23 LUGLIO

La nostra piccola ma fondamentale parte di verità
Cari tutti,
in nome di un indistinto ma impellente bisogno di comunicazione, vorrei interrompere il soliloquio (o il dialogo con i soliti compagni di viaggio) che va avanti da ieri e rischia di essere un po' ripetitivo e asfittico. In altre parole vorrei - come si dice - allargare il dibattito sui fatti di Genova a coloro con i quali ho già avuto occasione di parlare, prima, dei temi della globalizzazione, e ad altri interlocutori "vergini" e involontari. Per questo chiedo qualche minuto del vostro tempo.
Sono tornato da Genova nella notte tra sabato e domenica dopo una giornata che poteva essere appassionata e invece è stata sconcertante. Personalmente mi è andata abbastanza bene: ho solo avuto alcuni momenti di paura e di fuga, quando il corteo, spaccato in due, è stato caricato dalla polizia - io ero nel troncone di coda a 150 metri dagli scontri - e tutti abbiamo cominciato a correre indietro disordinatamente; e ho pianto e tossito un po' per i lacrimogeni che ci hanno tirato addosso un paio d'ore dopo in Via dei Mille, quando ormai eravamo sulla strada del ritorno verso le stazioni di Quarto e Nervi (stento ancora a capire perché: mi chiedo cosa potesse avere di "minaccioso" agli occhi delle forze dell'ordine quel ritorno sfiancato e dimesso di un fiume di persone alla ricerca di una fontanella e di un treno per tornare a casa).
Non so se da questa premessa, a chi di voi non mi conosce molto bene, io possa sembrare uno dell'ala dura e militante, un professionista delle manifestazioni di piazza: credo di essere solo uno dei tanti (100.000? 150.000?) che volevano esprimere col solo fatto di esserci il loro dissenso alla "visione del mondo" espressa dal G8; uno di quelli per i quali (non sempre ma in questa occasione sì) la quantità avrebbe fatto la qualità della manifestazione; e insomma uno che sperava possibile riproporre anche a Genova il "fermo e civile dissenso" espresso in altri grandi cortei (chi ricorda lo straordinario clima pacifico e quasi "famigliare" della gigantesca manifestazione nazionale di Milano del 25 aprile 1994?). Sono sempre più convinto che tutto ciò, alla luce anche di quanto è accaduto in queste giornate, possa semplicemente chiamarsi "essere di sinistra".
Non è andata come avremmo voluto e lo sappiamo. Tra tutti sentimenti un po' cupi che scandiscono questo ritorno a casa, da digerirsi in proprio o al massimo in compagnia di pochi intimi solidali, uno credo meriti, o anzi richieda, di essere "divulgato". Un sentimento che immagino lontanamente simile - sono ovviamente doverose le distinzioni in fatto di tragicità degli eventi - a quello del Primo Levi di "I sommersi e i salvati" quando racconta con sgomento che l'incubo ricorrente e comune dei sopravvissuti ad Auschwitz, come surplus di angoscia alle sofferenze subite, si esprime nella frase "se anche raccontassimo non saremmo creduti".
In un contesto molto più "civile" è meno drammatico, io penso allo stesso modo il mio racconto agli "altri" dei fatti di sabato. Io, che non mi sento un estremista fazioso e che vorrei solo dare la testimonianza indignata ma serena di chi c'era, potrò essere più persuasivo di alcune verità televisive ripetute senza sosta dove tutto sembra ridursi ad un legittimo contrasto da parte delle forze dell'ordine di manifestanti violenti e pericolosi? Mi crederanno i miei interlocutori -persone intelligenti e nemmeno pregiudizialmente schierate contro la contestazione al G8- se racconterò loro la mia porzione, fortunatamente minima rispetto al resto, di violenza gratuita vista e subita? Se dirò che la polizia ha colpito persone pacifiche e disarmate, rincorrendole anche sulle scale dei palazzi in cui avevano cercato rifugio? Che ho parlato con una ragazza minuta, ancora ansimante diverse ore dopo, alla quale un carabiniere, tenendola per i capelli, ha urlato "che cazzo ci sei venuta a fare tu qui?"? Che non c'è nessuna "legittima difesa" nel tirare i lacrimogeni su un corteo che sta ripiegando? E che queste cose, e altre ben più gravi, sono successe davvero e non in un racconto annebbiato dall'emozione, fuorviato dal desiderio di rendere "epici" i fatti o, peggio, ricostruito artificiosamente a sostegno di una tesi precostituita?
Forse alcuni dei miei interlocutori annuiranno benevoli o un po' imbarazzati come quando non vuoi contraddire uno col quale non sei d'accordo o che sta esagerando: d'altronde alcune di queste cose le hanno già sentite, non sono rivelazioni da scoop, in Italia c'è ancora un'informazione libera. Un'informazione che ci ha mostrato la furia cieca del black bloc, le pietre lanciate, cosa volevi, che stessero fermi a prenderle? E appunto con lo scetticismo di chi ha visto tutto lucidamente dai telegiornali penseranno, nella migliore delle ipotesi, che i torti in fondo stanno da entrambe le parti: quindi, automaticamente, anche un po' dalla parte della ragazza presa per i capelli dal carabiniere, in fondo un po' se l'è cercata, no?
Sarà questo, questo che penetra diffusamente nei discorsi della maggioranza, il trionfo finale dell'idea sostenuta militarmente nelle due giornate di Genova e mirabilmente sintetizzata infine dal nostro presidente del consiglio: che tra Genoa Social Forum e "tute nere" non c'è una reale distinzione, ma anzi una "collusione", e che in piazza non era possibile distinguere i pacifisti dai violenti, così comprendendo, se non giustificando, le manganellate dei poliziotti.
Prima che col passare dei giorni cominci a crederci anch'io, vorrei raccogliere tutta l'indignazione, e forse la rabbia, che ora mi brucia dentro per affermare a voce chiara una cosa: che se è vero che c'erano violenti e provocatori tra i manifestanti (peraltro facilmente identificabili e isolabili, come abbiamo fatto in un paio di occasioni, con un improbabile servizio d'ordine, nel mio spezzone di corteo), noi - io, le facce che avevo attorno con le quali ho parlato, ho riso e ho avuto paura, nonché le decine di migliaia di persone che componevano la gran parte del corpo del serpentone umano - noialtri non eravamo fra questi! Non c'è tuta nera con la sua violenza ottusa che giustifichi tout court la (opportunistica) confusione tra aggrediti e aggressori: tale confusione - per dirla ancora con Primo Levi - "è una malattia morale (…) o un sinistro segnale di complicità; soprattutto è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità".
Concludo queste riflessioni con un appello, o meglio un invito, a tutti quelli che, tornati da Genova, come me fanno i conti con questo disagio da incomprensione: un invito a raccontare, a scrivere, a comunicare in tutti i modi che la fantasia e l'intelligenza vi suggeriscono, la vostra esperienza, la vostra piccola ma fondamentale parte di verità. Se la prossima volta a qualcuno verrà un piccolo dubbio leggendo i "fondi" del Corriere della Sera o guardando i servizi Mediaset, a qualcosa sarà servito.
Angelo

Uno sciopero generale?
Ciao,
vi ho letto molto in questi giorni, stanotte ho visto in tv quello che stava succedendo a Genova Io c'ero sabato e sono stata fortunata a stare nella parte di corteo che è arrivato a piazza Ferrari, ho apprezzato molto l'articolo di ieri "La dittatura" di P. Sullo e spero che parta, come già sembra, una protesta forte verso questo governo liberista e populista, repressivo e pericoloso per la democrazia. Sarebbe bello se si riuscisse a organizzare un grande sciopero generale, del resto credo che tutti i diritti elementari siano stati messi in pericolo da quanto successo in questi giorni a Genova.
Con affetto
Patrizia

