26 LUGLIO
Gsf (Genoa Song of Freedom)Sono la tuta bianca
svestita per l'occasione, mescolata nel corteo
sono l'anarcopacifista criminalizzato senza colpa,
il militante senza partito, il volontario, il missionario e la suora,
l'ambientalista e il biocontadino, qualche partito e sindacato,
sono il lillipuziano contro il gigante,
sono il credente nel rito collettivo della strada di tutti,
sono lo striscione e le grida,
sono il sangue e le fratture, sono i computer spaccati,
sono l'acqua regalata dai balconi,
sono i volontari che hanno messo in piedi mille forum, e sedi, e docce,
sono il GSF, il Grande Sogno Fottuto
preso tra due fuochi
a urlare la mia rabbia, la mia impotenza
(le mie idee spacciate per violenza)
Sono lo spirito di Genova
Che vola alto, molto più alto dei vostri elicotteri
Più alto del fumo dei vostri lacrimogeni
Più alto delle botte dei vostri manganelli
Vedo le vostre polizie contro le nostre carni contro i nostri
respiri
ho visto tutto, e sono stanco di perdonarvi
di perdonare la vostra scienza tecnocriminale
la scienza della guerra contro la volontà di pace
sono il Grande Sogno che Faremo,
il sogno collettivo
di più generazioni
e dopo Genova Sogneremo più Forte
Mauro Ferrari
Piadena (CR)
2001, Genova,
Italia
Alcuni amici mi hanno chiesto di raccontare. E' colpa loro se tutti voialtri ora
avete la sfiga di beccarvi questa lettera aperta. Non fa niente se non avrete
voglia o tempo di leggerla fino in fondo, ci sono casi in cui scrivere serve
anche come valvola di sfogo e come modo per riordinare le idee: sono due
esigenze che in questi giorni mi pulsano dentro all'impazzata, e che stiate
leggendo o meno mi siete comunque preziosi come immaginari interlocutori.
Impossibile in realtà dar forma scritta alla rabbia, al dolore e all'incredulità
per quanto vissuto a Genova. E quando devo esprimere qualcosa per cui mancano le
parole, da prolisso divento interminabile. Ve lo dico alla quinta riga così ho
la scusa per andare avanti per altre due o tremila.
Siamo andati, e abbiamo visto.
Abbiamo visto e ora dovremo esserne testimoni, mettere insieme tutto ciò che
abbiamo vissuto, raccontarlo agli altri, farlo diventare un mezzo di pressione
politica e di ricerca della verità. Abbiamo questo dovere.
Ma dobbiamo essere lucidi. Cerco allora un distacco dallo stato emotivo che mi
porto dietro da Genova, e lo cerco nella storia.
Conoscete il nome di Giorgiana Masi, una ragazza di 22 anni che il 12 maggio del
1977, durante una manifestazione pacifica, venne uccisa da un colpo di pistola
sparato da poliziotti travestiti da autonomi, uomini dei reparti speciali
sguinzagliati dal ministro Cossiga per le strade di Roma. L'intento era quello
di sempre: seminare panico e violenza facendone ricadere la responsabilità su
presunte frange estreme di manifestanti e creando il clima giusto per una
repressione generalizzata del corteo da parte delle forze dell'ordine, per
annegare nel sangue e nello scontro di piazza un grande movimento nonviolento
che aveva delle cose da dire ai potenti e ci stava riuscendo. E allora via con i
finti autonomi a far casino
da una parte, e con la polizia a caricare dall'altra. E i manifestanti nel mezzo
a rimetterci le penne.
E' esattamente quello che abbiamo visto accadere a Genova.
Tanti hanno visto le bande dei black bloc far scoppiare gli scontri e poi
riparare dietro le linee di polizia a riprendere fiato, protette dai blindati
delle forze dell'ordine, ricevere armi e bastoni da misteriosi camion che solo
con la complicità delle forze di polizia potevano entrare e circolare in una
città blindata, li abbiamo visti spaccare vetrine e subito dopo parlare con
funzionari delle forze dell'ordine per ricevere nuove direttive. Ci sono
testimonianze di chi li ha visti nei giorni precedenti dentro le questure,
confabulare con gli agenti parlando in tedesco e in inglese. Erano loro, erano i
loro uomini. Viene da urlare.
La polizia ignorava loro e caricava e massacrava noi manifestanti che marciavamo
a decine di migliaia con le braccia in alto, come a dire "non abbiamo
neanche un sasso in mano" e scandivamo senza sosta
"nonviolenza-nonviolenza". Abbiamo vissuto ore in cui vedevamo i black
bloc spuntare come funghi, distruggere tutto davanti e dietro di noi, i
poliziotti ignorarli o proteggerli e caricare noi, sparando lacrimogeni ad
altezza d'uomo.
Se i momenti di panico, durante le cariche e i lanci di lacrimogeni, non sono
sfociati in fughe generali ed incontrollate dei manifestanti, che calpestandosi
gli uni con gli altri avrebbero portato a contare alla fine decine di morti, è
stato solo grazie alla maturità e alla preparazione di un movimento che per
mesi e mesi si è autoimposto un percorso di formazione a questo appuntamento,
imparando le tecniche di reazione nonviolenta che sono state decisive per
mantenere quanto più possibile calmo e serrato il corteo nei momenti peggiori.
Era impressionante vedere migliaia di persone reagire alle cariche non
voltandosi e fuggendo come sarebbe istintivo ma alzando le braccia e rimanendo
fermi, faccia a faccia con il fumo dei lacrimogeni e con i manganelli della
polizia. Avete presente la celebre foto dello studente di piazza Tienanmenn
immobile davanti a una fila di carroarmati? Quella. Immaginatela e trasportatela
a Genova, applicata a trecentomila persone.
C'è gente che si è beccata ore di lacrimogeni, pur di non spostare di un metro
la propria postazione di puntello come servizio d'ordine, dando così
tranquillità e punti di riferimento a chi sfilando doveva passare dove era
automatico aver paura, ci sono compagni che hanno rischiato di trovarsi in prima
linea sotto la carica pur di non mollare la presa del braccio del vicino a
costituire il cordone di sicurezza, indispensabile per tenere insieme il corteo
e salvaguardare la sicurezza dei partecipanti, evitandone una dispersione che
sarebbe stata pericolosissima se non mortale. In una manifestazione che fosse
stata priva di una preparazione così accurata ad affrontare certi momenti, il
comportamento delle forze dell'ordine avrebbe causato scene di fuga e panico
tali da portare alla morte per calpestio e schiacciamento di non so quanta
gente. Chi ha diretto polizia e carabinieri cercava la strage. Per questo è
giusto parlare di trecentomila superstiti.
Infine, lo avrete letto: i compagni che sono rimasti in città anche sabato
notte sono stati assaliti da centinaia di poliziotti che hanno fatto irruzione
nella scuola dove dormivano, li hanno massacrati a colpi di manganello e calci
in faccia mentre erano nei loro sacchi a pelo, hanno distrutto tutto, avevano
l'intento di far sparire tutte i filmati e le fotografie che i manifestanti
avevano realizzato durante la giornata per testimoniare la collusione tra le
bande nere e le forze dell'ordine. Dopo aver spaccato nasi ed ossa si sono
accaniti contro i computer, spaccando tutto e asportando i dischi fissi con le
informazioni riguardanti denunce, elenchi di persone ferite o di cui non si
hanno più notizie, arresti ritenuti illegittimi. Prove scomode. Una retata in
puro stile-Pinochet, selvaggiamente compiuta nel 2001 a Genova, Italia.
Un massacro contro gente disarmata che crede nella pace e non sa tirare neanche
un sasso. I più fortunati, i pochi che non sono usciti da quella scuola in
barella, sono stati ammanettati e arrestati.
Io non so bene cosa possiamo fare di fronte a tutto ciò, ma ci dobbiamo
provare. Dobbiamo contrastare le menzogne di chi ha voluto tutto questo e ora
tenta di ritorcerlo contro un movimento fatto di donne e di uomini che hanno
marciato a braccia alzate. Tutti voi avete letto quello che ha detto il ministro
dell'Interno, non ve lo sto a ripetere. Riprendendo un articolo del manifesto,
vi ricordo invece un analogo discorso fatto da un altro personaggio, oltre
trent'anni fa. Sì, cerco ancora lucidità nella storia. Era il pomeriggio del 7
luglio 1960, quando 350 uomini della Celere armati di pistola e mitra caricarono
300 operai delle officine di Reggio Emilia in sciopero, armati di maniche di
camicia e nient'altro. E' un massacro, Afro Tondelli muore schiacciato da una
jeep, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Lauro Ferioli e Marino Serri cadono a
terra sotto colpi d'arma da fuoco. E' di loro che parla la più struggente
canzone del repertorio operaio italiano, "Morti di Reggio Emilia", che
tanti compagni ancora oggi si emozionano a cantare e a tramandare di generazione
in generazione. Il presidente del consiglio era Ferdinando Tambroni, al governo
grazie all'appoggio del Movimento Sociale Italiano e dichiarato oppositore della
Costituzione fondata sulla Resistenza del'Italia antifascista. Così riferì al
Parlamento dopo i fatti di Reggio: "circondati dai dimostranti che tiravano
sassi, gli agenti furono costretti a sparare per legittima difesa".
Carlo Giuliani aveva la stessa età dei ragazzi di Reggio Emilia e di Giorgiana
Masi. La sua imprudenza di ventenne lo ha consegnato a un elenco di vittime che
affonda le sue radici in un passato maledetto. L'uomo che lo ha ucciso era
appena maggiorenne. Entrambi tragiche comparse di un gioco al massacro tra
poveri, in cui il potere trae buon gioco dal creare scontri e disordini per
serrare le fila e reprimere nel sangue qualunque energia alternativa e
antagonista, soprattutto quando queste energie iniziano a conquistare una
posizione culturale e politica tale da renderle agli occhi dell'opinione
pubblica un interlocutore importante, maturo e degno di essere ascoltato: una
voce troppo pericolosa per otto mercanti di armi e di droga barricati in una
nave blindata a spartirsi il pianeta. E allora contro ai manifestanti si mandano
le forze dell'ordine, uomini in divisa che in buona parte altro non sono che
ragazzi assoldati negli strati sociali più disagiati pescando nella
disperazione della disoccupazione, addestrati alla guerra selvaggia con uno
scientifico lavaggio del cervello, armati senza magari aver mai visto una
pistola fino a una settimana prima, drogati chissà con che cazzo di sostanze e
mandati allo sbaraglio contro l'inferno scatenato ad hoc da uomini misteriosi
vestiti di nero, quei black bloc assoldati, armati, organizzati e diretti come
un corpo speciale, come le teste di cuoio. Non sono fantasie, li abbiamo visti.
Loro a spaccare tutto da una parte, la polizia dall'altra, i manifestanti in
mezzo. C'è un pezzo di Stato che ha voluto ed organizzato tutto questo.
E' tutto troppo evidente e pazzesco. Ne siamo stati testimoni, dicevo
all'inizio. E allora testimoniamo. Noi che eravamo a Genova non ci stanchiamo di
incontrarci, di raccontarci a vicenda quello che abbiamo visto, di mettere
insieme i pezzi, di ricostruire i fatti e di parlare. Raccogliamo la
documentazione che la polizia non ha distrutto, rendiamola visibile a tutti,
affinché tutti abbiano gli elementi per capire la gravità e le proporzioni di
quello che è accaduto in questi giorni.
Chi invece a Genova non c'era ci stia vicino, vi prego, ve lo chiedo con voce
straziata, abbiamo tremendamente bisogno di voi. Aiutateci a raccogliere le idee
e a tentare di trovare calma e lucidità in una situazione che ci ha sconvolto e
che rischia di farci impazzire dalla rabbia. E insieme a noi leggete,
informatevi, documentatevi, state a sentire le voci e fatele rimbalzare ovunque.
Collegatevi alla pagina http://www.peacelink.it/altrinformazione in cui si
stanno raccogliendo e si continueranno a raccogliere tutte le testimonianze.
