BENITO MUSSOLINI
Carisma e psicologia del Duce: nascita, ascesa e caduta del fenomeno Mussolini

di A. Ghezzer e C. Benvenuto



IL DUCE HA SEMPRE RAGIONE
Il giovane Benito: nomen omen
Psicologia delle folle: gli insegnamenti di Le Bon
Vent'anni al potere
Hanno detto di lui

LA II GUERRA MONDIALE, FOLLIA COLLETTIVA
Psicologia di un dittatore
Psicanalisi di un dittatore


Testi consultati


Premessa

Piantato sul palco a gambe larghe in posa statuaria, le mani sui fianchi, gli occhi spiritati che scandagliano la folla, le mascelle all'infuori e le labbra turgidamente protese, Mussolini arringa con fiero cipiglio gli italiani con voce stentorea e frasi secche come scudisciate.

A vederlo e a sentirlo parlare oggi in uno dei suoi celeberrimi "Cinegiornali Luce" non si puo' fare a meno di sorridere per certe pose esagerate, per certi atteggiamenti da consumato teatrante. Eppure Benito Mussolini, anche con le recite da grottesco avanspettacolo e le pose gladiatorie che oggi fanno ridere, e' rimasto saldamente al potere per un ventennio; e' stato amato, adorato, idolatrato.

Infine oltraggiato e vilipeso, ormai gia' cadavere, da quella stessa folla che per anni gli aveva manifestato consenso e ammirazione. La sua parabola affascinante merita uno sforzo di ulteriore comprensione per capire le ragioni che hanno fatto di quest'uomo sicuramente fuori dell'ordinario il "Duce" incontrastato del popolo italiano.

La possibilita' di indagare a fondo la psicologia e il carisma di un personaggio complesso e controverso come Benito Mussolini appare subito come un compito tutt'altro che facile, per la scarsita' di materiale su questo tema specifico e per l'ovvia impossibilita' di usufruire di testimonianze dirette. D'altra parte la bibliografia su Mussolini e il fascismo e' sterminata. Pur di fronte a numerose e a volte monumentali opere, come per esempio quella di Renzo De Felice, pochi testi approfondiscono il lato psicologico e carismatico di Mussolini come uomo e leader politico.

A questo proposito sarebbe stata di grande aiuto un'opera simile a quella scritta da Walter C. Langer, lo psicanalista austriaco che nel 1943 redasse il famoso studio "Psicanalisi di Hitler" per conto dell'Oss, il servizio informazioni statunitense. A dir la verita' era stato rintracciato un promettente "La individualita' psichica di Benito Mussolini" dello psicologo Giovanni Fabrizi, anno 1926, ma, dopo una breve scorsa, gli elogi sperticati e quasi imbarazzanti al "genio del Duce" ci hanno convinto d'esser di fronte all'ennesima apologia.

Il lato psicologico del Duce si trova dunque disperso in un'infinita' di testi, alcuni troppo elogiativi, altri, all'opposto, troppo negativi. Abbiamo poco considerato la "biografia" della Sarfatti, una delle sue troppe amanti e, come tale, non molto obbiettiva quando magnifica le qualita' del suo eroe. Anche dai famosi "Colloqui con Mussolini" di Emil Ludwig traspare l'eccessiva ammirazione dell'autore per l'illustre intervistato e, non ultima, la sua sudditanza psicologi ca, che evidentemente gli impedisce un atteggiamento sufficientemente imparziale.

Di converso anche i libri di coloro che l'hanno combattuto, intellettuali e antifascisti in primo luogo, tendono a mettere in risalto soprattutto i lati negativi. Mussolini non puo' essere stato il pupazzo descritto da certo antifascismo di maniera. Se e' vero come e' vero che e' stato il leader di un partito importante come quello socialista, se e' vero che e' stato il fondatore di giornali e movimenti, se e' vero che ha messo in scacco tutto lo schieramento democratico, se e' vero che ha guidato un paese per vent'anni, e' evidente che e' stato anche un politico di un certo valore e non un pupazzo.

Molti di coloro che hanno conosciuto o sono stati vicini a Mussolini hanno scritto libri e memorie. Da Dino Grandi a Galeazzo Ciano, da Cesare Rossi a Giuseppe Bottai, e giu' giu' fino al suo cameriere-segretario Quinto Navarra. Tutti testi da prendere con cautela, considerata la particolare posizione degli autori.

Insomma, non e' facile capire chi era realmente Benito Mussolini. Anche perche', lo ammise egli stesso, nelle sue relazioni con gli altri si muoveva come su un palcoscenico, impegnato a recitare una parte, o piuttosto una serie ininterrotta di parti differenti, per cui alla fine era impossibile districare l'una dall'altra e capire quale fosse quella piu' vera o verosimile. Su Mussolini quindi non esiste un giudizio unanime.

Una sintesi relativa all'argomento che ci interessa e' stata dunque ottenuta con la lettura di molti testi, ovviamente di diversa estrazione, e dai quali abbiamo ricavato questo breve saggio.


Il DUCE HA SEMPRE RAGIONE

Il potere di condizionamento e persuasione di Mussolini fu cosi' forte che pote' permettersi persino il fortunato slogan "Il Duce ha sempre ragione", e scriverlo sui manifesti in tutt'Italia senza temere il ridicolo. Ma di dove veniva una tale pienezza di se', una simile incredibile presunzione?

Ci pare opportuno iniziare facendo un passo indietro, per dare uno sguardo a quella che fu la sua formazione culturale. Mussolini, a dispetto dell'immagine che voleva dare di se', di uomo colto e illuminato, che aveva "sempre ragione" per l'appunto, possedeva al contrario una preparazione culturale piuttosto approssimativa. E' interessante pero' notare che dai suoi "modelli" egli prendeva in realta' solo cio' che gli faceva comodo: poco gli interessavano, in fondo, le ideologie, quanto piuttosto il poter mascherare la sua sfrenata ambizione e megalomania sotto nobili ideali, presi magari da altri personaggi di ben altra autorevolezza. Si faceva forte, cioe', delle ideologie altrui non per avvalorare le proprie idee, quasi tutte di seconda mano, ma bensi' per giustificare e anzi occultare il suo arrivismo senza limiti.

La prima impronta culturale comunque la si deve sicuramente al padre Alessandro, che ebbe una notevole e decisiva influenza su di lui. Le idee rivoluzionarie del padre furono poi rafforzate da molte e disordinate letture, soprattutto quand'era emigrante in Svizzera: Marx, Sorel, Blanqui, Stirner, Schopenauer, Kant, Spinoza, Lassalle, Kropotkin e Nietzsche. Mussolini lesse voracemente di tutto. George Sorel specialmente, il teorico della violenza e il piu' acceso caldeggiatore del sindacalismo rivoluzionario, lo influenzo' piu' di tutti.

Il suo pensiero si sposava alla perfezione con un uomo d'azione quale si sentiva ed era Mussolini, che amava andare per le spicce e senza troppi riguardi per nessuno. "L'esperienza contemporanea" dice Sorel, "insegna che la democrazia costituisce il piu' grande pericolo sociale per tutte le classi della Cite', principalmente per le classi operaie". E ancora: "La democrazia confonde le classi, al fine di permettere a qualche banda di politicanti, associati a dei finanzieri o dominati da essi, lo sfruttamento dei produttori". In realta' Mussolini si servira' delle teorie di Sorel come pretesto per giustificare le gratuite violenze del fascismo. E' attraverso la violenza, l'azione, la piazza, che il socialismo puo' affermare le proprie idee, Mussolini ne e' sicuro, da sempre. Il socialismo dunque, la rivoluzione violenta del popolo oppresso, sono i suoi primi capisaldi culturali. Un altro "ispiratore" e' Nietzsche. La sua idea di superuomo con la sua volonta' di potenza creatrice sembra fatta apposta per Mussolini, che se ne appropria.

Si crede l'uomo del fato, nato per l'azione, per "vivere pericolosamente". Mediocrita' e modestia non fanno per lui: "il fascismo italiano" di ra' piu' tardi "e' stato ed e' la piu' formidabile creazione di una volonta' di potenza individuale e nazionale". La "filosofia della vita" di Giovanni Gentile e la teoria del "cesarismo" di Spengler furono l'ulteriore conferma alle sue convinzioni: la prima perche' pone l'azione al centro della conoscenza e della vita, e l'inazione come il piu' grande peccato dello spirito; proprio per questo l'azione diventa l'espressione piu' pura della vita spirituale, in quanto le idee e i valori rimangono sterili se non si tramutano in atti concreti. La seconda perche' identifica il "cesarismo" in una dittatura di un solo uomo che, con la sua volonta' "puramente politica", spazza via il potere del denaro "sotto forma di democrazia". Di notevole curiosita' intellettuale, Mussolini era culturalmente superiore a Hitler, a Stalin e ad altri politici di spicco suoi contemporanei.

Del dittatore tedesco dira': "E' fuori discussione che, in politica, io sono piu' intelligente di Hitler". Ciononostante era consapevole dei suoi limiti, e cercava di mascherarli atteggiandosi a uomo di cultura, intervenendo criticamente su ogni genere di questioni: politiche, letterarie, artistiche e filosofiche. Affermo' di aver letto tutto Shakespeare, e quasi per intero Molie're e Corneille, e di sapere a memoria lunghi brani di Goethe. Leggeva Dante ogni giorno, ed usava tenere i dialoghi di Platone aperti sulla sua scrivania a beneficio dei visitatori. Secondo i suoi calcoli, leggeva circa settanta libri l'anno. Tutte queste pretese culturali in realta' indicavano quanto Mussolini ci tenesse ad esser considerato una specie di superuomo, fatto di una stoffa diversa da quella dei comuni mortali.

