IL PRIMO ANTIFASCISMO

- Introduzione

- Presa di posizione del PCI nel 1921

- Discussioni alla Camera dopo la Marcia su Roma: Turati e Conti

- Articolo di Togliatti

- Ultimo discorso di Matteotti al Parlamento

Il fascismo nacque come movimento vagamente di sinistra, tendente a far leva soprattutto sulle insoddisfazioni degli ex combattenti, e perfino con una venatura repubblicana. Tuttavia, la fase "di sinistra" fu molto breve. Le elezioni del 1919 furono un fiasco solenne per i fascisti, che non ottennero nemmeno un seggio. A quel punto ci fu una brusca virata ed il fascismo nascente trovò le sue fortune nella saldatura con gli interessi agrari e industriali, contro le aspirazioni, anch'esse confuse, di un mondo del lavoro che, dopo aver sopportato i tremendi sacrifici della guerra, voleva un profondo rinnovamento della vita nazionale a tutti i livelli.

L'altro aspetto rilevante della "svolta" fascista fu l'avvio di una violenza sistematica i cui obiettivi primari erano i sindacati, le camere del lavoro, le leghe contadine, oltre, naturalmente, alle sedi e alla esistenza stessa dei partiti che al fascismo si opponevano, e che erano in primo luogo i partiti della sinistra. 

PRESA DI POSIZIONE DEL PCI NEL 1921

1) Il primo documento che riproduciamo è una presa di posizione del Partito comunista del 3 marzo 1921, all'indomani di una sanguinosa scorreria a Firenze delle squadre fasciste, con numerose vittime tra gli oppositori: "Compagni! In molte piazze e città d'Italia episodi sanguinosi della lotta tra il proletariato e le forze regolari ed irregolari della borghesia si susseguono con un crescendo eloquente. Tra le tante vittime, note od oscure, il partito comunista deve registrare la perdita di uno dei suoi militi più valorosi: Spartaco Lavagnini, caduto a Firenze al suo posto di responsabilità dinanzi al proletariato e al suo partito. Alla sua memoria, e a quella di tutti i proletari caduti, mandano i comunisti il saluto dei forti, temprandosi nell'azione e nella fede.

Gli eventi che incalzano mostrano che il proletariato rivoluzionario d'Italia non cede sotto i colpi del metodo reazionario inaugurato da alcuni mesi dalla classe borghese e dal suo governo, a mezzo delle bande armate dei bianchi, assalitori prepotenti dei lavoratori anelanti alla propria emancipazione. Dalla rossa Puglia, da Firenze proletaria, da tanti altri centri giungono le notizie che il proletariato, malgrado l'inferiorità dei suoi mezzi e della sua preparazione, ha saputo rispondere agli attacchi, difendersi, offendere gli offensori. La inferiorità proletaria, che sarebbe inutile dissimulare, dipende dalla mancanza nelle file del generoso nostro proletariato, di un inquadramento rivoluzionario quale può darlo solo il metodo comunista, attraverso la lotta contro i vecchi capi e i loro metodi sorpassati di azione pacifista e transigente.

I colpi della violenza borghese vengono ad additare alle masse la necessità di abbandonare le pericolose illusioni del riformismo e disfarsi dei predicatori imbelli di una pace sociale che è fuori delle possibilità della storia. La parola d'ordine del partito comunista è quella di accettare la lotta sullo stesso terreno su cui la borghesia scende, attrattavi irresistibilmente dalla crisi mortale che la dilania; è di rispondere colla preparazione alla preparazione, coll'organizzazione all'organizzazione, coll'inquadramento all'inquadramento, colla disciplina alla disciplina, colla forza alla forza, colle armi alle armi.

Il Partito Comunista d'Italia". 

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ALLEANZA DEL LAVORO contro il fascismo

Partiti e sindacati, sempre più investiti dall'offensiva fascista, cercarono di reagire con gli strumenti che erano loro più congeniali e che non comportavano lo scontro armato città per città e piazza per piazza. Nel febbraio del 1922 nacque così, a iniziativa delle maggiori organizzazioni sindacali l'Alleanza del Lavoro che si proponeva di difendere e tutelare le conquiste ottenute con dure lotte dai lavoratori: "I rappresentanti delle organizzazioni operaie che agiscono sul terreno della lotta di classe (Confederazione generale del lavoro, Unione sindacale italiana del lavoro, Sindacato ferrovieri, Federazione nazionale lavoratori dei porti); premesso che l'unione delle forze del lavoro nella lotta contro il capitalismo è condizione essenziale per il raggiungimento dell'emancipazione proletaria; considerato che detta unione maggiormente si impone nei momenti (quale è quello che attraversiamo) in cui la violenza organizzata dalle forze reazionarie si abbatte ciecamente sulle organizzazioni dei lavoratori allo scopo di distruggerle privando così il proletariato dello strumento della propria difesa e della propria conquista; delibera di opporre alle forze coalizzate della reazione l'alleanza delle forze proletarie, avendo di mira la restaurazione delle pubbliche libertà e del diritto comune unitamente alla difesa delle conquiste di carattere generale della classe lavoratrice, tanto sul terreno economico che su quello morale; per il raggiungimento degli scopi di cui sopra, i convenuti reputano opportuno addivenire alla costituzione di un comitato nazionale composto di rappresentanze di tutte le organizzazioni alleate col preciso incarico di attendere al coordinamento e alla disciplina dell'azione difensiva della classe lavoratrice.

Il comitato nazionale inizierà il suo funzionamento con la compilazione di un programma pratico di attività (senza esclusione di alcun mezzo di lotta sindacale, compreso lo sciopero generale), che valga a sollevare le depresse energie del proletariato e trasfondere in esso la persuasione che mediante l'unione combinata dei propri sforzi si renderà prontamente possibile la ripresa del libero esercizio delle proprie funzioni sindacali e politiche". ***

Nei mesi successivi, con l'intensificarsi della violenza fascista cominciò, per certi aspetti, il lungo periodo della clandestinità. Nell'agosto l'Alleanza del Lavoro proclamò uno sciopero generale il cui appello fu firmato in modo significativo "Il Comitato segreto d'azione". Si era ormai alla vigilia della marcia su Roma ed appariva chiara l'intenzione del movimento fascista di impadronirsi del potere politico con la forza, sostenuta dalla complicità della monarchia, che apparirà ancora più evidente in seguito, e di buona parte degli apparati militari e amministrativi dello Stato, inerti se non partecipi della violenza sistematica messa in atto: "I lavoratori di tutte le categorie, appena verranno a conoscenza del presente comunicato, dovranno immediatamente abbandonare il lavoro.

L'ordine di ripresa sarà loro comunicato per il tramite dei fiduciari delle organizzazioni responsabili. Con la proclamazione dello sciopero generale il sottoscritto comitato si propone come obiettivo la difesa delle libertà politiche e sindacali minacciate dalle insorgenti fazioni reazionarie, le quali mirano mediante la soppressione di ogni garanzia legale allo schiacciamento delle organizzazioni operaie, premessa necessaria per poter susseguentemente rimbalzare i lavoratori da uno stato di relativa libertà ad uno stato di assoluta schiavitù. Da una dittatura sostanziale se non anche formale, quale i forsennati della reazione vagheggiano e perseguono, ne sortirebbe, oltre che la soffocazione di ogni libera e civile manifestazione di pensiero e di movimento, la rovina del paese.