Genova, 21 Luglio 2001
Siamo un gruppo di ragazzi di Firenze tra i 21 e i 28 anni che sabato 21 Luglio 2001 si trovava a Genova per la grande manifestazione pacifica di protesta contro il G8 e la globalizzazione. Vogliamo testimoniare con una cronaca abbastanza dettagliata i fatti che abbiamo vissuto personalmente mentre sfilavamo per la città, visto che ci siamo trovati proprio nel punto del corteo in cui la polizia ha spezzato in due tronconi l'intero gruppo dei manifestanti, all'altezza di Corso Italia e via Casaregis. Noi siamo partiti con il pullman del Cospe (Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti) da Firenze verso le ore 9.00 di sabato mattina e siamo arrivati a Genova intorno alle ore 13.15.
Approssimativamente intorno alle ore 14.20 ci siamo uniti col nostro gruppo del Cospe, formato da una quarantina di persone, al corpo centrale del corteo che sfilava sul lungo mare. L'ora successiva l'abbiamo passata risalendo il corteo, passando attraverso gruppi di manifestanti più disparati, dai pastori sardi al wwf, passando anche attraverso i gruppi di autonomi e anarchici che erano comunque tenuti sotto controllo da un gruppo di servizio d'ordine interno di altre associazioni. Quando ci siamo immessi su Corso Italia ci trovavamo all'incirca a metà corteo, in un punto estremamente affollato con persone che ballavano, cantavano e urlavano i propri slogan. La manifestazione ha avanzato in maniera estremamente pacifica superando anche una caserma dei carabinieri verso la quale si sono alzati solamente fischi, applausi denigratori e cori che gridavano "assassini" (nessun oggetto è stato lanciato mentre eravamo presenti), mentre i poliziotti ridevano e sbeffeggiavano la folla. A quel punto, verso le ore 15.00, il corteo si è fermato per diversi minuti e le voci che arrivavano sia dai manifestanti sia dalle persone che chiamavano da casa guardando il telegiornale erano che si stavano sviluppando grandi scontri in cima al corteo e in piazza Kennedy. Quando siamo arrivati poco prima della piazza vedevamo il fumo nero dei cassonetti incendiati ma, mentre varie persone correvano lì intorno, due squadre di poliziotti erano fermi sul lato destro della piazza. All'altezza di via Casaregis un cordone di manifestanti ci ha fatto riunire e correre in direzione della strada dicendo che stavano bloccando le tute nere e dovevamo scappare veloci. Appena girato l'angolo abbiamo visto il fumo dei lacrimogeni sempre più vicino a noi, sparati di continuo e sempre più bassi in direzione della folla da parte di un cordone di poliziotti che uscito da una strada laterale aveva bloccato il percorso del corteo pacifico e avanzava nella nostra direzione in tenuta antisommossa. La gente davanti a noi, la maggior parte della quale aveva semplicemente bandiere arcobaleno con la scritta "pace", si è fermata e ha iniziato a indietreggiare spingendoci sempre più contro il muro, mentre la polizia avanzava. Nello stesso tempo ci siamo resi conto che da dietro, uscito da piazza Kennedy, un altro cordone di polizia ci aveva chiuso la strada e ci spingeva in avanti contro gli altri agenti, sparando lacrimogeni e iniziando a manganellare a casaccio. In quel momento di terrore abbiamo visto che lungo il muro era stata aperta una porta in vetro e metallo di un edificio, non sappiamo se era stata sfondata o aperta dall'interno, e ci siamo rifugiati in gran numero correndo nell'atrio e su per le scale. Tra le urla della gente e persone che si sentivano male per i lacrimogeni è stata richiusa la porta per non fare entrare il fumo. Non sappiamo esattamente quanti eravamo ad esserci rifugiati dentro il palazzo, ma all'incirca dovevamo essere un centinaio. Dall'esterno sentivamo urla e rumore di lacrimogeni sparati. Il fumo era tale da non permettere la visibilità a più di uno o due metri dall'ingresso. Abbiamo passato lì dentro circa una mezzora, cercando di riprenderci dallo shock e dai lacrimogeni che avevano causato bruciori, forti conati e difficoltà respiratoria a quasi tutti i presenti (una signora del palazzo, ci ha dato acqua, limoni e bicarbonato per alleviare gli effetti del gas). Quando il gas si è diradato, circa 20 minuti dopo, c'erano dei giornalisti con telecamere e macchine fotografiche lungo la strada, tre di loro, di varie nazionalità, sono entrati e le persone che erano nell'androne hanno chiesto loro di farci uscire e di aiutarci. Uno dei giornalisti sembra si sia diretto verso la polizia con le mani in alto e dopo aver parlato un po' con degli agenti è tornato indietro dicendoci di stare calmi. Subito dopo è uscito nuovamente e i poliziotti hanno cominciato ad entrare, dopo aver allontanato anche tutti gli altri giornalisti che erano per strada. Gli agenti si sono disposti in due file lungo le pareti dell'androne e ci hanno fatto scendere con le mani alzate. Via via che le persone passavano venivano prese a male parole, perquisite e percosse con i manganelli o prese a calci. Solo per il fatto di avere una maglietta rossa, uno stemmino di Che Guevara, una maglietta di Greenpeace o anche senza alcun motivo siamo stati aggrediti moralmente e fisicamente, trattati come delinquenti per aver esercitato il nostro diritto di manifestare pacificamente. Abbiamo visto con i nostri occhi una ragazza di 16 o17 anni insultata con appellativi come "troia" e "puttana" e spintonata; una donna di una cinquantina d'anni offesa e umiliata; noi personalmente abbiamo rimediato calci negli stinchi e manganellate nel costato o sulle braccia. Ci teniamo a specificare che nel tempo in cui siamo stati nel palazzo abbiamo potuto accertare, mentre ci soccorrevamo a vicenda, che tra i presenti non vi erano elementi violenti, rissosi o pericolosi, TUTTI ERAVAMO DISARMATI e PACIFICI. Mentre uscivamo a piccoli gruppi dalla casa, i poliziotti all'entrata ci spingevano fuori urlando di abbassare le mani. Nella strada abbiamo visto segni di pestaggi e chiazze di sangue, anche molto grosse. Ci siamo quindi diretti verso il lato destro del portone, su per via Casaregis. Circa alle ore 16.10 il nostro gruppo del Cospe e altre persone si erano riuniti all'angolo di una strada, cercando di capire cosa era successo e di superare lo shock. Dopo pochi minuti abbiamo visto che dall'inizio della strada, vicino alla palazzina dove c'eravamo rifugiati, stavano avanzando nuovamente i poliziotti con i cellulari e gli uomini a piedi. A quel punto ci siamo diretti, per paura di un'altra carica, lungo la stradina alla nostra destra e poi su per una scalinata che portava ad una strada più in alto. Da questo momento in poi abbiamo incontrato diverse persone informandoci su quali fossero le zone più "calde" e quali le più tranquille. Dopo diverso tempo ci siamo incamminati lungo la strada per ritornare verso la zona di Nervi, dove ci aspettava il pullman. Eravamo noi del gruppo del Cospe più alcuni manifestanti dispersi dai propri gruppi. Abbiamo superato a mani in alto un blocco della Guardia di Finanza (anche loro in tenuta antisommossa) e ci siamo diretti lungo le varie strade, fino ad arrivare a corso Europa, e a rientrare finalmente a Nervi, senza, fortunatamente, incontrare altri corpi di polizia.
Nell'attesa della partenza, mentre aspettavamo membri del nostro gruppo che non erano ancora rientrati, sono passati davanti alla folla e ai pullman diverse camionette della polizia con uomini che dal tetto ci puntavano i lacrimogeni, mentre altri agenti, dentro i mezzi ci sbeffeggiavano, alcuni alzando il braccio destro facendo il saluto romano.
Così è finita la nostra giornata a Genova, siamo rientrati a Firenze tutti profondamente traumatizzati ma felici di essere stati lì e di essere in grado di testimoniare cosa abbiamo visto e vissuto, anche perché nell'informazione pubblica ci sembra che non sia stata fatta una giusta analisi degli attacchi della polizia e dei loro metodi violenti nei confronti di manifestanti pacifici, anche in occasioni in cui dei Black Blocs non vi era nemmeno l'ombra.
Questa lettera vuole essere una semplice testimonianza, speriamo di poter così portare un racconto dei fatti che noi abbiamo vissuto in prima persona all'attenzione dell'opinione pubblica.
Guido Martini, Gabriele Martino, Isabella Babbucci, Lorenzo Angeli, Carlo Nicotra

21 luglio a Genova: esiste ancora la democrazia?!
Le migliaia di persone presenti a Genova non possono essere confuse con pochi provocatori facilmente individuabili e lasciati scorrazzare liberamente.
Attacchi indiscriminati dei carabinieri subiti con ingiustificata violenza dai cittadini pacifici presenti.
Per chi non ha mai partecipato ad una manifestazione, trovarsi proiettato ed immerso nel fiume di persone presenti a Genova il 21 luglio è stata inizialmente un'esperienza affascinante, travolgente e da lasciare senza fiato. Sono una mamma senza particolari interessi politici, interessata ai problemi ambientali, che ha cercato di capire cosa univa tutte quelle persone, troppe per essere ignorate o tacciate di semplice complicità con poche migliaia di facinorosi di cui sabato sera ho memorizzato il nome: black bloc. Quasi trecentomila persone provenienti da diverse nazioni hanno cercato di manifestare pacificamente. Atto unico di protesta era la loro presenza in difesa della democrazia, della libertà, del rispetto della dignità umana. Arrivati nella città in cui si stavano riunendo i paesi più potenti del mondo per chiedere che venisse considerato anche il diritto di esistere in modo decoroso di ogni essere umano, nel rispetto della vita e dell'uguaglianza. Una richiesta semplice, degna di rispetto.
Tante ore sotto il sole, quasi senza mangiare in una marcia forzata per rimanere nel proprio gruppo di riferimento. Presente tra i tanti anche un "quasi ottantenne" Mario Rovinetti di Marzabotto che ha vissuto tanti anni di storia del nostro paese, anche anni bui in cui era difficile esprimere liberamente la propria opinione e si pagava spesso con la vita la voglia di pretendere il rispetto dei diritti. Al primo lancio di lacrimogeni ad altezza umana e conseguente fuga di persone disarmate, con le mani alzate, gente tranquilla, ha ricordato i tragici fatti di Reggio Emilia nel 1960 dove non si sparavano solo lacrimogeni, ma fucilate tra la gente all'altezza necessaria per colpire chi aveva l'unica colpa di chiedere democrazia e pane. Nella psicosi che si era creata nel trovarsi senza difesa, anzi attaccati dai carabinieri e dalla polizia per le provocazioni di pochi, si viveva la paura potessero verificarsi incidenti come quelli del giorno precedente. Si stava creando un clima di preoccupazione crescente tra la gente prima tranquilla per i troppi "personaggi stranamente bardati" ed immediatamente riconoscibili che passavano a fianco di corsa, sempre più numerosi, pronti a creare danni ed ad attaccare da qualche parte facendosi scudo della gente comune. Approfittavano delle brecce lasciate aperte non per complicità, ma per inesperienza, per un servizio d'ordine interno non sempre presente ed efficace in ogni gruppo autogestito, per infilarsi e togliersi gli abiti di dosso e diventare come gli altri. Questo è successo anche vicino a noi in pochi minuti, senza possibilità di intervento da parte di persone volutamente senza mezzi di difesa e di offesa. Non si può accusare di connivenza migliaia di persone intenzionate a manifestare pacificamente che, proprio per questo, non hanno sempre potuto espellere gli indesiderati armati di spranghe. Se ognuno fosse stato organizzato per farsi giustizia da solo ci saremmo trovati in un campo di battaglia aperto e in questo caso e solo in questo caso saremmo stati veramente uguali ai black bloc e avremmo meritato la tremenda accusa di Berlusconi. Non si può confondere, se non volutamente, chi era presente per degli ideali con chi solo per provocare la polizia che non ha cercato di arginare i controattacchi mirando chi li scatenava, ma ha colpito indistintamente tutti con estrema e ingiustificata ferocia, anche persone disarmate con le mani alzate solo perché si trovavano, senza nessuna colpa, nel luogo in cui veniva scatenata la violenza dai "soliti ignoti". Doveroso l'inserimento del numero di identificazione sul casco o berretto dei carabinieri e della polizia, per individuare responsabilità di comportamento che non possono essere lasciate impunite.
Vorrei porre una domanda molto semplice: perché i black bloc, facilmente individuabili per la loro presentazione visiva erano liberi e hanno potuto fare terrorismo e guerriglia tra la gente anche il secondo giorno?! Bardati per fronteggiare gli attacchi, ho capito da sola che erano diversi dagli altri senza nemmeno sapere che esistevano e poi è risultato dai mezzi televisivi che erano noti alle polizie internazionali e presenti in tutte le grandi manifestazioni. Ma a chi fanno comodo ? non certo ad un movimento che è stato accusato interamente proprio per il loro limitato operato!! Non certo a chi è stato l'unico reale bersaglio e, accusato di connivenza, ha subito l'invasione della sede operativa, semplice centro di raccolta e distribuzione dell'informazione alternativa dove esistevano e sono stati distrutti solo computer, cassette video e registrazioni. "Centro stampa del movimento" non confondibile con l'edificio vicino che svolgeva funzioni di accoglienza e pertanto aperto a tutti. Un attacco che ha lasciato per terra troppo sangue, come ha rilevato Rutelli, un attacco troppo violento e ingiustificato che ha fatto nascere troppi dubbi e un attacco contro i giornalisti, contro la libertà dell'informazione che non ha permesso di potere negare per l'ennesima volta anche l'evidenza, un attacco alla democrazia a cui nessuno può restare indifferente se vogliamo continuare a parlare di civiltà.
Fino a pochi giorni fa ho considerato con paura il "popolo di Seattle", città in cui sono nate alcune avanguardie dell'età contemporanea (Grunge), generalizzando per superficialità di analisi. Adesso ho capito che questo popolo siamo tutti noi, presenti o meno alla manifestazione, chiunque creda nella pace, nella difesa dei diritti umani e nell'uomo semplice, nell'uomo che si sveste del suo ruolo esclusivo di consumatore e di difensore dei particolarismi acquisiti per acquistare una visuale più ampia, per vivere la globalizzazione come punto di incontro dei popoli non solo come sfrenata corsa all'arricchimento di pochi per l'enorme potere concesso alla finanza mondiale che trascina il mondo economico, dimenticandosi dell'uomo.
Per cui credo che mai come adesso sia importante alzare un appello alla non violenza, rivolto a tutte le persone che credono nella libertà dell'informazione, nel rispetto del diritto di manifestare (dissenso pacifico)e quindi nell'impegno di difendere la democrazia. Un appello a cui non si può restare indifferenti e che deve vedere unite tutte le forze del paese.
Donati Angela, Bologna