Faceva credere di leggere gli autori greci nel testo originale, o di conoscere le opere di Anassagora: una volta, dopo un riferimento (sbagliato) alla filosofia greca, si schermi' con aria condiscendente dicendo "scusate la mia erudizione". Tutto si puo' dire di Mussolini tranne che fosse una persona coerente. Egli cambio' mille volte bandiera, da un estremo all'altro e con incredibili voltafaccia, rinnegando cio' che egli stesso aveva orgogliosamente affermato in precedenza, senza curarsi minimamente di chi l'accusava d'incoerenza.

Con la piu' bella affermazione di spirito di adattamento che mai sia stata fatta, dopo aver fondato i "Fasci" egli dichiaro' spudoratamente: "Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, d'ambiente nelle quali siamo costretti a vivere e ad agire". In realta' questo moto ondi'vago da una posizione all'altra indicava che Mussolini a veva idee piuttosto confuse o, meglio, che egli si muoveva quasi sempre spinto dal piu' puro opportunismo, ed era pronto a spiegare le vele laddove tirava il vento piu' favorevole.

Delle masse di persone che lui dominava a piacimento non aveva una grande opinione, come confesso' a Emil Ludwig nel suo "Colloqui con Mussolini": "La massa per me non e' altro che un gregge di pecore, finche non e' organizzata. Non sono affatto contro di essa. Soltanto nego che possa governarsi da se'. Ma se la si conduce, bisogna reggerla con due redini: entusiasmo e interesse. Chi si serve solo di uno dei due, corre pericolo. Il lato mistico e il politico si condizionano l'un l'altro".


Il giovane Benito: nomen omen


Un nome, un destino, si potrebbe dire: il padre Alessandro Mussolini impose al proprio figlio, futuro Duce d'Italia, non uno ma ben tre nomi di famosi rivoluzionari o uomini d'azione: Benito Jaurez, rivoluzionario presidente del Messico, Andrea Costa, uno dei padri e fondatori del socialismo italiano, Amilcare Cipriani, intrepido eroe garibaldino. Poteva il povero e giovane Benito, caricato di cotanta ambizione paterna, crescere come una persona normale? Evidentemente no. Il padre Alessandro, affinche' non vi fossero equivoci sui suoi orientamenti politici, inflisse anche al secondogenito il nome di Arnaldo, dal rivoluzionario Arnaldo da Brescia...

Questo la dice lunga sulle ambizioni di Alessandro Mussolini, rivoluzionario mancato. Era stato uno dei primi socialisti in Italia, consigliere comunale e prosindaco a Predappio. Fabbro di professione, era l'anarchico del paese, una "testa calda" che comiziava nelle osterie e scriveva polemici articoli sul "Pensiero Romagnolo" di Forli', un giornaletto repubblicano senza troppe pretese. Piu' volte arrestato per i suoi atteggiamenti poco riguardosi verso le autorita', e' fuor di dubbio che egli abbia trasmesso al giovane Benito il suo temperamento ribelle e la sua divorante passione per la politica, per il socialismo e la rivoluzione. Il figlio gli sara' accanto spesso, seguendolo ovunque nelle discussioni politiche in piazza, negli scantinati, nelle riunioni di partito, ove il piccolo Benito vedeva suo padre, col suo potentissimo timbro della voce e la sua forte personalita', dominare letteralmente i compagni.

La madre Rosa Maltoni e' invece la classica donna all'antica, cattolica, maestra del villaggio, donna pia e industriosa. Il padre Alessandro, non propriamente un padre esemplare, donnaiolo, gran bevitore, impartisce tuttavia al figlio Benito un'educazione molto severa. Spesso lo punisce a cinghiate. Gli instilla fin da piccolo un senso di orgogliosa fierezza. Gli ripete spesso che "non si devono tollerare prepotenze da nessuno, chi le subisce e' un vigliacco", oppure "meglio un ceffone da tuo padre oggi che due da un estraneo domani". Nonostante la rigida educazione, il futuro Duce dira' poi del padre: "Di beni materiali non ci ha lasciato nulla; di beni morali un tesoro: l'idea" oppure "Con un altro padre io non sarei mai diventato quello che sono".
Il piccolo Benito cresce dunque proprio come papa' vorrebbe, ribelle, battagliero, volitivo. Anche troppo. I genitori lo iscrivono all'Istituto dei Salesiani di Faenza, dove si fa subito notare fin dall'inizio proprio per la violenza dei suoi atteggiamenti. In collegio la disciplina e' ferrea, subisce molti torti e umiliazioni a causa della sua condizione sociale. Il suo spirito ribelle si esaspera ulteriormente. Per una coltellata a un compagno e' espulso dall'istituto, e per un periodo e' costretto a studiare a casa, sotto la guida premurosa della madre, quindi e' inviato all'Istituto Giosue' Carducci. E' aggressivo, litigioso, collerico. E ha gia' due occhi penetranti e inquisitori che fanno paura.

Ma ispira simpatia e, anche se appare sempre ingrugnito e raramente sorride, sa tenere allegri i compagni, con le sue battute vivaci e i suoi racconti paradossali inventati sul momento. La Romagna e' terra di gente passionale, sanguigna, dove l'amore per la politica, la polemica e lo scontro verbale e' forte. Be nito Mussolini non fa eccezione, anzi. Lo chiamano "el matt", il matto. Si e' guadagnato questa fama da quando, incaricato dal direttore della scuola di Forlimpopoli, Vilfredo Carducci, fratello del poeta, di commemorare davanti agli alunni la morte di Giuseppe Verdi, invece di parlare di musica si scaglia con violenza contro gli agrari e gli sfruttatori che opprimono sotto a un tallone di piombo le classi dei lavoratori. Nonostante le intemperanze, a scuola il suo profitto e' ottimo. E' serio, studioso, si impegna a fondo.

Indubbiamente il padre all'inizio e' un modello, un modello che cerchera' di emulare prima e di superare poi. Ci pare interessante a questo punto fare un rapido excursus delle esperienze piu' significative del giovane Mussolini, perche' queste saranno determinanti, a nostro parere, per la formazione del suo carattere, delle sue idee politiche e del suo atteggiamento verso la vita e la societa'. Ben presto, come dicevamo, l'ambiente di provincia gli va stretto e, non appena diplomato, con ottimi voti, decide di andare a fare l'insegnante a Gualtieri in provincia di Reggio Emilia, con la disapprovazione del padre che vede cosi' sfumare i sogni rivoluzionari che aveva riposto nel figlio. "Non si fa la rivoluzione insegnando le aste ai bambini delle scuole", commenta mestamente il padre Alessandro.

Ma Benito non si fa condizionare: e' un ragazzo intelligente, sveglio, ha bisogno di vedere il mondo, di fare esperienze, di togliersi dall'ambiente famigliare troppo sicuro, troppo tranquillo per il suo temperamento g ia' assai irrequieto. Ma ben presto anche Gualtieri diventa un posto troppo angusto per le sue ambizioni. "Socialisti da tagliatelle" e' l'accusa che egli scaglia ai socialisti del paese, colpevoli d'esser troppo molli, troppo mansueti, rivoluzionari che non rivoluzionano nulla. Un giorno, a una riunione di maestri, parla con tanta violenza delle leggi scolastiche di allora, contro l'incapacita' dei responsabili, contro l'ignavia dei reggitori della cosa pubblica che, uno a uno, tutti i presenti abbandonano la seduta. Mussolini si fa notare anche per le sue tempestose relazioni sentimentali.

Quel giovane che marcia sempre a passo di carica, col petto infuori e il mento proteso in avanti riscuote un certo successo. Diventa l'amante di una donna sposata, che ha il marito sotto le armi. "Facevo di lei quel che volevo" scrivera' di lei piu' tardi, descrivendo a colori accesi il loro amore burrascoso, punteggiato da rabbiosi litigi e da pugni e schiaffi reciproci. Una volta colpi' la giovanissima amante, per gelosia, con una coltellata a una natica. Di un'altra, tale Virginia, scrive: "Un giorno la trascinai su per le scale, poi dietro a una porta la buttai per terra e mi impadronii di lei. Quando si rialzo' da terra, piangente, mi insulto' tra i singhiozzi. Diceva che le avevo tolto il suo onore. Non lo escludo. Ma di che onore si trattava?" A Benito la violenza piace, e' un cultore della violenza. Gli e' nata dentro, la passione per la violenza, alla scuola anarchico-rivoluzionaria del padre, gli si e' ingigantita perche' questa e' la sua natura, questa e' la intima essenza della sua mentalita'.

Decide di partire, lui antimilitarista fino al midollo (e anche per schivare il servizio militare) per la Svizzera, patria della liberta' e di tutti gli spiriti rivoluzionari, di tutti gli ambiziosi alla ricerca di uno sfogo. Qui pero' vi trascorrera' i due anni piu' desolati della sua vita. Arriva senza conoscere nessuno, con pochi spiccioli in tasca. Tenta di mettersi in contatto coi socialisti italiani la' residenti, ma senza esito. Trova lav oro come manovale in un cantiere, undici ore al giorno di lavoro spingendo una carriola carica di pietre. Una fatica da schiavi che poco s'attaglia a un "rivoluzionario" dai nobili ideali. Dopo una settimana viene cacciato in malo modo.

