dolore infinito di essere sì, riusciti a tornare a casa, magari anche illesi, fuori, ma senza neppure avere avuto la Libertà e la Forza di urlare e sostenere, con la nostra musica, i Diritti dell'Uomo.
Alla Vita, alla libertà di Pensiero, alla Diversità. Tutto è stato represso.
C'è stato tolto il fiato, c'è stato soffocata la Parola. A suon di Colpi.
Colpi Duri, fra il continuo rombare degli elicotteri, tra le sirene
spiegate, in uno stato d'assedio. Una città militarizzata, un neo-fascimo controllato da Denaro Assassino. Questo macabro g8, Avidi Proprietari della Terra, credono di riuscire a mettere a tacere, con qualche sporco soldo, le infinite cause ancora aperte, di tutti i Popoli.
E riescono anche a farsi passare per buoni... fra coloro che ancora, purtroppo, non riescono a vedere. A Vedere davvero. Svegliamoci gente. Muoviamoci. Il Pericolo è da Smascherare. Se solo il g8 avesse avuto un cuore, se avesse avuto davvero rispetto per la Vita, avrebbe fermato il Summit. Perché Troppa gente, fuori dal loro lussuoso Regno, si stava facendo del male. Stava subendo, impotente, un Gran Male.
E Nulla è stato fatto. Nulla di Umano è stato portato a termine...
Perché faceva comodo così. Perché dovevano 'finalmente' dimostrare chi è davvero che comanda oggi. E gli occhi Impauriti ed increduli,di centinaia di persone, li abbiamo incrociati Noi. Li abbiamo ingoiati Noi ...faccia a faccia con la Paura, le botte, le ingiustizie. Non Loro. Non i nostri Prepotenti Rappresentanti del Mondo,ben protetti e schifosamente sorridenti, nel Loro Paradiso Blindato.
Con gli occhi gonfi,di rabbia e dolore,
Canto la Vita.
Siempre.

Shira.

Paura a settantasei anni
"A me nessuno leva dalla testa che questo G8, queste frontiere chiuse, 2700 uomini, corpi speciali, sono prove generali di qualcosa. È una paura che mi fa paura a settantasei anni".
Andrea Camilleri,

La festa i colori i sogni
io c'ero ai pestaggi, io c'ero ai soprusi, io c'ero al terrore e alla paura, tutto questo però penso che ormai si sappia bene.
ma c'ero anche alla festa ai colori ai sogni alle discussioni agli spettacoli di 300mila persone, ho visto migliaia di foto di filmati ascoltato centinaia di servizi ma quasi nessuno che diceva questo, io sono un fotografo di provincia ed ero lì per seguire i gruppi della mia zona come dice il mio caro direttore "per fare una bella foto di gruppo", perché sono queste le foto che "fanno vendere copie" queste foto rassicurano la gente le danno tranquillità e sicurezza, e per raccontare genova forse un po' sarebbero servite perché quello che il mondo a visto di genova è solo il lato oscuro "the dark side of the moon", ragazzi sveglia! ci stanno fottendo sapete loro non hanno paura di commissioni di inchiesta o di denunce sono le loro armi le hanno inventate e le conoscono fin troppo bene dobbiamo uscire dalla loro logica cambiare le regole del gioco se vogliamo vincere.
tutti i fotografi tutti tutti i cameramen erano presi a riprendere i combattimenti le perquisizioni e così è questo che la gente ha visto guerra, sangue,distruzione la gente che vuole tranquillità e sicurezza questo sa di genova per spiegargli genova ci vorrebbero "foto di gruppo " il pensionato di sirtori o la casalinga di lodi nulla sa di cortei grandi quanto firenze nulla sa dei suoi simili che ci hanno partecipato dei partigiani,dei frati,degli oratori,dei pensionati ,delle famiglie nulla sa perché nessuno si è preso la briga di mostraglielo. i nostri cari governanti hanno ben imparato da uno che su la rivoluzione sa qualcosa, per mao tze tung fondamentale in un movimento è l'appoggio popolare e loro stanno facendo di tutto per negarcelo ci spingono ad estremizzarci e ci estremizzano cercano di staccarci dalla società e ci stanno riuscendo. alla loro violenza dobbiamo opporre i nostri canti alla loro distruzione quello che stiamo cercando di costruire, abbandoniamo la loro logica altrimenti il gioco lo dirigeranno sempre loro, possiamo vincere ma dobbiamo diventare maggioranza, questa volta non è impossibile perché il movimento non è più unico ma variegato e chiunque può trovarsi in una sua sfaccettatura è solo guadagnando la fiducia della gente e confrontandosi con loro che possiamo pensare di vincere
massironi andrea viganò b.za

Essenzialmente, la paura
Dopo i giorni di Genova emergono ricordi che non ho mai cancellato, ma riaffiorano prepotentemente.
Erano gli anni 70 nel mi Buenos Aires querido,
Il massacro di Ezeiza, La triple A, la noche de los lapices, le facce di tanti amici e conoscenti, quando il solo fatto d'essere giovane costituiva un reato di sovversione, il silenzio complice della stampa, il "qualcosa avrà fatto" dei vicini di casa,
i falsi fucilamenti, finire in manicomio per una canna,
le perquisizioni senza mandati giudiziari, l'omertà della chiesa,
le macchine senza targa, il vuoto delle librerie, i commando della polizia,
le liste nere di artisti, musicisti e intellettuali,
le celle d'isolamento, i lacrimogeni nei concerti,
il 30 di marzo di 1982 (il primo sciopero generale contro i militari finito con una repressione atroce), gli insulti e bastoni per chi usava un orecchino o portava capelli lunghi,
Uniforme scolastico obbligatorio di giacca e cravatta, il taglio di capelli obbligatorio nella scuola al di sopra del collo della camicia, e per le ragazze gonna al di sotto delle ginocchia, le irruzioni nelle scuole alla ricerca di qualche sospetto, i grandi esili, i piccoli esili, tanti altri ricordi ma essenzialmente la paura..........