Il re è nudo
Il G8 di Genova è stato un punto di svolta. Il re è nudo, finalmente, definitivamente. Le immagini edulcorate, le maschere rassicuranti del Potere sono cadute, impietosamente, come facciate di cartapesta, travolte dall'irrompere inatteso della realtà. La bolla mediatica è scoppiata, bucata dalla puntura di spillo di una morte "in diretta" di un ragazzo di 23 anni, ucciso da un colpo di pistola in piena faccia, a bruciapelo, sparato da un altro ragazzo come lui, in preda ad una crisi di nervi, terrorizzato. Da una scuola elementare devastata, con pareti e pavimenti tappezzati di sangue da una città blindata, stuprata da grate di ferro, da vetrine spaccate, da auto incendiate, da cariche dissennate delle forze dell'ordine (?), da arti spezzati, da teste fracassate, senza pietà nè differenze. Siamo tutti uguali. Nel frattempo, in un universo parallelo, in un'altra dimensione, lontano dai clamori e dalle beghe terrene, gli dei iperurani e il loro seguito di portaborse, guardaspalle e cronisti accreditati, degustano annoiati ostriche e champagne, tra frivole chiacchierate e "impegni programmatici", tra una stretta di mano e una posa di gruppo con sorriso per gli obiettivi golosi dei fotografi e dei TG. La gelida autoreferenzialità di questo ipermondo è attraversata, nelle strade e nelle piazze, dove si accalcano caoticamente centinaia di migliaia di "untermenschen", da pugnalate visive, moltiplicate all'infinito sugli schermi accesi, dai fendenti terrificanti di una realtà troppo a lungo rimossa, che invano qualcuno cerca di allontanare con un gesto infastidito della mano, come fosse il ronzio importuno di una zanzara. Ebbene, questa non è soltanto la solita cieca, impersonale violenza della Storia che si rapprende in un punto inesteso del presente, qui ed ora. Ha i suoi registi in carne ed ossa, ha nomi e cognomi precisi, ben identificabili, ha i suoi responsabili, "umani, troppo umani". ACCUSO il Cav. Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio in carica, di essere il mandante N°1 dell'omicidio di Carlo Giuliani e delle violenze verificatesi a Genova per la gestione narcisisticamente estetica e cosmetica del vertice, inteso come vetrina personale, incurante dei problemi che si sarebbero venuti a creare al difuori della "zona rossa", animato esclusivamente dall'ossessione dell'immagine di sè da ragalare al mondo, ai posteri, alla Storia, gigante tra gli Otto Grandi. ACCUSO il Ministro degli Interni Scajola di essere il primo responsabile morale degli eventi drammatici di Genova per le scelte politiche compiute in materia di sicurezza e di ordine pubblico e ne chiedo pertanto le immediate dimissioni. ACCUSO il Comandante dell'Arma dei Carabinieri Gen. Siracusa per la gestione irresponsabile e scriteriata della piazza e per aver mandato allo sbaraglio, senza adeguata preparazione, giovani ausiliari e militari di leva, trasformandoli, loro malgrado, in isterici carnefici o "teneri" assassini. ACCUSO il Capo della PS De Gennaro, il Vice Capo e commissario per il G8 Andreassi, il funzionario di PS Francesco Gratteri per le cariche schizofreniche con lacrimogeni ad altezza d'uomo e manganellate spaccaossa contro dimostranti pacifisti ed inermi, nonchè per il vergognoso massacro del blitz notturno contro la sede e la sala stampa del Social Forum. ACCUSO inoltre i provocatori professionisti, poliziotti e carabinieri, mimetizzati e infiltrati nei cortei, che istigavano alla violenza e allo scontro fisico, come da copione. ACCUSO i naziskin e gli anarco-nichilisti del Black Bloc di aver stupidamente messo a ferro e fuoco una città indifesa, suscitando barbariche ritorsioni contro persone la cui unica colpa era di essere lì, in quel momento, a manifestare liberamente il proprio dissenso. ACCUSO, infine, George Bush, Tony Blair, Jacques Chirac, Gerhard Schroeder, Jean Chretien, Vladimir Putin, Junichiro Koizumi, e, ancora una volta, Silvio Berlusconi, di essere gli unici registi, gli artefici e i principali responsabili, non solo dei feriti, dei contusi, e del morto di Genova, ma anche di tutti quei problemi che a parole sostengono di voler risolvere, prodotti dalla loro cieca fede nelle virtù taumaturgiche del Mercato e della Globalizzazione selvaggia senza nè regole nè superstiti. AUSPICO che questi personaggi possano davvero, come sperano, passare presto alla Storia, ma a una storia forse un po' diversa da quella che ciascuno di loro ha in mente, una storia che si è rimessa in moto, confusamente, vorticosamente, e che, presto o tardi, se li scrollerà di dosso, loro e i loro grotteschi teatrini, con un sussulto e uno sberleffo. Ma ci vorranno prima altri morti, ancora sacrifici umani.
Pietro Altieri

Rimaniamo compatti
Carissimi Compagni di Carta
ho seguito con molta solidarietà e rabbia le vicende di Genova e posso dire di essere tanto soddisfatto per l'enorme quantità di gente che ha deciso di prendere parte ad una protesta così compatta e forte e credo che mai come adesso dobbiamo cercare di affondare il "Duce" (non mi resta che chiamarlo così).
Basta essere acuti e confrontare gli eventi con quelli dei tempi del fascismo per capire che non è mai tramontato e che anzi questa è una vera e propria dimostrazione di quello che sono le nuove "CAMICE NERE".
Mi appello a tutti coloro che credono nella giustizia, nei principi, nell'onestà, nel rispetto verso gli altri, in quei valori che i media ci stanno portando via e sopratutto a Voi di Carta o a chi come Voi lotta giorno dopo giorno per dare a tutti noi un'informazione corretta.
Vi chiedo teniamo duro siete il nostro cervello.
Paolo Sanchioni