Alcune sono accompagnate dalle foto di un gruppo di carabinieri che si
travestono da black bloc fuori da una caserma. Ormai ne circolano parecchie di
foto come questa, per lo più scattate da manifestanti o fotografi amatoriali,
alcune immagini sono già nelle mani di grandi agenzie.
Cliccate anche su http://www.mir.it e sul sito del manifesto www.ilmanifesto.it,
leggetevi gli articoli usciti su questo quotidiano negli ultimi giorni. In
particolare l'edizione straordinaria del 23 luglio merita una lettura
approfondita. Rispetto ad altri movimenti del passato abbiamo in più questo
mezzo straordinario di comunicazione e di divulgazione del materiale, e allora
non vi stancate di girare per la rete, di seguire i racconti andando avanti di
link in link, di conoscere e di capire quello che è accaduto. Se non avete
tempo di leggere a video, stampate tutto, e utilizzate i momenti morti della
settimana - le attese nel traffico dei giorni feriali o le ore in spiaggia del
sabato e della domenica - per riprendere in mano quei fogli. Per favore fatelo.
E' un dovere civile e morale prima ancora che politico.
Il Genoa social forum continuerà il suo lavoro, verranno indetti nuovi
appuntamenti, preparandosi ad una grande manifestazione nazionale a Roma il 10
novembre, in concomitanza della riunione del Wto che si svolgerà in Quatar. Le
iniziative, sia di formazione e di studio su queste tematiche che di presenza in
piazza, si moltiplicheranno. Di fronte a tutto questo, e soprattutto di fronte a
quanto avvenuto a Genova, è il momento di prendere posizione. Per questo è
importante leggere e conoscere: per poter scegliere da che parte stare. Chi sta
dalla parte di questo movimento, se ancora non l'ha fatto lo dica. Oppure dica
che non ci sta. Ma decida. Decida! Perché è il momento di schierarsi. O da una
parte o dall'altra. La strategia della sinistra di governo o aspirante tale
(chiamatela strategia dalemiana o veltroniana o rutelliana, alla resa dei conti
per me pari son...) di "un colpo al cerchio e uno alla botte" pur di
aspirare a prendere i voti di tutti è una strategia indegna, fa vomitare, e se
qualcuno non se ne fosse accorto è pure perdente. La preparazione di una
manifestazione di rilievo mondiale su tematiche di scala planetaria per mesi
viene ignorata, non ci si schiera in nessun modo, quando si tratta di prendere
uno straccio di posizione non si sa bene che rispondere, per un po' l'adesione
viene esclusa, poi viene data in extremis ma con mille distinguo e polemiche
interne, poi viene revocata quando muore un ragazzo (cioè proprio nel momento
in cui era ancora più opportuno esserci e schierarsi!) Questo è quello che
hanno fatto gli immondi vertici dei diesse. Se la base di questo partito, o una
parte della base, non si riconosce in questo comportamento è ora che lo urli
forte. Alcuni compagni diessini lo hanno fatto: alla festa dell'Unità di
Firenze il segretario regionale toscano è stato contestato mentre tentava di
difendere la vergognosa posizione assunta dal partito sulla questione G8, ed è
stato costretto ad interrompere il suo immondo intervento dalla reazione di una
platea composta da oltre mille persone tra militanti ed iscritti diessini,
esponenti di associazioni, giovani, anziani. Tra le persone che sono intervenute
al dibattito anche un anziano iscritto che si è detto "vergognato dalla
posizione di questo nostro partito".
Bene compagni, cosa si aspetta a far avvenire ciò in tutte le feste dell'unità,
in tutte le sezioni, in tutte le federazioni? Le dichiarazioni di D'Alema e
Fassino non sono migliori di quelle del segretario toscano. Sono rivoltanti. La
base del partito ha l'ultima occasione, ma davvero l'ultima, di riprendersi la
propria storia (quella per cui ancora si cantano i "morti di Reggio
Emilia"), la propria dignità, la propria identità di sinistra, mettendo
quest'ultima davanti alla propria fedeltà ai vertici e facendo scomparire dalla
scena politica chi ha guidato il partito negli ultimi anni, dai dirigenti
nazionali a quelli di federazione cittadina e di unità circoscrizionali. Fuori
tutti coloro che sono stati responsabili o conniventi rispetto a certe scelte
sciagurate oltreché suicide (numeri elettorali alla mano). E' ora di
ricominciare. Ma in fretta, che non c'è tempo. Perché è ora di fare
l'appello, chi ci sta bene, e chi non ci sta è dall'altra parte. Dall'altra
parte! Questo deve essere chiaro. Non è più tempo di mezze scelte, di
compromessi, di sfumature che vogliono salvare capra e cavoli. C'è da
scegliere. Bianco o nero? Testa o croce? Destra o sinistra? Ripeto e sottolineo:
destra o sinistra?
I cittadini di Genova questa scelta l'hanno fatta. Per dieci chilometri di
percorso abbiamo visto cestini calar giù dalle finestre, raccogliere bottiglie
di plastica ormai vuote e ricalarle giù dopo un minuto, riempite d'acqua.
Neanche ai box della Ferrari sono così efficienti. Chi ha vissuto momenti di
panico particolarmente brutti e si è ritrovato nei vicoli senza via d'uscita,
accerchiato da bande nere e forze di polizia, si è visto aprire le porte di
casa da gente che li ha così tratti in salvo. Sul viale che finalmente
conduceva all'arrivo, un signore dal primo piano ha offerto una quanto mai
desiderata doccia ai manifestanti accaldati da tante ore sotto il sole e
stremati da tanta tensione e paura, spruzzando acqua con la pompa del balcone.
Subito dopo si è aperta un'altra finestra al piano di sopra, poi un'altra, poi
un'altra ancora, e nel giro di pochi istanti l'intera facciata del palazzo si è
animata di persone che spuntavano d'incanto chi con una tinozza, chi con un
secchio o una bottiglia, tutti a buttar giù acqua, e non era solo un modo per
dare refrigerio a chi lì sotto si inzuppava contento, no, era un atto politico,
un simbolo, era come sventolare una bandiera o soffiare in tanti fischietti, era
come dire "ci vedete? ci siamo anche noi". Il popolo dei rubinetti, o
se preferite il popolo delle mutande, quelle sventolate da arzille nonne
ottantenni che si affacciavano a salutare chi sfilava, in risposta all'ordinanza
che ha vietato l'esposizione del bucato alle finestre per non disturbare la
vista degli otto grandi.
Ecco, il popolo della sinistra è chiamato - ultima chiamata - a fare qualcosa
di altrettanto facile ed insieme dirompente. Ad uscire una buona volta dai
congressi di sezione, dalle riunioni di direttivo, dagli attivi di federazione,
dalle assemblee con se stessi e con i propri modestissimi dirigenti. A lasciare
quelle benedette sedie per aprire le finestre e tornare a guardare la gente, le
masse, i compagni, le realtà territoriali, i movimenti, le persone, e ad aprire
quei rubinetti diventati un simbolo nelle case di Genova. Di fronte alla gravità
di quanto accaduto nei giorni scorsi, io credo che si abbia il diritto di sapere
chi sta da una parte e chi dall'altra. E lo vogliamo sapere subito.
Ancora una cosa.
Carlo, lo apprendo dai giornali, esattamente un mese fa era con noi al Circo
Massimo, in una giornata di festa per un evento sportivo, un concerto animato da
un milione di persone e da altrettante bandiere, quelle di una squadra di
calcio. Questo futile particolare, la cui citazione può sembrare fuori luogo,
è però elemento per capire che la vita di ogni singola persona è fatta di
tante cose, grandi e piccole, di elevati ideali e di passioni frivole, di
razionalità e di istinto, di lucidità e di follia, di pensieri adulti e di
pulsioni infantili, di atteggiamenti responsabili e di comportamenti
sprovveduti, i cui confini sono talvolta così labili che un solo attimo, uno
solo, può bastare a rendere tutto bello o tutto tragico. Non so cosa sia
passato per la testa di quel ragazzo, in quell'attimo, per esporsi così
imprudentemente alla reazione folle di un coetaneo con la divisa e la pistola.
So però che la vita di Carlo era uguale alla nostra vita, non era diversa, e
che quella pallottola ha dilaniato pure me, noi, voi. Nessuno ha il diritto di
ritenersi estraneo a quel corpo sull'asfalto. Nessuno.
Filippo Thiery (thiery@tin.it)
"E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri
senza le barricate, senza feriti, senza granate
se avete preso per buone le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti."
Fabrizio De André, 1973
Improvvisamente
Ero nella sede del Gsf la sera di venerdì, malgrado il desiderio e il bisogno
di andarmene a dormire dopo la tragedia della giornata, ero rimasta perché due
ragazzi mi avevano chiesto di restare con loro, temevano l'arrivo della polizia.
Improvvisamente abbiamo sentito urla provenire dalla strada. Abbiamo guardato
dalla finestra, una squadra di poliziotti cercava con manganellate e spinte di
aprire il cancello della scuola Diaz-Pertini, non ci sono riusciti, si sono
spostati e hanno fatto fare il lavoro ad una camionetta della polizia, poi sono
entrati come ossessi nel cortile della scuola precipitandosi contro le finestre
e le porte, picchiando forsennate manganellate ai vetri. Dopo qualche momento
sono arrivati anche da noi. Hanno fatto inginocchiare le persone a terra con le
mani alzate. Non lo hanno fatto con me, ho detto che ero europarlamentare. Ho
cominciato a telefonare freneticamente a giornalisti. Nel frattempo si sentivano
urla che venivano dall'altra scuola. Sono andata negli altri piani per vedere
che non colpissero le persone. Il "tenente" mi ha detto che non potevo
dare ordini alla polizia. Risparmio i dettagli.
Sono scesa per andare nell'altra scuola, erano già arrivati altri parlamentari,
il portavoce del Gsf e la nostra Monica Lanfranco. Con Gigi Malabarba abbiamo
tentato di superare il cordone della polizia per entrare nella scuola, inutile.
Un responsabile della questura,mentre arrivano ambulanze che portavano via
ragazze e ragazzi che perdevano sangue, ci diceva che non succedeva niente che
stavano solo perquisendo, e quelli che vedevamo portare via erano persone con
ferite"pregresse".
Ho superato non so come il muro dei poliziotti e sono riuscita ad arrivare alle
ambulanze cercando di parlare con i feriti per avere i loro nomi, una ragazza
turca grondava sangue dalla testa: "Ci hanno messi per terra e
colpiti". Sono andata a cercarla all'ospedale la mattina dopo, trauma
cranico, il medico mi ha detto che soffriva di epilessia ed aveva avuto un
attacco, era piantonata, c'era l'ordine (così come per gli altri feriti), di
non permettere a nessuno parlarle. Ho impietosito il poliziotto mentre diceva
che lo avrei messo nei guai e sono riuscita ad avvicinarmi, parlarle lasciandole
il nome dell'avvocato, e ad avere un numero di telefono per comunicare del suo
fermo ai suoi, in Germania. Dentro la scuola siamo entrati solo quando la
polizia se n'è andata. Atroce, oggetti tutti alla rinfusa, creme, libri,
vestiti, mele. Ragazzi e ragazze inebetiti o piangenti. Sangue, sui muri, per
terra, sui vetri Mi passavano le immagini della Palestina, del Cile,
dell'Argentina. Sgomento, dolore, rabbia, impotenza. Sì, perché mai come
quella notte ho sentito la perdita del diritto qui nel mio paese, in Italia. Un
colpo di stato, la polizia superiore a tutto, non esistevano avvocati, medici,
parlamentari, solo polizia e noi eravamo alla loro mercé. Vedere portare via
corpi insanguinati e noi davanti a loro senza potere. Non è stata solo
rappresaglia, ma volontà e scelta di rompere e fermare un movimento che si
presenta alternativo anche nella scelta della nonviolenza. E terrorizzare.
Tentare ancora la strada degli anni di piombo.
Perché dopo questi giorni, molti dei giovani forse non manifesteranno più,
come Livia, che mi telefona continuamente terrorizzata che la vadano a prendere.
Altri si rafforzeranno a pensare che a violenza si risponde con violenza.