L'impunità, la arroganza, il circo mediatico, le menzogne, il disprezzo più assoluto per la vita....
L'odore che si sente l'ho già sentito.
Come responsabile della Topolin Edizioni esprimo tutta la mia solidarietà
ai fermati, agli arrestati, ai feriti e alla famiglia di Carlo Giuliani.
Jorge Vacca

Il racconto più fedele possibile
Ci ho messo tanto a scrivere (eppure è una cosa che amo fare), ma mi è servito (e mi serve) questo tempo x far sedimentare i miei pensieri, cercare (?!) di mettere via la rabbia, l'amaro in bocca, l'indignazione, e fare il resoconto + fedele possibile di quel che ho vissuto, e che mai avrei (avremmo!) pensato di vivere.
Faccio parte di un GdA (gruppo di affinità) in qualche modo nato dal nodo di Roma della Rete di Lilliput. Ci siamo formati, incontrati, conosciuti per tre lunghi mesi, preparandoci a questa grande occasione. Io ero molto emozionata, era la mia prima manifestazione "seria". Per molti di noi lo era, perciò avevamo un po' paura e non ci trattenevamo dal dirlo. Ma mai e poi mai avremmo pensato di vivere quello che poi è stato. Ad averlo saputo credo che nessuno di noi sarebbe partito!! Venerdì mattina arriviamo a Genova, distrutti, ma eccitatissimi. L'atmosfera vissuta da chi è già qui da una settimana è serena, non succederà nulla, il clima è rilassato. Verso le 13 ci vediamo tutti in piazza Manin: è un'esplosione di colori, canti, palloncini, slogan. Verso le 14 si parte da piazza Manin scendendo su via Assarotti e si decide che i GdA precederanno tutto il resto della Rete. Scendiamo facendo un zigzag a serpentone, colorati, giocando con un mappamondo gonfiabile, cantando. La discesa è molto bella, ci fotografano e ci riprendono. Sono emozionata e piena di grinta! Arrivati a circa 100metri dalla rete, ci sono una 30ina di poliziotti che ci fermano. A un metro circa da loro, ci sediamo. Di nuovo iniziamo a cantare, a ridere, a lanciare slogan. Siamo seduti, l'uno accanto all'altro, mi guardo indietro e tutta la lunga via in salita è coperta di persone sedute! E' un colpo d'occhio straordinario: siamo una forza!
Abbiamo però un po' di difficoltà a bloccare le persone che ancora sfilano sui marciapiedi ai lati della strada. Il mio GdA decide allora di bloccare il marciapiede a sinistra, mentre quello di destra è ancora scoperto.
Si tratta con la polizia: possiamo sfilare fino alla rete per lasciarci appeso tutto quello che è stato raccolto nelle settimane precedenti da parte di tutti quelli che a GE non ci sono potuti venire. Così iniziano gruppetti di persone che sfilano fino alla rete e ci lasciano striscioni con firme, impronte di mani, fiori, palloncini...
Poco dopo al lato del nostro sit in passa il corteo dei pink. Li facciamo passare di lato al nostro sit in, e si dirigono verso piazza Marsala. Dalla mia posizione non vedo più nulla, verremo poi a sapere che iniziano a lanciare palloncini, fiori ed altre cose simili dall'altra parte della rete in segno di invasione simbolica della zona rossa. La polizia però reagisce, prima con gli idranti, poi con i lacrimogeni. Abbiamo paura che scappando ci vengano addosso perciò ci alziamo tutti per far loro spazio e per non farci schiacciare. Iniziano i guai. Non siamo più ben ordinati, è iniziato il panico, e molta gente per paura, risale verso piazza Manin, dove, verremo poi a sapere, di lì a qualche minuto verrà caricata e manganellata dalla polizia.
Contemporaneamente a quest'inizio di casini, inizia a spargersi la voce (grazie ai cellulari che si pensava non avrebbero funzionato assolutamente e che invece sono stati fondamentali) che i fantomatici "black blok" stanno risalendo verso di noi dopo aver divelto e distrutto altre parti della città.
Io non ci capisco più granché, vorrei salire verso piazza Manin per unirmi alla Rete di Lilliput, ma la maggior parte del mio gruppo vuole rimanere a fare il sit in a piazza Marsala. Vorrei risalire, ho un po' paura...la mia buona stella invece mi riporta verso piazza Marsala. Poco dopo inizia a spargersi la voce che i black sono arrivati in piazza Manin dove c'è gran parte dei lillipuziani: andiamo a difenderli. Così risaliamo verso la piazza percorrendo la via parallela a via. Assarotti dove avevamo solo iniziato il nostro bel sit in...