È stretto dovere di tutti gli spiriti liberi di spezzare, col blocco delle unite resistenze, l'assalto reazionario, difendendo, in questo modo, le conquiste della democrazia e salvando la nazione dal baratro in cui la follia dittatoriale, qualora - dannata ipotesi! - dovesse avere il sopravvento, la trascinerebbe immancabilmente. Dallo sciopero generale, compatto e severo, deve uscire un solenne ammonimento al governo del paese perché venga posta fine e per sempre ad ogni azione violatrice delle civili libertà, che debbono trovare presidio e garanzia nell'impero della legge. Nello svolgimento dello sciopero generale i lavoratori debbono assolutamente astenersi dal commettere atti di violenza che tornerebbero a scapito della solennità della manifestazione e si presterebbero alla sicura speculazione degli avversari; salvi i casi di legittima difesa delle persone e delle istituzioni contro le quali, malauguratamente, la violenza avversaria dovesse scatenare i suoi furori. Nessun ordine deve essere eseguito che non provenga dalle organizzazioni responsabili. Lavoratori in piedi! In difesa di quel che vi è di più sacro per ogni uomo civile: LA LIBERTÀ. Il Comitato Segreto d'Azione". 

***

OPPOSIZIONI ALLA CAMERA DOPO LA MARCIA SU ROMA:

TURATI

Troppo note sono le vicende della cosiddetta marcia su Roma del 28 ottobre 1922 per tornarvi sopra in modo dettagliato. Il re abdicò alla sua funzione di garante dello Statuto affidando la guida del governo al capo di squadre armate che, senza trovare opposizione da parte delle forze armate ufficiali, attendeva prudentemente l'esito della sua impresa da Milano, ben lontana da Roma dove i suoi "marciavano", ma molto vicina al rassicurante confine svizzero, qualora ci fosse stata una reazione da parte dell'esercito. Si formò il governo con alla testa Mussolini.

Alla Camera ci furono opposizioni, come testimoniano gli interventi, che riproduciamo, di Filippo Turati e di Giovanni Conti. Il leader socialista disse, come è documentato negli atti parlamentari: 

Turati "Mi ero scritto in questi appunti, che speravo di svolgere nella seduta di ieri, che la gravità tragica dell'ora consiglia a tutti, anche a noi, socialisti unitari, dichiarazioni assolutamente sobrie e soprattutto serene. La politica, come disse uno dei tanti defenestrati (poiché non era il caso per lui di un guiderdone) di queste ultime radiose giornate...". 

Mussolini, presidente del consiglio dei ministri, ministro degli interni e ad interim degli affari esteri "Certamente sono radiose!". 

Turati "Dirò dunque, di queste giornate più che mai radiose...". 

Mussolini "Lo saranno ancora di più! (Commenti. Rumori all'estrema destra). E poi verrà il bello!". 

Turati "... la politica non può e non deve essere una somma di sentimenti e di risentimenti.

Anche se il cuore ci sanguini, anche se la ressa dei ricordi ci risospinga alla gola i più amari disgusti, noi dobbiamo saperli stoicamente rintuzzare. D'altronde non ne abbiamo bisogno! Questo a un dipresso io mi ero scritto su questa tessera. Non so, peraltro, se io debba conservare codesto esordio dopo la giornata parlamentare di ieri; nella quale, più che di un'ora tragica, si ebbe l'impressione di un'ora inverosimile, di un'ora tolta dalle fiabe, dalle leggende; quasi direi di un'ora gaia. Dopo, infatti, che il nuovo presidente del consiglio, con esempio ignoto fin qui agli annali di tutti i parlamenti civili - non conosco la storia dei parlamenti turchi o egizi - ci aveva, anzi vi aveva parlato, evidentemente tra la distrazione del nostro illustre presidente, naturale tutore della Camera - non dimesso né dimissionario, perché la nuova istoria esige in tutto cose nuove - dopo che, dicevo, il nuovo presidente del consiglio vi aveva parlato col frustino in mano, come nel circo un domatore di belve - oh! belve, d'altronde deh quanto narcotizzate! - e lo spettacolo delle groppe offerte allo scudiscio e del ringraziamento di plausi ad ogni nerbata, aveva risuscitato nel ricordo dei malinconiosi di quest'aula l'ultimo giambo dell'Ode in morte dei fratelli Cairoli, o l'invettiva del poeta maremmano al "popolo d'Italia", non al vostro di carta, onorevole Mussolini, che ancora stamane mi onora delle sue ingiurie, e tratta la Camera...".

Mussolini "Come si merita!". 

Turati "... e tratta la Camera da "supina e arrendevole femmina consumata"...". 

Mussolini "Come si merita!". 

Turati "... dopo tutto ciò, dicevo, potevamo udire a nostro conforto la gaia e fiorita filosofia di un ex sottosegretario di Stato alle Belle arti spandere sull'ora triste tanta giocondità di scettico sorriso fiorentino.

Un sorriso, forse amaro al di dentro, come quello dell'homme qui rit del grande poeta francese, come quello di quei forzati giullari leggendari delle nostre vecchie corti, che dissimulavano, nell'ostentata adulazione al signore, le verità sferzatrici, che sarebbe stato troppo imprudente pronunciare semplici e ignude. L'Italia, dopo tutto, anche nelle ore più fosche, si rivela sempre un po', ed è forse la sua suprema saggezza, quella che gli inglesi definirono la nazione-carnevale; e Roma è veramente, in questo, la capitale d'Italia, e Montecitorio veramente il cuore di Roma... Questa Camera può vivere, a sua scelta, "due giorni o due anni".

Essa è dunque perfettamente libera di optare: quale maggiore riconoscimento vi può essere della sovranità dell'Assemblea elettiva?! Con questo metodo rivoluzionario, che oggi si dice "fascistico", - e sebbene esso non dica nulla, adottiamo pure, per intenderci, questo aggettivo - la Camera non è chiamata a discutere e a deliberare la fiducia; è chiamata a darla; e, se non la dà, il governo se la prende. È insomma la marcia su Roma, che per voi è cagione di onore, la quale prosegue, in redingote inappuntabile, dentro il parlamento...".

Mussolini "Con la camicia nera sotto!". 

Turati "Appunto, stavo per dirlo, lo stiffelius mal nasconde la camicia nera col fatidico teschio. Il che significa - spero, onorevoli colleghi, non occorra documentarlo - che, nel pensiero del governo, ma anche con l'acquiescenza del voto che vi apprestate fra qualche ora a concedere, il parlamento italiano ha cessato di esistere...". 

Mussolini "Questo!". Turati "... non questo soltanto, ma, con esso, implicitamente, ogni parlamento italiano eletto liberamente dagli italiani. (Applausi all'estrema sinistra. Commenti. Rumori) O almeno, come fu ieri significato a palazzo Madama, esiste ancora un Senato che intona l'inno "Giovinezza" (commenti, interruzioni); non esiste più la bassa Camera elettiva. Peggio ancora, onorevoli colleghi, esiste la sua maschera, esiste il suo cadavere, esiste la sua parodia. Così è, onorevole Mussolini, che voi - che potevate - non avete voluto stravincere.

E ve ne siete fatto vanto di saggezza. Potevate, diceste, "sprangare il parlamento", potevate in "quest'aula grigia e sorda fare il bivacco dei manipoli": l'onorevole De Nicola poteva essere nominato vivandiere. (Rumori. Commenti) Francamente: vi pare dunque, onorevole Mussolini - guardatevi intorno - di aver fatto qualche cosa di diverso? (Movimenti dell'onorevole presidente del consiglio. Commenti prolungati.) Ora, che fiducia può accordare una Camera in queste condizioni? Una Camera di morti, di imbalsamati, come già fu diagnosticata dai medici del quarto potere? Quale beffa, onorevole Mussolini, quale atroce beffa, onorevoli colleghi, noi facciamo, votando, alla nazione e a noi stessi!... Noi neghiamo alla vostra ascesa al potere il carattere di rivoluzione!". 