Perché al di là dei disegni polizieschi o delle infiltrazioni, i gruppi
organizzati o anche i singoli che hanno sfasciato banche, negozi, uffici postali
o aggredito manifestanti e polizia, certamente non vogliono un mondo nuovo di
giustizia, di solidarietà, ma sono lo specchio irrazionale e distruttivo del
vecchio mondo.
Ma questo movimento non lo lasceremo morire. E' in grado di essere maturo e non
ripeterà i vecchi errori, non ci faremo riprendere dalla spirale della violenza
e della repressione e non ci lasceremo intimidire né dal governo e dalla
polizia né dai gruppi che praticano la violenza. Lo abbiamo visto nella
manifestazione di sabato e non solo nella nuova generazione di giovani, donne e
uomini che rifiuta la cultura della guerra e del guerriero.
L'essere contro il liberismo, la politica delle multinazionali, la povertà, le
discriminazioni sessuali, l'ingiustizia ci fa anche essere contro ogni forma di
violenza. In questo senso come donne, femministe e pacifiste dobbiamo agire nel
movimento come protagoniste e non solo come partecipanti.
Luisa Morgantini
"Mamma non
preoccuparti, l'unica che può menarmi sei tu"
Ho 46 anni, tre figli, sono giornalista. Mi chiamo Flavio Brighenti. Ero a
Genova. Tra i manifestanti pacifici. Qui voglio testimoniare quello che ho
vissuto. Solo quello che ho visto con i miei occhi e sentito con le mie
orecchie.
Sabato 21 luglio
Ore 13.30
Sono in corso Torino con mia moglie e un gruppo di amici. Osservo partire il
corteo, migliaia di persone che si muovono in direzione di Marassi, dove si terrà
il comizio del Genoa social forum. Noi restiamo immobili, colpiti
dall'incredibile campionario umano dei manifestanti. Folgorati dalla ricchezza
degli slogan, delle sigle, degli abbigliamenti. La sensazione è che rabbia ed
ironia possano marciare insieme.
Ore 14.45
Nella strada parallela, a ridosso di piazza Rossetti, si alzano i fumi dei
lacrimogeni. La battaglia di Genova è iniziata. Decidiamo di risalire il
corteo, virando verso corso Italia, per allontanarci dalla zona della guerriglia
e per raggiungere altri amici che sono in coda. Lassù c'è anche mio fratello,
medico, sanitario del Gsf. Ci teniamo in collegamento con i telefonini. Ci
auguriamo buona fortuna. Gli comunico che qui, purtroppo, sta esplodendo il
casino. Noi non ci siamo ancora mossi da via Caprera, mi dice Camillo. E
aggiunge che c'è un mare di gente. Impressionante. E poi: stai tranquillo, da
noi è tutto assolutamente calmo.
Ore 15
Siamo attestati all'inizio della salita di corso Italia, all'altezza di via
Casaregis. Sulle nostre teste volteggiano ad alta quota gli elicotteri. Sui
tetti dei palazzi si scorgono i poliziotti con le telecamere che filmano e
fotografano. A un chilometro la battaglia infuria. Da piazza Rossetti, dense
volute di fumo nero si alzano verso il cielo. Il corteo continua ad avanzare
verso corso Torino, sempre più concitatamente. Si capisce che, restando fermi,
si rischia di restare isolati. Di perdere il collegamento con la testa del
corteo, che conta già decine di migliaia di manifestanti.
Ore 15.15
Risaliamo la corrente di un centinaio di metri, forse duecento. Ci sediamo sulla
balaustra, per osservare, per capire cosa è il caso di fare. Se avanzare o
indietreggiare. Il corteo ora è praticamente immobile. Sembra decapitato. I
fumi da piazza Rossetti si fanno sempre più alti. Ora i candelotti dei
lacrimogeni piovono anche sulla tendopoli di piazzale Kennedy. Praticamente in
ogni direzione. Sul mare, molte pilotine dei carabinieri dominano la scena.
Nessuno potrebbe sfuggire. A proposito, incredibile ma vero: decine di persone
nel frattempo prendono il sole in quella sorta di baia, inquinata. Vedo un paio
di ragazze in topless e molti altri bagnanti in costume. Surreale.
Ore 15.30
Squilla il cellulare. Camillo mi chiede com'è la situazione. Gliela descrivo.
Loro si sono mossi da un'oretta da via Caprera, senza incidenti. Qui sembra
Apocalypse Now, gli rispondo. Ciao, a dopo. Il corteo ormai è bloccato. La
polizia guadagna metri e risale verso di noi. Calma, calma. Non lasciamoci
prendere dal panico. Un'amica suggerisce di andare nella zona di punta Vagno,
dove c'è un altro tendone del Gsf. Ma sei impazzita, dico io. Se ci infognamo lì
facciamo la fine dei topi. Restiamo in campo aperto, dove c'è libertà di
movimento. Intanto, i bagnanti vengono fatti rivestire in tutta fretta dalla
polizia. Brutto segno, commenta Guido.
Ore 16
Fa caldo. Non abbiamo da bere. Davanti a noi spuntano due ragazzi con uno
striscione. Sopra c'è scritto: Mamma non preoccuparti, l'unica che può menarmi
sei tu. Riusciamo a ridere. E comunque, rideremo ancora per poco. Dal basso, i
manifestanti rinculano di corsa. Panico. Con calma, con calma, urliamo tutti.
Io, mia moglie e gli amici finiamo, all'altezza del ristorante Punta Vagno,
bloccati nella calca. Proprio in mezzo agli anarchici, sotto le bandiere
rossonere. Gli anarchici hanno rinserrato le fila, improvvisando un servizio
d'ordine. Che cazzo fate, lasciateci passare. Rispondono: la polizia sta
caricando da dietro. Penso alla coda del corteo. A mio fratello. Lo richiamo.
Risponde la segreteria telefonica. Cristo. Riprovo, due minuti dopo. Squilla.
Millo (lo chiamo così da sempre), vi stanno caricando? No no, siamo in corteo,
tutti uniti. Qui continuano a dire che sulla coda caricano, perché? Non lo so,
ma stai tranquillo.
Torno all'attacco con gli anarchici. Insisto: non è vero che abbiamo la polizia
alle spalle, me lo ha hanno appena comunicato da là. Lo vedi questo cellulare?
E loro: ma noi non parliamo della coda del corteo, la pula è qui dietro. Dove?
L'incrocio con via Piave è distante un centinaio di metri. Ma siamo troppi,
troppi per riuscire a vedere qualcosa. E così ammassati che non possiamo
muoverci.
Ore 16.15
C'è un silenzio irreale. Si percepisce che siamo in un cul de sac. Alcuni
cercano rifugio su una sorta di collinetta sul lato mare. Il terreno è
friabile, ci sono alberelli di pitosforo che a me sembrano scheletri, e una rete
metallica sfondata poco più su. Ma il buco nella maglia è piccolo: ci passa
una persona alla volta, a fatica. Urlo a mia moglie: non andate lì, restate
sulla strada. E comunque: siamo così pigiati che le intenzioni restano tali.
Per tutti.
All'improvviso, accade quello che temevamo. La polizia carica. Ci piovono
addosso i lacrimogeni. Sono decine, forse centinaia. Arrivano da ogni parte, me
ne arrivano un paio tra i piedi. Cerco di stringere gli occhialetti Speedo da
piscina, che ho portato per protezione, per riuscire a tenere gli occhi aperti.
Ma si spezza l'elastico. E i polmoni mi si riempiono di un'aria disgustosa,
irrespirabile. Respiro gas. Mi sento morire. Vorrei afferrare la mano di Lucia.
Non ci riesco. Decido di buttarmi sulla strada. Ho fortuna. C'è un sanitario
del Gsf. Mi dice: apri la bocca. E inala uno spray che mi allarga i polmoni.
Dio, torno a respirare. Mi guardo attorno. È l'inferno. La polizia ci è
addosso. Tanti manifestanti sono a terra. Impotenti. I celerini avanzano,
intabarrati nelle loro armature. Sembrano guerrieri spaziali, sotto i loro
caschi, dietro le maschere antigas, e gli scudi, e le armi puntate. Vedo un
ragazzo senza più scarpe né maglietta, solo i pantaloni luridi. Corre, cerca
di sfuggire ai poliziotti. Ha il volto coperto di sangue. Scivola sul selciato,
cade a terra. Gli sono addosso, lo caricano di manganellate. Vorrei gridare:
noooo! La voce non mi esce dalla gola. Esce da altre, la polizia lo prende con
le cattive e lo rimette in piedi, mentre lui implora. Intanto, i poliziotti
raccolgono da terra i vessilli scegliendoli con cura e li buttano dentro i loro
cellulari.
Ora vedo gli amici a braccia alzate. Ma dov'è Lucia? Per fortuna è ancora là,
aggrappata a un albero, con gli occhi rossi. Scendete, presto, dico a lei e a
Roberto. Dalla parte opposta della collinetta i manifestanti vengono tirati giù
con il manganello. Ho le mani nei capelli. Gli occhi pieni di lacrime. Ma ora
Lucia è con me. E Roberto. Più in là Luisa. All'appello mancano Guido e sua
sorella. Dove sono?
Siamo tutti a braccia alzate. Camminiamo tra ali di celerini. Sono forche
caudine. Ci urlano: bastardo, stronzo, figlio di puttana, comunista di merda.
Sulla destra un poliziotto mi guarda con occhi di odio: bastardo (lui lo dice,
io lo penso). Sulla sinistra un altro mi afferra il braccio e mi rassicura: è
tutto apposto. Grazie, gli dico. Ma un minuto più tardi Lucia mi delude. Lei e
altri manifestanti hanno sentito distintamente: zitti zitti, c'è la stampa. Il
giorno successivo, domenica, a TG2 Dossier, verso le 21.30, scorrono le immagini
della nostra "resa". Ecco qual era la "stampa" cui alludeva
quel celerino. Però le immagini vengono mandate in onda senza sonoro. Senza
rumore d'ambiente: il pubblico non può sentire gli insulti che ci hanno
regalato.
Le ingiurie restano nella nostra memoria, la mia, quella di Lucia, di Roberto,
di tutti gli altri democratici che le hanno subìte. Altri hanno subito qualcosa
di infinitamente peggiore.
Ore 16.30
Miracolo. Siamo ancora interi. Con mia moglie risaliamo via Piave. È pieno di
cellulari. I celerini ci guardano con odio. Poi ripartono sui loro mezzi,
simulando dalle torrette di spararci altri lacrimogeni. La macchina che chiude
la fila sgomma verso un crocchio di manifestanti, più su.
Ore 17, circa.
Da mezz'ora cerco disperatamente di sentire mio fratello. Il suo telefonino è
"morto". Prego che lui sia vivo. Arriviamo alla scuola Diaz, centro
del Gsf, quello che poi, durante la notte, subirà la visita "cilena"
della polizia. Arriva un'ambulanza del Gsf, ha il lunotto sfondato. Presto,
questo ragazzo sta male, portatelo su. Ma cosa è successo? Lo abbiamo raccolto
dalla parti di via Zara, ha il volto sfigurato, raccontano i sanitari. Lo
abbiamo caricato sull'ambulanza, la polizia ci ha sparato un lacrimogeno dentro.
Salgo le scale con loro. Nella sala medica ci sono molti feriti. Mi vergogno,
quando chiedo ancora un po' di spray per respirare. Chiedo se sanno niente di
Camillo, il loro collega coi capelli biondi e ricci, mio fratello. Nessuno sa
nulla. Entro nel panico. Esco. Abbiamo ritrovato Guido, c'è anche sua sorella.
Ore 18
Squilla il telefonino. Compare la scritta: Millo. Mi si apre il cuore. Flavio,
sto bene, stiamo bene. Ci hanno caricati, ma ora è finita. Cerchiamo di
raggiungervi. Sembra facile. Ma muoversi per Genova è un'impresa titanica. I
poliziotti sono dappertutto, sbarramenti di cellulari e blindati ovunque. Siamo
alla loro mercé. Riusciremo a rivederci solo tre ore più tardi, dopo che il
mio gruppo di amici ha trovato rifugio nel frattempo a casa di amici, dopo vani
tentativi di dirigerci verso la casa dei miei genitori, che sta su a
Castelletto. Oltre la zona rossa. Irraggiungibile.