Alzando finalmente gli occhi, in questa via in salita mi si presenta uno spettacolo agghiacciante che non credo dimenticherò mai: la via termina con delle scalinate che risalgono verso il corso sovrastante, che ha una sorta di terrazza, in cui ci appare un'enorme macchia nera: sono i black ed iniziano a scendere le scale dirigendosi verso di noi...Siamo terrorizzati: sembrano uno squadrone della morte. Sono vestiti tutti di nero, con passamontagna o bandana sulla faccia, con bandiere nere e sopratutto bastoni, pezzi di ferro, strumenti di distruzione. Ci rifugiamo in una via laterale e li guardiamo sfilare: a questo punto la curiosità vince la paura. E infatti ci rendiamo conto che potremmo anche non esserci, di noi non gliene può fregare di meno. Risalgo con una parte del mio GdA (la parte restante la rivedrò verso le 19) verso il corso da cui sono arrivati i black, ma in una posizione spostata rispetto a loro. Arriviamo a dei giardinetti dove sostiamo, riprendiamo il fiato. Mi guardo attorno: solo ragazzi spaventati, persi, nessuno di noi riesce a fare mente locale. Cerchiamo di capire dov'è il resto del nostro GdA, e mentre chiamiamo arriva verso di noi l'orda dei barbari dei black. E' allucinante, assurdo, incredibile, mi sembra di vivere in un incubo. Mi sale la rabbia, il malessere, l'angoscia, in un attimo di lucidità mi rendo conto che ci hanno spazzato via, tolto qualsiasi visibilità. E mi sdegna questo loro disprezzo per qualsiasi cosa li circondi: li vedo colpire tutto quel che si trovano di fronte, anche la fontanella che ci ha dissetato. Decidiamo di allontanarci, sentiamo troppo schifo e sdegno per mescolarci a loro, così decidiamo di proseguire sul corso, ma ci rendiamo presto conto che stiamo andando nella loro stessa direzione. Vogliamo distaccarcene a tutti i costi, così imbocchiamo un vicoletto in salita che si chiama Salita Santa Maria della Salute, la nostra salvezza, non credo ci dimenticheremo mai di quel vicolo! Lì riusciamo a raggrupparci in 5 o 6. Ci sediamo un attimo sugli scalini di una casa. Passa un anziano signore genovese e ci dice: "potevate stare a casa: avete visto cosa si è scatenato?!" Gli abbiamo risposto che se fossimo stati a casa sarebbe successo lo stesso o forse ancor peggio, poi abbiamo pensato che non fosse molto nonviolento dare questo tipo di risposta (o forse è stata una riflessione solo mia!). Devo dire però che è stato l'unico genovese che ho sentito farci delle accuse, o comunque non appoggiarci. Infatti pochi minuti dopo una signora affacciata ad un balcone ci ha detto: "Che peccato che sia andata così, eravate tanto belli!".
Dopo la sosta dovuta alle nostre gambe, ai nostri polmoni ma soprattutto ai nostri cuori, abbiamo cercato di orientarci in una città logisticamente difficile (tutta vicoli e vicoletti, tutta abbarbicata e poco comprensibile sulle cartine), grazie anche all'aiuto di un ragazzo del servizio stampa del Gsf, col famoso cartellino giallo (vero è, che dopo tutto quel che ho letto, mi domando a questo punto chi fosse). Il gruppo ha deciso di dividersi. Una parte ha deciso di tornare a casa, l'altra, tra cui io, ha deciso che se era venuta a GE non era certo per quel che era successo fino a quel momento. Avevo troppo amaro in bocca per tornarmene mesta a casa. Non sarei comunque riuscita a rilassarmi o a tranquillizzarmi. Anzi, in questi momenti ho bisogno di agire. Così in 4 abbiamo proseguito, chissà per dove?! Poco dopo abbiamo incontrato una decina di ragazzi di varie provenienze, che si avviavano pian piano verso piazza Manin. Ho iniziato a capire che lì era successo qualcosa, ma non avevo ancora ben chiaro cosa. Così ci siamo uniti a Marco, un'insegnante di Prato con una bellissima bandiera della Pace in mano. Abbiamo percorso una stradina bellissima, che costeggiava un parco ed una chiesa, con una vista splendida sul mare...una giornata d'estate brillante. Non aveva senso tutto quel che stavamo vivendo. Pian piano, insieme ad un gruppo di spagnoli, e grazie alle indicazioni di una vecchietta riscendiamo verso piazza Manin. Cerchiamo di avviarci, ma ci arrivano i resti di altri fumogeni: i black stanno passando nuovamente per di là e la polizia carica. I ragazzi risalgono con gli occhi rossi e l'anima distrutta. Lì conosciamo una signora di Trento di cui purtroppo non ricordo il nome che ci racconta quel che ha visto a piazza Manin. Lei era lì: sono arrivati i black e la polizia non ha saputo (voluto?!) fermarli. I lillipuziani hanno cercato di bloccarli ma non c'è stato verso. Poi la polizia ha sparato i lacrimogeni, ha caricato e manganellato ragazzi e adulti con le mani bianche alzate e inginocchiati...un massacro! Lei non capiva nulla con tutto quel fumo irritante, era impaurita, addossata ad un muro. Ha chiesto aiuto ad una persona...vestita come un manifestante, ma che l'ha fatta svicolare verso un vicolo laterale dal quale è scappata. Ma chi era questa fantomatica persona?...un poliziotto in borghese? E' ancora impaurita e non osa riscendere in quella piazza dove è successo il massacro, ancora così fresco nella sua memoria. Io, Giulio, Alessia, Elisa e Marco (i miei compagni di viaggio in quell'"avventura" (chiamiamola così!) prendiamo coraggio, decidiamo di scendere fino alla piazza, anche perché iniziamo ad essere in tanti. Io sono anche curiosa di vedere il teatro di tanto scempio. Quello che la mattina era stato il nostro raduno era raso al suolo: macchine e cassonetti bruciati e divelti. Una fitta al cuore. Passo dopo passo e grazie a delle vedette improvvisate, arriviamo in piazza Manin.
Nella discesa incontriamo Chiara e c'è anche Enrico. Incontrare un volto conosciuto in questi momenti è come un'ancora di salvezza nella tempesta. Abbracci e strette forti come per cercare di risvegliarsi da un brutto sogno.