Mussolini "Ve ne accorgerete!". 

Turati "Ce ne accorgeremo di certo! Noi neghiamo che essa abbia obbedito alla logica necessaria sia di una rivoluzione, sia di una rivolta che si rispetta. Perché una logica vi è pure, anche in queste cose. Voi siete venuti da Napoli a Roma col proposito, apertamente proclamato - e del resto lo confermaste ieri con meritoria schiettezza nel vostro discorso - di "prendere alla gola questa miserabile classe politica dominante", di cui questa Camera è la più tipica espressione.

Prenderla per la gola, dunque, buttarla via! A che pro allora i compromessi, gli approcci, i voti di fiducia, i temporeggiamenti, gli indugi? A buttarla via, questa "miserabile" Camera vi impegnava la vostra promessa, vi impegnava il rispetto della dignità reciproca". 

Mussolini "Manterrò questa promessa!". 

Turati "Me ne compiaccio, ma si doveva fare prima". 

Mussolini. "In dieci giorni!... Questa è una rivoluzione che aveva uno sviluppo da decenni!". 

Turati "Si doveva fare prima, perché chi offende la dignità dei propri collaboratori, collaboratori da voi ora invocati, e se ne fa un passivo strumento del proprio arbitrio, offende insieme ed innanzi tutto la dignità propria. Voi eravate una trentina in questa Camera; voi eravate quaranta o cinquanta - non fo questione di piccole cifre - se assommiamo a voi, malgrado gli abissi profondi e mal dissimulati che vi separa i nazionalisti e la destra così detta liberale: lucus a non lucendo". Una voce a destra "Abbiamo il paese con noi". (Rumori) 

Turati "Non avrete da me nessuna reticenza! E voi pretendete diventare d'un tratto trecento, imprimendo il fascio littorio nei cervelli dei vostri compiacenti colleghi, come lo avete impresso nel timbro dello Stato; imponendo a tutti il saluto con la mano protesa. Tutto ciò, convenitene, è troppo acrobatico, è troppo abracadabrante perché possa aggiungere serietà non dirò alla Camera - ciò non vi interessa - ma a voi stessi". 

Mussolini "Non preoccupatevi di questo!".

Turati "Ora, ho detto, anche i colpi di Stato devono avere logica. Voi giustificate il vostro, o signori che mi interrompete, ed io ve lo ammetto col dire che, per quanto recente, la Camera non rispecchia più la volontà del paese; che le vostre unità qui dentro sono troppo inferiori alle forze che conquistate nel paese; che insomma - per usare una frase consacrata - voi uscite dalla legalità per rientrare nell'ordine. Ma il dirlo, e il dirlo voi, non basta: conveniva documentarlo. Non bisogna, non è bello, speculare sull'altrui viltà per trarne una parvenza di forza e di legittimazione. Napoleone il piccolo, dopo il suo infame due dicembre, indisse il plebiscito; cercò nel plebiscito, comunque addomesticato, la propria legittimazione; la quale, se fu impura, attese dopo alcuni istanti i presagiti chátiments della storia, il solenne castigo di Sedan, ma salvaguardò almeno le apparenze, che voi non cercate neppure di salvare. Voi dovevate dunque appellarvi al paese, nel quale siete forti, appellarvi al suffragio universale, sciogliere questa "miserabile" Camera di morti e di imbalsamati...Voi siete dunque il governo del volontarismo nietzschiano e stirneriano... un'espressione letteraria o filosofica...". 

Mussolini "Politica!...". 

Turati "... politicamente arcaica ed arcadica, che si vanta dernier cri perché riproduce esattamente, in formula, in vernice nuova, l'ideale del "principe illuminato", che gli italiani credevano spodestato e messo in soffitta per sempre...".

Una voce all'estrema destra "Come Carlo Marx! ...". 

Turati "Di Carlo Marx riavrete notizie fra non molto, non ne dubitate!...Voi avete, dunque, fatto, o, creduto di fare, una rivoluzione che vantate pacifica ed incruenta (Interruzione all'estrema destra). Ciò fa onore ai vostri buoni sentimenti cristiani. Ma il vanto è un po' millanteria. Perché, se fu incruenta o quasi, non è merito vostro. Quando tutti fuggono o fanno acquiescenza, dalla Corona all'ultimo brigadiere di pubblica sicurezza, la vittoria è facile, ma non merita il nome di vittoria. Salvo che voi diceste - ma non lo dite e l'avete smentito ieri con le parole del presidente del consiglio - che, ove una vera resistenza si fosse affacciata, minacciante guerra civile, voi vi sareste ritratti. No, voi non siete andati più in là perché i complici e i succubi vi avevano già fatto stravincere. Ma la vostra rivoluzione, ripeto, non affaccia un principio nuovo. Non è animata da un lievito rinnovatore, che, se fosse tale, notare, potrebbe trovarci benevoli, anche se non coincidesse perfettamente coi nostri schemi teorici e mentali. La vostra rivoluzione, finché non si liberi (pigliatelo come un augurio) dagli elementi reazionari che l'hanno generata e che la dominano, non può essere, piuttosto, che una involuzione, ossia una enorme perdita di tempo, un aumento delle angosce, delle aberrazioni e delle convulsioni, cui la guerra, il dopoguerra, la pace senza pace, hanno condotto il mondo e soprattutto l'Italia... Intanto il proletariato si prepari; i partiti socialisti non si lascino cogliere alla sprovvista un'altra volta; si preparino all'immancabile e provvida successione, forse non lontana, certo irrevocabile. (Rumori) Perché questa è la vita dell'evoluzione necessaria. Signori di quella parte della Camera! Chi la contrasta è pazzo; e sarà infranto! (Vivissimi e reiterati applausi all'estrema sinistra. Rumori. Commenti)".

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OPPOSIZIONI ALLA CAMERA DOPO LA MARCIA SU ROMA:

CONTI

Il repubblicano Giovanni Conti pronunciò un discorso sicuramente incisivo, ma esemplare anche per un altro aspetto, in quanto in esso erano sottolineate le divergenze esistenti tra gli stessi partiti di sinistra che, inevitabilmente, e soprattutto in una situazione disperata, ne indebolivano l'azione. 

Conti "Onorevoli colleghi, credo che non dispiaccia neppure al Presidente del Consiglio di udire una parola di opposizione più precisa, e più chiara di quella pronunziata testé dall'on. Turati; una parola ispirata non già ad un programma di Governo o di collaborazione come quella dell'on. Turati, ma ispirata alle idee, agli ideali, anzi, di un partito, del partito repubblicano, che non cede le armi di fronte alla dittatura che si inaugura oggi in Italia. Io credo, on. Mussolini, che voi abbiate trovato nel socialismo riformista di oggi, così come è accaduto nel passato ad altri dominatori, il vostro migliore alleato. Voi conoscete i vostri ex compagni così come li conosco io. Credo che possiamo essere d'accordo in questo giudizio: se avete pensato di aver paura di costoro, nessuna paura". 

Mussolini "Nemmeno di voi". 

Presidente "Facciano silenzio". 

Conti "La lotta, onorevoli colleghi di parte socialista, è quella che è stata da cinquant'anni a questa parte in Italia e che voi non avete voluto e non avete saputo risolvere: è la lotta tra la monarchia e la democrazia". 

Presidente "Onorevole Conti!". 

Conti "La lotta resta quella che fu nel passato. Voi la potevate risolvere nel passato. Non so se la potrete risolvere nell'avvenire. On. Mussolini, veniamo a noi. Io vi voglio dire l'opinione, il pensiero deciso del partito repubblicano, di quella parte almeno, ed è l'assoluta maggioranza, la quale non si è fatta abbacinare dallo specchietto del vostro tendenzialismo repubblicano. Cosa vecchia, questa, on. Mussolini. Ma la ricordo, perché non avendo fatto paura al vostro sovrano non farà più paura a nessuno". 