Ore 21
Siamo su un taxi, dalle parti dello stadio Carlini. Mio fratello è arrivato
alla Diaz. Veniamo a prenderti, gli dico, non muoverti di lì. Quando sale sul
taxi, ci descrive un po' di situazioni vissute. Ha soccorso ragazzi con la
schiena devastata dalle manganellate. Li hanno bastonati con rara ferocia.
Racconta: ho contato quarantotto manganellate sul corpo di un ragazzo, avrà
avuto diciotto anni. Un mio collega ha trovato una ragazza straniera che aveva
la gamba spezzate in tre punti diversi. Prima l'hanno manganellata, poi l'hanno
sollevata di peso e l'hanno butta giù da un muretto.
Ore 21.30
Siamo sulla nostra macchina, a Castelletto. Diretti verso casa, nel Levante.
Sulla circonvallazione a monte incontriamo molti autostoppisti. È difficile
muoversi, per chi non abbia auto private o soldi per i (pochi) taxi in
movimento. Prendiamo a bordo tre ragazze svizzere. Dove andate? Verso corso
Italia, rispondono. Ci raccontano cose agghiaccianti. Loro erano a Marassi, la
zona dove Agnoletto e gli altri del Gsf sono riusciti a tenere il comizio,
mentre noi eravamo ancora in corteo. Dicono che sono fuggite, verso sera, quando
hanno visto i poliziotti salire su un autobus di linea carico di ragazzi, e
hanno iniziato a manganellarli. Le ragazze ci dicono: non abbiamo mai visto
polizia tanto feroce in nessun'altra parte d'Europa.
Eppure, il ministro degli Interni Scajola loderà in Parlamento le forze
dell'ordine per la loro abnegazione e la loro professionalità. E il presidente
del Consiglio prometterà un aumento di stipendio. La battaglia di Genova è
finita. Forse anche la democrazia nel nostro paese.
P.S. Domenica mio fratello mi telefona, e mi racconta un episodio che mi
aveva taciuto il giorno prima.
Intorno a mezzogiorno e mezzo di sabato, mentre lui è di scorta sanitaria alle
tute bianche, all'altezza della scuola Champagnat, viene segnalato l'arrivo di
manifestanti "non identificati" alle spalle della polizia, che vigila
a ridosso delle stesse tute bianche. Dopo averne discusso nel gruppo, si decide
di avvertire la polizia del pericolo. Camillo e un altro ragazzo del Gsf,
giornalista free lance, si rivolgono a un funzionario di Ps, dicendo: state
attenti, sta arrivando qualcuno che non è dei nostri. E non vogliamo che
accadano incidenti. Il funzionario risponde, gentile ma risoluto: all'ordine
pubblico pensiamo noi. Sappiate solo che se ci tirano addosso due sassi,
chiunque ce li tiri, noi carichiamo. E oggi vi massacriamo. Se volete un
consiglio, mandate a casa le vostre donne e i vostri figli.
Sono un
vecchio ambientalista genovese
Venerdi 20 Luglio, a piazza Manin sono stato testimone (e ho documentato
fotograficamente) degli effetti degli ordini ricevuti dalla polizia per tutelare
l' ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini genovesi. I fatti che descriverò
hanno una loro logica spiegazione solo se alla loro origine ci sono i seguenti
ordini: lasciare liberi i Black Block, di distruggere indisturbati quello che
vogliono, usare questi gruppi per disperdere i manifestanti pacifisti. A piazza
Manin, era regolarmente autorizzato il raduno d' ambientalisti, scout, gruppi
femministi, Lilliput. Nessun "anarchico insurrezionalista" era
presente. La manifestazione era assolutamente pacifica e senza tensioni. Don
Gallo, insieme a Franca Rame, era riuscito a mediare con il colonnello
responsabile delle forze dell'ordine, schierate a 40 metri dalle cancellate, in
fondo a via Assarotti, la possibilità di poterci avvicinare in fila indiana
alle cancellate stesse e di affiggere cartelli e striscioni, cosa che è stata
fatta, in un clima relativamente calmo.
Analoga situazione in piazza Marsala dove, dopo qualche momento di
tensione, si è assistito anche ad episodi di fraternizzazione tra polizia e
dimostranti.
Improvvisamente, provenienti da via Montano, alcune decine di Black
Blocks sono arrivati in piazza Manin, seguiti a poche decine di metri di
distanza da una squadra di circa 20 poliziotti. Appena arrivati sulla piazza
questi ultimi iniziavano il lancio di lacrimogeni provocando la fuga disordinata
di molti presenti, mentre il gruppo di Lilliput, rimasto compatto, bloccava sia
a Black Blocks che ai poliziotti l'accesso a via Assarotti, alzando le mani
dipinte di bianco.
Black Blocks e poliziotti sfilavano lungo questa barriera umana (e qui
cominciavano le prime manganellate ai pacifisti) poi i due gruppi,
distanziati da alcune decine di metri, imboccavano corso Armellini, dove
incominciavano gli atti di vandalismo.
A questo punto i blacks erano chiaramente separati dai manifestanti che si erano
dati alla fuga e, all'altezza di piazza S. Bartolomeo degli Armeni, coi
cassonetti e le campane per il vetro rovesciate facevano una barricata da dove
cominciavano un fitto lancio di bottiglie verso i poliziotti sopraggiunti dopo
alcuni minuti. Questi avanzavano in gruppo compatto ed ordinato fino alla
barricata ma giunti nei suoi pressi, contro ogni apparente logica, invece di
inseguire i Black Blocks, chiaramente
individuabili e rimasti gli unici occupanti del corso, su comando del
caposquadra si fermavano e deviavano compatti verso l'adiacente piazza di San
Bartolomeo dove aveva trovato rifugio un gruppo di pacifisti, in maggior parte
donne e ragazze, assolutamente inermi e senza vie di fuga e due signore anziane,
di passaggio. Il comandante del plotone faceva allontanare le due signore e poi
dava ordine di colpire i pacifisti.
Una delle ragazze, pesantemente picchiata, era strappata con forza al gruppo e
portata via. La polizia scendeva quindi verso via Assarotti dove
altre testimonianze raccontano di ulteriori aggressioni ai manifestanti
presenti, nonostante, lo ricordiamo, fossero autorizzati ad occupare quella
strada e avevano atteggiamenti assolutamente pacifici, anche verbalmente.
Nel frattempo, i Black Blocks continuavano indisturbati la loro opera di
distruzione lungo corso Solferino, mentre la presenza di un'altra squadra di
forze dell' ordine, alla fine di questo corso e pochi uomini posti a presidiare
salita San Rocchino, avrebbe permesso facilmente di bloccarli in
modo definitivo, soluzione realizzabile senza difficoltà se solo si fossero
voluti spostare lungo via Bertola e via Palestro parte degli uomini schierati a
difesa della zona rossa, alla fine di via Assarotti e nella vicina piazza
Marsala. Questa operazione sicuramente si sarebbe potuta realizzare anche in
accordo e con la collaborazione dei dimostranti che, preoccupati dal
preannunciato arrivo dei Black Blocks, avevano già sgombrato la parte bassa di
via Assarotti, temendo di rimanere chiusi tra la polizia e "gli
anarchici".
Siamo certi che la polizia schierata in piazza Marsala era a conoscenza
dell'arrivo dei Neri in quanto ha collaborato al rapido sgombero dei dimostranti
in questa zona, anch'essi preoccupati dell'arrivo dei Black
Blocks. Peraltro, durante le devastazioni in via Solferino, nessun poliziotto ha
lasciato la sua posizione a difesa della zona rossa.
Testimonianze dei residenti, già rese pubbliche, segnalano che giunti
all'altezza dell'Ospedale Evangelico, i Neri tranquillamente si cambiavano
d'abito per mescolarsi tra i manifestanti dispersi nelle "crouse"
intorno. Il loro compito, fornire una scusa per disperdere i dimostranti,era
finito.
Altre testimonianze di residenti hanno riferito che da parte dei Neri sono state
utilizzate spranghe nascoste in precedenza nei cassonetti. Il controllo di
questi ultimi, anche per la tutela dei dimostranti dal possibile occultamento di
ordigni, non era previsto?
E' il caso di sottolineare come, sia in questo caso che per tutto il resto delle
due giornate di guerriglia a Genova, agli "anarchici" non gliene sia
potuto
fregare di meno dell'abbattimento delle barriere della zona rossa, mentre le
strade deserte e la città abbandonata dai suoi abitanti sono stati il terreno
ideale per attuare, assolutamente indisturbati, la loro strategia di distruzione
vandalica, abilmente programmata con ampio anticipo.
Un vecchio ambientalista genovese
Federico Valerio
Récit des
événements de la nuit
Cette nuit vers minuit, plusieurs vehicules de police ont fait irruption dans la
rue Cesare Battisti ou se trouve l'immeuble du Genoa social forum, qui abrite
les locaux de l'organisation du contre-sommet, de son equipe d'avocats et d'Indymedia.
En face se trouve une ecole qui abrite des terminaux avec acces internet et qui
sert de dortoir a de nombreux activistes. Des l'irruption de la police au bout
de la rue, toutes les personnes presentes dans la rue devant les immeubles se
sont refugiees au
pas de course dans l'un ou l'autre batiment. Dans l'immeuble du Gsf, la porte
principale a ete barricadee, mais les policiers sont parvenus a
entrer par une porte laterale. Des avant d'avoir investi les immeubles, les
policiers se sont mis a matraquer tout ceux qui leur tombaient sous la
main.
Au troisieme etage, dans les locaux d'Indymedia, l'effervescence creee par la
nouvelle de leur arrivee fut breve: en quelques minutes, ils'etaient en haut et
ordonnaient a toutes les personnes presentes de poser les mains sur les murs du
couloir. Pendant ce temps, ils se sont mis a chercher un peu tout et n'importe
quoi: ils ont d'abord trouve quelques masques a gaz, pourtant conseilles
officiellement (et necessaires!) pour participer a
toute manifestation. Ensuite, des armes: un petit couteau Opinel, quelques
tournevis, une pince,... Ils ont egalement fouille de nombreux sacs et confisque
des minidiscs, bandes video, etc. Visiblement, ils ne savaient
pas tres bien ce qu'ils cherchaient. Sans doute n'importe quoi qui puisse
nuire au mouvement en general et a Indymedia en particulier. En vain, a l'exception
de... quelques vetements noirs, pieces a conviction s'il en
est. Pendant ce temps, apres une petite demi-heure a regarder le mur, les
IMCistes ont recu l'autorisation de s'asseoir et l'atmosphere s'est legerement
detendue. Finalement, une parlementaire europeenne est arrivee et a obtenu la
levee du siege, en vertu du fait que nous etions une assemblee internationale et
que nos activites se cantonnent a l'information.
Aux autres etages de l'immeuble prete au Gsf, la "prise d'otages"
avait ete moins longue, mais au premier, dans les locaux de l'equipe juridique,
les forces de l'ordre avaient pris soin de massacrer les bureaux, les telephones
et les ordinateurs, qui contenaient toutes les informations des derniers jours
relatives a l'assistance juridique. Sans doute un hasard...
Ce n'est qu'alors que nous avons decouvert ce qui se tramait dans l'immeuble
d'en face: sous la protection de dizaines de policiers anti-emeutes, leurs
camarades s'en donnaient a coeur-joie. Des leur irruption dans l'ecole, ils s'etaient
mis a tabasser, parfois jusqu'a une dizaine a la fois, des personnes a terre qui
n'offraient aucune resistance, souvent a plusieurs reprises, a coups de pied et
de matraque. Il va sans dire que tout le materiel sur place y est passe
egalement.
Les gardiens de la paix ont ensuite commence a vider l'immeuble de tous ses
occupants: les pas trop invalides en panier a salade, les blesses plus serieux
en ambulance, escortes par des infirmiers ou sur des civieres.