A parte la distruzione, finalmente mi sorride il cuore: siamo tanti, tantissimi, ed il mio entusiasmo fa sì che ai miei occhi appaiano moltitudini di persone. Siamo tutti pian piano ridiscesi dalle colline, dai nostri nascondigli. Pian piano cerchiamo di tornare alla ribalta, di riappropriarci almeno di un pezzetto di questa giornata che doveva essere nostra. Finalmente un raggio di sole nella bufera.
Si forma un corteo spontaneo che scende le vie della città verso piazzale Kennedy dove si dovrebbe svolgere una riunione del Gsf anche per capirci un po' di più su tutto quel che è successo in questa giornata. Saranno ormai le 17,30, ma sembrano passati secoli dal nostro bel sit in.
Scendiamo pian piano, guidati da un ragazzo col megafono che ci indirizza, ci ferma, ci racconta. Finalmente un po' di gioia, canti, ed uno splendido "Bella Ciao" intonato all'uscita di una bandiera rossa e di un paio di mutande dalla finestra di un palazzo.
Arrivati all'altezza di Brignole, la nostra guida ci annuncia dal suo megafono ciò che girava sottovoce già dalla partenza in piazza Manin: c'è un morto, forse 2, forse 3. Il megafono, metallico conferma: è morto un ragazzo. Silenzio, lo sconforto è enorme.
Proseguiamo la discesa. Lo spettacolo è sempre più agghiacciante: è tutto distrutto. Mi colpisce una Volvo bruciata sulla quale era stato applicato un'adesivo anti-G8.
Ci fermiamo sul piazzale davanti al ponte che porta su corso Sardegna. Dobbiamo attraversarlo, ma sembra un'impresa impossibile. La nostra guida-megafono ci annuncia che stanno trattando con la questura per poterlo attraversare, ma un'elicottero della polizia continua a girare sulle nostre teste. Ogni volta che passa alziamo le mani in segno di pace. Sembrano scene da film eppure è tutto vero.
Cerchiamo di attraversare una prima volta. Ci riusciamo e dall'altra parte ci soffermiamo tutti di fronte ad un supermercato divelto dove i black(?) hanno fatto la "spesa" gettando tutto in terra, calpestando alimenti vari. E noi che eravamo andati lì per protestare anche per tutti quelli che nel mondo muoiono di fame. Mi fa rabbrividire.
Non riusciamo ad avanzare, anzi, siamo ricacciati indietro e costretti a riattraversare il ponte all'incontrario per nuovi lacrimogeni (?).
Dall'altra parte aspettiamo. In tutto da questa parte del ponte aspetteremo un tre quarti d'ora. Intanto giornalisti vari ci filmano e ci intervistano. Parliamo degli "anarchici" ed un ragazzo prende la parola davanti ad una telecamera e dice: "Nella città di De André non possiamo chiamarli anarchici!". Applauso.
Dalle scale di fronte a noi scende altra gente...metto a fuoco...Sì! Sono loro: è il mio GdA! Li abbraccio fortissimo, mi sento di nuovo in qualche modo "protetta".
Finalmente riusciamo ad attraversare il ponte e ad avviarci verso piazzale Kennedy. Al di là del ponte mi aspetta uno spettacolo che mai avrei pensato di vedere in vita mia, che mai mi sarei immaginata nemmeno nei miei peggiori incubi. Non saprei come descriverlo, era quasi lunare: fumo, puzza di plastica bruciata, macchine, cassonetti ed anche un celerino bruciato. Sulla strada cerchiamo di raddrizzare i cassonetti. Sono gesti che sento forte come segno di senso civico e di distinzione rispetto a chi a creato quella distruzione gratuita.
Durante il corteo, oramai silenzioso di fronte a tanto sfregio e tristezza, mi arrivano le telefonate. I miei amici, anche quelli più pacati ed obiettivi sono in stato di fortissima agitazione. Non parliamo della mia mamma che mi scongiura di prendere il primo treno per Roma. Cerco di spiegarle che a questo punto è probabilmente più pericoloso andare che restare. Il mio migliore amico mi scoppia a piangere al telefono. C'è un'oggettiva differenza fra quel che sto vivendo in un corteo pacifico e tutto sommato sicuro (per lo meno nel quale mi sento sicura) anche se triste, ed i riscontri che mi arrivano da casa. Inizio a capire che i media hanno colpito ancora! Sono molto più spaventata dalle telefonate che arrivano in continuazione che dal mio sfilare silenzioso in una città fantasma.
Arriviamo infine a piazzale Kennedy. C'è un palco ed in fondo una trattoria tipo quelle delle sagre (che in questa circostanza appare irreale) ed uno stand dove ci distribuiscono panini ed acqua. A parte la gran paura siamo affamati ed assetati, distrutti. Ci sediamo. Siamo tantissimi. Iniziano a sfilare tutta una serie di persone sul palco per richiamarci, dare le proprie impressioni, urlare proteste su come è stata gestita la giornata. Si annuncia la morte di Carlo Giuliani e si osserva un minuto di silenzio in suo ricordo. Iniziano gli "assassini" rivolti ai poliziotti. L'atmosfera si scalda. I toni si alzano. Diventa un comizio politico, pesante e non utile ai fini di mantenerci sereni (per lo meno il più possibile). Non condivido molto la posizione, l'atteggiamento e le parole forti della maggior parte delle persone che salgono sul palco. Sono in pochi quelli ad usare delle parole belle e colme di significato. Ho paura che si vada degenerando. Si continua a parlare del corteo dell'indomani. Inizialmente si dice che è stato annullato, poi si rilancia: non bisogna dargliela vinta così!...sono confusa.