Mussolini "Nemmeno a voi". 

Conti "Oh, no davvero. A noi non l'ha mai fatta. Noi siamo contro il vostro Governo per tre ragioni". 

Vicini "Se siete in due". 

Conti "Non posso raccogliere le interruzioni, perché intendo andar diritto con poche parole a render conto del mio pensiero. La prima ragione, on. Mussolini, è questa: siamo contro il governo del fascismo perché reputiamo (e intendete la parola nel suo significato politico, senza interpretazione offensiva) perché reputiamo che l'avvento al potere del fascismo sia il risultato di un equivoco politico, e di un metodo demagogico di agitazione e di lotta. Siamo contro (ecco la seconda ragione) perché riteniamo che il Ministero che avete composto rappresenti, per la qualifica che si è dato, e per la sua composizione, un equivoco politico e morale. Siamo, infine, contro di voi perché voi rappresentate l'antidemocrazia, rappresentate un tentativo di deviazione del cammino storico dell'Italia verso la più pura democrazia, verso la libertà ed i più alti ideali di redenzione delle classi lavoratrici. Ieri voi parlaste di rivoluzione.

È questa una parola grossa, on. Mussolini, che piace ai giovani che vogliono giustificare se stessi di fronte alla propria coscienza, che fa impressione a tutti coloro che vogliono cullarsi in qualche illusione, e che è, in ogni modo, a voi necessaria per tenere a bada le 300mila camicie nere in mezzo alle quali sono molti giovani sinceri, ingenuamente entrati nella lotta, i quali un giorno faranno parte di quella forza che continuerà l'opera iniziata dalla guerra: abbatterà la monarchia contro di voi". 

Presidente "Onorevole Conti!". 

Conti "Rivoluzione no. Se mai, on. colleghi, una rivoluzione di palazzo. In ogni modo mi permetterete almeno di osservare che novità di gesti, di atteggiamenti, novità di pose anche non sgradevoli non significano rivoluzione.

Il vero, io credo, sta in quel che ieri interrompendo non ricordo quale collega, disse l'on. Mussolini: c'è un mutamento di metodo di governo. C'è un mutamento di indirizzo deciso e brutale, e non del governo, inteso come Ministero, ma della monarchia. La monarchia, on. colleghi, ha camminato nelle pantofole democratiche per venti anni, guida e maestro l'on. Giolitti. Ora ha smesso le pantofole democratiche e ha calzato un paio di vecchi calzari del Medio Evo, che il vostro sovrano ha ritrovato nei musei della sua dinastia. Voi, on. Mussolini, soggiungete che è cambiato anche il metodo del Governo come Ministero. Voi dite che avete un indirizzo e un programma. E sta bene, ed io credo che potrete anche ritenere di essere capace di fare quello che dite". 

Modigliani "Ma questa è opposizione?". 

Conti "Già, on. Modigliani, per voi la opposizione è stata sempre una guerricciola con le persone. Io non faccio codesta opposizione. Il nostro bersaglio è la monarchia. Lo dico a voi, on. Modigliani, che volevate la repubblica... quando l'Italia era in pericolo e la avete dimenticata poi per i passatempi del parlamentarismo. On. Mussolini, è davvero mutato - almeno improvvisamente - il metodo.

Coloro che hanno governato prima di voi erano veramente i seguaci del metodo insegnato da Napoleone I, quello di Sant'Elena, non quello della incoronazione di Milano. Quando era a Sant'Elena Napoleone I si era accorto che buona parte di governo non era quella che aveva seguito nei tempi felici della sua onnipotenza, ma "quella di servire Dio, in modo che il diavolo non se l'abbia a male". I governanti della monarchia hanno cercato per vent'anni di compiacere gli spiriti rivoluzionari che si trovavano un po' dappertutto, e di tenere in piedi le istituzioni monarchiche. Ora la monarchia è sulle braccia del nazionalismo antidemocratico. Ho detto che l'avvento al potere del fascismo è stato il risultato di un equivoco. Dico che il vostro movimento di massa è stato il prodotto di quella demagogia che avete attribuito a tutti i partiti estremi ed anche al partito repubblicano che voi, romagnolo, ben conoscete e sapete che demagogico non è stato mai e non è. Voi foste demagoghi. I giovani sono venuti sotto i vostri gagliardetti non perché convinti della bontà e della giustizia del vostro programma reazionario, ma perché illusi dalle promesse sbandierate da voi in concorrenza perfino con questi nostri... odiatissimi colleghi socialisti e da un programma che non è quello di oggi che noi ricordiamo ed a me piace rileggerlo". 

Mussolini "L'ho fatto io". 

Conti "Udite: "Noi vogliamo per il problema politico: a) Suffragio universale e scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne. b) Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni, quello per i deputati ai 25 anni". E sta bene. "c) L'abolizione del Senato". Oh, che avrebbero detto ieri i venerandi ed illustri senatori di Palazzo Madama se ieri quando avete deposto ai piedi dell'Alta Camera la vostra alta deferenza aveste ricordato questi vostri, così truculenti propositi? Ancora? "d) La convocazione di una assemblea nazionale per la durata di tre anni il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato". E perché onorevole Presidente del Consiglio, non riprendete subito questo comma del vostro programma? "e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell'industria, dei trasporti, dell'igiene sociale, delle comunicazioni ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi e col diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro"".

Mussolini "Sono mantenuti, li mantengo...". 

Conti "... e pure puzzano di socialismo e di sindacalismo, tanto che noi repubblicani nel nostro programma ai consigli di classe preferiamo le assemblee di popolo, cioè le espressioni della democrazia. Ma procediamo nella lettura. "Noi vogliamo. Per il problema sociale: a) La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di 8 ore di lavoro"". 

Mussolini "È rimasto tutto questo nel programma". 

Conti "È questione di intendersi". 

Una voce "E il Senato?". 

Conti "b) I minimi di paga; c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria; d) L'affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici". Onorevoli Olivetti e Tofani, sorgete! "e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti; f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sull'invalidità e sulla vecchiaia, abbassando il limite di età proposto attualmente da 65 a 55 anni". Ma il programma continua: "Noi vogliamo: per il problema militare: a) L'istituzione di una Milizia Nazionale con breve periodo d'istruzione, compito esclusivamente difensivo. b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi. c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni pacifiche della civiltà la nazione italiana nel mondo".

E ancora, onorevoli colleghi: "Noi vogliamo - dice il programma - per il problema finanziario: a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera e propria espropriazione parziale di tutte le ricchezze. b) Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense vescovili, che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio per pochi". Qui io respiro e dico all'on. Mussolini: vedete un po' se potete rintracciare almeno questo numero del vostro programma. Vediamo un po', onorevoli colleghi, se in questa Camera nella quale si va creando una così unanime concordia, non sia possibile trovar modo di creare una lotta almeno con i nostri colleghi popolari". 

Una voce al centro "Vi farebbe comodo". 

Conti "Io sono un poveraccio. Non posso e non voglio diventare ricco. L'ultimo comma del programma, ahi! anche questo quanto dimenticato, è: "c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e il sequestro dell'85% dei profitti di guerra". Con questo programma, con questo bandierone voi avete formato le file del vostro partito. Ecco l'equivoco dell'origine. Parliamo dell'equivoco della conclusione. On. Mussolini, voi dite: "noi siamo il Governo nazionale". Taluno più modesto dice: "noi siamo il Governo dei partiti nazionali". Tutti gli altri partiti sono dunque antinazionali. Tra questi ci siamo (bontà vostra!) anche noi, c'è anche il partito repubblicano italiano. On. Mussolini, non facciamo scherzi. Noi siamo avversari da tanto tempo.