Plusieurs personnes ont ete evacuees inconscientes. A chaque nouveau groupe de
prisonniers embarques, a chaque nouvelle civiere qui passait, les gens du
batiment du Gsf, masses sur le trottoir, hurlaient leur indignation:
"Assassini", "Genova libera" et autres "The whole world
is watching" (heureusement, les medias etaient egalement presents en tres
grand
nombre). Plusieurs dizaines de personnes ont ete emmenees en ambulance, dont au
moins une bonne quinzaine en civiere, et les autres ont ete emmenes au poste, ou
l'on craint deviner ce qui les attendait.
Apres le repli strategique de la flicaille, le spectacle du champ de bataille a
l'interieur de l'ecole etait ahurissant: outre les destructions, ce sont surtout
les flaques et les longues trainees de sang un peu partout dans l'immeuble qui
donnaient la chair de poule.
Rien de ce que dira la police ne pourra justifier cette bestialite.
On a deja appris qu'ils cherchaient soi-disant des mitraillettes (!), ou
encore des casseurs, mais ils avaient deja affirme aussi, dans un premier temps,
qu'il n'y avait eu que 5 arrestations et une dizaine de blesses, dont
certains se seraient blesses deja lors de la manifestation de l'apres-midi.. Ils
inventeront encore d'autres sornettes. Ils ont beau mentir, c'est bel et bien
leur vrai visage qu'ils ont montre cette nuit.
Genova,
20-21-22
Violenza. Violenza Pura.
Potente, Armata, Repressiva. Il terrore a macchia d'olio, per far partire la
testa. Per Non Permetterti di Pensare Più. Per farti dimenticare tutti i
Buoni Motivi per cui sarete sceso a Genova anche a piedi. Hanno voluto far
capire Bene chi è davvero che comanda, in italia. Nel Mondo.
Il Movimento è arrivato stremato in p.zza Ferraris, ultima tappa del Corteo
per la Vita.
Che hanno voluto disperdere, schiacciare.
Un Fiume Arcobaleno diviso da continui assalti camuffati, giustificati come
attacchi ai violenti, infiltratisi fra di Noi, ma Controllati da Loro.
Hanno strumentalizzato coloro che purtroppo, in Questa società, non hanno più
nulla da dare, per poter soffocare, tra pianti e lacrimogeni, chi
invece, crede ancora in un Mondo Diverso. In un Mondo più Giusto.
Ma l'egoismo, la sete di denaro a braccetto col Potere dell'Arma, ha fatto
una strage. Una strage di cuori oramai segnati dalle centinaia di macchie di
sangue, sparse nel Movimento. Anime disorientate, incredule,sconvolte.
Fiori Rossi spezzati nel loro sbocciare. Il Movimento giusto, ora non può più
arretrare. E' stato colpito, è stato ferito, umiliato, Terrorizzato.
E' stato accerchiato ed ammanettato da quella Nube che lo Stato, gli ha
sparato addosso. Ad altezza Uomo. Per fare del Male.
Per far sì che il panico e la confusione vincesse su tutto ciò che era, ed
è, il nostro Contesto. Il nostro Contenuto. Equo, Colorato, Vivo.
Ed è stato Pestato. Calpestato. E ci hanno messo negli occhi la Morte.
La Disperazione. Il dolore infinito di essere sì, riusciti a tornare a casa,
magari anche illesi, fuori, ma senza neppure avere avuto la Libertà e la Forza
di urlare e sostenere, con la nostra musica, i Diritti dell'Uomo.
Alla Vita, alla libertà di Pensiero, alla Diversità. Tutto è stato represso.
C'è stato tolto il fiato, c'è stato soffocata la Parola. A suon di Colpi.
Colpi Duri, fra il continuo rombare degli elicotteri, tra le sirene
spiegate, in uno stato d'assedio. Una città militarizzata, un neo-fascimo
controllato da Denaro Assassino. Questo macabro g8, Avidi Proprietari della
Terra, credono di riuscire a mettere a tacere, con qualche sporco soldo, le
infinite cause ancora aperte, di tutti i Popoli.
E riescono anche a farsi passare per buoni... fra coloro che ancora, purtroppo,
non riescono a vedere. A Vedere davvero. Svegliamoci gente. Muoviamoci. Il
Pericolo è da Smascherare. Se solo il g8 avesse avuto un cuore, se avesse avuto
davvero rispetto per la Vita, avrebbe fermato il Summit. Perché Troppa gente,
fuori dal loro lussuoso Regno, si stava facendo del male. Stava subendo,
impotente, un Gran Male.
E Nulla è stato fatto. Nulla di Umano è stato portato a termine...
Perché faceva comodo così. Perché dovevano 'finalmente' dimostrare chi è
davvero che comanda oggi. E gli occhi Impauriti ed increduli,di centinaia di
persone, li abbiamo incrociati Noi. Li abbiamo ingoiati Noi ...faccia a faccia
con la Paura, le botte, le ingiustizie. Non Loro. Non i nostri Prepotenti
Rappresentanti del Mondo,ben protetti e schifosamente sorridenti, nel Loro
Paradiso Blindato.
Con gli occhi gonfi,di rabbia e dolore,
Canto la Vita.
Siempre.
Shira.
Paura a
settantasei anni
"A me nessuno leva dalla testa che questo G8, queste frontiere chiuse, 2700
uomini, corpi speciali, sono prove generali di qualcosa. È una paura che mi fa
paura a settantasei anni".
Andrea Camilleri,
La festa i
colori i sogni
io c'ero ai pestaggi, io c'ero ai soprusi, io c'ero al terrore e alla paura,
tutto questo però penso che ormai si sappia bene.
ma c'ero anche alla festa ai colori ai sogni alle discussioni agli spettacoli di
300mila persone, ho visto migliaia di foto di filmati ascoltato centinaia di
servizi ma quasi nessuno che diceva questo, io sono un fotografo di provincia ed
ero lì per seguire i gruppi della mia zona come dice il mio caro direttore
"per fare una bella foto di gruppo", perché sono queste le foto che
"fanno vendere copie" queste foto rassicurano la gente le danno
tranquillità e sicurezza, e per raccontare genova forse un po' sarebbero
servite perché quello che il mondo a visto di genova è solo il lato oscuro
"the dark side of the moon", ragazzi sveglia! ci stanno fottendo
sapete loro non hanno paura di commissioni di inchiesta o di denunce sono le
loro armi le hanno inventate e le conoscono fin troppo bene dobbiamo uscire
dalla loro logica cambiare le regole del gioco se vogliamo vincere.
tutti i fotografi tutti tutti i cameramen erano presi a riprendere i
combattimenti le perquisizioni e così è questo che la gente ha visto guerra,
sangue,distruzione la gente che vuole tranquillità e sicurezza questo sa di
genova per spiegargli genova ci vorrebbero "foto di gruppo " il
pensionato di sirtori o la casalinga di lodi nulla sa di cortei grandi quanto
firenze nulla sa dei suoi simili che ci hanno partecipato dei partigiani,dei
frati,degli oratori,dei pensionati ,delle famiglie nulla sa perché nessuno si
è preso la briga di mostraglielo. i nostri cari governanti hanno ben imparato
da uno che su la rivoluzione sa qualcosa, per mao tze tung fondamentale in un
movimento è l'appoggio popolare e loro stanno facendo di tutto per negarcelo ci
spingono ad estremizzarci e ci estremizzano cercano di staccarci dalla società
e ci stanno riuscendo. alla loro violenza dobbiamo opporre i nostri canti alla
loro distruzione quello che stiamo cercando di costruire, abbandoniamo la loro
logica altrimenti il gioco lo dirigeranno sempre loro, possiamo vincere ma
dobbiamo diventare maggioranza, questa volta non è impossibile perché il
movimento non è più unico ma variegato e chiunque può trovarsi in una sua
sfaccettatura è solo guadagnando la fiducia della gente e confrontandosi con
loro che possiamo pensare di vincere
massironi andrea viganò b.za
Essenzialmente,
la paura
Dopo i giorni di Genova emergono ricordi che non ho mai cancellato, ma
riaffiorano prepotentemente.
Erano gli anni 70 nel mi Buenos Aires querido,
Il massacro di Ezeiza, La triple A, la noche de los lapices, le facce di tanti
amici e conoscenti, quando il solo fatto d'essere giovane costituiva un reato di
sovversione, il silenzio complice della stampa, il "qualcosa avrà
fatto" dei vicini di casa,
i falsi fucilamenti, finire in manicomio per una canna,
le perquisizioni senza mandati giudiziari, l'omertà della chiesa,
le macchine senza targa, il vuoto delle librerie, i commando della polizia,
le liste nere di artisti, musicisti e intellettuali,
le celle d'isolamento, i lacrimogeni nei concerti,
il 30 di marzo di 1982 (il primo sciopero generale contro i militari finito con
una repressione atroce), gli insulti e bastoni per chi usava un orecchino o
portava capelli lunghi,
Uniforme scolastico obbligatorio di giacca e cravatta, il taglio di capelli
obbligatorio nella scuola al di sopra del collo della camicia, e per le ragazze
gonna al di sotto delle ginocchia, le irruzioni nelle scuole alla ricerca di
qualche sospetto, i grandi esili, i piccoli esili, tanti altri ricordi ma
essenzialmente la paura..........
L'impunità, la arroganza, il circo mediatico, le menzogne, il disprezzo più
assoluto per la vita....
L'odore che si sente l'ho già sentito.
Come responsabile della Topolin Edizioni esprimo tutta la mia solidarietà
ai fermati, agli arrestati, ai feriti e alla famiglia di Carlo Giuliani.
Jorge Vacca
Il racconto più
fedele possibile
Ci ho messo tanto a scrivere (eppure è una cosa che amo fare), ma mi è servito
(e mi serve) questo tempo x far sedimentare i miei pensieri, cercare (?!) di
mettere via la rabbia, l'amaro in bocca, l'indignazione, e fare il resoconto +
fedele possibile di quel che ho vissuto, e che mai avrei (avremmo!) pensato di
vivere.
Faccio parte di un GdA (gruppo di affinità) in qualche modo nato dal nodo di
Roma della Rete di Lilliput. Ci siamo formati, incontrati, conosciuti per tre
lunghi mesi, preparandoci a questa grande occasione. Io ero molto emozionata,
era la mia prima manifestazione "seria". Per molti di noi lo era,
perciò avevamo un po' paura e non ci trattenevamo dal dirlo. Ma mai e poi mai
avremmo pensato di vivere quello che poi è stato. Ad averlo saputo credo che
nessuno di noi sarebbe partito!! Venerdì mattina arriviamo a Genova, distrutti,
ma eccitatissimi. L'atmosfera vissuta da chi è già qui da una settimana è
serena, non succederà nulla, il clima è rilassato. Verso le 13 ci vediamo
tutti in piazza Manin: è un'esplosione di colori, canti, palloncini, slogan.
Verso le 14 si parte da piazza Manin scendendo su via Assarotti e si decide che
i GdA precederanno tutto il resto della Rete. Scendiamo facendo un zigzag a
serpentone, colorati, giocando con un mappamondo gonfiabile, cantando. La
discesa è molto bella, ci fotografano e ci riprendono. Sono emozionata e piena
di grinta! Arrivati a circa 100metri dalla rete, ci sono una 30ina di poliziotti
che ci fermano. A un metro circa da loro, ci sediamo. Di nuovo iniziamo a
cantare, a ridere, a lanciare slogan. Siamo seduti, l'uno accanto all'altro, mi
guardo indietro e tutta la lunga via in salita è coperta di persone sedute! E'
un colpo d'occhio straordinario: siamo una forza!
Abbiamo però un po' di difficoltà a bloccare le persone che ancora sfilano sui
marciapiedi ai lati della strada. Il mio GdA decide allora di bloccare il
marciapiede a sinistra, mentre quello di destra è ancora scoperto.
Si tratta con la polizia: possiamo sfilare fino alla rete per lasciarci appeso
tutto quello che è stato raccolto nelle settimane precedenti da parte di tutti
quelli che a GE non ci sono potuti venire. Così iniziano gruppetti di persone
che sfilano fino alla rete e ci lasciano striscioni con firme, impronte di mani,
fiori, palloncini...