Intanto si continua ad annunciare che è sconsigliato uscire da piazzale Kennedy in piccoli gruppi. Ci sentiamo come dentro una fortezza, ma braccati. Ed a confermarcelo, quando cala la notte, inizia a girarci sopra un elicottero con il fascio di luce puntato su di noi...è il colmo! Non ci crediamo! E' una vera provocazione! Questa volta invece delle mani in alto in segno di pace gli mostriamo tutti il dito medio!
A questo punto la maggior parte del mio GdA decide di uscire per riuscire a tornare a casa prima che faccia definitivamente notte. Io e Santo non ce la sentiamo di uscire, così ci separiamo un'altra volta.
Proseguono gli interventi sul palco. Tra tutti un ragazzo sale e dice: "mi rendo conto che abbiamo dei vissuti troppo diversi. In fin dei conti il pacifismo è un retaggio del cattolicesimo (dimostrando di non capirci granché!) (A questo punto fischi e "BUUU!" da parte del pubblico!). Prosegue: "noi viviamo la violenza come unica forma possibile, per i vissuti che abbiamo..." più o meno i concetti erano questi. E' stato fortemente fischiato da tutto il pubblico, ma a posteriori mi domando: chi era questo? un black? che ci faceva lì in mezzo a noi? allora così facilmente si sono infiltrati tra noi?
Ad un certo punto, all'altro capo della piazza si accendono i riflettori: è una diretta di Gad Lerner con Agnoletto e con il prefetto di GE (?).
Riusciamo finalmente a prendere un taxi, dopo esserci riposati un attimo con Franco e Chiara nella piazza tematica sull'agricoltura biologica. Quella stessa che il giorno successivo verrà rasa al suolo. Almeno un pezzettino delle piazze tematiche me lo sono goduto. Mi è sembrato per un attimo di rientrare in un mondo normale, seduta ad un tavolino, in una fresca serata d'estate, in riva al mare, gustando uno splendido panino con pane e pomodori biologici.
Finalmente a nanna...non che riesca a chiudere occhio con tutta l'adrenalina e l'angoscia che ho addosso.
L'indomani decido di non andare al corteo, soprattutto dopo una pressante telefonata della mamma che sta per morire di crepacuore e dopo il pesante comizio di ieri sera. Poi me ne pentirò, ma pazienza. La scelte vanno prese in tutto e per tutto. Ho risparmiato un infarto alla mamma!
Giulia

Terrorismo psicologico
Voglio riportare una breve testimonianza di quello che io ho vissuto sabato 21 Luglio a Genova. Sono stata tra i/le pochi/che fortunati/e che si è trovata nella prima parte del corteo. Non appartenendo a nessuna associazione o gruppo politico andavo con la mia compagna da un gruppo all'altro, l'atmosfera era festosa ed era bello sentire come ogni gruppo e popolo diverso esprimeva il suo dissenso al G8. Poco dopo l'inizio della manifestazione vedo poco più avanti di me del fumo, arrabbiata chiedo a dei ragazzi chi l'aveva lanciato…loro mi indicano in alto, quasi nascosti tra le frasche c'erano le "forze dell'ordine" (?) che al solo grido (veritiero) di "Assassini" si erano affrettati a lanciare un fumogeno.
Procedendo notavo che iniziavano ad affiancarci gruppi di due o tre persone incappucciati e vestiti di nero, io e la mia compagna abbiamo iniziato ad insospettirci e siamo entrate negli spazi formati dal servizio d'ordine (del gruppo Attac). Li ci sentivamo più protette anche perché veniva allontanato chi aveva un comportamento poco rassicurante. Siamo arrivate in piazza dove c'era il palco ma non avevamo l'umore di ascoltare chi parlava al microfono perché da lontano si alzava del fumo. Solo molto dopo ho saputo che più della metà del corteo era rimasta dietro e che veniva caricata sempre dalle "forze dell'ordine". Il palco veniva velocemente smantellato e gran parte dei gruppi in piazza andava a prendere i bus là vicino per tornare a casa. Noi non sapendo dove andare, dato che eravamo tra le poche che dovevano prendere il treno alla stazione di Brignole (centro degli scontri) siamo rimaste insieme a pochi in piazza. Ma dopo poco abbiamo iniziato a non respirare bene e gli occhi ci facevano male...si stavano avvicinando.
Abbiamo iniziato a correre e abbiamo chiesto ad un genovese dove potevamo andare lui, ci ha assicurato che la stazione oramai era tranquilla e ci ha indicato la strada. Noi un po' titubanti ci siamo dirette verso la stazione quando abbiamo visto correre verso di noi i manifestanti caricati, abbiamo ri-iniziato a correre e siamo arrivate in una strada sopra lo stadio i Marassi dove c'erano altre dieci o quindici persone che chiedevano a dei genovesi dove potevano andare, non c'erano strade agibili se non per la collina. Nel frattempo un elicottero stava su di noi per tutto il tempo (violenza psicologica), ci seguiva e segnalava. Mi sentivo un'evasa.
A quel punto una ragazza viene a sapere da una telefonata di una amica che lo stadio era tranquillo, ci siamo dirette là dove abbiamo trovato chi come noi doveva andare verso la stazione. Ci siamo incamminate, che desolazione, tutto era bruciato e distrutto, tanti manifestanti stavano appoggiati alle macchine bruciate.
La stazione era piena di gente (tra cui molti fasciati e sporchi di sangue) e io non riuscivo a rilassarmi, impossibile con il suono delle ambulanze e il rumore degli elicotteri che fino a tardi (le due, ora che ho preso il treno) "spiavano"la città.
