Genova blindata, ma non per i "duri"
«Passaporto,
prego». Un colpo di spugna, per «quei» giorni genovesi, sospeso il trattato
sottoscritto nel '90 a Schengen che era forse la più anonima cittadina della
Germania, e applicato pure dall'Italia nel '98. E' considerato, quell'accordo,
il primo vistoso passo per un'Europa unita, mai sia che ci si arrivi a cucire
insieme questo complicato continente. Fra i punti nodali presi in considerazione
c'è quello che recita: «I cittadini residenti all'estero ed i residenti nei
Paesi interessati a Schengen passano liberamente le frontiere interne».
Appunto: «Passaporto, prego». E l'invito a esibire il documento viene rivolto
a turisti e viaggiatori di commercio, studenti e imperterriti play boy, manager
assillati dalla solitudine o dalle troppe compagnie e ufficiali, frikkettoni
giramondo e sacerdoti in abito talare, mica soltanto a quelli con la faccia da
«tuta bianca».
Motivi di sicurezza: c'è poco da obiettare, anche se per la verità non piace una città trasformata in un grande stadio cileno, per non usare sinonimi. Sicurezza, dunque. Ma chi garantisce che il popolo di Seattle, anzi, quelli più arrabbiati che ne fanno parte, decidano di attraversare la frontiera in treno, con un documento che li faccia riconoscere? Forse per questo, per diffidenza nell'efficacia dei controlli, la Germania aveva avanzato neppur tanto timidamente la proposta di «procedere in una vasta schedatura». Idea respinta con qualche perdita: d'altra parte, non autorizzavano alcun ottimismo le esperienze in questo senso maturate in Inghilterra con gli «hooligans», che poi sono quei tifosi arrabbiati che dentro e fuori dagli stadi fanno le stesse orrende cose che si teme faranno a Genova e dintorni le più incazzate fra le «tute bianche».
Il
fatto è che se uno vuol scivolare attraverso le maglie dei controlli con il
progetto di seminar guai, lo fa, documenti o meno. Basti pensare a quanti
insuccessi hanno dovuto incassare, per esempio, i posti di blocco doverosamente
posti magari subito dopo un sequestro di persona; o quante battute «a largo
raggio» sono andate avanti per ore senza cogliere alcun risultato concreto;
oppure quante risse punteggiate da lancio di molotov o bombe carta son scoppiate
negli stadi di tutto il mondo, con conseguenze, talora tragiche. Il punto è che
un controllo efficace si rivela, forse, l'operazione più delicata. E questo lo
sanno tanto i poliziotti chiamati a migliaia per garantire il così detto ordine
pubblico, quanto quelli, in tuta, candida o meno, impegnati a creare pubblico
disordine.
Per questo, anche se è verosimile che qualcuno accarezzi il progetto di introdurre a Genova armi, non c'è da credere che lo faccia con un corredo legale: biglietto aereo o automobile, documenti con foto, bagaglio a mano. «Passaporto, prego». Rimane la città in stato d'assedio: sbrigativamente si dice così. Ma davvero è questo il futuro?