Ci siamo anche personalmente conosciuti in un lontano comizio anconetano contro la guerra di Tripoli, nel quale polemizzammo, come oggi, voi in difesa del partito socialista, che chiamavate la testa di turco bersagliata da tutti coloro che vogliono colpire qualche cosa, io in difesa di quella povera pregiudiziale repubblicana che ha, oggi, per i nostri colleghi socialisti così amaro significato". 

Mussolini "Ci sono tra i fascisti migliaia di combattenti, di mutilati, decorati e invalidi; lo sapete". 

Conti "Ma ce ne sono a migliaia anche fra noi. Ma riprendiamo il discorso. Voi dunque siete il Governo nazionale. A consacrare il fatto e l'evento avete chiamato al Governo nazionale, i due uomini che hanno suggellato con la vittoria l'ultima pagina della nostra guerra. Poniamo, o colleghi, fuori d'ogni nostra discussione questi uomini che simboleggiano un grande fatto. Essi hanno il nostro omaggio. Vorremmo però che essi sentissero il dovere di lasciare un governo che è governo di parte. Ma con voi, on. Mussolini, noi vogliamo discutere. Noi amiamo la patria da quando il nostro partito ci ha insegnato ad amarla. Quando noi lottavamo per il nostro irredentismo, voi ci insultavate nei vostri fogli e nei vostri comizi. Quando noi esaltavamo l'Italia, voi disprezzavate l'immagine sacra della nostra Patria". 

Paolucci "Ma poi ha fatto il caporale di fanteria in guerra, cosa che non avete fatto voi". 

Mazzolani "Anche l'on. Conti. Non c'è diritto di privativa". 

Conti "On. Paolucci, non ho medaglie d'oro. Pregiudicato politico, sono stato per undici mesi caporale in un reggimento di artiglieria da campagna. Al fronte sono stato agli ordini di ufficiali che avevano quindici anni meno di me. Ho fatto il mio dovere". 

Mussolini "Ma che sapevano morire bene, i plotonisti. I giovani ufficiali si sono battuti benissimo". 

Mazzolani "Noi ci inchiniamo". 

Mussolini "Ho sempre riconosciuto il vostro patriottismo ed ho cercato di avere con voi rapporti di buon vicinato. Voi mi avete respinto". 

Conti "E vi respingeremo, on. Mussolini, ormai irrevocabilmente a meno che non pensiate di tradire anche il re. Onorevole Mussolini, continuiamo. Quando voi facevate l'apologia della diserzione..." 

Mussolini "Mai!". 

Conti "... quando facevate l'apologia del regicidio". 

Mussolini. Mai! 

Conti "Sì! E lo ha scritto di questi giorni il vostro amico Nenni. Nel carcere di Forlì voi deploraste il gruppo repubblicano che per bocca di Giovanni Bovio aveva attestato la santità d'ogni lotta, ma aveva dichiarato l'avversione dei repubblicani alla uccisione del tiranno. Ebbene quando voi teorizzavate in ogni modo contro la Patria, contro la Nazione, noi eravamo come siamo ora, modestamente, ma fermamente, al nostro posto a combattere per le nostre idealità, per l'Italia, per la Repubblica, per il popolo lavoratore. Lo dovete riconoscere. Se non ce lo riconoscerete sarà lo stesso. Voi avete scritto sulle bandiere, sui gagliardetti del fascismo quella tal frase che non è bene ripetere qua dentro, per non avere dal nostro Presidente un richiamo. Io non la scrivo in nessun gagliardetto, ma l'ho qui dentro, nell'anima. Noi abbiamo la coscienza tranquilla da quando siamo nelle file del nostro partito. Vi esorto a non perpetuare l'equivoco che avete creato qualificando antinazionali coloro che sono antifascisti. La terza ragione per la quale noi siamo contrari al vostro Governo è questa: noi non crediamo al miracolismo di un uomo. Non vogliamo che il bene ed il male siano prodotti dall'opera di un padrone. Noi siamo per la democrazia, noi vogliamo un Governo nel quale tutto il popolo abbia voce e potenza. Respingiamo la dittatura e il Governo di pochi.

Io non vorrei dare un dispiacere a quei trentanove milioni di italiani i quali, a dire del collega on. Paolucci, penderebbero dalle labbra del capo del Governo, in attesa di grandi cose". 

Paolucci "Se lo merita". 

Mazzolani "Sì, perché gli date il voto". 

Conti "Io che sono nato, pur essendo oggi una pecorella smarrita, entro i quadri della religione cristiana e cattolica, io mi faccio ebreo - non si impensierisca l'on. Modigliani! - di fronte alla situazione che si è creata. Si dice e si pensa, se non proprio da trentanove milioni di italiani, che oggi finalmente abbiamo il Messia". 

Mussolini "L'uomo che farà il suo dovere tranquillamente, senza tante pose gladiatorie, anche contro di voi". 

Conti "Io non credo al Messia, e sarò tra gli ebrei anche quando egli sarà crocefisso. Non sono tra coloro che aspettano che dall'on. Mussolini venga salute all'Italia...". 

Mussolini "Verrà da voi". 

Conti "No. Voi sapete che per la nostra dottrina non dagli individui, ma dalle coordinate forze del popolo può derivare il bene". 

Mussolini "Noi abbiamo coordinato quelle forze...". 

Conti "... sì, per bastonare la gente. Noi non crediamo alla vostra opera personale, non crediamo alla possibilità che il vostro genio acclamato salvi l'Italia; non ci crediamo, perché il problema italiano non è problema di uomini. Il despota illuminato non serve, come non servono i re magnanimi, i re galantuomini quand'anche ci fossero...". 

Mussolini "Serve il presidente della Repubblica...". 

Conti "Il problema è un problema di istituti politici e sociali". 

Mussolini "Ce n'è un campionario di repubbliche". 

Conti "Non so che cosa vogliate dire". 

Mussolini "Le migliori sono quelle che sono le più monarchiche". 

Conti "So che l'on. Mussolini ha scoperto molte cose, e per questo è stato una volta socialista, una volta tendenzialmente repubblicano, ed oggi è devoto servitore di Sua Maestà. Non mi meraviglio dunque di quest'ultima scoperta. Gli debbo dire però che noi non abbiamo bisogno di campioni. La Repubblica che noi vagheggiamo è quella di Giuseppe Mazzini".

Giunta "Questa è scolastica". 

Conti "Lascia stare. Giunta, figlio caro: anche la scuola gioverebbe a molti. La nostra Repubblica rappresenta...". 

Vicini "Quattro gatti". 

Conti "I quattro gatti, on. Vicini, furono quelli che convinsero, nel 1914, l'on. Mussolini a diventare interventista; i quattro gatti sono coloro che hanno persuaso l'Italia a compiere il patriottico sacrificio della guerra, e che hanno convinto la monarchia sabauda, che voleva marciare accanto alla Germania e all'Austria...". 

Voci "Non è vero! Non è vero!". 

Conti "... alla guerra per Trento e Trieste. La nostra Repubblica, on. Mussolini, rappresenta l'organizzazione della democrazia. Il nostro eminente collega Turati ha insegnato per trenta anni ai suoi compagni che far la repubblica non valeva la pena poiché si trattava di null'altro che del cambiamento delle insegne dei tabaccai. Ora io credo che la dura esperienza abbia convinto anche lui... Si tratta dunque di dare all'Italia nuove istituzioni".