Deve adattarsi ai piu' umili mestieri per sopravvivere, e sbarcare, male, il lunario: manovale, sterratore, garzone di un vinattiere, d'un macellaio, l'operaio in una fabbrica di cioccolato. Patisce spesso la fame, tantoche' una volta, a Losanna, viene arrestato perche' sorpreso a mendicare. A Ginevra assale due anziane turiste inglesi che ai giardini mangiavano pane, formaggio e uova. Mussolini ricorda quell'episodio: "Non riuscii a trattenermi. Mi buttai su una di quelle vecchie streghe e le strappai il pezzo di formaggio che aveva in mano. Se tentavano di reagire le strozzavo, ti dico che le strozzavo!". Finalmente riesce a entrare in contatto con i socialisti italiani. Sono quasi tutti operai, semianalfabeti, e una persona istruita suscita in loro rispetto e ammirazione.

Mussolini, forte del suo diploma di maestro, e' accolto fraternamente. Il settimanale dei socialisti italiani a Losanna "Avvenire del lavoratore" gli pubblica finalmente un articolo, il terzo del suo inizio di carriera di giornalista (gli altri due erano apparsi su giornaletti per insegnanti). Si mette presto in evidenza per il suo attivismo, partecipando a riunioni, incontri, comizi, scrivendo articoli di fuoco sui fogli dei lavoratori. Ha solo vent'anni, ma il suo ascendente sugli emigranti cresce rapidamente. Questo giovanotto che sa parlare con periodare pungente, che guarda fisso con gli occhi spiritati, che punteggia i suoi discorsi con ampi gesti delle mani, conquista consensi e simpatie. Impara bene il francese, discretamente il tedesco. Mano a mano che la popolarita' di Mussolini cresce, aumentano i problemi con le autorita' svizzere, che non vedono troppo di buon occhio quel giovane e turbolento romagnolo.

Ormai il maestrino e' entrato nel giornalismo rivoluzionario dei fogli degli emigranti, la cerchia delle sue collaborazioni si allarga. Entra in contatto con i piu' noti esponenti del socialismo italiano emigrato come Lucio e Giacinto Menotti Serrati. Da Losanna si sposta a Berna, quindi a Ginevra. Viene espulso dalla Svizzera piu' volte. In Italia vi torna da clandestino, in quanto disertore per aver rifiutato di prestare il servizio di leva. Mussolini si sente in gabbia. Approfitta di un'amnistia per fare ritorno in patria. E' arruolato come bersagliere in una caserma di Verona, a Castelvecchio. Durante il servizio militare non accade nulla di particolare: fa, come tutti, le marce, le manovre, la corve'e, il servizio di guardia. Dopo il congedo Mussolini vive uno strano periodo di apatia. Di ritornare in Svizzera non ha nessuna voglia, dopo le dure esperienze passate. Tenta di trovare impiego come giornalista ma inutilmente.

Tutte le porte gli sono sbarrate. Attraversa un periodo di depressione in cui si sente svuotato di ogni energia, finito. Ha il diploma di maestro, trova un posto di insegnate nella scuola di Caneva, vicino a Tolmezzo, in Carnia. E' un po' la riedizione dell'esperienza di Gualtieri, con la differenza che ora non e' piu' un ragazzetto ai primi passi, e' uno scontento, uno spostato, un ribelle frustrato che non riesce a trovare la sua strada. Non puo' durare a lungo in quella situazione, e infatti non dura. Sceglie nuovamente la strada dell'emigrazione, ma stavolta in Francia, a Marsiglia. Tenta di ripetere le esperienze svizzere gettandosi nell'organizzazione sindacale degli emigranti, ma gli operai italiani in Francia non lo portano alle stelle come quelli in Svizzera, non ne approvano i metodi troppo bruschi. Quando cominciano ad apprezzarlo, arriva per Mussolini l'ennesima espulsione. Torna a Forli', dove vorrebbe fare il giornalista, ma il giornaletto socialista "L'idea Socialista" non naviga in buone acque.

E' costretto a ripartire, stavolta a Oneglia, in Liguria, dove Lucio Serrati, fratello minore di Giacinto Menotti Serrati, manda avanti faticosamente "La Lima", settimanale dei socialisti liguri. Gli viene offerta una collaborazione: anzi, per averlo come collaboratore fisso, praticamente come direttore, Serrati gli procura un posto di insegnante di francese in una scuola privata. A Oneglia si mette in luce coi suoi caustici articoli, e torna in breve ad essere il battagliero Mussolini di prima, polemico, cattivo, pungente. "La Lima" lo rimette in sella, e gli da' finalmente l'occasione per coltivare quelle che sono ormai le sue brucianti passioni: il giornalismo e la politica. Si stanca presto pero' anche della provinciale Oneglia, e torna a Forli' giusto in tempo per capeggiare i tumulti organizzati dai sindacati socialisti. E' arrestato e condannato a tre mesi di prigione.

Il tribunale di Bologna pero' accoglie il suo ricorso e dopo dodici giorni e' scarcerato. Accetta l'offerta come redattore de "L'Avvenire del lavoratore" a Trento e quindi di dirigere "Il Popolo", quotidiano socialista di proprieta' dell'irredentista Cesare Battisti. Mussolini non tarda a innescare incendiarie polemiche dapprima coi clericali, che la' possiedono numerosi fogli, quindi con le autorita' asburgiche, che mal sopportano i continui attacchi del battagliero giornalista.

Una querela di un prete ritenutosi diffamato, inaugura una lunga serie di arresti. Le autorita' che governano sul territorio dell'Impero asburgico ne hanno abbastanza delle intemperanze di Mussolini e, su forti pressioni del clero locale, ne decretano la sua espulsione. E' accompagnato al confine da due gendarmi. L'emigrazione, i numerosi arresti, le espulsioni, gli creano intorno ormai un'aura di "martire del socialismo". La sua ambizione, gia' smisurata, trova nuova linfa nel sentirsi un perseguitato, un ribelle che si batte per una giusta e nobile causa. E finalmente e' un rivoluzionario che comincia a far sentire la propria voce, a dar fastidio, a esser preso sul serio, e a incontrare consensi e popolarita' sempre crescenti.

E' il trampolino che lo catapultera', attraverso il giornalismo, verso il potere. La direzione de "L'Avanti", glorioso quotidiano del socialismo italiano, e' la prima importante tappa. Dalle sue pagine rinnovera' i suoi attacchi contro tutto e tutti, coi suoi violenti articoli, arriv ando persino a mettersi un giorno contro i suoi stessi compagni. Un editoriale di Mussolini in favore dell'intervento in guerra a fianco della Francia scatena la polemica nel partito, tradizionalmente antibellico. E' costretto alle dimissioni dal giornale, quindi e' espulso dal partito socialista.

L'espulsione dal partito e' un affronto sanguinoso per Benito Mussolini, un'onta intollerabile che segna una svolta non solo nella sua storia personale ma, probabilmente, anche in quella d'Italia. Di qui nascera' l'odio per i socialisti e l'inizio del movimento fascista, con la creazione dei primi "Fasci d'Azione Interventista". Il resto e' storia breve: dopo la parentesi bellica, cavalcando abilmente la protesta e il malcontento dei reduci di guerra, nel 1922 Mussolini conquista finalmente il potere. Abbiamo dunque potuto constatare come la prima parte della vita di Mussolini sia stata una lunga serie di patimenti: dalle angherie subite in gioventu' nei collegi fino alle dure esperienze come emigrante, con arresti, espulsioni, carcerazioni piu' o meno prolungate.

Quindi le difficolta' di inserimento nella societa', il suo sentirsi costantemente rifiutato, la sua "guerra" continua contro tutti. Tutto cio' non puo' dunque non aver fatto insorgere, in uno spirito gia' ribelle, ambizioso e narcisistico per natur a, un potente senso di rivalsa: una fortissima volonta' di affermazione e forse di vendetta. Mussolini voleva essere a tutti i costi qualcuno, qualcuno finalmente degno di attenzione, ammirazione e rispetto, non uno spiantato costretto a fare il maestro in qualche scuola di provincia per sopravvivere o, magari, un rivoluzionario fallito come il padre.

Sembra che Mussolini in gioventu' abbia molto sofferto la mancanza di tenerezza ed affetto: la durezza del padre, le poche attenzioni della madre che doveva badare a tirare avanti la famiglia, le dure esperienze del collegio, dovevano averlo convinto di non essere amato. Alfred Adler, lo psicanalista, era certo che la sua prima infanzia gli avesse lasciato profondi sentimenti di inadeguatezza. Molti lo ricordano come un misantropo, che amava fare lunghe passeggiate da solo. Egli stesso mostrava di disprezzare la compagnia, e piu' volte si vanto' di non aver mai avuto un amico. Chissa' cosa rimuginava tra se' e se' il giovane Benito durante quei lunghi periodi di solitudine. Forse quel "faro' stupire il mondo!" che ripeteva, ancora imberbe, all'amatissima madre Rosa. Si puo' probabilmente spiegare cosi' cio' che e' stato Mussolini negli anni a venire, coi suoi sogni sfrenati di gloria e di potenza: la rivalsa innanzitutto, la vendetta, la potente volonta' di affermazione per compensare quei sentimenti di inferiorita' e inadeguatezza che da giovane gli avevano provocato tanta sofferenza. E forse anche il desiderio di sentirsi amato, rispettato, adulato.