Solo quando siamo arrivate a casa abbiamo scoperto il perché della continua presenza di questi "Occhi dall'alto"...c'era stato un massacro in due delle scuole che ospitavano i manifestanti e i giornalisti.....Non sono stata presa dalla polizia né picchiata, ma nei miei occhi ho le immagini di chi è stato massacrato e umiliato.
Preferirei tenere l'anonimato grazie che ci permettete ciò.

Il nostro lavoro
Come "Coordinamento Aquilano anti Wto" abbiamo partecipato alle manifestazioni di Napoli e Genova; entrambe sono state precedute da dibattiti tra di noi, attività di controinformazione indirizzate alla cittadinanza, insomma un gran lavoro.
Sono finite tutte e due nel sangue.
Coordinamento ANTIWTO L'AQUILA

Cercare di dare un senso
Vi scrivo (a titolo personale: le sigle servono solo a identificare il mio ambito di provenienza) chiedendovi attenzione, nonostante che parte delle cose che dirò siano in contrasto con quanto finora emerso sul "nostro" giornale: non è un caso che scriva proprio al Manifesto, l'unico quotidiano cui sia abbonato.
Indipendentemente dalle motivazioni che hanno spinto con convinzione ognuno di noi a costruire il controvertice genovese, ed a partecipare alle manifestazioni di piazza, sarebbe ingenuo non partire da ciò che emerge come il dato prioritario che ci riguarda tutti: il cambio netto avvenuto nella cultura politica di questo paese (e non solo), e nelle dinamiche repressive con le quali si è deciso di affrontare il dissenso sociale, e nello specifico questo movimento. Siamo di fronte ad una svolta autoritaria, che non riguarda più solo i G8 o il Gsf, quanto i rapporti di forza all'interno dell'Italia, il rapporto tra i "poteri costituiti" e la piazza, il ruolo del nuovo governo. Anche chi come il sottoscritto è parte del movimento del commercio equo e solidale e lillipuziano, e si è mobilitato a Genova (assieme a tantissimi altri) partendo da contenuti relativi soprattutto alla politica internazionale, allo squilibrio Nord/Sud ed alla giustizia economica, deve tener conto del nuovo contesto nel quale i suoi obiettivi e le sue forme organizzative si collocheranno d'ora in poi. E proprio tenendo conto di ciò, mi e vi interrogo sulle prospettive del movimento che a Genova ha dato così grande prova di se stesso, e contemporaneamente è stato sottoposto a così dura prova. Nel cercare di dare un senso a quanto è successo, e una direzione al nostro agire futuro, mi preme innanzitutto evitare che gli esiti dell'inedita violenza manifestatasi a Genova ci facciano perdere di vista il senso e i contenuti della nostra partecipazione, la limpidezza e chiarezza dei nostri obiettivi, espropriandoci dei nostri valori e del percorso che ha portato nelle strade centinaia di organizzazioni differenti e centinaia di migliaia di persone di estrazione sociale e provenienza estremamente diversa. E uno dei modi attraverso i quali questa perdita di senso e di partecipazione può avvenire, è l'affermarsi all'interno del Genoa Social Forum di una sorta di "pensiero unico" che - nella concitazione del "giorno dopo" e dell'emergenza del "che fare" - perda di vista la propria eterogeneità, per proporre modalità, riti e parole d'ordine che non rappresentano larghe parti della base del Gsf. Mi sembra un rischio davvero concreto, guardando agli avvenimenti di questi ultimi giorni.
Osservo l'affermarsi di slogan e modalità decisionali che tendono ad escludere, invece che includere, riproponendo come prospettiva prioritaria per il movimento una strumentazione da sinistra tradizionale, di piazza e movimentista, a mio avviso assolutamente non in grado (come sostiene anche Pietro Ingrao, nella vostra intervista di venerdì scorso) di cogliere e riproporre la richiesta di innovazione -nelle forme e nei modi, oltre che negli obiettivi politici - che da Seattle/Chiapas in poi ha costituito la vera novità politica del panorama occidentale, e la vera minaccia ai poteri forti ed all'abdicazione della politica istituzionale. L'enorme pressione che il Gsf (e prima di tutti Vittorio Agnoletto, cui va la mia solidarietà) ha subito e subisce non giustifica l'evidente tentativo da parte di troppi subcomandanti nostrani (e appunto non parlo di Agnoletto) di egemonizzare il movimento, riducendone la complessità ed eterogeneità ad una dimensione non rappresentativa della sua base. Proprio per salvaguardare una prospettiva politica e organizzativa in grado di confrontarsi con la svolta autoritaria e col cambio di clima politico che Genova ha evidenziato, è necessario mantenere al centro del nostro agire la ricchezza di contenuti e trasparenza di modalità (la scelta vincolante della nonviolenza, aspetto ancora non digerito da chi ha predicato "l'invasione della zona rossa") che essa sola è in grado di porsi come inclusiva verso chi a Genova non è venuto ma ha capito cosa vi è successo, o verso chi a Genova c'era ma ora si sente disorientato e incerto. Il disagio che cerco di esprimere "dall'interno" - e credetemi, molto molto presente tra organizzazioni e persone - deriva dal confrontarsi con una serie di indicazioni future che appare improvvisata, e dal costituirsi di fatto di un "direttorio" autoreferenziale all'interno del Gsf che appunto esprime un "pensiero unico" che guarda all'indietro invece di guardarsi attorno e avanti. Per esempio: l'annunciato controvertice del novembre prossimo a Roma, in occasione del meeting della Fao. Non è col semplice rilancio d'iniziativa che rilanceremo il movimento e la sua capacità di aggregazione e rappresentazione, bensì con la nostra capacità di inventare forme nuove di mobilitazione capaci di confrontarsi con l'imbuto di violenza e smarrimento che è andato in scena a Genova. O crediamo che solo la ripetizione di ciò che è già stato possa dare visibilità e capacità di incidenza al nostro agire? E come pensiamo di allargare - non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente e cioè aumentandone l'eterogeneità - la base partecipativa del Gsf o di ciò che ne prenderà il posto? Rivendico - anche in rappresentanza di organizzazioni aderenti al Gsf che finora hanno appreso dai comunicati stampa le decisioni per il futuro - modalità decisionali partecipative, e la presa in seria considerazione di modalità di protesta che, senza rinunciare alla presenza in strada ed alla partecipazione delle persone, possano dare sostanza a metodologie e manifestazioni che peschino esplicitamente dall'abbondante - solo a volerlo guardare - patrimonio di esperienze di forme di lotta della nonviolenza praticata. Oltre il velo di reazione e rabbia che ha mobilitato tanta attenzione e partecipazione attorno al Gsf dopo Genova, avverto tra i "reduci" anche un'interrogarsi dubbioso che non costituisce affatto garanzia che la rete di organizzazioni che ha costruito il Gsf si presenti domani così ricca e compatta.