Mussolini "Quali?". 

Conti "...quelle che corrispondono alla realtà democratica del nostro paese che non è paese di grandi commercianti, di industriali, di banchieri...".

Mussolini "Gran parte dei quali sono nel vostro partito". 

Mazzolani "Peccato che non li conosciamo". 

Conti "On. Mussolini, non siate ingiusto e non ributtate nella discussione le frasi fatte del vostro repertorio socialista. Voi sapete bene che nel partito repubblicano disgraziatamente i ricchi non ci sono. Il nostro è un partito di operai, di contadini, di piccoli proprietari e di idealisti che sacrificano sé per la battaglia repubblicana che noi continuiamo per la bellezza dell'idea con la rinunzia di ogni vantaggio personale. Dicano coloro che sventolano le vostre bandiere se la loro partecipazione alla vita politica è disinteressata come la nostra.

Si tratta dunque di dare istituzioni le quali permettano l'efficace svolgimento della sovranità popolare; istituzioni le quali diano modo alle regioni d'Italia di vivere nella loro libertà e nella loro autonomia. Un vostro cenno non vorrei significasse assenso a quello che dico, on. Mussolini. Mi dispiacerebbe convertirvi alla nostra dottrina federalista. In questo caso vi dico che potrei andare a rintracciare una vostra manifestazione di simpatia...". 

Mussolini "Ancora una?". 

Conti "...per quel Partito sardo di azione contro il quale ora - mutando parere - avete lanciato l'accusa di separatismo". 

Mussolini "...seguita da un telegramma di simpatia al direttorio, quando ho conosciuto come stavano le cose". 

Cao "Dio ce ne guardi di questa simpatia!". 

Conti "Precisamente: quando le file del fascismo non erano nutrite di uomini come oggi, quando andavate cercando in tutti i campi e specialmente nel nostro campo repubblicano le forze per costituire le vostre squadre, allora avete offerto la solidarietà del vostro giornale e del vostro partito a costoro che lottavano per una nobilissima causa regionale, ed ai quali ora avete lanciato, voi e il vostro collega Finzi (simpatico giovane, ma sottosegretario che ha bisogno di centri inibitori più pronti e più validi) l'accusa di separatismo... È vero. Non la dittatura dunque può risolvere l'angoscioso problema nazionale.

Non una coalizione di partiti e di uomini reazionari. L'Italia è nata nella libertà, nella libertà deve trovare la sua salvezza. L'Italia ha su di sé un istituto politico che nega al popolo lavoratore il suo avvenire. Voi credete, on. Mussolini, di avere arrestato il suo cammino e di avere fermato la storia. No, onorevole Presidente del Consiglio. Avevate ragione dicendo all'on. Turati che la storia non cammina su binari obbligati, perché le idee e la volontà degli uomini fanno la storia. On. Mussolini, con la vostra teorica affermiamo che per la forza delle idee e per la volontà degli uomini, può finire il regime che voi avete difeso con la violenza, e che volete perpetuare con la vostra dittatura. Noi repubblicani proseguiamo nella nostra battaglia, continuiamo ad agitare la fiaccola delle nostre idee. La vostra dittatura - questo dispiace al vostro collega Federzoni - è la defenestrazione del vostro sovrano. Il Regime è finito. E noi andremo incontro anche al diavolo per affrettare il suo crollo e fondare la Repubblica sulle sue rovine".

***

ARTICOLO DI TOGLIATTI

È di poco posteriore - risale al 28 aprile 1923 - una analisi di grande acutezza che apparve sul giornale Il Lavoratore di Trieste sotto il titolo "Sviluppi inesorabili" e che è dovuta alla penna di Palmiro Togliatti: "Avvenimenti di questi giorni, quali discorsi ufficiali ed ufficiosi di cui sono prodighi i capi del fascismo e la rinuncia di Mussolini alla collaborazione dei popolari, vengono a confermare le nostre previsioni sulla strada che seguirà il fascismo nei suoi sviluppi inesorabili. "Inesorabili" è il termine appropriato non solo perché il fascismo si propone di schiantare tutti gli ostacoli che incontrerà nella sua via ma anche e più ancora perché esso non ha facoltà di scelta ed è inesorabilmente costretto da una dura ed inviolabile legge di vita a continuare la sua opera di asservimento delle classi operaie e si troverà ben tosto costretto dalla stessa legge a portare a compimento la sua offensiva contro il medio ceto.

Considerare la conquista del potere da parte del fascismo come una conquista della piccola e della media borghesia, è un errore in cui sono caduti molti scrittori politici e che ha generato previsioni inavverabili. Se il fascismo ha reclutato gran parte dei suoi capi e dei suoi aderenti nei ceti medi, esso è tuttavia asservito alla grande industria che ha così trovato un potente strumento per stroncare le possibilità rivoluzionarie delle classi lavoratrici e per consolidare il proprio potere. Non poter essere altro che uno strumento è la legge inesorabile che regola lo sviluppo del fascismo. Questo spiega perché il fascismo non possa avere una propria dottrina, spiega perché il fascismo abbia ben presto rinunciato alle sue tendenze laburiste, spiega perché abbia rinunciato alla sua tendenzialità repubblicana, spiega molte incertezze dei suoi capi e molti conflitti interni, spiega la corsa verso l'assolutismo e lo stato di continua preoccupazione che detta agli uomini più rappresentativi parole di minaccia contro nemici spesse volte immaginari.

Avere il proprio destino già segnato da una forza che la volontà non può vincere, non potersi tracciare una via è, anche se il fascismo non ha coscienza di ciò, il dramma del fascismo. Non sono pochi coloro che hanno creduto in un possibile orientamento democratico del fascismo o che si sono illusi sulla possibilità di una collaborazione del fascismo - che per un momento parve vicina a realizzarsi - coi capi riformisti del movimento operaio. Queste soluzioni avrebbero segnato la morte del fascismo che, posto ogni giorno di fronte al problema della propria esistenza, sarà perpetuamente costretto a respingerlo. Non solo. Ma esso sarà costretto ad eliminare a mano a mano tutte le scorie del passato regime ed a chiudersi in una intransigenza che renderà sempre più aspra e tirannica la sua dittatura. Un altro fenomeno che merita di essere considerato è l'ostinazione con la quale liberali, democratici e popolari continuarono a sperare nella possibilità di inquadrare il fascismo nella costituzione. Fino ad oggi, si può dire, si continuò a sperare in una vita effimera della dittatura, si continuò a credere che il fascismo si sarebbe andato legalizzando. La costituzione della milizia nazionale non bastò a scuotere queste speranze. L'atteggiamento del presidente del consiglio verso la Camera dei deputati fu considerato come effetto di una collera che sarebbe presto sfumata.

La soppressione di tutte le libertà fu considerata come uno strascico inevitabile ma passeggero del passato illegalismo. È innegabile che i capi più intelligenti del fascismo avrebbero accettato un avvicinamento cogli altri partiti borghesi, ma esaminandone le conseguenze hanno dovuto rapidamente ritirarsi da questa strada per evitare la rovina del fascismo. Essi devono ormai avere compreso di non avere libertà di azione, di essere costretti a seguire fino in fondo la via senza ritorno per la quale si sono cacciati. E così si è giunti alla cacciata dei popolari dal ministero e così si giungerà domani a decretare l'ostracismo a tutti i partiti che tentino comunque di differenziarsi dal fascismo. Sviluppi inesorabili. Tutti i tentativi di resistenza non faranno che inasprire il fascismo e, poiché sono inevitabili, i caratteri tirannici dell'attuale regime si accentueranno sempre più. Il governo rappresenta certi interessi che difenderà e sosterrà, forte delle sue camicie nere. Parole assai chiare sono state pronunciate a questo proposito e verranno mantenute appunto perché gli sviluppi del fascismo sono inesorabili.