Per troppi anni aveva dovuto sentirsi un emarginato, uno spostato, un incompreso. Sarebbe diventato invece un grand'uomo, l'aveva giurato a se' stesso. Forse anche Mussolini, in fondo, dietro alla maschera dell'uomo duro e virile, nascondeva in realta' un grande bisogno d'amore.


Psicologia delle folle: gli insegnamenti di Le Bon

Piero Gobetti e Carlo Rosselli hanno spiegato che fa parte della psicologia degli italiani la necessita' di avere un padreterno capace di risolvere i problemi che altri popoli risolvono con il metodo e con l'impegno. Gli oppositori del fascismo si trovarono pero' di fronte a un nemico grande e pericoloso: il Duce infatti non era solamente un leader politico, ma il dio di una religione pagana.

Che cosa poteva la ragione contro la fede? Che cosa poteva il dubbio di fronte alla "verita' assoluta"? Il Duce era, nella mentalita' degli italiani, il protagonista di un'avventura che sembrava promettere un grande e luminoso futuro. Anche se quel futuro era costato qualche testa rotta, la figura provvidenziale del Duce si stagliava in tutta la sua grandezza. Il particolare rapporto di Mussolini con le masse fu influenzato, com'egli stesso ebbe a confessare, dall'opera di Gustave Le Bon, studioso francese che, con la "Psicologia delle folle", diede un determinante contributo alla comprensione del "carattere" delle masse e alle strategie di persuasione per dominarle. Mussolini comprese che, nella sua epoca, le folle, come scrisse per l'appunto Le Bon, rappresentavano per la prima volta un'immensa potenza.

Egli le utilizzo' dunque per ottenere quel consenso che lo avrebbe sostenuto cosi' a lungo. Mussolini aveva innate le caratteristiche che distinguono il "bravo dittatore", ovvero la capacita' di immedesimarsi nel suo popolo, di assecondarlo nei suoi bisogni e di stimolarlo nei suoi desideri. Di notevole intuito e fiuto politico, egli rappresento' inoltre e finalmente "l'uomo forte", di cui gli italiani sentivano una gran necessita' dopo la drammatica esperienza della 1a Guerra Mondiale. Mussolini era l'uomo d'azione in grado di imprimere finalmente al paese, dopo tante incertezze, una svolta decisiva verso il benessere e il progresso.

Mussolini, grazie a sensibilita' e intuito non comuni, sapeva cogliere gli umori piu' sottili del popolo ed era in grado di dare le risposte che il popolo stesso si aspettava. In questo egli sembro' aver assimilato alla perfezione le teorie di Le Bon. In "Psicologia delle folle" lo studioso definisce per la prima volta le caratteristiche delle masse: la piu' saliente e' il desiderio inconscio alla sottomissione e il bisogno di essere guidate da un capo. La folla non possiede idee proprie in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro individualita' e la loro personalita' cosciente: cio' determina un affievolimento delle capacita' critiche, mentre si sviluppa un forte senso d'appartenenza a una identita' collettiva. Di conseguenza la massa tende ad assimilare idee gia' fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e una carica di profonda suggest ione: la massa e', per sua natura, dominata dall'inconscio e dall'impulsivita'.

Le Bon delinea anche le caratteristiche del capo: dev'essere innanzitutto un uomo d'azione e non di pensiero, perche' la riflessione tende al dubbio e quindi all'inazione. Dev'essere dotato di grande volonta' e sorretto da un'ideale o da una fede incrollabile: questo esercita sulle masse una grande forza di attrazione e coinvolgimento. Idee semplici, affermazioni concise, proclamate ripetutamente, sono i principali strumenti di persuasione che si basano sulla facilita' di assimilazione. Le idee semplici favoriscono la loro diffusione per "contagio". Affermazione, ripetizione e contagio sono gli elementi che contribuiscono a dar loro credibilita' e prestigio.

Il prestigio e' anche la molla piu' forte di ogni potere. Il prestigio personale di un capo esercita un fascino magnetico e determina nello stesso tempo un'autorevolezza che non si presta a contestazioni. Mussolini era un oratore di consumata abilita'. La sua forza comunicativa si basava su frasi brevi, pronunciate con tono oracolare e trionfalistico. Faceva un grande uso di metafore, di terminologie militari (ferro, fuoco, spada, moschetti, baionette, navi, cannoni) e spiritualistiche (fede, ideale, sacrificio, credere, martire, missione, comunione).

Proclamava i suoi discorsi con brevi periodi, con martellante ritmo ternario (nessuno/ puo'/smentirmi!) e con un continuo ricorso all'antitesi ("Voi oggi mi odiate, perche' mi amate ancora"). Il suo lessico era povero, e tuttavia ricco di enfasi, di pause sapienti, di richiami eroici e patriottici, e di genericita' esaltanti proiettate in un indeterminato futuro, e proprio per questo difficilmente verificabili.



Vent'anni al potere

"Si', sono posseduto da questa smania. Arde, mi rode e consuma dentro, quale un male fisico: incidere, con la mia volontà, un segno nel tempo, come il leone con il suo artiglio". Cosi' Mussolini confidava la propria sfrenata ambizione all'amante e biografa Margherita Sarfatti. Nell'edizione inglese della biografia compariva anche una nota di colore a conclusione di una così impegnativa affermazione: e cioè il gesto deciso di Benito che, per esemplificare meglio il concetto, graffiava imperiosamente lo schienale di una poltrona da parte a parte.

Tralasciando le note di colore, Mussolini e' rimasto saldamente al potere per vent'anni, tranquillo, ossequiato da tutti, idolatrato, osannato, acclamato come un messia. Per vent'anni gli italiani, questo popolo scanzonato, spregiudicato, menefreghista, l'hanno non solo sopportato, ma sostenuto, imposto al mondo, e hanno creduto in lui, o almeno hanno dimostrato di credere in lui, nei suoi slogans, nelle sue frasi piene, rotonde, altisonanti.

Perche', tutto questo? Si e' cercato, da molte parti, di dare una risposta a questo interrogativo, facendo ricorso alla filosofia, alla storia, alla psicologia, all'improvvisazione, al caso, e parlando, volta per volta, di ubriacatura collettiva, di costrizione, di imposizione, di terrore, di rassegnazione, di fanatismo. Forse una delle spiegazioni si puo' riassumere piu' semplicemente in una sola parola: informazione.

Domandiamoci per un momento cosa sarebbe stato Mussolini senza i giornali, senza il giornalismo. Mussolini era un formidabile giornalista, un eccezionale manipolatore di parole, un persuasore occulto ante litteram, un "public relations man" di valore superlativo. E in Italia, per una situazione congenita, ottant'anni fa non molto dissimile da quella di oggi, un uomo di questo genere poteva facilmente aver partita vinta. Poi, una volta piazzato, una volta affermato, sempre con gli stessi elementi a disposizione, nella stessa identica situazione, rimanere a galla. "L'ha detto la televisione" diciamo oggi, per confortare e avvalorare un fatto, un'idea, un'opinione. "C'e' scritto sul giornale" dicevano un tempo, quando la televisione non esisteva ed era la stampa ad avere un enorme potere di condizionamento.

Questa autorevolezza e potere della stampa, paradossalmente, erano accresciuti dalla sua scarsa diffusione in Italia rispetto agli altri paesi. Tra le popolazione europee piu' progredite, gli italiani sono ancor'oggi tra coloro che leggono di meno. Soprattutto allora, bastava che una cosa fosse scritta sul giornale perche' divenisse dogma, verita' assiomatica, che non si discute.

Il giornale rappresentava la dimostrazione del vero assoluto, soprattutto per chi non lo leggeva. Ai tempi di Mussolini, quando la radio era appena nata e la televisione non c'era ancora, e i giornali avevano tirature infinitamente piu' basse di quelle di oggi e i rotocalchi non esistevano, e le donne e gli uomini non si sognavano neppure di avere tante idee e fatti a portata di mano con pochi soldi, allora, davvero, tutto quello che sapeva di carta stampata era considerato come qualcosa di superiore, di misteriosamente onnipotente, che suscitava una sorta di timore reverenziale. Bastava una frase pubblicata da un giornale per influenzare una folla, per indirizzarla a destra o a sinistra, avanti o indietro, a piacere.
E Mussolini, appunto, era giornalista, un eccellente giornalista che sapeva accarezzare il fatto, il titolo, il taglio della notizia, in modo magistrale. Gli italiani, percio', cominciarono a seguire Mussolini, e a credergli in molti, come giornalista. Lo diceva il giornale, era scritto sul giornale, quindi era vero. E piu' Mussolini sciabolava, con le sue frasi ad effetto, con i suoi titoli lapidari, e piu' la gente ci credeva. E anche se erano soltanto cinque persone su cento che leggevano, effettivamente, quelle frasi, quei titoli, le affermazioni di Mussolini diventavano realta' per tutti.

E' stato lui dunque, il primo dittatore della storia moderna ad esercitare con maestria l'arte della propaganda, utilizzando efficacemente i mezzi di comunicazione di allora, la stampa soprattutto e anche il cinema, ove si proiettavano i famosi "cinegiornali Luce", documentari nei quali si esaltavano le imprese del regime e l'immagine carismatica del Duce. In tutta Italia, fin nei piu' remoti paeselli, manifesti, scritte, sculture e monumenti proclamavano la sua gloria e il suo nome.