Poco dopo al lato del nostro sit in passa il corteo dei pink. Li facciamo
passare di lato al nostro sit in, e si dirigono verso piazza Marsala. Dalla mia
posizione non vedo più nulla, verremo poi a sapere che iniziano a lanciare
palloncini, fiori ed altre cose simili dall'altra parte della rete in segno di
invasione simbolica della zona rossa. La polizia però reagisce, prima con gli
idranti, poi con i lacrimogeni. Abbiamo paura che scappando ci vengano addosso
perciò ci alziamo tutti per far loro spazio e per non farci schiacciare.
Iniziano i guai. Non siamo più ben ordinati, è iniziato il panico, e molta
gente per paura, risale verso piazza Manin, dove, verremo poi a sapere, di lì a
qualche minuto verrà caricata e manganellata dalla polizia.
Contemporaneamente a quest'inizio di casini, inizia a spargersi la voce (grazie
ai cellulari che si pensava non avrebbero funzionato assolutamente e che invece
sono stati fondamentali) che i fantomatici "black blok" stanno
risalendo verso di noi dopo aver divelto e distrutto altre parti della città.
Io non ci capisco più granché, vorrei salire verso piazza Manin per unirmi
alla Rete di Lilliput, ma la maggior parte del mio gruppo vuole rimanere a fare
il sit in a piazza Marsala. Vorrei risalire, ho un po' paura...la mia buona
stella invece mi riporta verso piazza Marsala. Poco dopo inizia a spargersi la
voce che i black sono arrivati in piazza Manin dove c'è gran parte dei
lillipuziani: andiamo a difenderli. Così risaliamo verso la piazza percorrendo
la via parallela a via. Assarotti dove avevamo solo iniziato il nostro bel sit
in...
Alzando finalmente gli occhi, in questa via in salita mi si presenta uno
spettacolo agghiacciante che non credo dimenticherò mai: la via termina con
delle scalinate che risalgono verso il corso sovrastante, che ha una sorta di
terrazza, in cui ci appare un'enorme macchia nera: sono i black ed iniziano a
scendere le scale dirigendosi verso di noi...Siamo terrorizzati: sembrano uno
squadrone della morte. Sono vestiti tutti di nero, con passamontagna o bandana
sulla faccia, con bandiere nere e sopratutto bastoni, pezzi di ferro, strumenti
di distruzione. Ci rifugiamo in una via laterale e li guardiamo sfilare: a
questo punto la curiosità vince la paura. E infatti ci rendiamo conto che
potremmo anche non esserci, di noi non gliene può fregare di meno. Risalgo con
una parte del mio GdA (la parte restante la rivedrò verso le 19) verso il corso
da cui sono arrivati i black, ma in una posizione spostata rispetto a loro.
Arriviamo a dei giardinetti dove sostiamo, riprendiamo il fiato. Mi guardo
attorno: solo ragazzi spaventati, persi, nessuno di noi riesce a fare mente
locale. Cerchiamo di capire dov'è il resto del nostro GdA, e mentre chiamiamo
arriva verso di noi l'orda dei barbari dei black. E' allucinante, assurdo,
incredibile, mi sembra di vivere in un incubo. Mi sale la rabbia, il malessere,
l'angoscia, in un attimo di lucidità mi rendo conto che ci hanno spazzato via,
tolto qualsiasi visibilità. E mi sdegna questo loro disprezzo per qualsiasi
cosa li circondi: li vedo colpire tutto quel che si trovano di fronte, anche la
fontanella che ci ha dissetato. Decidiamo di allontanarci, sentiamo troppo
schifo e sdegno per mescolarci a loro, così decidiamo di proseguire sul corso,
ma ci rendiamo presto conto che stiamo andando nella loro stessa direzione.
Vogliamo distaccarcene a tutti i costi, così imbocchiamo un vicoletto in salita
che si chiama Salita Santa Maria della Salute, la nostra salvezza, non credo ci
dimenticheremo mai di quel vicolo! Lì riusciamo a raggrupparci in 5 o 6. Ci
sediamo un attimo sugli scalini di una casa. Passa un anziano signore genovese e
ci dice: "potevate stare a casa: avete visto cosa si è scatenato?!"
Gli abbiamo risposto che se fossimo stati a casa sarebbe successo lo stesso o
forse ancor peggio, poi abbiamo pensato che non fosse molto nonviolento dare
questo tipo di risposta (o forse è stata una riflessione solo mia!). Devo dire
però che è stato l'unico genovese che ho sentito farci delle accuse, o
comunque non appoggiarci. Infatti pochi minuti dopo una signora affacciata ad un
balcone ci ha detto: "Che peccato che sia andata così, eravate tanto
belli!".
Dopo la sosta dovuta alle nostre gambe, ai nostri polmoni ma soprattutto ai
nostri cuori, abbiamo cercato di orientarci in una città logisticamente
difficile (tutta vicoli e vicoletti, tutta abbarbicata e poco comprensibile
sulle cartine), grazie anche all'aiuto di un ragazzo del servizio stampa del Gsf,
col famoso cartellino giallo (vero è, che dopo tutto quel che ho letto, mi
domando a questo punto chi fosse). Il gruppo ha deciso di dividersi. Una parte
ha deciso di tornare a casa, l'altra, tra cui io, ha deciso che se era venuta a
GE non era certo per quel che era successo fino a quel momento. Avevo troppo
amaro in bocca per tornarmene mesta a casa. Non sarei comunque riuscita a
rilassarmi o a tranquillizzarmi. Anzi, in questi momenti ho bisogno di agire.
Così in 4 abbiamo proseguito, chissà per dove?! Poco dopo abbiamo incontrato
una decina di ragazzi di varie provenienze, che si avviavano pian piano verso
piazza Manin. Ho iniziato a capire che lì era successo qualcosa, ma non avevo
ancora ben chiaro cosa. Così ci siamo uniti a Marco, un'insegnante di Prato con
una bellissima bandiera della Pace in mano. Abbiamo percorso una stradina
bellissima, che costeggiava un parco ed una chiesa, con una vista splendida sul
mare...una giornata d'estate brillante. Non aveva senso tutto quel che stavamo
vivendo. Pian piano, insieme ad un gruppo di spagnoli, e grazie alle indicazioni
di una vecchietta riscendiamo verso piazza Manin. Cerchiamo di avviarci, ma ci
arrivano i resti di altri fumogeni: i black stanno passando nuovamente per di là
e la polizia carica. I ragazzi risalgono con gli occhi rossi e l'anima
distrutta. Lì conosciamo una signora di Trento di cui purtroppo non ricordo il
nome che ci racconta quel che ha visto a piazza Manin. Lei era lì: sono
arrivati i black e la polizia non ha saputo (voluto?!) fermarli. I lillipuziani
hanno cercato di bloccarli ma non c'è stato verso. Poi la polizia ha sparato i
lacrimogeni, ha caricato e manganellato ragazzi e adulti con le mani bianche
alzate e inginocchiati...un massacro! Lei non capiva nulla con tutto quel fumo
irritante, era impaurita, addossata ad un muro. Ha chiesto aiuto ad una
persona...vestita come un manifestante, ma che l'ha fatta svicolare verso un
vicolo laterale dal quale è scappata. Ma chi era questa fantomatica
persona?...un poliziotto in borghese? E' ancora impaurita e non osa riscendere
in quella piazza dove è successo il massacro, ancora così fresco nella sua
memoria. Io, Giulio, Alessia, Elisa e Marco (i miei compagni di viaggio in
quell'"avventura" (chiamiamola così!) prendiamo coraggio, decidiamo
di scendere fino alla piazza, anche perché iniziamo ad essere in tanti. Io sono
anche curiosa di vedere il teatro di tanto scempio. Quello che la mattina era
stato il nostro raduno era raso al suolo: macchine e cassonetti bruciati e
divelti. Una fitta al cuore. Passo dopo passo e grazie a delle vedette
improvvisate, arriviamo in piazza Manin.
Nella discesa incontriamo Chiara e c'è anche Enrico. Incontrare un volto
conosciuto in questi momenti è come un'ancora di salvezza nella tempesta.
Abbracci e strette forti come per cercare di risvegliarsi da un brutto sogno.
A parte la distruzione, finalmente mi sorride il cuore: siamo tanti, tantissimi,
ed il mio entusiasmo fa sì che ai miei occhi appaiano moltitudini di persone.
Siamo tutti pian piano ridiscesi dalle colline, dai nostri nascondigli. Pian
piano cerchiamo di tornare alla ribalta, di riappropriarci almeno di un pezzetto
di questa giornata che doveva essere nostra. Finalmente un raggio di sole nella
bufera.
Si forma un corteo spontaneo che scende le vie della città verso piazzale
Kennedy dove si dovrebbe svolgere una riunione del Gsf anche per capirci un po'
di più su tutto quel che è successo in questa giornata. Saranno ormai le
17,30, ma sembrano passati secoli dal nostro bel sit in.
Scendiamo pian piano, guidati da un ragazzo col megafono che ci indirizza, ci
ferma, ci racconta. Finalmente un po' di gioia, canti, ed uno splendido
"Bella Ciao" intonato all'uscita di una bandiera rossa e di un paio di
mutande dalla finestra di un palazzo.
Arrivati all'altezza di Brignole, la nostra guida ci annuncia dal suo megafono
ciò che girava sottovoce già dalla partenza in piazza Manin: c'è un morto,
forse 2, forse 3. Il megafono, metallico conferma: è morto un ragazzo.
Silenzio, lo sconforto è enorme.
Proseguiamo la discesa. Lo spettacolo è sempre più agghiacciante: è tutto
distrutto. Mi colpisce una Volvo bruciata sulla quale era stato applicato
un'adesivo anti-G8.
Ci fermiamo sul piazzale davanti al ponte che porta su corso Sardegna. Dobbiamo
attraversarlo, ma sembra un'impresa impossibile. La nostra guida-megafono ci
annuncia che stanno trattando con la questura per poterlo attraversare, ma
un'elicottero della polizia continua a girare sulle nostre teste. Ogni volta che
passa alziamo le mani in segno di pace. Sembrano scene da film eppure è tutto
vero.
Cerchiamo di attraversare una prima volta. Ci riusciamo e dall'altra parte ci
soffermiamo tutti di fronte ad un supermercato divelto dove i black(?) hanno
fatto la "spesa" gettando tutto in terra, calpestando alimenti vari. E
noi che eravamo andati lì per protestare anche per tutti quelli che nel mondo
muoiono di fame. Mi fa rabbrividire.
Non riusciamo ad avanzare, anzi, siamo ricacciati indietro e costretti a
riattraversare il ponte all'incontrario per nuovi lacrimogeni (?).
Dall'altra parte aspettiamo. In tutto da questa parte del ponte aspetteremo un
tre quarti d'ora. Intanto giornalisti vari ci filmano e ci intervistano.
Parliamo degli "anarchici" ed un ragazzo prende la parola davanti ad
una telecamera e dice: "Nella città di De André non possiamo chiamarli
anarchici!". Applauso.
Dalle scale di fronte a noi scende altra gente...metto a fuoco...Sì! Sono loro:
è il mio GdA! Li abbraccio fortissimo, mi sento di nuovo in qualche modo
"protetta".
Finalmente riusciamo ad attraversare il ponte e ad avviarci verso piazzale
Kennedy. Al di là del ponte mi aspetta uno spettacolo che mai avrei pensato di
vedere in vita mia, che mai mi sarei immaginata nemmeno nei miei peggiori
incubi. Non saprei come descriverlo, era quasi lunare: fumo, puzza di plastica
bruciata, macchine, cassonetti ed anche un celerino bruciato. Sulla strada
cerchiamo di raddrizzare i cassonetti. Sono gesti che sento forte come segno di
senso civico e di distinzione rispetto a chi a creato quella distruzione
gratuita.
Durante il corteo, oramai silenzioso di fronte a tanto sfregio e tristezza, mi
arrivano le telefonate. I miei amici, anche quelli più pacati ed obiettivi sono
in stato di fortissima agitazione. Non parliamo della mia mamma che mi scongiura
di prendere il primo treno per Roma. Cerco di spiegarle che a questo punto è
probabilmente più pericoloso andare che restare. Il mio migliore amico mi
scoppia a piangere al telefono. C'è un'oggettiva differenza fra quel che sto
vivendo in un corteo pacifico e tutto sommato sicuro (per lo meno nel quale mi
sento sicura) anche se triste, ed i riscontri che mi arrivano da casa. Inizio a
capire che i media hanno colpito ancora! Sono molto più spaventata dalle
telefonate che arrivano in continuazione che dal mio sfilare silenzioso in una
città fantasma.