E' questo ciò che si vuole? Non sarebbe questa la più grande sconfitta, oltre che sconfessione delle basi da cui il Gsf è partito?
Abbiamo già una vasta esperienza del fallimento prima di tutto culturale, e poi politico, di movimenti autoreferenziali che si avvitano sui propri riti interni. C'è una secca contraddizione tra il rivendicare l'ampia ed eterogenea composizione del Gsf e dei manifestanti di Genova, e poi non saper rinunciare al fatto che sia una bandiera rossa (scusate se forzo un po') ad indicare la direzione e le forme della mobilitazione.
Ciò vale anche per il maggior simbolo che purtroppo Genova ci lascia: Carlo Giuliani. Chiedo scusa a tutti per l'apparente freddezza di quanto sto per dire, ma è necessario dirlo: alla tragedia vissuta da tutti in relazione alla sua morte, non corrisponde affatto lo stesso significato politico (sul valore umano della perdita irrimediabile e ingiustificabile di una vita umana siamo tutti d'accordo) che le si attribuisce. Mi permetto di dire che essa non mi rappresenta, e aggiungo che ho la netta sensazione che siamo in tantissimi - silenziosi - a non sentire come un valore il fatto che da Genova sia emerso un "martire", un simbolo. Non possiamo ignorare le modalità nelle quali questo tragico e assurdo fatto è avvenuto: una morte sbagliata in un modo sbagliato in un contesto assurdo, di reciproca aggressione, di violenza esplicita e voluta (e il fatto che le armi in "dotazione" ai due ragazzi fossero diverse, non ne cambia purtroppo il significato). Questo contesto non mi (ci) rappresenta, e sentiamo con disagio il fatto che esso assurga a motivazione attorno cui aggregare sentimenti e partecipazione, indirettamente legittimando quel contesto fatto di modalità che non solo noi rifiutiamo, ma che riteniamo anche politicamente perdenti. Sono già emersi - e tutti li abbiamo visti coi nostri occhi - sufficienti episodi di carattere collettivo (l'aggressione violenta e ingiustificsabile al Media center del Gsf ed alla scuola di fronte, le violenze/torture nella caserma di Bolzaneto), perfettamente in grado di rappresentare ciò che a Genova è accaduto, il suo significato politico e soprattutto le responsabilità delle persone e delle istituzioni. Non abbiamo affatto bisogno di "eroi" (ricordate Brecht?), col rischio concreto - e per me inaccettabile - di legittimarne le modalità. Mi rendo conto della delicatezza dell'argomento, e mi scuso ancora con chiunque sia direttamente coinvolto nella morte di Carlo: se mi permetto di dire ciò è perché sono certo del fatto che è molto ampia la fascia di organizzazioni e persone che la pensa pressapoco come me. E a voi lo pongo come problema politico e culturale.
Se l'eterogeneità è un valore, e non uno slogan o una risorsa per qualcuno, essa deve diventare il centro di un progetto politico "capace di futuro".
Giorgio Dal Fiume
Ctm altromercato/Lilliput

Ci sono giorni che vorresti dimenticare
Giorni che vorresti eliminare dalla tua vita, o semplicemente cancellare dal calendario. Giorni, terribili giorni, che vorresti che Dio non avesse mai mandato su questo sciagurato pianeta.
Ho seguito i fatti di Genova con interesse, dolore e rabbia. Interesse perché sono comunista e anch' io faccio parte del popolo di Seattle. Dolore per le atroci violenze operate dai black blockers e dalle forze dell'ordine. Rabbia perché, ancora una volta, pochi violenti sono riusciti a rovinare la manifestazione di tanti pacifici (con la benevolenza delle forze dell'ordine) e perché anche questa volta, la contestazione del dominio dei paesi ricchi su quelli poveri si è trasformata in un massacro.
Il primo martire? Carlo Giuliani, italiano, 23 anni e una vita tragicamente e irrimediabilmente interrotta durante un assalto ad una camionetta dei carabinieri. La violenza del ragazzo (che, bisogna dirlo, non aveva certo intenti pacifici) non può assolutamente essere giustificata, anche se in nome della giustizia; ma, se questo è vero, ancor più ingiustificato è l'omicidio compiuto da un carabiniere (anche lui giovanissimo), che, preso dal panico, ha sparato alla testa del ragazzo, togliendogli la vita.