Ho dormito alla scuola Diaz
Egr. Direttore.
Chi scrive è una trentaquattrenne toscana, laureata, insegnante, pacifista, che si è recata a Genova insieme con altre due amiche (anch'esse laureate ed "oneste lavoratrici") per chiedere un mondo diverso, un mondo migliore e spostare , anche solo per un minuto, l'attenzione dei "grandi" (e della società civile tutta) dalle "fioriere" a quella parte di umanità che vive in condizioni di miseria.
Come noi la maggioranza della folla dimostrante che sabato si trovava a Genova, una folla che non vuole assolutamente essere paragonata o assimilata ai "Black Bloc" e che, anzi, ha visto la propria incolumità messa a rischio dalle azioni di questi vandali addestrati alla violenza e la propria protesta vanificata dalle loro azioni distruttrici.
Provo un dolore indescrivibile per quello che ho visto a Genova: tutta quella violenza finalizzata al nulla, solo a se stessa, la nostra impotenza (come quella dei cittadini) di fronte a questa forza distruttrice e alle conseguenze repressive (inefficaci e spesso mal gestite) che ha innescato.
Ma la mia testimonianza la voglio legare soprattutto alla perquisizione della scuola Diaz.
Non ho il tempo (e lo spazio) per spiegare nei dettagli quali circostanze, venerdì sera, dopo un viaggio in treno di quasi 10 ore, ci hanno condotte in via Cesare Battisti. Riassumerò velocemente: mancanza di posti nei pullman organizzati nella nostra provincia, il desiderio di essere in ogni caso presenti che ci spinge a partire alla volta di Genova "armate " di un sacco a pelo e di uno zaino, la difficoltà di trovare un posto al coperto in cui dormire, l'incontro con un giornalista del G.S.F. che ci indica una possibile sistemazione, l'arrivo alla scuola in questione verso le 11 di sera.
Uno dei due edifici è riservato esclusivamente ai rappresentanti della stampa, l'accesso è concesso solo a chi possiede il "pass". La palestra dell'altro edificio invece, è utilizzabile come dormitorio e aperto a tutti. Cosa c'è dentro? Solo tante persone sdraiate per terra che dormono, zaini, scarpe, un numero imprecisato di giovani (prevalentemente stranieri) che si muove all'interno di questo stretto spazio in silenzio e con rispetto (le uniche scritte nei bagni sono italiane!). Lungo il corridoio 6 o 7 computer collegati ininterrottamente ad Internet dove le immagini della giornata (rimbalzano oramai da tutte le parti le foto del giovane rimasto ucciso) si alternano ai resoconti personali spediti ad amici o a referenti interessati. Noi abbiamo trovato un angolo ancora libero (anche se sporco della polvere dei calcinacci dei lavori condotti nella scuola) e ci siamo accampate, trascorrendo una notte tranquilla. Al mattino, con la stessa discrezione, il risveglio dei manifestanti: alcuni lavano le loro cose, altri sono al lavoro al computer, molti si sistemano in silenzio per non svegliare chi ancora dorme. C'è un clima rilassato e socievole. Poco prima delle 12, ora in cui abbiamo lasciato la zona per unirci ai manifestanti della Retelilliput, la palestra è oramai sgombra dai sacco a pelo e un discreto gruppo di manifestanti, seduti per terra, discute di pace e non violenza. Cerchiamo di ascoltare almeno gli interventi in inglese. Un uomo traduce dall'inglese al tedesco e viceversa. Si accorge di noi e ci dice che, se siamo interessate ad intervenire, può tradurre anche per noi. In terra il materiale preparato per la manifestazione: degli striscioni e un altoparlante. Nelle 12 ore in cui siamo rimaste nella scuola non abbiamo visto al suo interno (ma nemmeno nel piazzale antistante!) spranghe, caschi, maschere antigas, scudi,
insomma nessuna delle attrezzature che invece distinguevano perfettamente, durante il corteo, i violenti da noi pacifici manifestanti. Non posso essere sicura che fra tutti gli alloggiati alla Diaz non ci fossero magari degli infiltrati, ma sono sicura che la maggioranza delle persone che dormivano nella scuola erano dei tranquilli e pacifici manifestanti e mi chiedo: era necessaria tanta violenza su delle persone inermi e senza possibilità di fuga? Una violenza inaudita, cieca, priva di logica, che poteva benissimo essere risparmiata e che invece ha finito per concludere ancora più barbaramente una giornata che invece ne aveva vista fin troppa. A che scopo poi distruggere i computer? E i telefoni? Mi inorridiscono quelle tracce di sangue che hanno macchiato gli interni della scuola così come mi nauseano le insinuazioni che vogliono tutti i dimostranti conniventi con i Black Bloc ! Recuperiamo la ragione ! Come ho detto all'inizio, le iniziative sciagurate dei Black Bloc non aiutano la nostra causa, anzi, vanificano tutti i nostri sforzi, perché alla fine si parla delle loro violenze e non delle nostre idee! La gente ha in mente le vetrine sfasciate e le auto bruciate e non il corteo gioioso e colorato di chi voleva solo affermare dei principi democratici e umanitari. E mi chiedo, in virtù di questa logica, per quale motivo dunque gli esponenti del G.S.F. avrebbero dovuto nasconderli e difenderli? Recuperiamo la ragione! Facciamo fronte comune contro chi usa la violenza solo per il piacere di farla. Questo clima di vendetta, di distruzione, di violenza contro violenza, di demonizzazione indiscriminata e di forti contrapposizioni anche con le Forze dell'Ordine mi spaventa e non vorrei un ritorno pericoloso a situazioni già vissute in anni nemmeno troppo lontani della nostra storia.
Alessandra

Via Assarotti, venerdì 20 luglio
Era finito l'assalto dei Black Bocks ai poliziotti in fondo a via Assarotti verso la zona rossa e noi manifestanti pacifici, che avevamo cercato di difenderli dall'attacco mostrando le mani bianche, discutevamo con i poliziotti con cui oramai si era allentata la tensione. Stiamo per andarcene e alcuni di loro iniziano a togliere i nostri striscioni pacifici attaccati alle cancellate della strada. Mi rivolgo ai poliziotti per dire di lasciare stare le nostre bandiere, i nostri colori, le nostre frasi che sintetizzano la voglia di giustizia e di un nuovo mondo possibile. Uno di loro subito mi minaccia, mi offende, mi spintona e scalciona. Io non reagisco, mi giro, vedo una donna che fino a poco fa li difendeva dagli attacchi dei black e ora era circondata da 5-6 poliziotti che la insultavano e la colpivano. Alcuni le gridavano che volevano arrestarla. Lei impulsivamente reagisce. Mi avvicino per portarla via, per dirle di non reagire, per difenderla. Uno di loro con violenza inaudita mi prende da dietro, mi straccia la maglietta, mi da' un calcio e mi sbatte lontano. Io ancora non reagisco, cerco di mantenere la calma, mi allontano, impotente di fronte alla carica e alla violenza gratuita.
Me ne vado con lo sdegno e la rabbia di ritrovarmi offeso dalla violenza e dal tentativo evidente di mascherare il nostro impegno pacifico, importante, deciso, di credere e di lavorare per un mondo migliore. Voglio con assoluta fermezza deplorare ogni episodio e ogni ricorso alla violenza da qualsiasi parte provenga, e allo stesso tempo denunciare duramente una situazione gravissima che riguarda l'operato delle forze dell'ordine colpevoli di avere caricato i manifestanti pacifici, di avere fatto una irruzione vergognosa all'interno del Genoa Social Forum e di avere permesso a interi gruppi di teppisti di girare liberamente e sfasciare la città. Siamo di fronte a fatti, testimonianze di una pericolosità inaudita. E' in gioco la civiltà e la democrazia stessa del nostro paese. Per questo dobbiamo essere di nuovo in piazza a manifestare che non ci fermeremo, che andremo avanti con le nostre idee e che non ci fermeremo di fronte alle barbarie che si stanno compiendo. E' cominciato il tempo di una nuova resistenza, per la giustizia e la libertà di essere cittadini e non sudditi. Con la non violenza, anche a costo di pagare di persona.
Filippo Ivardi Ganapini - Padova

Organizziamo il dissenso
Tutti i complimenti possibili per la gestione del sito e le notizie offerte su quanto è accaduto a Genova. Dopo aver provato anche di persona sabato quanto raccontato credo sia veramente giunto il momento di organizzare il dissenso e forse carta è una mossa vincente. Bravi.
Patrizia

