Faccetta
nero-iprite U
Dall'ammissione di quella realtà negata per anni si passa però adesso a una
scomoda verità attuale e che riguarda l'infelice eredità dell'epoca fascista:
secondo Addis Abeba infatti, l'Italia nasconderebbe la verità sui depositi di
armi chimiche ancora presenti sul suolo etiopico. Roma - dicono in Etiopia -
avrebbe infranto le norme internazionali rifiutandosi di rivelare la
dislocazione dei depositi segreti costruiti durante l'occupazione fascista. Un
comunicato del dipartimento governativo per la promozione della Convenzione
sulle armi chimiche (citato dall'agenzia Reuters) afferma che, proprio in
base a questo trattato, "l'Italia ha la responsabilità di informare le
autorità internazionali competenti sui luoghi nei quali sono sepolte le armi e
di disinnescarle per poi eliminarle". Ma, secondo Addis Abeba, tutti gli
sforzi da parte etiopica di convincere l'Italia sarebbero risultati vani. La
settimana scorsa, operai impegnati nell'ampliamento di una scuola ad Amba-Alagi
nel Tigrai, avrebbero scoperto - secondo alcuni organi di stampa - 775
proiettili di cannone, 249 caricatori, 327 granate e altro materiale bellico
italiano; i lavori sarebbero però stati sospesi per il timore che si potesse
trattare di armi chimiche.
La Farnesina - sentita direttamente da il manifesto - nega la reticenza
sulle informazioni per l'eventuale localizzazione di depositi di armi chimiche
risalenti al periodo '35-'36 e il ministero degli Esteri precisa di aver già
risposto all'Etiopia che "sulla base delle informazioni fornite dal
Ministero della Difesa non risulta che al termine della guerra fossero stati
lasciati nel paese depositi di tali armi". In quell'occasione "furono
fornite alla parte etiopica indicazioni circa le localizzazioni dei depositi
evacuati alla fine della guerra". La Farnesina precisa inoltre di essersi
sempre "resa disponibile a fornire ogni utile assistenza per la verifica di
eventuali rinvenimenti di proiettili di artiglieria o bombe rimasti inesplosi,
dei quali possa essere sospettata la natura di arma chimica, nonché per la loro
successiva distruzione". Inoltre l'Italia si dice pronta a "inviare
una missione tecnica per le opportune ricognizioni e l'eventuale distruzione di
quanto rinvenuto".
La vicenda riporta a galla una vicenda su cui si pensava fosse stata scritta
l'ultima parola. Ma, come spiega nell'intervista a lato lo storico Angelo Del
Boca (fu lui a pubblicare sul Giorno negli anni '60 i primi telegrammi di
Mussolini), il problema della fine di quel materiale è tuttora un punto
interrogativo.
La stampa etiopica sostiene che, in qualche modo, l'Italia sia stata reticente
per una faccenda di soldi: un costo di 100-150 milioni di dollari da sborsare
per rimuovere e far sparire la scomoda eredità di quell'avventura. Sostiene
inoltre, incorrendo in un errore (forse dovuto a un refuso) che l'Italia avrebbe
trasportato in Corno d'Africa 80mila tonnellate di armi chimiche, il che non
corrisponde a verità. Tra iprite ed arsine vennero inviate, tra Eritrea e
Somalia, 700 tonnellate iniziali cui se ne aggiunsero altre 50 tonnellate. Ma
non tutte furono utilizzate e al 30 ottobre del 1939 risultavano stoccate in
A.O. dall'aeronautica militare del Duce 2775 bombe c500t, le più micidiali.
Portavano un carico o di 500 chili di iprite ciascuna.