E se non troviamo ingiusto che chi ha fatto nascere il fascismo, ne ha favorito lo sviluppo, lo ha spinto al trionfo, sopporti ora le conseguenze delle sue azioni, non ci illudiamo per quanto ci riguarda. Sappiamo che il maggior peso della tirannide graverà ancora e sempre sul proletariato, sappiamo che le rappresaglie e le violenze colpiranno specialmente il proletariato e le sue avanguardie, sappiamo che gli "sviluppi inesorabili" ci costringeranno forse a rinunciare a tutta la nostra attività legale e ci prepariamo ad affrontare anche questa nuova bufera. E resisteremo perché sappiamo che soltanto il proletariato potrà, se avrà una preparazione ed una guida, compiere lo sforzo liberatore. La reazione plutocratica e la rivoluzione proletaria si trovano di fronte e chi è nemico di questa non può affermarsi nemico di quella e deve decidersi a scegliere - se crede che l'una e l'altra delle due soluzioni siano cattive - scegliere tra i due mali il minore". *** Il leader comunista sfatava tutte le illusioni su una possibile "normalizzazione" e "legalizzazione" di un movimento che non aveva altra strada se non quella di persistere nell'attacco armato e nelle tecniche da colpo di Stato. Un Parlamento ormai esautorato e ridotto all'ombra di una assemblea elettiva votò una legge elettorale - con l'assenso anche del Partito popolare evidentemente per le forti pressioni della gerarchia ecclesiastica, la famigerata legge Acerbo in base alla quale la lista che avesse ottenuto il 25 per cento dei voti avrebbe conquistato la maggioranza assoluta dei seggi.

Le elezioni si svolsero in un clima di violenza in forza del quale le opposizioni furono impedite in modo sistematico di svolgere una campagna elettorale degna di questo nome. Era in gioco, infatti, la sopravvivenza fisica e familiare di chiunque, candidato o elettore, avesse provato a contendere i voti al "listone" messo in piedi dai fascisti con la adesione di parecchi cosiddetti "liberali". 

*** 

ULTIMO DISCORSO DI MATTEOTTI

L'ultimo discorso parlamentare di Giacomo Matteotti, implacabile contestazione della validità di elezioni che di legale non avevano avuto nulla, mostra in tutta la sua drammaticità il clima di questa fase della vita italiana: Presidente "Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteotti. Ne ha facoltà". Matteotti "Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle elezioni la proposta di convalida di numerosi colleghi. Nessuno certamente, degli appartenenti a questa Assemblea, all'infuori credo dei componenti la Giunta delle elezioni, saprebbe ridire l'elenco dei nomi letti per la convalida, nessuno, né della Camera né delle tribune della stampa (Vive interruzioni alla destra e al centro)". Lupi "È passato il tempo in cui si parlava per le tribune!". Matteotti "Certo la pubblicità è per voi un'istituzione dello stupidissimo secolo XIX. (Vivi rumori. Interruzioni alla destra e al centro) Comunque, dicevo, in questo momento non esiste da parte dell'Assemblea una conoscenza esatta dell'oggetto sul quale si delibera. Soltanto per quei pochissimi nomi che abbiamo potuto afferrare alla lettura, possiamo immaginare che essi rappresentino una parte della maggioranza.

Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa pura e semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti... (Interruzioni)". Voci al centro "Ed anche più!". Matteotti "... cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario (Interruzioni. Proteste) per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! Potrebbe darsi che i nomi letti dal Presidente sieno di quei capilista che resterebbero eletti anche se, invece del premio di maggioranza, si applicasse la proporzionale pura in ogni circoscrizione. Ma poiché nessuno ha udito i nomi, e non è stata premessa nessuna affermazione generica di tale specie, probabilmente tali tutti non sono, e quindi contestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione della maggioranza (Rumori vivissimi). Vorrei pregare almeno i colleghi, sulla elezione dei quali oggi si giudica, di astenersi per lo meno dai rumori, se non dal voto. (Vivi commenti - Proteste - Interruzioni alla destra e al centro)".

Maraviglia "In contestazione non c'è nessuno, diversamente si asterrebbe!". Matteotti "Noi contestiamo...". Maraviglia "Allora contestate voi!". Matteotti "Certo sarebbe maraviglia se contestasse lei! L'elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso - come ha dichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se... (Vivaci interruzioni a destra e al centro Movimenti dell'onorevole presidente del Consiglio)". Voci a destra "Sì, sì! Noi abbiamo fatto la guerra! (Applausi alla destra e al centro)". Matteotti "Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza dei mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... (Rumori, proteste e interruzioni a destra) Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito...". Maraviglia "Hanno votato otto milioni di italiani!". Matteotti "... se cioè egli approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso. (Rumori e interruzioni a destra)". Una voce a destra "E i due milioni di voti che hanno preso le minoranze?". Farinacci "Potevate fare la rivoluzione!". Maraviglia "Sarebbero stati due milioni di eroi!". Matteotti "A rinforzare tale proposito dei Governo, esiste una milizia armata... (Applausi vivissimi e prolungati a destra e grida di "Viva la milizia")". Voci a destra "Vi scotta la milizia!". Matteotti "... esiste. una milizia armata... (Interruzioni a destra, rumori prolungati)". Voci "Basta! Basta!". Presidente "Onorevole Matteotti, si attenga all'argomento".

Matteotti "Onorevole Presidente, forse ella non m'intende; ma io parlo di elezioni. Esiste una milizia armata... (Interruzioni a destra) la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell'Esercito, il Capo dello Stato. (Interruzioni e rumori a destra)". Voci a destra "E le guardie rosse?". Matteotti "Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. (Commenti) In aggiunta e in particolare... (Interruzioni), mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l'Italia specialmente rurale abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero... (Interruzioni, rumori)". Farinacci "Erano i balilla!". Matteotti "È vero, on. Farinacci, in molti luoghi hanno votato anche i balilla! (Approvazioni all'estrema sinistra, rumori a destra e al centro)". Voce al centro "Hanno votato i disertori per voi!". Gonzales "Spirito denaturato e rettificato!". Matteotti "Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne (Interruzioni), gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l'illusione dell'osservanza di una legge apertamente violata, conforme lo stesso pensiero espresso dal presidente del Consiglio che affidava al militi fascisti la custodia delle cabine (Rumori).

A parte questo argomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forza contro il consenso. e del fatto di una milizia a disposizione di un partito che impedisce all'inizio e fondamentalmente la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l'ultima elezione in Italia, c'è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate e annullate tutte le singole manifestazioni elettorali. (Interruzioni, commenti)". Voci a destra "Perché avete paura! Perché scappate!". Matteotti "Forse al Messico si usano fare le elezioni non con le schede, ma col coraggio di fronte alle rivoltelle (Vivi rumori. Interruzioni, approvazioni all'estrema sinistra). E chiedo scusa al Messico, se non è vero! (Rumori prolungati) I fatti cui accenno si possono riassumere secondo i diversi momenti delle elezioni. La legge elettorale chiede... (Interruzioni, rumori)". Greco "È ora di finirla! Voi svalorizzate il Parlamento!". Matteotti "E allora sciogliete il Parlamento". Greco "Voi non rispettate la maggioranza e non avete diritto di essere rispettati".