La radio, nuovo e potente mezzo d'informazione, inizio' a trasmettere regolarmente i suo i discorsi. Nel 1933 fu fondato l'Ente radio-rurale, un'istituzione che aveva il compito di diffondere apparecchi radio-riceventi nelle scuole, specialmente rurali, e in tutte le organizzazioni del regime. Curo' con sempre maggiori attenzioni la sua immagine pubblica, quale poteva risultate dalle fotografie e dai cinegiornali: assumeva spesso espressioni di fierezza e spavalderia. Amava mostrarsi sportivo, andava a cavallo, tirava di scherma, nuotava, giocava a tennis, guidava l'automobile a forte velocita', la motocicletta, pilotava l'aereo. Gli piaceva mettere in mostra la sua virilita', la sua prestanza fisica e si faceva fotografare a torso nudo: ginnasta sulla spiaggia, sciatore sui campi innevati, agricoltore mentre trebbiava il grano con i contadini.

Questa mania di esibirsi a torso nudo era considerata da Hitler, al quale del resto mancava il fisico adatto, estremamente indecorosa. Nelle manifestazioni ufficiali Mussolini appariva sempre piu' spesso in divisa, o in uniformi militaresche dalle fogge piu' svariate. Va riconosciuto che egli non fu mai avido di denaro e, anche se ne avrebbe avuto tutte le occasioni, non si arricchi' mai. Viveva anzi in modo parco, mangiava poco e non si concedeva nessun lusso o stravaganza. Tutti i suoi figli frequentarono le scuole statali, senza godere di speciali previlegi.

Cio' che colpiva di Mussolini era il suo magnetismo personale, sottolineato, specie nelle occasioni pubbliche, da una grande teatralita': la sua capacita' di arringare le folle, con voce metallica e slogans efficacemente scanditi, con frasi piene d'effetto e suggestive metafore, era pressoche' inarrivabile ai suoi contemporanei. Il pubblico del resto mostrava di gradire assai le "sceneggiate" dal balcone di Piazza Venezia, che suscitavano invariabilmente scene di entusiasmo e quasi di adorazione, con acclamazioni festose di "Du-ce! Du-ce!". Persino i suoi piu' accesi detrattori erano in qualche modo affascinati dal suo carisma e, mescolati alla folla delle adunate "oceaniche", assistevano ai suoi discorsi con la scusa del "sentiamo un po' cosa dice oggi quel buffone". Vederlo parlare era un autentico spettacolo, perche' Mussolini era indubbiamente un grande attore: gli atteggiamenti istrioneschi, durante i comizi o i discorsi, non si contavano: gli ammiccamenti, le smorfie, le pose da bullo di periferia, il braccio forzuto che scandiva le parole, le labbra infuori, il mascellone volitivo...

I caricaturisti ci andavano a nozze. A volte sembrava addirittura che si autocaricaturasse egli stesso: capitava che, dopo una "sparata" particolarmente efficace, accompagnasse con plateali gesti di compiacimento cio' che aveva appena proclamato con fierezza. Uno dei suoi maggiori limiti come uomo di governo era l'esser un grande accentratore.

Non si fidava di nessuno, e voleva controllare personalmente ogni piu' piccola minuzia, perdendo una quantita' di tempo in particolari insignificanti. Inoltre non sopportava d'esser contraddetto. Per questo si circondava di persone mediocri, che lui poteva dominare facilmente, denunciando in cio' la sua profonda insicurezza. Chi gli stava attorno tendeva ad assecondarlo in tutto pur di non irritarlo. La scelta di subordinati cosi' poco capaci fu un grave errore, perche' il Duce, circondato da quest'alone di onniscienza e infallibilita' che egli stesso s'era costruito, intimidiva a tal punto che nessuno osava dirgli nulla.

Poco a poco Mussolini perse in gran parte il contatto con la realta': ignorava la sit uazione del paese, delle forze armate, dell'esercito, poiche' i suoi piu' stretti collaboratori gli riferivano solo cio' che presumevano gli avrebbe fatto piacere, nascondendogli invece i problemi o attenuando le cose negative.

Specialmente negli ultimi anni, a dispetto dei suoi atteggiamenti da spaccamontagne, le sue incertezze si fecero piu' frequenti: raramente sapeva prendere o imporre una propria decisione con rapidita' quando le circostanze lo richiedevano. Era spesso dubbioso, cambiava idea piu' volte al giorno e con i suoi collaboratori non di rado era vile, sleale, meschino e furbo, pronto alla bugia e all'inganno. Non esitava inoltre a disfarsi calcolatamente dei suoi seguaci piu' fidi pur di perseguire i suoi scopi. Era incapace di veri affetti.

Rinchiuso nella torre d'avorio del proprio mito, non poteva contare sull'amicizia di nessuno, neppure di qualcuno che potesse esprimergli con franchezza un parere su qualsiasi questione. Egli era un uomo terribilmente solo, solo con il suo tremendo potere. Sembra che soffrisse di disturbi psicosomatici allo stomaco, che si acutizzavano quando doveva fronteggiare situazioni difficili. Negli ultimi anni le continue incertezze, l'incapacita' di decidere, fecero sospettare che Mussol ini avesse seri problemi di salute mentale, o addirittura che l'amorazzo con la Petacci, giudicato da chi gli stava intorno come un patetico amore senile, gli avesse annebbiato le facolta' mentali.

Ma, all'esterno, il mito di Mussolini resistette fino all'ultimo. Egli dava di se' l'immagine della persona retta, onesta, quasi paterna, e nello stesso tempo anche un po' autoritaria come dev'esserlo giust'appunto un buon padre di famiglia, che pensa esclusivamente al bene dei suoi figli. Perche' Mussolini per gli italiani era in fondo un grande padre, severo ma giusto, bonario e protettivo, un padre a cui affidarsi con fiducia, che a tutto provvede scegliendo sempre per il meglio.

Appena giunto al potere, conscio d'averlo conquistato grazie a una mossa azzardata, egli si preoccupo' innanzitutto di consolidare la sua posizione: tranquillizzo' chi vedeva in lui un avventuriero, dando di se' un'immagine moderata e ragionevole; rassicuro' soprattutto la borghesia, di cui precedentemente aveva invocato "lo sterminio fisico". Il suo primo governo, prudentemente, fu un governo di coalizione, di cui i fascisti non erano nemmeno la maggioranza. Mediante le cosiddette "elezioni truffa", Mussolini cerco' di dimostrare presto al paese di poter contare su un vasto consenso.

Creo' il Gran Consiglio del Fascismo, che avrebbe progressivamente esautorato il parlamento, e "legalizzo'" le sue squadracce armate trasformandole in milizia personale. Quindi, per conciliarsi e garantirsi l'appoggio delle forze conservatrici del paese, decise l'ingresso dei nazionalisti nel partito fascista, con l'elezione di personaggi seri e capaci, che difettavano assai invece nel suo partito; con alcune decisioni, si ingrazio' clero cattolico e Vaticano. Riformando la legge elettorale (legge Acerbo), con la quale si assegnavano i due terzi dei seggi al partito di maggioranza relativa, egli "blindo'" ulteriormente il suo potere.

Nelle successive elezioni tuttavia Mussolini commise il suo primo e serio passo falso: con il delitto Matteotti, il parlamentare socialista che oso' denunciare apertamente il clima di intimidazione in cui si era svolta la consultazione elettorale, finalmente l'opposizione ebbe una reazione abbastanza decisa (secessione parlamentare dell'Aventino). Anche la gente, che aveva sopportato per due anni un clima di crescente intimidazione, di violenza e illegalita' con progressive limitazioni di tutte le liberta', ebbe un moto di rivolta e indignazione. Mussolini vide vacillare il suo potere. In questa e altre circostanze, vennero alla luce due caratteristiche del suo temperamento: la tendenza a perdersi d'animo di fronte a grosse difficolta' e la grande capacita' di recupero. Mussolini reagi' alla crisi con un atto di forza: nel famoso discorso alla camera del 3 gennaio 1925 rivendico' la piena e totale responsabilita' di quanto era accaduto, e annuncio' le misure restrittive che sarebbero state chiamate "leggi fascistissime". Poco a poco i giri di vite contro la liberta' di stampa si faranno sempre piu' stretti, fino al suo completo soffocamento. Mussolini teneva a bada l'opposizione, quasi inesistente, o comunque chi poteva dargli fastidio, con la tecnica "del bastone e della carota": la seconda fu ad esempio impiegata per piegare d'Annunzio, che nutriva velleita' d'esser il rappresentante di un'alternativa al fascismo e godeva di notevole seguito in Italia.

Del "poeta-soldato" Mussolini sfrutto' abilmente sia la scarsa capacita' di leader politico, che tra l'altro si manifestava con continue incertezze e oscillazioni, sia la continua e inesauribile sete di danaro; confinato a Gardone nella sua sontuosa villa chiamata il "Vittoriale", e da lui continuamente abbellita, d'Annunzio ricevette ogni sorta di favori ed elargizioni purche' se ne stesse buono senza dare fastidio, e non assumesse alcuna seria iniziativa politica.

La creazione di un impero coloniale, oltre che soddisfare la sua megalomania, gli servi' per irrobustire l'orgoglio nazionale: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania, dovevano servire a "pareggiare i conti" con le altre potenze coloniali, Francia e Inghilterra soprattutto, e fare dell'Italia "assetata di gloria e di potenza" la nazione guida dell'Europa e, perche' no, il faro della civilta' nel mondo.