Raccontiamo quello che abbiamo visto
Cari amici,
allora io ero a Genova. Io ho visto. Non date retta ai giornali ed ai telegiornali. È stata una cosa pazzesca, un massacro. È difficile raccontare ciò che é avvenuto tra venerdì e sabato. Per farlo mi aiuto con quello che ho visto io e quello che hanno visto altri carissimi amici presenti a Genova. Vi prego di avere la pazienza di leggere é veramente la cronaca di un incubo che difficilmente sentirete sui grandi mass media.
1.Io arrivo giovedì a Genova dopo la festosa manifestazione dei migranti, 50.000 persone. Ci sono i campi di raccolta, siamo tantissimi. Migliaia di persone assolutamente pacifiche, un clima meraviglioso (vi ricordate i campi scout?) si discuteva si cantava si stava bene insieme. Scout e militanti, volontari e professionisti e venerdì mattina iniziamo le piazze tematiche in una città blindata:le varie associazioni si troveranno sparse nella città per fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa linea rossa. A questo punto sul lungo mare arriva il famoso blak blok, alcuni di loro vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila. Parlano soprattutto tedesco. Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori aderenti ai Cobas e altri sindacati, di cui picchiano uno dei leader, vengono respinti a fatica. Poi i black blok puntano sulla prima piazza tematica (centri sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel punto inizia le cariche violentissime. I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c'era la rete di Lilliput (commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese..ecc.). La gente facendo resistenza pacifica cerca di allontanarli. La polizia insegue: carica la piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni e manganellate. Ci sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la città... 300-400 del Black Bloc vagano per Genova, chi li guida conosce perfettamente la città: il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche dove ci sono le iniziative del movimento.. È impressionante. Si muovono militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a ruota arrivano polizia e carabinieri Intanto nella piazza tematica dove c'e' l'Arci e l'Associazione Attac ecc.: tutto va bene, nel primo pomeriggio si decide di andarsene dal confine con la linea rossa fino ad allora assediata con canti, scenette, ecc. La gente sfolla verso Piazza Dante, la polizia improvvisamente lancia lacrimogeni alle spalle. Fuggi fuggi generale. Gli ospedali si riempiono di feriti. Molti però non vanno a farsi medicare in ospedale: la polizia ferma tutti quelli che ci arrivano. È sera. La gente é sconvolta, molti iniziano a essere presi dalla rabbia. Dei black improvvisamente non si ha più notizia. Alla cittadella dove c'è il ritrovo del Genoa Social Forum saremo diecimila. È arrivata la notizia della morte del ragazzo. C'é paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e suore che piangono. C'è un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una benda in testa, è un pensionato metalmeccanico. C'é Don Gallo della Comunità di San Benedetto. C'è la mamma leader delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, quelle che da anni cercano notizie dei loro figli desaparecidos: dice che è sconvolta per quello che ha visto con i suoi occhi, gli ricordano troppo l'Argentina della dittatura: non pensava fosse possibile in Italia Intervengono mio fratello, Luca Casarini delle tute bianche e Bertinotti (l'unico politico che ha avuto il coraggio di correre) calmano tutti: ragazzi non uscite in piccoli gruppi, non accettate la sfida della violenza. Si decide che la risposta sarà la grande manifestazione del giorno dopo, saremo in tantissimi, pacificamente contro tutte le provocazioni e le violenze di black block e forze dell'ordine. Il senatore Malabarba racconta che è stato in questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla questura. Scoppia improvvisamente un incendio in una banca vicino alla cittadella. Gli elicotteri ci sono sopra: per più di 40 minuti non arriva né pompieri né niente. Di notte uno dei campi dove siamo a dormire, il Carlini, viene circondato dalla polizia. Entrate a perquisire, fate quello che volete. La gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel campo non trova niente.
2. Sabato: la grande manifestazione, siamo veramente una moltitudine. Il corteo parte, ci sono mille colori. Gente di tutto il mondo. Tutte le associazioni, il volontariato, i contadini, i metalmeccanici, i curdi, ....ecc. Canti, danze, mille bandiere. Piazzale Kennedy. Non ci sono scontri. Non c'è niente. Sbucano i black Block La polizia improvvisamente, senza alcun motivo, spacca in due l'enorme manifestazione. Si scatena la guerra. Cariche dovunque, manganellate. Sono impazziti. La polizia carica i metalmeccanici della FIOM, i giovani di Rifondazione. Iniziano inseguimenti per tutta Genova. Chi rimane solo è inseguito, picchiato. Decine di persone testimoniano di inseguimenti e pestaggi solo perché riconosciuti come manifestanti. È picchiato dalla polizia un giornalista del Sunday Times (sul numero di oggi racconta la sua avventura...) In un punto tranquillo della manifestazione, sul lungomare, improvvisamente da un tetto vengono sparati lacrimogeni che creano panico. Usano gas irritanti, producono dermatiti, non fanno respirare. I Black Bloc? Compaiono e scompaiono, nessuno li ferma. Attaccano un ragazzo di Rifondazione. Gli spaccano la bandiera e lo picchiano. Attaccano a pietrate i portavoce del Genoa Social Forum. Spaccano vetrine ed incendiano. Sono armati fino ai denti: ma come ci sono arrivati nella Genova blindatissima? La testa della grande manifestazione è tranquilla, il Genoa Social Forum fa l'appello di defluire con calma, di non girare da soli per la città. Veniamo indirizzati verso Marassi dove ci sono i pulman di quelli arrivati la mattina. Siamo fermi li'. Non si puo' andare avanti: a piazzale Kennedy é guerra. Siamo in tanti fermi, seduti per terra. Improvvisamente partono i lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Si cerca di tornare verso la cittadella del Genoa Social Forum: passano camionette della polizia da dove urlano: vi ammazzeremo tutti! La seconda parte del corteo non arriverà mai alla piazza dove era prevista la conclusione. Tutte le persone vengono caricate indistintamente sul lungo mare. Chi riesce scappa nei vicoli verso la collina, dove si scatena una vera e propria caccia all'uomo. Sabato notte, la manifestazione era ormai finita da alcune ore, la polizia irrompe nella Sede stampa del Genoa Social Forum. Picchiano tutti con una violenza impressionante. In particolare sono interessati alla documentazione (testimonianze, video, foto...ecc.) che raccontano quello avvenuto tra venerdì e sabato: sono molti attenti a distruggere tutto. Vengono distrutti tutti i PC e tutto il materiale che trovano, viene arrestato l'avvocato che coordina il gruppo di avvocati presenti a Genova. Viene distrutto o portato via anche tutto il materiale che gli avvocati avevano raccolto per difendere le persone arrestate. Adesso non si sa piu' neanche quante sono e quali sono le accuse. Durante la perquisizione, fatta senza alcun mandato, a parlamentari, avvocati, giornalisti e medici e'impedito di entrare. Le famose armi comparse oggi in conferenza stampa ieri non si erano viste....rimangono i feriti e gli arrestati. Del black blok non si sa più niente. Vi assicuro, due giorni da incubo: black block e forze dell'ordine hanno fatto un massacro e volevano farlo. Poliziotti e carabinieri erano stati montati in modo pazzesco, fin da venerdì mattina urlavano e insultavano. Gli hanno veramente lavato il cervello. E poi oggi a sentire televisioni e leggere giornali: Dio mio sembra proprio un regime: dove hanno scritto la verità che tutti noi che eravamo lì abbiamo visto? Divento poi matto a pensare che alcuni potranno ancora pensare: "voi contestatori, dite le solite cazzate..." Non fatevi imbrogliare, abbiate il coraggio di mettere in discussione i vostri convincimenti sulle meravigliose forze dell'ordine italiane e sugli apparati democratici del nostro Stato. A Genova veramente é avvenuto qualcosa di pazzesco. Hanno inaugurato il nuovo governo.... Un'altra piccola cosa: sul giovane ammazzato. La sapete la prima versione della questura prima che comparissero i video? ammazzato da un sasso lanciato da altri manifestanti...Se pensate che molta della documentazione raccolta da testimoni é stata distrutta dopo l'irruzione alla sede del Genoa Social Forum di questa notte....ci rimangono le "sicure" versioni delle forze dell'ordine... Meditate e per favore fate girare, stampate, parlate, c'é bisogno di raccontare la verità. A vostri amici, parenti, colleghi di lavoro. Vi prego non voltatevi dall'altra parte. grazie
Stefano
P.S. Mio fratello è distrutto, mi ha detto: è pazzesco, sembra di essere nell'America Latina negli anni 70.
Forse neanche lui aveva capito fino in fondo con chi aveva a che fare e che governo e responsabili delle forze dell'ordine potessero arrivare a tanto.

Proposta
Propongo che d'ora in avanti il termine anarchico o anarchia non siano mai più usati, neanche di striscio, quando si parla del blocco nero; propongo l'espressione molto più appropriata di BRIGATE NERE. Con l'inviato de L'Unione Sarda ho seguito le giornate dal 20 al 22, e ho visto e capito molte cose. Tra le molte (viste), l'inizio della faccenda di Piazza Kennedy. Chi ha cominciato non erano più di 50-60 persone (non centinaia) che sapevavano benissimo cosa fare.
Hanno confuso parte del corteo che ha creduto :
1 che la polizia attaccasse il corteo autorizzato
2 ha pensato che il percorso stabilito fosse quello in cui si dirigevano i manifestanti davanti a loro
3 che fosse inevitabile incazzarsi o morire di paura
Conclusione: un servizio d'ordine degno di questo nome avrebbe lasciato poche decine di carogne alle proprie pratiche onanistiche (nella parte non comprata di questi ultras da processo del lunedì) e avrebbe neutralizzato enargicamente, come si diceva una volta, i "provocatori".
Ben cosciente che quella Genova era pascolo brado dei servizi d'intelligence della parte egemone del mondo.

Parlateci del Gsf
Cari compagni,
Ho seguito con emozione e sgomento le giornate genovesi, grazie a Radio popolare e a qualche servizio del tg3. Oggi, ancora turbata dagli eventi, a cui si aggiunge l'eco delle arroganti dichiarazioni rilasciate dai nostri governanti mi si sono delineate quattro conclusioni:
- per chi non se n'era accorto siamo in un governo di destra antidemocratico;
- la sinistra degli eleganti moderati ha deciso di suicidarsi. Quanto ci hanno messo per chiedere con voce stentorea al Ministro dell'Interno di dimettersi? Quale appoggio hanno dato al GSF nella loro schizofrenia? E dopo le vili parole, Fassino chi crederà di rappresentare quando vincerà l'interna tenzone diessina?
- abbiamo assistito a una terribile violenza - continuata anche oggi per avallare la tesi che chi manifesta è comunque un violento aggressore - di squadre della morte e della distruzione scientificamente organizzate e dirette
- esiste una voce nuova, sento un rinnovato pulsare di tanti che non ci stanno più a soffocare la propria voce, esiste un movimento in cui riconoscere, con cui e per cui agire nella vita quotidiana, ma VI PREGO, parlateci delle assemblee del Gsf a genova, di chi vi ha partecipato, anche tra i personaggi della cultura, musica, dei contenuti, dei risultati, delle idee da cui partire. non facciamoci schiacciare dalla logica delle provocazioni, rispondiamo con le solite armi: mani nude e idee e diritti e rivendicazioni. si manifestare, per riproporre i temi antiglobal, accanto alle denunce di inumana violenza che poi seguiranno il loro corso legale. opponiamo all'arroganza la volontà costruttiva, l'azione il dialogo e la differenziazione interne e la discussione costruttiva con i potenziali interlocutori, non solo in italia ma nell'unione europea.
Un forte abbraccio
Tiziana

La rete delle donne
Care donne,
Essendo arrivata a Genova con il pullman delle Donne in Nero da Roma, non vi ho più incontrato. Abbiamo fatto da sole la nostra marcia, continuamente perdendoci e ritrovandoci. Eravamo fra Legambiente e Attac e non mi sentivo molto minacciata all'inizio. E poi eravamo molto fotografate e anche applaudite da stranieri suppongo, anche perché lo striscione, le manine e i vestiti neri ci distinguevano chiaramente. Eravamo esterrefatti dalla morte del giovane Carlo, ma speravamo che almeno ciò sarebbe stato di lezione sia alla polizia che ai black blok nella giornata di sabato. Io mi sono trovata con 4 - 5 donne all'improvviso, quando in vicinanza dei primi scontri il corteo si è disperso per un certo tempo, e tutti scappavano di qua e di là. Ho sentito una gran rabbia, contro la polizia e i violenti neri, che vedevamo tutta la mattina passare accanto al corteo in piccoli gruppi. Io decisi di non farmi trovare in mezzo, memore delle battaglie di Napoli dove a marzo ero stata quasi avvelenata coi lacrimogeni al peperone.. Sono rimasta allucinata alla vista delle distruzioni dell'arredo urbano e dei negozzi e uffici e delle macchine bruciate. Ho pensato allo sgomento che avrebbero causato ai genovesi al loro ritorno, ma anche al fatto che saremo noi contribuenti a pagare tutti i danni!! Danni che volevamo evitare a tutti i costi fin dall'inizio!! Ho vissuto un senso di terribile angoscia crescente durante il corteo, anche restando oculatamente lontana dagli scontri, poiché lontano da casa tutto sembrava ancora più pericoloso. MA ERO CONTENTA DI ESSERCI, di esser venuta a testimoniare con la mia presenza insieme alle altre come me, che questo governo di destra non ci ha annientato e che dovrà fare continuamente i conti con noi. E quando quelli della rete Lilliput ci hanno accolto in mezzo alla loro cordata mi sono sentita a casa. Eppure li conoscevo solo di nome. In questi giorni, ho capito che la violenza e la non -violenza non sono concetti cosi chiari e semplici, da poter creare dei chiari confini all'agire futuro. Temo che, come dice Nadia, occorre una maggiore organizzazione e preparazione dei cortei in futuro. E credo che ne dovremo fare ancora tanti, finché con dei fatti (e non con le barzellete fallocratiche su Berlusconi e Rutelli) faremo cadere questo governo neofascista. È un governo insostenibile e quindi anche noi dovremo essere inflessibili nei suoi confronti. Senza diventare militariste ma senza diventare ancora più invisibili in questa società, forse la più maschilista d'Europa...??? Ha fatto bene Luisa Muraro di rifiutare la candidatura a senatrice a vita in un paese dove Tg4 dice parlando delle donne del antiG8 che esse si sono vestite da streghe ...udite udite.." per distrarre l'attenzione dei poliziotti" !
Tuula