Il carabiniere che ha ucciso ha solo 21 anni e (il suo comportamento lo ha dimostrato) non era abituato a certe situazioni. Questo è vergognoso e tradisce la disorganizzazione della polizia italiana: come si può dare ad un poliziotto giovane ed inesperto un incarico così gravoso come quello di tenere a bada ragazzi agguerriti e armati fino ai denti?
E poi: perché la polizia non disponeva di proiettili di gomma, già efficacemente utilizzati a Seattle, dove si è riusciti a respingere la rivolta senza uccidere nessuno? Ancora: perché quella camionetta si trovava isolata, perché i poliziotti non distanti dal luogo del delitto non sono intervenuti? E ancora: perché la polizia ha represso e picchiato manifestanti pacifici e inermi mentre non è stata capace di fermare i violenti?
A tutte queste domande non esiste ancora una risposta ufficiale. E il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, tanto per allentare la tensione creatasi in questi giorni, accusa: "Il piano per la sicurezza era del precedente governo". Affermazione subito smentita da Amato: "Il piano era inizialmente il nostro: il governo attuale lo ha stravolto proprio nei punti salienti."
Ma chi pagherà per tutto questo?
Mariasole Portale
13 anni
Capo d' Orlando (Messina)

Marta e Federico
Marta: Io sono di Genova, ma studio a Roma. Venerdì 20 alle 18 ero a Corso Gastaldi. Avevo partecipato al corteo dei Pink e dopo le cariche in piazza Manin con un gruppo di persone eravamo arrivate, quasi senza accorgercene, a corso Gastaldi, dove il corteo delle tute bianche era già stato caricato con i blindati.
Tra un momento di panico e uno di calma apparente stavamo cercando di ragionare sul da farsi, ma non ne abbiamo avuto il tempo. Dopo pochi minuti è partita un'altra carica dei carabinieri, sempre con i blindati, che passavano tra la gente. Io mi sono rifugiata nei portici lungo corso Gastaldi e lì ho visto una ragazza inginocchiata con la testa sanguinante. Mi sono avvicinata per darle una mano, avevo addosso ancora il casco e la maschera antigas. Non mi ero accorta che alle sue spalle c'era un gruppo di carabinieri. Appena mi sono avvicinata, con un calcio mi hanno buttato a terra e hanno iniziato a picchiarmi. Picchiavano anche la ragazza già ferita. Mi hanno strappato via il casco e la maschera e mi hanno rotto un dito.
Dopo che ho pregato i carabinieri di smetterla sono riuscita ad alzarmi e a camminare. Non volevo andare sull'autoambulanza, perché sapevo, visto che ero stata a Napoli, che chi andava in ospedale sarebbe stato arrestato. La ragazza ferita è stata invece portata via dall'ambulanza. Mentre me ne andavo ho urlato contro l'ultimo carabiniere del manipolo che ci aveva pestate e lui ha estratto quella bomboletta che molti avevano alla cinta e mi ha spruzzato contro una sostanza bianca che mi ha intontito. A fatica mi sono rifugiata in un garage, dove già altra gente aveva trovato riparo.
Dopo qualche minuto siamo usciti. Appena gli altri hanno saputo che io ero di Genova hanno iniziato a chiedermi indicazioni per andare verso lo stadio Carlini senza passare da corso Gastaldi dove vedevamo che la polizia si preparava al blocco. Io ero sconvolta, dolorante e piena di lividi, dei segni delle manganellate e dei calci. Ho tentato di rifugiarmi nella casa dello studente, dove però non mi hanno aperto la porta e poi sono arrivati a prendermi degli amici con una macchina e ci hanno portato al centro media del Genoa social forum a riposare.
Federico: Io sono di Roma. La notte del raid alla Diaz e alla Pertini io ero assieme a molti altri nella palestra della Diaz, dove ci stavamo riposando. Eravamo arrivati da pochi minuti quando abbiamo iniziato a sentire le urla dalla strada che avvertivano che la polizia stava arrivando. Abbiamo tentato di fare una barricata davanti alla porta, ma i poliziotti sono riusciti a passare. Lì nella palestra non ci sono state le scene terribili dell'altra scuola, ma ci hanno fatto sdraiare con la faccia a terra e ci hanno tenuto così per 15-20 minuti, poi se ne sono andati. Sono andato allora alla finestra per vedere cosa succedeva di fronte e ho visto il cordone della polizia tra le due scuole. Da dentro la Pertini arrivavano delle urla orribili. Io ho assistito a tutta la scena, tranne l'irruzione, e sono rimasto a guardare fino a quando la polizia non è andata via. Ti posso dire che non ho visto alcun poliziotto uscire ferito dalla scuola, nemmeno uno, anche se poi hanno detto che erano stati feriti alcuni agenti.
Marta: Al momento dell'arrivo della polizia io ero al primo piano nella stanza dove c'era Luisa Morgantini, la parlamentare europea. I poliziotti sono arrivati e ci hanno fatto radunare nel corridoio, facendoci stare con le mani sulla testa. Luisa Morgantini cercava di impedire l'ingresso della polizia nella stanza degli avvocati, dicendo "Sono un parlamentare europeo" ma loro rispondevano "non ce ne frega un cazzo" e la strattonavano. Li ho sentiti distruggere i computer, anche se non li ho visti perché eravamo nel corridoio. E sentivamo le urla, la cosa più terribile di quella notte, che arrivavano dalla scuola di fronte. Non urla di rabbia, ma di dolore. Ci sentivamo impotenti perché il cordone di poliziotti non ci lasciava avvicinare e l'elicottero con il fascio di luce faceva un rumore assordante. Non è la prima volta che partecipiamo a manifestazioni di massa, ma scene come questa non le avevamo mai viste.