Cio' rafforzava il suo prestigio in politica interna. Mussolini si diede da fare anche nel gioco diplomatico internazionale, intervenendo nei tr attati a far da paciere o da arbitro. La stampa fascista non manco' mai di enfatizzare ed esaltare i suoi meriti nella risoluzione di complesse trattative. I suoi "successi internazionali" contribuivano quindi, continuamente esaltati dal regime, alla sua progressiva "deificazione". Anche nel campo culturale Mussolini si fece promotore di molte iniziative: al filosofo Giovanni Gentile affido' la monumentale "Enciclopedia Italiana". Nel 1926 creo' L'Accademia d'Italia, che assorbi' l'antica e prestigiosa Accademia dei Lincei. Questo gli consenti' di asservire tanti intellettuali attirati dai privilegi che la nomina di accademico conferiva loro. Nella prima "infornata" di accademici, tutti da lui personalmente designati, v'erano Marinetti, Mascagni, Pirandello, Fermi: Guglielmo Marconi ne divenne successivamente il presidente. Tutti questi bei nomi dell'arte e della scienza gli servivano in realta' come specchietto per le allodole, per dare lustro e prestigio al regime.

Incentivo' il cinema, il teatro, l'arte e l'architettura. In quest'ultimo campo, al pari di altre architetture di regime, lascio' l'impronta di un'architettura gigantesca e magniloquente, come simbolo del potere e della grandezza dell'ideologia fascista. Certo e' che per un ventennio l'Italia, sotto il fascismo, rimase nel complesso isolata dalle piu' vive correnti culturali e artistiche europee e mondiali, chiusa all'interno di una mediocrita' provinciale che il regime esaltava come propria virtu' (lo strapaese). Ne' cio' avveniva per caso: l'abbassamento del livello culturale faceva parte della strategia politica di un regime che aveva sospinto la popolazione a credere nei miti piuttosto che a ragionare, a scambiare la retorica con la realta', a delegare ogni decisione al Duce, dal momento che egli "aveva sempre ragione".

Mussolini tuttavia si rendeva conto che il fascismo fino a quel momento non aveva una base ideologica abbastanza forte, convincente: fu proprio Gentile allora a impegnarsi a "costruirne" una su misura. Anzi, ancor meglio, il fascismo nella concezione mussoliniana e gentiliana diventava migliore di qualsiasi altra ideologia: era dottrina, fede, religione! Ecco che allora nei testi elaborati dal Partito Nazionale Fascista abbondavano termini come "martire", "credente", "sacrificio", "devozione al duce", "fed e fascista", "dottrina fascista", "mistica fascista", "comandamenti", "catechismi".

Il profeta di questa nuova religione era al principio Mussolini, sino a che non ne divenne il Dio stesso. Nel motto "credere-obbedire-combattere" c'e' tutta l'ideologia fascista concentrata: c'e' la religione, c'e' la scomparsa del pensiero critico, c'e' la violenza. Augusto Turati, nuovo segretario del PNF succeduto a Farinacci nel 1926, istituzionalizzo' il culto del capo; Giuseppe Bottai, uno dei migliori giornalisti del regime, lo rese intellettualmente rispettabile, proclamando a piu' riprese la propria convinzione che nessuna figura della storia reggeva il confronto con quest'uomo eccezionale; il fratello Arnaldo, dalle colonne del Popolo d'Italia, lo santificava ogni giorno: Il Duce, il principale statista d'Europa, aveva messo la sua saggezza, il suo eroismo ed il suo enorme intelletto al servizio del suo popolo. La sua persona doveva essere pertanto sacra e inviolabile.

Nel 1926-1927 la religione del ducismo era ormai in pieno sviluppo: gli insegnanti ebbero l'ordine di esaltare questa figura solitaria, di mettere in risalto il suo interesse, il suo meraviglioso coraggio e la sua mente brillante, e di spiegare che l'obbedienza ad un tale uomo era la virtu' suprema. Mussolini venne paragonato ad Aristotele, Kant e Tommaso d'Aquino. Egli era il massimo genio della storia d'Italia, piu' grande di Dante o di Michelangelo, piu' grande di Washington, Lincoln o Napoleone. Era in realta' un Dio, ed i gerarchi del fascismo dovevano considerarsi i suoi sacerdoti. Questa figura leggendaria divenne piu' umanamente famigliare attraverso la biografia scritta dalla Sarfatti, di cui Mussolini stesso corresse le bozze; solo molto piu' tardi, quando la Sarfatti aveva ceduto il posto ad altre amanti, ammise che il libro era intessuto di ridicole sciocchezze.

"E' una bottega di chincaglierie" disse: "permisi che fosse pubblicato perche' ai fini della propaganda le invenzioni sono piu' utili della verita'". Mussolini avvio' importanti riforme economiche, nel campo del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura, e diede inizio a rilevanti opere pubbliche; queste gli servivano per dare prove tangibili al popolo che il fascismo produceva non solo chiacchiere ma fatti concreti. Tra le piu' citate, le bonifiche dei terreni paludosi dell'Agro Pontino.

Con "La battaglia del grano", Mussolini persegui' l'intento di aumentare la produzione di cereali, nel quadro di quella famosa "autarchia" che, in caso di guerra, avrebbe reso l'Italia autosufficiente. Cio' gli serviva anche per tenere i contadini nelle campagne, giacche' non vedeva di buon occhio l'eccessiva urbanizzazione: nelle campagne si pensa solo a lavorare sodo, nelle citta' la gente parla e pensa troppo. Con la "Carta del Lavoro" (aprile 1927), che i propagandisti salutarono come "La Magna Charta" della rivoluzione fascista, il regime stabili' alcuni diritti-doveri del lavoratore: la giornata lavorativa di otto ore, la cassa malattie, le pensioni di vecchiaia, l'assistenza alla maternita', le vacanze organizzate a cura del Dopolavoro.

Gli articoli della Carta tuttavia rimasero in gran parte una pura dichiarazione di principi, per via dell'arretratezza dell'organizzazione statale. Nella concezione fascista il lavoro, inquadrato nelle varie corpo razioni, divenne un dovere sociale, e lo sciopero un reato perseguibile penalmente. Egli dunque "fascistizzo'" progressivamente lo Stato: "Il fascismo dev'essere come il sangue in un corpo" affermo', e quindi lo Stato,

Lo Stato Fascista, avrebbe dovuto predominare in ogni aspetto della vita sociale, politica e culturale. Di qui la famosa massima "Tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato". Neppure la gioventu' fu risparmiata dall'indottrinamento; anzi, il regime considerava fondamentale "addestrare" gli italiani al regime fascista fin quasi dalla nascita: la "Gioventu' Italiana del Littorio" aveva appunto il compito di creare un uomo che fosse, per cosi' dire, naturalmente fascista, che vivesse e pensasse "spontaneamente", grazie ad una meticolosa educazione, da fascista. Il fascismo entrava cosi', poco a poco, non solo in ogni apparato dello Stato ma nella vita sociale e privata di ogni cittadino: nelle nuove generazioni, esso entrava nelle loro mentalita' fin dall'infanzia.

Parallelamente a questo condizionamento capillare, ogni opposizione era messa a tacer e. Partiti e sindacati furono dichiarati illegali e quindi soppressi, i giornali che non si adeguavano al regime chiusi d'imperio. Gli oppositori politici bastonati, messi in galera o mandati al confino, a volte assassinati. Fu creato il "Tribunale speciale per la difesa dello Stato" come strumento di repressione politica. Grazie all'Ovra, il servizio segreto del regime, si instauro' un autentico clima di terrore. Nel giro di un decennio dalla presa del potere, la ferrea dittatura fascista era compiuta. Non si pensi tuttavia che Mussolini abbia mantenuto il potere cosi' a lungo solamente in ragione della forza e della dittatura: fino alla tragica decisione di entrare in guerra a fianco di Hitler, egli godette di un larghissimo consenso in ampi strati della popolazione, anche da parte di fior di intellettuali, letteralmente soggiogati dalla sua forte personalita'.

Mussolini godeva di un indubbio prestigio anche all'estero. Lo stesso Churchill aveva sempre avuto espressioni di rispetto nei suoi confronti. Si puo' dire che il suo declino inizio' con l'entrata in guerra, un'avventura che lui solo, pensavano gli italiani, aveva voluto. E quando divenne evidente a tutti che le cose si mettevano male, in quel momento Mussolini divento' non il primo responsabile del disastro, ma il responsabile unico.

Lui stesso ammise d'esser diventato "l'uomo piu' odiato dagli italiani". Proprio quei tratti caratteriali sui quali si era cos truito il suo mito, erano ora violentemente disconosciuti e rovesciati: il coraggio fisico e morale diventava vigliaccheria, l'assoluta probita'


Hanno detto di lui

"Gli idoli o si adorano o si rovesciano". Ecco spiegato con una frase sola perchè Mussolini e' al tempo stesso l'uomo più amato e odiato del mondo". Così si esprime Margherita Sarfatti nella sua affascinata biografia dedicata al Duce. "Io per conto mio" continua l'autrice "a parte il fascino che esercita il suo genio antiveggente, ho cercato sempre di spiegarmi il fenomeno Mussolini".

La Sarfatti non e' l'unica ad aver perseguito questo intento. Benito Mussolini e' stato un personaggio contraddittorio e, per certi versi, misterioso. In molti si sono chiesti le ragioni del suo incredibile successo. Chi lo considerava un genio, chi un grande statista, chi poco più di un cialtrone demagogo. Ci pare dunque interessante offrire una panoramica di giudizi espressi sulla stampa nazionale e internazionale, nell'intento di capire chi e' stato Benito Mussolini.