Genova per noi?
Care amiche,
raccolgo il vostro invito a raccontare qualcosa delle esperienze vissute a Genova. Anche se lo sconcerto che tutte sentiamo rende difficile la scelta delle parole. Innanzitutto mi sono rimaste negli occhi le immagini dell'aggressione bestiale perpetrata da polizia e guardia di finanza nei nostri confronti; dove "nostri" sta per quel piccolo spezzone della Marcia mondiale delle donne che era riuscito a ritrovarsi vicino al luogo del concentramento, nonostante tutti gli appuntamenti fossero saltati e molte abbiano vagato per la città senza riuscire a raggiungerci.
Dopo il disorientamento iniziale però eravamo riuscite a formare un gruppo e ad aprire i nostri striscioni della Marcia, delle donne in nero ed di altri collettivi, inserendoci in un pezzo di corteo che sembrava tranquillo, tra Verdi, associazioni pacifiste e Rifondazione di Roma. Infatti per due ore abbiamo sfilato lentamente e sotto un sole cocente, fino ad arrivare sul lungo mare, vicino al punto dove si era tenuto nei giorni precedenti il Public Forum. Ogni tanto giravano voci minacciose su presenze del black block (infatti sui lati ci superavano gruppi di ragazzi vestiti di nero, con foulard o passamontagna) o su cariche della polizia già in atto. Appena girate la curva di Punta Vagno si vedeva in fondo il fumo bianco dei lacrimogeni alzarsi. Ma ancora non ci sentivamo in pericolo, visto il carattere così massiccio e assolutamente pacifico del nostro spezzone. Che grande errore. Ci sedemmo per terra in attesa che la situazione la davanti tornasse alla normalità, quando cominciò il panico. Chi gridava "arrivano!" Chi gridava "indietro!" - ma come si fa in decine di migliaia con un muro da una parte e gli scogli dall'altra a tornare in dietro ordinatamente senza calpestarci e sufficientemente in fretta? Noi,un gruppetto di donne-amiche siamo rimaste sedute, sullo spartitraffico in mezzo alle piante, quando è arrivato un finimondo: blindati in assetto di guerra da cui spuntavano militari con il fucile (dei lacrimogeni?) puntato, seguiti da altri vestiti da Robocop, bardati dalla testa ai piedi e con maschera antigas, gridando e correndo che distribuivano manganellate a chiunque si muoveva o stava ferma/o. Nello stesso tempo in cui questa furia si abbatteva su di noi venivamo inondate da una nuvole densissima di gas accecante che impediva il respiro - figurarsi la fuga. Urla e rumore di stivali, botte e calci. Quando ho riaperto gli occhi tra le lacrime, abbracciata alle amiche, ho guardato in faccia una delle guardie di finanza che saltellava a un metro da noi col manganello alzato, cercando - in una specie di ultimo tentativo di comunicazione attraverso il contatto oculare - di scorgere un segnale di umanità. Non l'ho trovato. Gli occhi, dietro la visiera e la maschera antigas sembravano vuoti, disumani, mostruosi. Battendo sugli scudi ci hanno intimato ad alzarci, una di noi ferita alla testa a alle costole, colpita da due manganellate. Strisciando contro il muro abbiamo raggiunto una stradina laterale in cui allontanarci, sdraiare la nostra amica Elda per terra e aspettare che si riprendesse. Non so se i poliziotti erano drogati o se avevano semplicemente subito fino in fondo il lavaggio del cervello prodotto in sei mesi di propaganda contro il GSF, ma lo spettacolo mi sta ancora perseguitando, sapendo che la scena da noi vissuta si è ripetuta centinaia di volte in tutta la città dentro e fuori i cortei. Pur non avendo mai creduto che la non violenza in sé potesse essere un mezzo sufficiente per impedire la violenza altrui, non pensavo che la polizia sarebbe in questa occasione arrivata a tanto. Perché ovviamente si tratta di una svolta politica inaspettata, una volontà decisa di distruggere questo movimento con tutti i mezzi: calunnie, infiltrazioni, menzogne e campagne di disinformazione, tentativi di divisione, intimidazioni e infine terrore puro; applicando la sospensione di ogni diritto democratico di espressione, di organizzazione e di manifestazione. Di fronte a questa svolta verso un regime di destra dichiarata, le altre cose mi sembrano francamente secondarie. Mi sento minacciata e profondamente preoccupata ma nello stesso tempo orgogliosa di far parte di questo movimento dei movimenti che non si è lasciato spaventare - dopo i fatti del venerdì - e che ha mantenuto la sua unità anche in una situazione di tensione altissima. Speriamo che possa continuare ed ampliarsi ulteriormente. Perché solo così si potrà fermare la mano pesante di Berlusconi-Fini. Detto questo, è chiaro che abbiamo un problema di autodifesa delle nostre manifestazioni, di migliore organizzazione del movimento (che, non dimentichiamolo, è composito e plurale e così vogliamo che rimanga), di distacco - pratico e non solo verbale - da coloro che praticano atti di vandalismo e di aggressione armata. Ma questo non è solamente un problema nostro, del GSF e del popolo di Seattle. I "neri" (più simili ai teppisti da stadio che a gruppi politicamente coscienti) esprimono anche lo stato di degrado sociale - non solo economico - che caratterizza le nostre città. Anche su questo fenomeno bisogna riflettere più a fondo e maturare insieme le risposte.
Nadia De Mond

 

Una donna in nero
Carissime, man mano che arrivano le storie si restringe il margine che ci separa da una necessaria consapevolezza della situazione in cui siamo piombate. Quello che molte e molti hanno temuto che accadesse a tante/i altri e accaduto. Sfuggire ai neri per paura che arrivassero i blu in tante situazioni non è stato sufficiente. Ha ragione Nadia a sentirsi minacciata da tutto ciò che di torbido può arrivare da un regime. Sono arrivata a Genova con la carovana del G8, quanto siamo state orgogliose del nostro pullman ad alta priorità di genere, 45 donne da Roma,ma anche da Viterbo, Latina, Napoli, non una si è tirata indietro dopo i fatti di dolore e di vergogna di venerdì 20 luglio, anzi Liana disperata mi ha chiamata due ore prima della partenza per chiedermi se c'era ancora posto e è partita con noi, quasi tutte le altre hanno chiamato ma solo per la necessità di dire ad alta voce: vengo, ci vediamo all'appuntamento. Si è vero non pensavamo che si sarebbe arrivati a tanto, ma ancora prima che iniziasse il corteo avevamo capito che era una cosa completamente diversa. al telefono Monica Lanfranco mi ha detto: se potete raggiungete la marcia ma non insistete, cercate un posto nel corteo "sicuro" possibilmente con un servizio d'ordine misto. tra Attac e Legambiente abbiamo formato il nostro spezzone di Din (Roma, Verona, Udine) e gran parte della carovana del G8, sul lungo mare per tutto il tratto con lo spartitraffico, sul lato interno il pezzo grosso e agitato greco e sul lato mare quelli che poi sarebbero diventati i neri che passavano senza per nulla nascondere le loro intenzioni e tiravano dritto verso il luogo che sarebbe diventato poco dopo teatro di guerriglia. Dopo la prima deviazione fatta di corsa che ci ha permesso di superare piazzale Kennedy, non siamo più riuscite a stare insieme, alcune hanno proseguito subito, altre si sono fermate, altre ancora si sono perse nei ripetuti tentativi durati più di due ore di rientrare nel corteo per poi rifuggire sempre bloccate insieme a tanti altri dai neri che arrivano e dalla paura dei blu. Alla fine un gruppo si è ritrovato all'imbocco dell'autostrada, un altro nelle vicinanze del cimitero, altri due tra vicoli e scale e la prospettiva inevitabile di circa 10 kilometri di giro largo per tornare al pullman. Ogni 15 minuti si faceva il giro delle telefonate per dirci sempre dove eravamo. Ci siamo ritrovate tutte al pullman, e lì abbiamo appreso da alcune che erano con la marcia di quanto era accaduto. Siamo ripartite distrutte dentro e fisicamente, prima di cadere in un sonno inevitabile abbiamo cercato di socializzare quanto ci era accaduto e poi nulla più, o forse tanto di più che ci dobbiamo ancora dire e penso che lo dovremo fare al più presto insieme alle altre che non c'erano. Avevo comprato una bustina di palloncini colorati che è rimasta integra nel mio zaino, ma questa volta i colori hanno assunto altri significati: il nero la devastazione, il degrado come dice Nadia, oltre allo stravolgimento del mio simbolico come donna in nero; il blu la ferocia e il tentativo di annientamento di ogni diritto di ogni garanzia; il rosso il dolore, la colpa dell'aggressione. Ho ricevuto la testimonianza del coordinatore dell'associazione per la pace, ve la giro con il titolo: " La storia di un ragazzo con le bermuda colorate".
Nadia Cervoni
Donne in nero Roma