Arriviamo infine a piazzale Kennedy. C'è un palco ed in fondo una trattoria
tipo quelle delle sagre (che in questa circostanza appare irreale) ed uno stand
dove ci distribuiscono panini ed acqua. A parte la gran paura siamo affamati ed
assetati, distrutti. Ci sediamo. Siamo tantissimi. Iniziano a sfilare tutta una
serie di persone sul palco per richiamarci, dare le proprie impressioni, urlare
proteste su come è stata gestita la giornata. Si annuncia la morte di Carlo
Giuliani e si osserva un minuto di silenzio in suo ricordo. Iniziano gli
"assassini" rivolti ai poliziotti. L'atmosfera si scalda. I toni si
alzano. Diventa un comizio politico, pesante e non utile ai fini di mantenerci
sereni (per lo meno il più possibile). Non condivido molto la posizione,
l'atteggiamento e le parole forti della maggior parte delle persone che salgono
sul palco. Sono in pochi quelli ad usare delle parole belle e colme di
significato. Ho paura che si vada degenerando. Si continua a parlare del corteo
dell'indomani. Inizialmente si dice che è stato annullato, poi si rilancia: non
bisogna dargliela vinta così!...sono confusa.
Intanto si continua ad annunciare che è sconsigliato uscire da piazzale Kennedy
in piccoli gruppi. Ci sentiamo come dentro una fortezza, ma braccati. Ed a
confermarcelo, quando cala la notte, inizia a girarci sopra un elicottero con il
fascio di luce puntato su di noi...è il colmo! Non ci crediamo! E' una vera
provocazione! Questa volta invece delle mani in alto in segno di pace gli
mostriamo tutti il dito medio!
A questo punto la maggior parte del mio GdA decide di uscire per riuscire a
tornare a casa prima che faccia definitivamente notte. Io e Santo non ce la
sentiamo di uscire, così ci separiamo un'altra volta.
Proseguono gli interventi sul palco. Tra tutti un ragazzo sale e dice: "mi
rendo conto che abbiamo dei vissuti troppo diversi. In fin dei conti il
pacifismo è un retaggio del cattolicesimo (dimostrando di non capirci granché!)
(A questo punto fischi e "BUUU!" da parte del pubblico!). Prosegue:
"noi viviamo la violenza come unica forma possibile, per i vissuti che
abbiamo..." più o meno i concetti erano questi. E' stato fortemente
fischiato da tutto il pubblico, ma a posteriori mi domando: chi era questo? un
black? che ci faceva lì in mezzo a noi? allora così facilmente si sono
infiltrati tra noi?
Ad un certo punto, all'altro capo della piazza si accendono i riflettori: è una
diretta di Gad Lerner con Agnoletto e con il prefetto di GE (?).
Riusciamo finalmente a prendere un taxi, dopo esserci riposati un attimo con
Franco e Chiara nella piazza tematica sull'agricoltura biologica. Quella stessa
che il giorno successivo verrà rasa al suolo. Almeno un pezzettino delle piazze
tematiche me lo sono goduto. Mi è sembrato per un attimo di rientrare in un
mondo normale, seduta ad un tavolino, in una fresca serata d'estate, in riva al
mare, gustando uno splendido panino con pane e pomodori biologici.
Finalmente a nanna...non che riesca a chiudere occhio con tutta l'adrenalina e
l'angoscia che ho addosso.
L'indomani decido di non andare al corteo, soprattutto dopo una pressante
telefonata della mamma che sta per morire di crepacuore e dopo il pesante
comizio di ieri sera. Poi me ne pentirò, ma pazienza. La scelte vanno prese in
tutto e per tutto. Ho risparmiato un infarto alla mamma!
Giulia
Terrorismo
psicologico
Voglio riportare una breve testimonianza di quello che io ho vissuto sabato 21
Luglio a Genova. Sono stata tra i/le pochi/che fortunati/e che si è trovata
nella prima parte del corteo. Non appartenendo a nessuna associazione o gruppo
politico andavo con la mia compagna da un gruppo all'altro, l'atmosfera era
festosa ed era bello sentire come ogni gruppo e popolo diverso esprimeva il suo
dissenso al G8. Poco dopo l'inizio della manifestazione vedo poco più avanti di
me del fumo, arrabbiata chiedo a dei ragazzi chi l'aveva lanciato…loro mi
indicano in alto, quasi nascosti tra le frasche c'erano le "forze
dell'ordine" (?) che al solo grido (veritiero) di "Assassini" si
erano affrettati a lanciare un fumogeno.
Procedendo notavo che iniziavano ad affiancarci gruppi di due o tre persone
incappucciati e vestiti di nero, io e la mia compagna abbiamo iniziato ad
insospettirci e siamo entrate negli spazi formati dal servizio d'ordine (del
gruppo Attac). Li ci sentivamo più protette anche perché veniva allontanato
chi aveva un comportamento poco rassicurante. Siamo arrivate in piazza dove
c'era il palco ma non avevamo l'umore di ascoltare chi parlava al microfono
perché da lontano si alzava del fumo. Solo molto dopo ho saputo che più della
metà del corteo era rimasta dietro e che veniva caricata sempre dalle
"forze dell'ordine". Il palco veniva velocemente smantellato e gran
parte dei gruppi in piazza andava a prendere i bus là vicino per tornare a
casa. Noi non sapendo dove andare, dato che eravamo tra le poche che dovevano
prendere il treno alla stazione di Brignole (centro degli scontri) siamo rimaste
insieme a pochi in piazza. Ma dopo poco abbiamo iniziato a non respirare bene e
gli occhi ci facevano male...si stavano avvicinando.
Abbiamo iniziato a correre e abbiamo chiesto ad un genovese dove potevamo andare
lui, ci ha assicurato che la stazione oramai era tranquilla e ci ha indicato la
strada. Noi un po' titubanti ci siamo dirette verso la stazione quando abbiamo
visto correre verso di noi i manifestanti caricati, abbiamo ri-iniziato a
correre e siamo arrivate in una strada sopra lo stadio i Marassi dove c'erano
altre dieci o quindici persone che chiedevano a dei genovesi dove potevano
andare, non c'erano strade agibili se non per la collina. Nel frattempo un
elicottero stava su di noi per tutto il tempo (violenza psicologica), ci seguiva
e segnalava. Mi sentivo un'evasa.
A quel punto una ragazza viene a sapere da una telefonata di una amica che lo
stadio era tranquillo, ci siamo dirette là dove abbiamo trovato chi come noi
doveva andare verso la stazione. Ci siamo incamminate, che desolazione, tutto
era bruciato e distrutto, tanti manifestanti stavano appoggiati alle macchine
bruciate.
La stazione era piena di gente (tra cui molti fasciati e sporchi di sangue) e io
non riuscivo a rilassarmi, impossibile con il suono delle ambulanze e il rumore
degli elicotteri che fino a tardi (le due, ora che ho preso il treno)
"spiavano"la città.
Solo quando siamo arrivate a casa abbiamo scoperto il perché della continua
presenza di questi "Occhi dall'alto"...c'era stato un massacro in due
delle scuole che ospitavano i manifestanti e i giornalisti.....Non sono stata
presa dalla polizia né picchiata, ma nei miei occhi ho le immagini di chi è
stato massacrato e umiliato.
Preferirei tenere l'anonimato grazie che ci permettete ciò.
Il nostro lavoro
Come "Coordinamento Aquilano anti Wto" abbiamo partecipato alle
manifestazioni di Napoli e Genova; entrambe sono state precedute da dibattiti
tra di noi, attività di controinformazione indirizzate alla cittadinanza,
insomma un gran lavoro.
Sono finite tutte e due nel sangue.
Coordinamento ANTIWTO L'AQUILA
Cercare di dare
un senso
Vi scrivo (a titolo personale: le sigle servono solo a identificare il mio
ambito di provenienza) chiedendovi attenzione, nonostante che parte delle cose
che dirò siano in contrasto con quanto finora emerso sul "nostro"
giornale: non è un caso che scriva proprio al Manifesto, l'unico quotidiano cui
sia abbonato.
Indipendentemente dalle motivazioni che hanno spinto con convinzione ognuno di
noi a costruire il controvertice genovese, ed a partecipare alle manifestazioni
di piazza, sarebbe ingenuo non partire da ciò che emerge come il dato
prioritario che ci riguarda tutti: il cambio netto avvenuto nella cultura
politica di questo paese (e non solo), e nelle dinamiche repressive con le quali
si è deciso di affrontare il dissenso sociale, e nello specifico questo
movimento. Siamo di fronte ad una svolta autoritaria, che non riguarda più solo
i G8 o il Gsf, quanto i rapporti di forza all'interno dell'Italia, il rapporto
tra i "poteri costituiti" e la piazza, il ruolo del nuovo governo.
Anche chi come il sottoscritto è parte del movimento del commercio equo e
solidale e lillipuziano, e si è mobilitato a Genova (assieme a tantissimi
altri) partendo da contenuti relativi soprattutto alla politica internazionale,
allo squilibrio Nord/Sud ed alla giustizia economica, deve tener conto del nuovo
contesto nel quale i suoi obiettivi e le sue forme organizzative si
collocheranno d'ora in poi. E proprio tenendo conto di ciò, mi e vi interrogo
sulle prospettive del movimento che a Genova ha dato così grande prova di se
stesso, e contemporaneamente è stato sottoposto a così dura prova. Nel cercare
di dare un senso a quanto è successo, e una direzione al nostro agire futuro,
mi preme innanzitutto evitare che gli esiti dell'inedita violenza manifestatasi
a Genova ci facciano perdere di vista il senso e i contenuti della nostra
partecipazione, la limpidezza e chiarezza dei nostri obiettivi, espropriandoci
dei nostri valori e del percorso che ha portato nelle strade centinaia di
organizzazioni differenti e centinaia di migliaia di persone di estrazione
sociale e provenienza estremamente diversa. E uno dei modi attraverso i quali
questa perdita di senso e di partecipazione può avvenire, è l'affermarsi
all'interno del Genoa Social Forum di una sorta di "pensiero unico"
che - nella concitazione del "giorno dopo" e dell'emergenza del
"che fare" - perda di vista la propria eterogeneità, per proporre
modalità, riti e parole d'ordine che non rappresentano larghe parti della base
del Gsf. Mi sembra un rischio davvero concreto, guardando agli avvenimenti di
questi ultimi giorni.