Come una dinamo
"Entrate nella sala dinamo d'una officina di forza motrice e il vostro cuoio capelluto comincia a crepitare sotto l'effetto dell'elettricita' di cui l'aria e' satura. Trovarsi in presenza di Mussolini produce sullo spirito un effetto identico, egli spande energia come una stufa il calore".
G. Ward Price, I Know these dictators, 1938

Mussolini l'arcitaliano
"Mussolini suscita intorno a sé un delirio, un fremito, una commozione tali, che hanno cause intime e piu' profonde. Gia' dicemmo che il popolo italiano sente -sentimento oscuro ma infallibile, come tutte le grandi emozioni collettive- che Mussolini e' la sua piu' pura espressione. In Lui si assommano quelle che sono le caratteristiche virtu' della nostra razza mirabile. Egli e' l'anima, la voce, la coscienza del nostro popolo. La folla ascoltandolo comprende confusamente questo, e il suo applauso e' grido di gioia per aver trovato un tale interprete del suo sentimento profondo".
Ida Avetta, Mussolini e la folla 1927.

Il grande capo

"Per comprendere qualcosa nel Fascismo, non si puo' prescindere dalla personalita' del suo fondatore e del suo capo: Benito Mussolini. Egli e', sostanzialmente, l'animatore del movimento; una specie di grande attore che emerge in una compagnia di guitti. I dirigenti del Fascismo che lo circondano non procedono oltre la piu' borghese mediocrita': uomini volonterosi, desiderosi di fare, di emergere, tutto quel che si vuole, ma uomini assolutamente mediocri, quasi tutti orecchianti attorno ai molti problemi ed argomenti sui quali discorrono, giudicano e mandano. Mussolini emerge su di loro spiccatamente, in modo assoluto, non tanto per vigori'a intellettuale, per preparazione culturale, tecnica, concreta, quanto per la prepotenza della sua personalita'. E' un uomo che non lascia indifferenti, che s'impone all'attenzione di tutti, sia per il feticismo sia per l'odio che desta. Lo si ama o lo si ammira sino al delirio, o lo si odia irrimediabilmente: lo si puo' giudicare un arrivista, un pazzoide, un uomo del dest ino, un messo di Dio. Tutto cio' conta poco, quel che conta e' la sua personalita', che s'impone all'ammirazione o alla denigrazione dei suoi contemporanei.
Deputato al parlamento, Il fascismo. Origini, sviluppo e finalita', 1922.

Il suo socialismo
"La concezione del socialismo, in Mussolini, non e' mai stata riformista e neppure sindacalista. Egli non ha mai creduto nelle conquiste del voto e nell'organizzazione operaia: bensi' ha creduto nell'insurrezione a mano armata, nei colpi violenti delle minoranze, insomma nell'azione diretta".
Giuseppe Prezzolini, Quattro scoperte, 1927


L'opportunista
"Bisogna riconoscere che Mussolini, oltre alla fortuna, ha certe doti necessarie per approfittarne. La sua intelligenza non e' certo ne' profonda ne' originale; ma e' vivace e assimilatrice. La sua intuizione manca di vastita' ed e' incapace di generalizzazione; ma e' rapida e sicura nel saper cogliere l'opportunita' del momento: egli non ha torto quando si vanta di essere "tempista". Mussolini manca di una volonta' logica, continuativa, costruttiva; ma e' abilissimo nel ripiego. [...]

L'istrione
La sua energia non ha nulla d'intimo e di reale: essa e' soltanto esteriore e verbale, ma e' straordinariamente pronta nello scoprire la debolezza dell'avversario e nello sfruttarla fino alle ultime conseguenze". [...] "I libri che ha scritto Mussolini sono pietosi, senza nerbo e senza scheletro; ma come articolista ha una valore indubbio. Infine egli ha una potenza di lavoro poco comune; un'eloquenza che non manca d'efficacia, anche quando ricorre ai luoghi comuni della piu' bassa demagogia; una penetrazione psicologica istintiva ed acuta". [...] "L'istrionismo di Mussolini, invece, merita di essere illustrato ampiamente. E' un soggetto che basterebbe da solo per un libro, ed e' senza dubbio la vera chiave del suo successo. Io nego a Mussolini ogni altra genialita'; ma non esito a ripetere che, come istrione, e' veramente un genio". [...]

Il grande attore I
"Le sue doti d'attore sono notevoli. Nessun politico moderno, fatta eccezione forse per Trotzky, e' cosi' buon attore". [...]

Il grande attore II
"Egli vive -o piuttosto, ha sempre vissuto- recitando una parte come un attore sul palcoscenico: di socialista rivoluzionario intransigente; di neutralista feroce; di interventista furibondo, di rinnovatore audace; di reazionario ad oltranza. Ed e' onesto riconoscere che ognuna di queste parti e' stata da lui recitata sempre alla perfezione. [...] La migliore scusa per coloro che anche oggi si fanno ingannare dalla sua abilita' di commediante, e' che in precedenza e' riuscito a ingannare tutti quelli che ha voluto ingannare, senza eccezione. Uomini di notevole intelligenza, di acuto giudizio, di consumata esperienza, ci sono cascati, non meno delle folle ignare su cui ha fatto le prime prove. Io credo che Mussolini riesca ad ingannare anche se' stesso, perche' anche di fronte a se' stesso non cessa di recitare la sua parte. Sarebbe troppo poco dire che l'istrionismo e' in lui una seconda natura. No, e' la sua natura, senza piu' e senza meno".
Alceste De Ambris, Mussolini. La leggenda e l'uomo, 1930. Sindacalista e rivoluzionario, esule.

L'Italia di Mussolini
"Nel dopoguerra l'Italia era caduta nell'abisso del bolscevismo e ridotta alla carestia: Mussolini le dette l'unico rimedio in grado di salvarla dalla rovina: il manganello; gli italiani non s'interessavano affatto dei loro diritti personali, ne' delle liberta' politiche; essi non pensano che a mangiare a proliferare".
Gaetano Salvemini, Mussolini Diplomate, 1932


L'ambizioso
"Una sola cosa gli premeva: l'affermazione della sua persona. Le idee, i valori, le fedi in tanto valevano in quanto potevano farsi strumento della sua ambizione". [...]

Il dominatore
"La figura di Mussolini domina il mondo contemporaneo da piu' di quindici anni, longum humani aevi spatium, secondo Tacito. Ammirato, amato fino all'idolatria dagli uni, odiato, maledetto dagli altri, non e' indifferente a nessuno. Quale che sia il prestigio di Hitler, l'interesse suscitato ieri da Lenin, oggi da Stalin, quale che sia il credito di cui gode Franklin Roosvelt, il Duce domina tutti i condottieri di popoli. [...]

Senza opposizione
"Mussolini trionfo' per la quasi universale diserzione, attraverso una lunga rete di sapienti compromessi. Solo alcune ristrette minoranze di proletari e di intellettuali ebbero l'ardire di affrontarlo con radicale intransigenza sin dagli inizi." [...]

Mussolini e gli italiani
"Mussolini fornisce la misura della sua banalita' quando considera il problema della autorita' e della disciplina come il problema pedagogico essenziale per gli italiani. Vivaddio non e' questo che occorre insegnare agli italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna rivoluzione di popolo. In tutte le sue epoche della sua storia il popolo italiano ha sprigionato dal suo seno punte altissime, solitarie, inaccessibili; minoranze eroiche, ferrei caratteri; ma non ha saputo mai realizzare se' stesso. L'Italia fu la grande assente nelle lotte di religione, lievito massimo del liberalismo, atto di nascita dell'uomo moderno".
Carlo Rosselli, Socialismo liberale, 1930.

Un genio?
"Il signor Mussolini ha o non ha del genio? Io non mi stupirei che ne avesse, ma nell'impossibilita' in cui sono al momento di giudicare, io ripetero' cosi' cio' che un gran numero di italiani che l'attende all'opera dice: "aspettiamo".
Ludovic Naudeau, L'Italie fasciste ou l'autre danger, 1927, Pubblicista francese.

Un genio!
"Mussolini e' un Genio che non ha nulla di nevropatico, nulla di psicopatico, che non manifesta abnormita' nei fenomeni intellettuali, sia nei sentimenti, sia negli atti; che ha di superiore la percezione pronta, esatta, non superficiale, ma profondissima della realta', anche di quelle che sfuggono ai competenti nello studio delle singole categorie di fenomeni. Mai illuso, sempre chiaroveggente, ha di mirabile la capacita' di un rapidissimo passaggio dalla percezione alla concezione delle azioni opportune alla contingenza, al servizio di un Ideale, grandissimo, e la pronta creazione stessa; ed e' proprio perche' si tratta di servire un Ideale elevato e fulgido che la concezione come la sua azione e' grandemente innovatrice".
Giovanni Fabrizi, La individualita' psichica di Benito Mussolini, 1926. Psicologo.

L'oratore
"Come uomo d'azione , il Mussolini ha, senza alcun dubbio, qualita' eminenti: rapido colpo d'occhio intuitivo, tempestiva audacia, risoluzione pronta, ferma tenacia, parola icastica e fascinatrice. Della sua eloquenza si son dette tante cose ed alcuni hanno prodotta l'adulazione sino al punto di dichiararlo piu' grande, non diro' di Demostene, ma di Mirabeau, di Danton, di Vergniaud. La verita' e' che i suoi discorsi producono spesso un'impressione profonda, ma e' tutta in quell'attimo, ed all'uomo d'azione e' quell'attimo che serve; ma non resistono alla lettura, perche' sempre il contenuto e' trattato approssimativamente, niente approfondito e verificato, niente in armonia con tutto un mondo di pensieri, al quale un'anima e' legata, e spesso, a ben considerare, vengon su delle cose o strampalate o grossolanamente errate o false e talora la mistificazione e l'equivoco vi sono spinti fino al lirismo".
Generale Filareti (Carlo Alemagni), In margine del fascismo, 1925. Giornalista liberale.