Matteotti "Ciascun partito doveva, secondo la legge elettorale, presentare la propria lista di candidati... (Vivi rumori)". Maraviglia "Ma parli sulla proposta dell'onorevole Presutti". Matteotti "Richiami dunque lei all'ordine il Presidente! La presentazione delle liste - dicevo - deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei. circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate "provocazioni", sono state impedite con violenza. (Rumori vivissimi)". Bastianini "Questo lo dice lei!". Voci dalla destra "Non è vero, non è vero". Matteotti "Volete i singoli fatti? Eccoli: ad Iglesias il collega Corsi stava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata... (Rumori)". Maraviglia "Non è vero. Lo inventa lei in questo momento". Farinacci "Va a finire che faremo sul serio quello .che non abbiamo fatto!". Matteotti "Fareste il vostro mestiere!". Lussu "È la verità, è la verità!...". Matteotti "A Melfi... (Rumori vivissimi - Interruzioni) a Melfi è stata impedita la raccolta delle firme con la violenza (Rumori). In Puglia fu bastonato perfino un notaio (Rumori vivissimi)". Aldi-Mai "Ma questo nei ricorsi non c'è! In nessuno dei ricorsi! Ho visto gli atti delle Puglie e in nessun ricorso è accennato il fatto di cui parla l'on. Matteotti". Farinacci "Vi faremo cambiare sistema! E dire che sono quelli che vogliono la normalizzazione!". Matteotti "A Genova (Rumori vivissimi) i fogli con le firme già raccolte furono portati via dal tavolo su cui erano stati firmati". Voci "Perché erano falsi". Matteotti "Se erano falsi, dovevate denunciarli ai magistrati!".

Farinacci "Perché non ha fatto i reclami alla Giunta delle elezioni?". Matteotti "Ci sono". Una voce dal banco delle commissioni "No, non ci sono, li inventa lei". Presidente "La Giunta delle elezioni dovrebbe dare esempio di compostezza! I componenti della Giunta delle elezioni parleranno dopo. Onorevole Matteotti, continui". Matteotti "Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi. Non c'è offesa, non c'è ingiuria per nessuno in ciò che dico: c'è una descrizione di fatti". Teruzzi "Che non esistono!". Matteotti "Da parte degli onorevoli componenti della Giunta delle elezioni si protesta che alcuni di questi fatti non sono dedotti o documentati presso la Giunta delle elezioni. Ma voi sapete benissimo come una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fatti stessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale. Voi sapete che persone, le quali hanno dato il loro nome per attestare sopra un giornale o in un documento che un fatto era avvenuto, sono state immediatamente percosse e messe quindi nella impossibilità di confermare il fatto stesso. Già nelle elezioni del 1921, quando ottenni da questa Camera l'annullamento per violenze di una prima elezione fascista, molti di coloro che attestarono i fatti davanti alla Giunta delle elezioni, furono chiamati alla sede fascista, furono loro mostrate le copie degli atti esistenti presso la Giunta delle elezioni illecitamente comunicate, facendo ad essi un vero e proprio processo privato perché avevano attestato il vero o firmato i documenti! In seguito al processo fascista essi furono boicottati dal lavoro o percossi (Rumori, interruzioni)". Voci a destra "Lo provi". Matteotti "La stessa Giunta delle elezioni ricevette allora le prove del fatto.

Ed è per questo, onorevoli colleghi, che noi spesso siamo costretti a portare in questa Camera l'eco di quelle proteste che altrimenti nel Paese non possono avere alcun'altra voce ed espressione. (Applausi all'estrema sinistra) In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalità notarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo si dovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altre provincie. A Reggio Calabria, per esempio, abbiamo dovuto provvedere con nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano state impedite". Una voce dal banco della giunta "Dove furono impedite?". Matteotti "A Melfi, a Iglesias, in Puglia... devo ripetere? (Interruzioni, rumori) Presupposto essenziale di ogni elezione è che i candidati, cioè coloro che domandano al suffragio elettorale il voto, possano esporre, in contraddittorio con il programma del Governo, in pubblici comizi o anche in privati locali, le loro opinioni. In Italia, nella massima parte dei luoghi, anzi quasi da per tutto, questo non fu possibile". Una voce "Non è vero! Parli l'onorevole Mazzoni! (Rumori)".

Matteotti "Su ottomila comuni italiani, e su mille candidati delle minoranze, la possibilità è stata ridotta a un piccolissimo numero di casi, soltanto là dove il partito dominante ha consentito per alcune ragioni particolari o di luogo o di persona. (Interruzioni, rumori). Volete i fatti? La Camera ricorderà l'incidente occorso al collega Gonzales". Teruzzi "Noi ci ricordiamo del 1919, quando buttavate gli ufficiali nel Naviglio. lo, per un anno, sono andato a casa con la pena di morte sulla testa!". Matteotti "Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919". Voci "Non è vero! non è vero!". Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno "Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi!". Matteotti "Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero. sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio.

Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)". Finzi "Non è così!". Matteotti "Porterò i giornali vostri che lo attestano". Finzi "Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà". Matteotti "L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)". Teruzzi "È ora di finirla con queste falsità". Matteotti "L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)". Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)". Matteotti "Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)". Presidente "Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda". Matteotti "L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...". Voci "Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti!". Gonzales "I fatti non sono improvvisati! (Rumori)".

Matteotti "Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! - Rumori)". Voci da destra "Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti!". Matteotti "Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticità!". Greco "Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti". Matteotti "L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in città ...". Presutti "Dica bande armate, non corpi armati!". Matteotti "Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!". Voci di destra "Per paura! Per paura! (Rumori - Commenti)".

Farinacci "Vi abbiamo invitati telegraficamente!". Matteotti "Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)". Voci da destra "L'avete studiato bene!". Pedrazzi "Come siete pratici di queste cose, voi!". Presidente "Onorevole Pedrazzi!". Matteotti "Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni!". Voci a destra "Avevano paura!". Turati Filippo "Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)". Una voce "Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato". Turati Filippo "Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)". Presidente "Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti!".

Matteotti "Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! (Approvazioni a sinistra - Rumori prolungati)". Presidente "Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...". Matteotti "Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)". Casertano presidente della Giunta delle elezioni "Chiedo di parlare". Presidente "Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta". Matteotti "Onorevole Presidente!...". Presidente "Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente". Matteotti "Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!". Presidente "Parli, parli". Matteotti "I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)". Presidente "Facciano silenzio! Lascino parlare!". Matteotti "Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)". Una voce "Erano disoccupati!". Matteotti "No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate". Voci da destra "E quando li boicottate voi?". Farinacci "Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco!". Matteotti "Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)". Voci "E Berta? Berta!". Matteotti "... conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe - stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati - voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi - i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi - anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante - risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo - e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere - fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza - con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni... (Vivissimi rumori al centro e a destra)". Una voce a destra "Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti!". Matteotti "Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente". Finzi "Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato!". Matteotti "Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato". Finzi "Lo provi". Matteotti "In queste regioni tutti gli elettori...". Ciarlantini "Lei ha un trattato, perché non lo pubblica?". Matteotti "Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. (Rumori)". Voci "No! No!". Matteotti "Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)". Suardo "L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori - Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)". Teruzzi "L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti. (Rumori all'estrema sinistra)". Presidente "Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda!". Matteotti "lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo". Torre Edoardo "Basta, la finisca! (Rumori, commenti) . Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori - Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti - Rumori)". Voci "Vada in Russia!". Presidente "Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda!". Matteotti "Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori) ... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza". Voci alla destra "Accettiamo (Vivi applausi a destra e al centro)". Matteotti "[...]

Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all'estrema sinistra - Vivi rumori)".

L'intervento di Matteotti risale al 30 maggio 1924. Il parlamentare socialista ebbe quasi la profetica premonizione della sua sorte, tanto è vero che, finito di parlare, disse ai colleghi: "Ed ora, potete preparare il mio funerale".

Da "Patria indipendente" n. 10 del 1999.