Osservo l'affermarsi di slogan e modalità decisionali che tendono ad escludere,
invece che includere, riproponendo come prospettiva prioritaria per il movimento
una strumentazione da sinistra tradizionale, di piazza e movimentista, a mio
avviso assolutamente non in grado (come sostiene anche Pietro Ingrao, nella
vostra intervista di venerdì scorso) di cogliere e riproporre la richiesta di
innovazione -nelle forme e nei modi, oltre che negli obiettivi politici - che da
Seattle/Chiapas in poi ha costituito la vera novità politica del panorama
occidentale, e la vera minaccia ai poteri forti ed all'abdicazione della
politica istituzionale. L'enorme pressione che il Gsf (e prima di tutti Vittorio
Agnoletto, cui va la mia solidarietà) ha subito e subisce non giustifica
l'evidente tentativo da parte di troppi subcomandanti nostrani (e appunto non
parlo di Agnoletto) di egemonizzare il movimento, riducendone la complessità ed
eterogeneità ad una dimensione non rappresentativa della sua base. Proprio per
salvaguardare una prospettiva politica e organizzativa in grado di confrontarsi
con la svolta autoritaria e col cambio di clima politico che Genova ha
evidenziato, è necessario mantenere al centro del nostro agire la ricchezza di
contenuti e trasparenza di modalità (la scelta vincolante della nonviolenza,
aspetto ancora non digerito da chi ha predicato "l'invasione della zona
rossa") che essa sola è in grado di porsi come inclusiva verso chi a
Genova non è venuto ma ha capito cosa vi è successo, o verso chi a Genova
c'era ma ora si sente disorientato e incerto. Il disagio che cerco di esprimere
"dall'interno" - e credetemi, molto molto presente tra organizzazioni
e persone - deriva dal confrontarsi con una serie di indicazioni future che
appare improvvisata, e dal costituirsi di fatto di un "direttorio"
autoreferenziale all'interno del Gsf che appunto esprime un "pensiero
unico" che guarda all'indietro invece di guardarsi attorno e avanti. Per
esempio: l'annunciato controvertice del novembre prossimo a Roma, in occasione
del meeting della Fao. Non è col semplice rilancio d'iniziativa che rilanceremo
il movimento e la sua capacità di aggregazione e rappresentazione, bensì con
la nostra capacità di inventare forme nuove di mobilitazione capaci di
confrontarsi con l'imbuto di violenza e smarrimento che è andato in scena a
Genova. O crediamo che solo la ripetizione di ciò che è già stato possa dare
visibilità e capacità di incidenza al nostro agire? E come pensiamo di
allargare - non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente e cioè
aumentandone l'eterogeneità - la base partecipativa del Gsf o di ciò che ne
prenderà il posto? Rivendico - anche in rappresentanza di organizzazioni
aderenti al Gsf che finora hanno appreso dai comunicati stampa le decisioni per
il futuro - modalità decisionali partecipative, e la presa in seria
considerazione di modalità di protesta che, senza rinunciare alla presenza in
strada ed alla partecipazione delle persone, possano dare sostanza a metodologie
e manifestazioni che peschino esplicitamente dall'abbondante - solo a volerlo
guardare - patrimonio di esperienze di forme di lotta della nonviolenza
praticata. Oltre il velo di reazione e rabbia che ha mobilitato tanta attenzione
e partecipazione attorno al Gsf dopo Genova, avverto tra i "reduci"
anche un'interrogarsi dubbioso che non costituisce affatto garanzia che la rete
di organizzazioni che ha costruito il Gsf si presenti domani così ricca e
compatta.
E' questo ciò che si vuole? Non sarebbe questa la più grande sconfitta, oltre
che sconfessione delle basi da cui il Gsf è partito?
Abbiamo già una vasta esperienza del fallimento prima di tutto culturale, e poi
politico, di movimenti autoreferenziali che si avvitano sui propri riti interni.
C'è una secca contraddizione tra il rivendicare l'ampia ed eterogenea
composizione del Gsf e dei manifestanti di Genova, e poi non saper rinunciare al
fatto che sia una bandiera rossa (scusate se forzo un po') ad indicare la
direzione e le forme della mobilitazione.
Ciò vale anche per il maggior simbolo che purtroppo Genova ci lascia: Carlo
Giuliani. Chiedo scusa a tutti per l'apparente freddezza di quanto sto per dire,
ma è necessario dirlo: alla tragedia vissuta da tutti in relazione alla sua
morte, non corrisponde affatto lo stesso significato politico (sul valore umano
della perdita irrimediabile e ingiustificabile di una vita umana siamo tutti
d'accordo) che le si attribuisce. Mi permetto di dire che essa non mi
rappresenta, e aggiungo che ho la netta sensazione che siamo in tantissimi -
silenziosi - a non sentire come un valore il fatto che da Genova sia emerso un
"martire", un simbolo. Non possiamo ignorare le modalità nelle quali
questo tragico e assurdo fatto è avvenuto: una morte sbagliata in un modo
sbagliato in un contesto assurdo, di reciproca aggressione, di violenza
esplicita e voluta (e il fatto che le armi in "dotazione" ai due
ragazzi fossero diverse, non ne cambia purtroppo il significato). Questo
contesto non mi (ci) rappresenta, e sentiamo con disagio il fatto che esso
assurga a motivazione attorno cui aggregare sentimenti e partecipazione,
indirettamente legittimando quel contesto fatto di modalità che non solo noi
rifiutiamo, ma che riteniamo anche politicamente perdenti. Sono già emersi - e
tutti li abbiamo visti coi nostri occhi - sufficienti episodi di carattere
collettivo (l'aggressione violenta e ingiustificsabile al Media center del Gsf
ed alla scuola di fronte, le violenze/torture nella caserma di Bolzaneto),
perfettamente in grado di rappresentare ciò che a Genova è accaduto, il suo
significato politico e soprattutto le responsabilità delle persone e delle
istituzioni. Non abbiamo affatto bisogno di "eroi" (ricordate
Brecht?), col rischio concreto - e per me inaccettabile - di legittimarne le
modalità. Mi rendo conto della delicatezza dell'argomento, e mi scuso ancora
con chiunque sia direttamente coinvolto nella morte di Carlo: se mi permetto di
dire ciò è perché sono certo del fatto che è molto ampia la fascia di
organizzazioni e persone che la pensa pressapoco come me. E a voi lo pongo come
problema politico e culturale.
Se l'eterogeneità è un valore, e non uno slogan o una risorsa per qualcuno,
essa deve diventare il centro di un progetto politico "capace di
futuro".
Giorgio Dal Fiume
Ctm altromercato/Lilliput
Ci sono giorni
che vorresti dimenticare
Giorni che vorresti eliminare dalla tua vita, o semplicemente cancellare dal
calendario. Giorni, terribili giorni, che vorresti che Dio non avesse mai
mandato su questo sciagurato pianeta.
Ho seguito i fatti di Genova con interesse, dolore e rabbia. Interesse perché
sono comunista e anch' io faccio parte del popolo di Seattle. Dolore per le
atroci violenze operate dai black blockers e dalle forze dell'ordine. Rabbia
perché, ancora una volta, pochi violenti sono riusciti a rovinare la
manifestazione di tanti pacifici (con la benevolenza delle forze dell'ordine) e
perché anche questa volta, la contestazione del dominio dei paesi ricchi su
quelli poveri si è trasformata in un massacro.
Il primo martire? Carlo Giuliani, italiano, 23 anni e una vita tragicamente e
irrimediabilmente interrotta durante un assalto ad una camionetta dei
carabinieri. La violenza del ragazzo (che, bisogna dirlo, non aveva certo
intenti pacifici) non può assolutamente essere giustificata, anche se in nome
della giustizia; ma, se questo è vero, ancor più ingiustificato è l'omicidio
compiuto da un carabiniere (anche lui giovanissimo), che, preso dal panico, ha
sparato alla testa del ragazzo, togliendogli la vita.
Il carabiniere che ha ucciso ha solo 21 anni e (il suo comportamento lo ha
dimostrato) non era abituato a certe situazioni. Questo è vergognoso e tradisce
la disorganizzazione della polizia italiana: come si può dare ad un poliziotto
giovane ed inesperto un incarico così gravoso come quello di tenere a bada
ragazzi agguerriti e armati fino ai denti?
E poi: perché la polizia non disponeva di proiettili di gomma, già
efficacemente utilizzati a Seattle, dove si è riusciti a respingere la rivolta
senza uccidere nessuno? Ancora: perché quella camionetta si trovava isolata,
perché i poliziotti non distanti dal luogo del delitto non sono intervenuti? E
ancora: perché la polizia ha represso e picchiato manifestanti pacifici e
inermi mentre non è stata capace di fermare i violenti?
A tutte queste domande non esiste ancora una risposta ufficiale. E il presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi, tanto per allentare la tensione creatasi in
questi giorni, accusa: "Il piano per la sicurezza era del precedente
governo". Affermazione subito smentita da Amato: "Il piano era
inizialmente il nostro: il governo attuale lo ha stravolto proprio nei punti
salienti."
Ma chi pagherà per tutto questo?
Mariasole Portale
13 anni
Capo d' Orlando (Messina)
Marta e Federico
Marta: Io sono di Genova, ma studio a Roma. Venerdì 20 alle 18 ero a
Corso Gastaldi. Avevo partecipato al corteo dei Pink e dopo le cariche in piazza
Manin con un gruppo di persone eravamo arrivate, quasi senza accorgercene, a
corso Gastaldi, dove il corteo delle tute bianche era già stato caricato con i
blindati.
Tra un momento di panico e uno di calma apparente stavamo cercando di ragionare
sul da farsi, ma non ne abbiamo avuto il tempo. Dopo pochi minuti è partita
un'altra carica dei carabinieri, sempre con i blindati, che passavano tra la
gente. Io mi sono rifugiata nei portici lungo corso Gastaldi e lì ho visto una
ragazza inginocchiata con la testa sanguinante. Mi sono avvicinata per darle una
mano, avevo addosso ancora il casco e la maschera antigas. Non mi ero accorta
che alle sue spalle c'era un gruppo di carabinieri. Appena mi sono avvicinata,
con un calcio mi hanno buttato a terra e hanno iniziato a picchiarmi.
Picchiavano anche la ragazza già ferita. Mi hanno strappato via il casco e la
maschera e mi hanno rotto un dito.
Dopo che ho pregato i carabinieri di smetterla sono riuscita ad alzarmi e a
camminare. Non volevo andare sull'autoambulanza, perché sapevo, visto che ero
stata a Napoli, che chi andava in ospedale sarebbe stato arrestato. La ragazza
ferita è stata invece portata via dall'ambulanza. Mentre me ne andavo ho urlato
contro l'ultimo carabiniere del manipolo che ci aveva pestate e lui ha estratto
quella bomboletta che molti avevano alla cinta e mi ha spruzzato contro una
sostanza bianca che mi ha intontito. A fatica mi sono rifugiata in un garage,
dove già altra gente aveva trovato riparo.
Dopo qualche minuto siamo usciti. Appena gli altri hanno saputo che io ero di
Genova hanno iniziato a chiedermi indicazioni per andare verso lo stadio Carlini
senza passare da corso Gastaldi dove vedevamo che la polizia si preparava al
blocco. Io ero sconvolta, dolorante e piena di lividi, dei segni delle
manganellate e dei calci. Ho tentato di rifugiarmi nella casa dello studente,
dove però non mi hanno aperto la porta e poi sono arrivati a prendermi degli
amici con una macchina e ci hanno portato al centro media del Genoa social forum
a riposare.
Federico: Io sono di Roma. La notte del raid alla Diaz e alla Pertini io
ero assieme a molti altri nella palestra della Diaz, dove ci stavamo riposando.
Eravamo arrivati da pochi minuti quando abbiamo iniziato a sentire le urla dalla
strada che avvertivano che la polizia stava arrivando. Abbiamo tentato di fare
una barricata davanti alla porta, ma i poliziotti sono riusciti a passare. Lì
nella palestra non ci sono state le scene terribili dell'altra scuola, ma ci
hanno fatto sdraiare con la faccia a terra e ci hanno tenuto così per 15-20
minuti, poi se ne sono andati. Sono andato allora alla finestra per vedere cosa
succedeva di fronte e ho visto il cordone della polizia tra le due scuole. Da
dentro la Pertini arrivavano delle urla orribili. Io ho assistito a tutta la
scena, tranne l'irruzione, e sono rimasto a guardare fino a quando la polizia
non è andata via. Ti posso dire che non ho visto alcun poliziotto uscire ferito
dalla scuola, nemmeno uno, anche se poi hanno detto che erano stati feriti
alcuni agenti.
Marta: Al momento dell'arrivo della polizia io ero al primo piano nella
stanza dove c'era Luisa Morgantini, la parlamentare europea. I poliziotti sono
arrivati e ci hanno fatto radunare nel corridoio, facendoci stare con le mani
sulla testa. Luisa Morgantini cercava di impedire l'ingresso della polizia nella
stanza degli avvocati, dicendo "Sono un parlamentare europeo" ma loro
rispondevano "non ce ne frega un cazzo" e la strattonavano. Li ho
sentiti distruggere i computer, anche se non li ho visti perché eravamo nel
corridoio. E sentivamo le urla, la cosa più terribile di quella notte, che
arrivavano dalla scuola di fronte. Non urla di rabbia, ma di dolore. Ci
sentivamo impotenti perché il cordone di poliziotti non ci lasciava avvicinare
e l'elicottero con il fascio di luce faceva un rumore assordante. Non è la
prima volta che partecipiamo a manifestazioni di massa, ma scene come questa non
le avevamo mai viste.