La storia di un ragazzo con le bermuda colorate
Carissimi,
di ritorno da Genova avevo intenzione di riposare qualche giorno ma la situazione ci impone di essere attivi quanto mai in questo frangente, anche se da un lato per fare chiarezza si rende necessaria una pausa per ragionare a freddo. Una cosa per chi è stato a Genova appare chiara senza alcun bisogno di ulteriori conferme: il disegno lucido e preordinato delle forze dell'ordine (e chi c'è dietro) di distruggere ogni tentativo di riconoscimento politico del movimento messo insieme dal Gsf. Premesso che non considero e non ho mai considerato vincente questa strategia che ci ha visto arrivare a Genova in maniera separata dal pacifismo cattolico che pure ci vedrà insieme nella marcia Perugia Assisi) pur di stringere alleanze con la frangia più estrema del movimento e della sinistra per esigenze, credo, di visibilità politica e mediatica. Infatti, il rischio che abbiamo corso è stato ben più grande di quello che è successo, nel senso che ci potevano essere ben più di un morto. Non solo, politicamente sta passando sui media, ormai tutte le sei televisioni se non proprio allineate (il tg1 di ieri a pranzo è stato una voce fuori dal coro, ma in altri casi no) sono sotto il controllo del governo, che il movimento pacifista non è assolutamente scisso e separato dalle ali violente e dai criminali. Nel momento in cui ci siamo resi conto e stiamo cercando di dimostrare la connivenza tra le forze dell'ordine e i black block, Berlusconi si presenta in conferenza stampa e parla di protezione di questi criminali da parte dei pacifisti del Gsf. È chiaro che stiamo per perdere una grossa sfida, almeno sul piano mediatico, che era una cosa su cui si è puntato molto anzi credo troppo, ma su questo avremo il tempo di ragionare con più calma. Adesso non possiamo non fare ogni sforzo possibile per sventare il tentativo di mistificazione da parte delle forze dell'ordine che a questo punto sarebbe più giusto chiamare delle "forze oscure". Siete tutti convinti che la colpa sia di Scajola? A Napoli non c'era forse un governo di centro sinistra? Dunque il governo potrebbe non c'entrare o almeno potrebbe non avere del tutto in mano la situazione. Certo è che forze reazionarie e antidemocratiche guidano la strategia che abbiamo visto mettere in atto dalle forze dell'ordine in questi mesi. Dobbiamo raccogliere ogni utile testimonianza oculare o fotografica per dimostrare - come se ce ne fosse ancora bisogno - la direzione che c'era dietro le devastazioni dei giorni scorsi, devastazioni non già permesse come molti giornali tiepidamente stanno ammettendo bensì preordinate e progettate da tempo. Personalmente sono convinto per come l'ho vissuta che sia così, non ho assistito agli episodi più cruenti e per fortuna non ne sono rimasto coinvolto ma ciò che mi è successo credo sia fortemente indicativo. Venerdì pomeriggio dopo la pacifica dimostrazione, in Piazza Marsala, Simona Lanzoni dell'Assopace e Din di Roma mi ha avvertito che stavano arrivando i neri che già avevano preso piazza Manin, la piazza presidiata da Lilliput insieme ai nostri dell'Assopace di Novara ed altri. C'era non lontano da me Francuccio Gesualdi che ho sentito invitare tutti a lasciare la piazza proprio come era chiesto da Agnoletto a piazza Dante (mi aveva avvertito Gianni Rocco al telefono) Stavo cercando di avvertire più gente possibile di sgombrare anche perché erano tante le persone ignare ed impreparate, come ad esempio un gruppo di giovanissimi della Papa Giovanni. Mentre salivo verso piazza Manin ho visto le mani alzate dei lillipuziani che facevano blocco contro i black block e poi cedere sotto il fumo dei lacrimogeni, a quel punto ho visto la gente scappare verso di me. La via che scende da piazza Manin si infrange sul muro della zona rossa, non rimane che prendere una via laterale. Non mi accorgo purtroppo che i black block hanno cambiato direzione deviati dai lillipuziani (Paolo Rizzi può raccontare) preso come sono dall'aiutare le persone prese dal panico, una vecchietta genovese, un papà con bambino in braccio, alcuni giovani manifestanti a mani nude e bianche. Saliamo per delle scale che ci sembravano la cosa più sicura, invece le scale portavano alla strada più sopra dove i black block avevano deviato. Come oggi tutti sappiamo, il solito rumore da guerriglia, urla (in tedesco mi sembravano), cassonetti rovesciati vetrine infrante, auto sfasciate, i trenta (massimo) neri non correvano bensì camminavano, non inseguiti bensì seguiti (scortati?) da quelli che da oggi definirò i blu block, i nostri poliziotti anti sommossa. I neri si girano, ci vedono nascosti in un vicoletto al lato delle scale, si girano ancora urlano contro la polizia che non accenna a fermarli. Passano senza considerarci degni della loro attenzione hanno altri progetti andare in giro a sfasciare tutto. Ma quali progetti ha la polizia? Li seguirà senza muovere un dito fino a quando? fino al loro quartier generale? magari rimboccheranno loro le coperte? No, la polizia ha altri piani. Esco dal vicolo mi faccio vedere per dire che ci sono donne e bambini terrorizati che vogliamo uscire e tornare sani e salvi nella piazza se non ci sono più i neri. Il poliziotto ci vede chiama tutti gli altri, nessuno si preoccupa più dei black block che se ne vanno indisturbati (eravamo la terza piazza visitata da loro quindi gli ultimi) circa quindici poliziotti vengono verso di noi quando capisco che non hanno intenzione di "scortarci" grido ancora la mia richiesta di aiutare le donne e i bambini dietro di me alzando le mani in alto, tutti alziamo le mani in alto, tutti si prendono le manganellate, ho guardato quello che sembrava il più anziano negli occhi dietro il vetro dell'elmetto dicendogli ancora un volta che c'erano con me donne e bambini, non ha avuto il coraggio di colpirmi alla testa guardandomi in faccia, mi ha girato e poi colpito sulla spalla, gli altri hanno avuto il compito più facile semplicemente lasciarsi andare, colpendo alla testa una ragazzina, colpendo con i manganelli e con i calci quelli che avevano scelto di rannicchiarsi per terra, bastonando la telecamera di un operatore che poi è stato colpito alla testa anche lui. Se vogliamo una "leggera lezione" rispetto ai feriti di sabato o al ragazzo ucciso venerdì, neanche sangue solo lividi. Non mi interessa neanche sapere quanta crudeltà, più o meno di altri, hanno usato i poliziotti, mi interessa sapere perché non hanno seguito i neri, perché hanno scelto che potevano perderli di vista pur di "fermare" noi, in tutto una decina vestiti di bermuda colorati e maglietta, deviare verso un obiettivo più facile? più interessante? più consigliato? questo è successo in centinaia di episodi, purtroppo molto più violenti di quello in cui mi sono trovato, una coincidenza? Una costante: i neri assaltano, distruggono, vanno verso la polizia lanciano oggetti e fuggono, poi la polizia carica i manifestanti, c'è una logica? certo che c'è, denunciamola.
Davide

Niente
Niente sarà più come prima
nell'epicentro di Genova,
uno scossone ha travolto
chi c'era e chi non c'era,
tutto il mondo l'ha sentito.

Uno scossone alle coscienze,
la vista trema ancora
al rumore degli anfibi,
un boato di paura traspira
negli occhi dei superstiti.

Niente sarà più come prima,
la speranza è caduta in ginocchio,
si e' arresa alzando le mani alla natura,
l'umana ferocia la pace violenta
Cosa resta sul selciato insanguinato?

Niente !.

Tutto tornerà come prima dicono
ricostruiremo la città distrutta
dal pacifico terremoto
ripuliremo le facciate dai ricordi
Rivoluzionari il globo è dei ricchi.

Niente sarà più come prima
Ora anche tu sei in zona sismica
L'ordine è repressione
Devi prendere posizione
Con il regime o liberazione
Jamiro

L'incubo
Io c'ero a Genova. Posso dirlo ma mi sembra falso. Forse non c'ero e non ci sono ancora, anche adesso che sono a casa. Tre giorni di incubo. Non è facile tornare alla normalità. Di solito quando l'incubo finisce ci si sveglia e ci si sente straniti, la paura man mano svanisce. Ma quando l'incubo ce l'hai intorno, lo vivi da sveglio, lo guardi con gli occhi aperti, la paura non ce l'hai. Quella ti arriva dopo, quando tenti di svegliarti e capisci che invece non stavi dormendo. E allora il ritorno alla normalità della vita quotidiana ti sembra difficile, ti sembra incredibile e l'incubo continua e diventa ricordo. Rivivo col pensiero tutto ciò che mi è passato davanti agli occhi in quei tre giorni, senza sforzarmi più di tanto, un fiume di immagini che scorrono. Ora sono qui, tutto quello che vorrei dire a commento dei tre giorni di Genova mi sembra retorica, banale, già detto e scritto dalle migliaia di penne, macchine fotografiche e videocamere che erano in strada. Il ricordo, solo quello è unico, solo quello è mio perché lo hanno visto solo i miei occhi, o, meglio, solo io l'ho visto da quell'angolazione. Chi era accanto a me anche ha visto, ma è un ricordo diverso. Centinaia di migliaia di ricordi diversi. Il ricordo è quello che conta, il resto è cronaca. Il ricordo ti fa cambiare, ti fa capire, ti fa avere paura. Paura senza nome, paura forse di perdere il ricordo. Perché, nonostante tutto, io quest'incubo non lo voglio dimenticare, e forse neanche potrei. Non si dimentica il fumo del lacrimogeno che allontano con un calcio, non si dimentica il battere dei manganelli sugli scudi al ritmo dei passi mentre il cordone di polizia si avvicina, non si dimentica il poliziotto che rompe i vetri del furgoncino sanitario del corteo. Non si cancellano le colonne di fumo nero che si alzano nel cielo sopra i tetti di Genova, non si cancella il volto rosso e intriso di terrore del ragazzo che torna al camion del corteo per raccontare che nella piazza accanto la polizia ha sparato e uno forse è rimasto secco. E non si dimenticano la foto in anteprima del tg5 di un ragazzo col passamontagna steso a terra in una pozza di sangue e quella di una camionetta dei carabinieri con due piedi che escono da sotto le ruote con Mentana che manco se n'era accorto e indicava solo i finestrini rotti. È un pugno che mi arriva dentro quando accanto a tutto questo aggiungo il ricordo dello stadio Carlini, della tribuna piena di gente, di colori, di moltitudini, dei sacchi a pelo sotto il tendone, della pioggia, delle immense assemblee, delle comunità sparse per tutto lo stadio, dell'acqua rinfrescante che piove sul corteo dalle finestre di Genova. A tutto questo colore mi sfugge il nero, il fragore delle vetrine in frantumi, la sensazione di essere preso in giro da chi sembra essere, come me, contro il g8 e invece appare sempre più come uno strumento manovrato contro di me da chi il g8 lo difende. Grande si fa largo anche l'impotenza davanti alla scelta tra un corteo gioioso e festoso, impossibile con il sangue sull'asfalto, e un corteo a lutto, impossibile perché certe volte il silenzio uccide di più. Il turbine del ricordo non si ferma, si arrotola come un caracoll infinito. Uscirne per me è ora impossibile. Ho con me le immagini di un terzo occhio, la mia telecamera. Con quelle, se volete, posso farvi entrare nell'incubo. C'è spazio per tutti. Ma quello che porto dentro non posso darvelo.
fabio.pelagalli@luxa.it

La Cooperativa Chico Mendes a Genova
Venerdì 20 luglio a Genova, in occasione delle manifestazioni di protesta contro il G8, alcuni soci della nostra cooperativa sono stati coinvolti loro malgrado in uno dei numerosi scontri avvenuti in città. Vi proponiamo una breve cronaca dell'evento.
Venerdì è la giornata dedicata alle "piazze tematiche" e alle "azioni dirette non violente"; i diversi gruppi aderenti al Genoa Social Forum si sono divisi in tre piazze, organizzando iniziative di informazione e protesta pacifica; la Rete di Lilliput, a cui noi aderiamo, si ritrova in Piazza Manin, 500 metri a nord della zona rossa, allestendo qualche banchetto. Alle tre inizia un piccolo concerto e qualcuno inizia a ballare; ci saranno in tutto un centinaio di persone, la maggior parte di queste con le mani dipinte di bianco in segno di pace. La maggior parte dei lillipuziani è sceso per via Assarotti fino al bordo della zona rossa, e si è seduta a cantare davanti alle reti e ai poliziotti schierati. Improvvisamente si sparge la voce che le "tute nere" (o anche "black block", sedicenti gruppi anarchici insurrezionalisti provenienti da Germania, Gran Bretagna, Spagna, anche Italia), che avevano iniziato a girare sfasciando e incendiando tutto poco dopo mezzogiorno, stavano salendo verso la piazza. Infatti arrivano poco dopo, vestiti di nero, volti coperti, armati di spranghe (pali di cartelli stradali, pezzi di panchine, il tutto sfasciato poco prima); arrivano in gruppo con qualche bandiera, qualcuno rimane sulla strada che attraversa la piazza, altri si mischiano a noi.
Li guardiamo negli occhi, sono ragazzini, anche meno di vent'anni. La polizia che li seguiva da un po' senza infastidirli (mentre loro sfasciavano la città) si ferma poco prima della piazza e sta a guardare. Una trentina di pacifisti cerca di impedire alle tute nere di andare a disturbare il sit-in, mettendosi all'imbocco della via con le mani bianche alzate; noi siamo molto tesi, loro sembrano indifferenti.
Dopo pochi minuti d'improvviso cominciano a correre e la polizia carica, il blocco dei lillipuziani si scioglie, le tute nere scompaiono in un attimo, la polizia non rincorre loro ma ci accerchia da tutti i lati; i manganelli e i lacrimogeni volano e non sappiamo da che parte scappare; i più fortunati trovano una via di fuga in Via Assarotti o in una scalinata vicina, ma sulla piazza la polizia sfascia le bancarelle e manganella tutti, compreso chi ha le mani alzate, le ragazze a terra, chi urla "io non c'entro".
La polizia prende il controllo della piazza mentre noi ci raccogliamo nelle vie attorno: solo nella nostra zona contiamo quattro ragazzi sanguinanti dalla testa, altri tre ammaccati, una ragazza con una mano rotta; alcuni hanno vomitato per i lacrimogeni; una ragazza del nostro gruppo è stata colpita sulla schiena, sull'orecchio e sul collo.
Nelle ore successive gli scontri si susseguono in tutta la città sempre più violenti; ma noi preferiamo allontanarci evitando ogni possibile ulteriore situazione di pericolo.
La Cooperativa Chico Mendes ribadisce la sua volontà di praticare forme di protesta assolutamente non violente; il commercio equo e solidale infatti non vuole imporre la propria visione del mondo con la forza, ma solo contribuire a diffondere una mentalità di pace e giustizia attraverso le scelte economiche quotidiane di ciascuno; scelte che, se praticate con coerenza da tanti, possono condizionare le decisioni dei "grandi".
Cooperativa Chico Mendes

Il diritto che ci fanno studiare
Sono già molte le testimonianze sui gravi fatti accaduti a Genova contro chi tentava di manifestare il proprio dissenso legittimo e pacifico contro la globalizzazione neoliberista. Mi sento di aggiungere una breve nota che deriva dalla mia formazione di studi e professionale. Sono laureata in giurisprudenza, ho seguito una scuola di specializzazione triennale dell'Università di Padova sulla tutela dei diritti umani, studio per affrontare l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense.
Confesso che molte volte, studiando diritto costituzionale, od il diritto internazionale dei diritti umani, sorridevo e scorrevo velocemente le disposizioni di garanzia dei diritti civili, politici e sociali. Così facili, autoevidenti, ovvi, mi dicevo.
Ragazza ingenua (eufemismo). A Genova, ho visto crollare, in due giorni, tutto questo sistema di diritti e garanzie che da anni è l'impalcatura che sorregge i miei studi, il mio lavoro, i miei progetti. Dopo Genova, un nodo alla gola mi prende nel leggere: "Nessuno può essere sottoposto a tortura ne' a pena o trattamento inumani e degradanti" (art. 3 Conv. Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali);
" Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere idee e informazioni attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere" (art. 19 Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo);
" I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi" (art. 17 Costituzione).
Immaginate cosa diventa il nodo, e concludo, nel leggere che "L'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica" (art. 52 Cost.).
Nulla è più scontato come sembrava; però sta lì, scritto.
Benedetta Pricolo


Dopo aver visto le immagini trasmesse dai vari telegiornali relative alla manifestazione del G8 a Genova mi chiedo, e penso che molte persone se lo chiedono, come sia stato possibile che giornalisti, operatori e quanti non implicati in atti di vandalismo e guerriglia urbana siano stati feriti dalle forze dell'ordine.
Prima ancora di vedere le immagini televisive con agenti in divisa che parlavano con persone mascherate e che le stesse scendevano dai pulmini delle stesse forze dell'ordine, non riuscivo a capire perché tutti coloro che mi raccontavano l'accaduto davano una visione totalmente differente dalle notizie ufficiali. Fra gli altri racconti uno in particolare mi lasciava perplesso e stupito: il racconto di un giovane che insieme a molti altri (famiglie con bambini, sacerdoti, suore …) rifugiatisi sulle scale di una chiesa sono stati provocati sia a gesti che a parole dalle forze dell'ordine.
Il tutto rivisto e ricordato dopo la messa in onda di quasi tutte le immagini disponibili mi ha fatto riflettere e collegare immagini e racconti; vedere le forze dell'ordine marciare con passo cadenzato battendo con il manganello sullo scudo mi ha fatto ricordare usi e costumi tribali che servivano ad eccitarsi prima della battaglia.
Questo non significa la demonizzazione delle forze dell'ordine, ma deve essere una base di riflessione su quanto accaduto affinché non accada più.
Riteniamo che il gravoso impegno delle forze dell'ordine, alle quali è demandato, la sicurezza pubblica, l'incolumità delle persone debba portare soprattutto a che esse siano formate e addestrate alla non violenza, alla tecnica della comunicazione ed al rispetto dei diversi.
Pur condividendo le idee di coloro che hanno manifestato in maniera civile e pacifista non possiamo e non posso esimermi dall'esprimere il mio sdegno e la disapprovazione di quanto accaduto a Genova da parte di una minoranza di manifestanti, con azioni assurde anche da parte di settori delle forze dell'ordine.
Ciò che è accaduto certamente non aiuta i paesi poveri, perché tutto ciò ha distratto l'opinione pubblica mondiale dal problema reale; la povertà e la disuguaglianza sociale, lasciando spazio alla cronaca di giornate da dimenticare.
Giuseppe Bracaloni
Presidente Associazione di promozione sociale - Lotta per la Vita

Vengono i brividi
Ciao a tutti e a tutte ho appena visto le foto della manifestazione di Genova, danno i brividi, sembra davvero che l'Italia si stia trasformando in Cile dell'Europa...Sembravano foto prese a Belfast o Derry...Una cosa preoccupante è anche la disinformazione, non ho visto la tv ne qui in Francia ne tanto meno in Italia, ma mi immagino quello che la gente "ben pensante" deve proprio pensare, cioè che questo ragazzo ucciso se l'è ben cercata, cosi come la gente picchiata...Pero si vede proprio bene su queste foto il TERRORE della gente, la pazzia della polizia, e questi ragazzi picchiati, e questo ragazzo ucciso...Bisognerebbe che il mondo intero le vedesse... Sta succedendo una cosa molto grave in Italia (ma sia ben chiaro può benissimo succedere in qualsiasi paese cosiddetto sviluppato), ma dall'altra parte la reazione e la resistenza dei cittadini è davvero incredibile e massiccia! Un movimento cosi ampio e internazionale non può essere sconfitto da duecoglioni della polizia...
Anne