Come Machiavelli
"Mussolini sostiene fermamente che i princi'pi di Machiavelli sono praticabili e applicabili nel 1928 cosi' come lo erano ai tempi di Cesare Borgia, che e' un altro degli idoli che s'e' scelto. Secondo il codice etico machiavelliano cose come coercizione, intimidazione, corruzione e in verita' le piu' evidenti violazioni del decalogo non sono comunemente ammesse, salvo che esse siano illuminate dall'arte di governo, nel qual caso diventano azioni commendevoli e meritorie".
John Bond, Mussolini the wild man of Europe, 1929.

Attore d'una tragedia
"Quando un avventuriero come Mussolini puo' giungere al potere, vuol dire che il paese non e' ne' sano ne' maturo. Bisogna che gli italiani si sbarazzino di Mussolini, ma bisogna anche che si sbarazzino dei difetti che hanno permesso la vittoria del fascismo. L'Italia e' il classico paese degli eroi. In un paese nel quale si e' formata una coscienza collettiva, non si hanno ne' dittatori ne' attentatori. L'eroe che, come Lucetti, come Schirru, si leva, solo, contro il tiranno, e' l'espressione di un bisogno ideale di un paese depresso; e' la compensazione psichica di una degradazione collettiva. [...] Tutto il Risorgimento e' pieno di azioni individuali, di spedizioni folli di eroismo, ma anche di numerose e prolungate vilta'. Noi abbiamo sempre avuto dittatori, demiurghi ministeriali, grandi agitatori e manipolatori di maggioranze parlamentari. L'individualita' e' sempre stata la nota dominante della vita pubblica italiana". [...] "Tutta la situazione italiana ha portato alla dittatura, ha determinato le suc cessive fasi del fascismo. E' infantile il credere che tutto questo sia stato il prodotto della volonta' e dell'intelligenza di un uomo. Mussolini non e' stato e non e' che un attore della tragedia italiana. Ma un paese non e' un teatro, e il marasma economico, le carceri piene di innocenti, le isole del confino, il Tribunale Speciale, l'inquisizione poliziesca, la milizia, l'esilio, tutto cio' dimostra che arrivare al potere e' piu' facile che essere un uomo di Stato".
Camillo Berneri, Mussolini, Psicologia di un dittatore, 1932. Esponente anarchico.

Formidabile ruffiano
"La sua carriera e' quella del piu' formidabile ruffiano e uomo di genio che ci sia nella storia moderna". [...]

L'orgoglioso
"Si possono tirare alcune indicazioni dai tratti complessi del carattere di Mussolini per comprendere i motivi del suo potere. Per prima cosa egli possiede solidita' e resistenza in un paese che spesso ne e' privo. Malgrado tutte le sue rodomontate e fanfaronate la sua intelligenza e' fredda, analitica, deduttiva ed estremamente realista. Il suo egoismo scintillante e' simpatico agli italiani. Il suo orgoglio e' evidentemente fuori misura; per esempio stabilizzo' la lira ad una quota troppo alta, piu' che altro per superare la quota francese". [...]

Il capo carismatico
"Al di sopra d'ogni altra cosa egli possiede un magnetismo fisico intenso. La sua vitalita' si esprime in ogni suo gesto; quando saluta, per esempio, lancia il suo braccio con una tale forza che pare possa cadergli la mano. Questa vitalita' e' eccessivamente contagiosa. Quando passa in rassegna le truppe, la sua presenza ha quasi l'effetto di una scarica elettrica".
John Gunther, Inside Europe, 1936. Giornalista statunitense.

L'uomo di stato
"Mussolini non ha nulla d'un genio; egli, come e' giustamente rilevato da Bolton King, non possiede che le "qualita' inferiori dell'uomo di Stato"; ma le possiede in altissimo grado. Infine la sua forza e' stata fatta soprattutto della debolezza dei suoi avversari".
Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 1938. Dirigente socialista.

Il suo segreto
"I giornali, grandi e piccoli, di cui egli fu direttore, furono sempre scandalistici e mercenari. I suoi articoli di fondo, senza scrupolo e completamente privi di logica e di notizie esatte, avevano non di rado una certa efficacia per i sarcasmi e le minacce. Altrettanto si puo' dire per i suoi discorsi, il cui segreto, come del resto quello dei suoi scritti, consisteva nella totale mancanza di parole come "forse" o di altra che potesse infondere un minimo senso di dubbio. Nocciolo o polpa della sua prosa, scritta o parlata, e' il dogmatismo improvvisato, in un ritmo martellante. Qualunque cosa egli abbia detto o pensato ieri, anche se, e specialmente e', il contrario di cio' che egli pensa o dice oggi, e' dimenticata da lui stesso, e cosi' deve esserlo da coloro che lo leggono o lo ascoltano". [...]

Studioso mancato
"Mussolini, benche' lo nascondesse con cura, si rendeva conto dell'inferiorita', non solo delle sue origini sociali ma della qualita' degli studi. Cerco' di rimediarvi con un dogmatismo urlante; un espediente per passare gli esami. Lo studioso mancato e il poeta deluso lavorarono nel sopravvissuto uomo politico. Mussolini utilizzo' queste sue aspirazioni pervertendone i fini".
Giuseppe Antonio Borgese, Golia, Marcia del fascismo, 1938.

Gli ideali
"Anarchico? No. Chiamarlo anarchico sarebbe ingiusto verso la tradizione e la fede di uomini quali Baku'nin, Kropotkin, Reclus e Malatesta, apostoli dello spirito libertario e dell'abolizione del potere; mentre Mussolini non e' stato altro, in realta', che un autoritario in cerca della conquista ed esercizio del potere". [...] "Egli cerco' di attingere, dalla gradevole lettura spicciola dei periodici e dall'eccitante letteratura rivoluzionaria, quegli elementi che, ad un tempo, stimolavano, potenziavano, e davano una certa veste intellettuale al suo spirito ribelle. C'e' poco o nulla che egli abbia letto e ponderato senza farlo valere a buon conto per se' stesso. [...] "Questa capacita' istrionica di assumere atteggiamenti di ardente devozione e dedizione e' sempre stata una delle principali sorgenti del suo ascendente politico come agitatore e come capo, e spiega sia il suo grande successo personale quando predicava il vangelo socialista, sia il perche' molti italiani, non simpatizzanti per le teorie fasciste, possano essere, ciononostante, sinceramente mussoliniani." [...] "In realta', Mussolini, non ha mai avuto altra fede che in se stesso, ma si e' sempre reso buon conto che gli uomini in generale hanno assoluto bisogno di una fede". [...] "Tutte le divagazioni, tutte le capriole morali e dottrinarie di Mussolini, tutta la sua mutevole dedizione alle teorie politiche piu' svariate e contraddittorie, assumono un carattere omogeneo ed organico, qualora si inquadrino nella sua incommensurabile volonta' di dominio".
Gaudens Megaro, Mussolini in the making, 1938.

Novello Napoleone
Per trovare un termine di paragone che permetta di parlare di lui adeguatamente bisogna risalire a Napoleone. La sua immagine e' familiare a tutti e anche la sua voce grazie al cinema sonoro, con i suoi grandi occhi neri che lanciano lampi, sembra affascinare i suoi contemporanei dal primo all'ultimo". [...]

Come Zarathustra
"Benito Mussolini ha qualcosa di inumano come lo Zarathustra di Nietzsche, del quale meditava le sentenze ai tempi della gioventu', quando conduceva in Svizzera la dura vita dell'emigrante. Mai condottiero d'uomini fu piu' vicino a coloro che aveva raccolto sotto la sua legge, piu' vicino soprattutto a quella che Pierre Hamp ha chiamato la "pena degli uomini", perche' nessuno come lui l'ha conosciuta e l'ha provata. Ma questo manovratore di folle, questo costruttore di una citta' nuova, questo capo innamorato della sua patria e il cui lungo sforzo ininterrotto e' indirizzato alla grandezza e al benessere di questa, e' e rimane un grande solitario".
Fernand Hayward, Presentation de l'Italie, 1939. Italianista francese.

Il miglior regime possibile
"Il Duce ha imposto la sua volonta' magnetica e fascinatrice a 42 milioni di esseri umani. E nella grande massa del popolo sono pochi quelli che s'indignano, protestano per la perdita dei poteri politici. Il regime fascista, cosi' com'e', e' sostenuto in Italia come il migliore del mondo. Tranne qualche migliaio di intellettuali e di idealisti, il paese lo trova pienamente soddisfacente".
Paul Gentizon, Rome sous le faisceau, 1933. Corrispondente del "Temps".

Pover'uomo
"Mio marito pareva un leone, e invece, tutto sommato, era un pover'uomo".
Rachele Mussolini, da "Mussolini" di Denis Mack Smith.


LA SECONDA GUERRA MONDIALE, FOLLIA COLLETTIVA

La Seconda Guerra Mondiale segna una tragica svolta nella storia dell'umanita': come dice Gaston Bouthoul, si e' trattato del "piu' violento e spettacolare tra tutti i fenomeni sociali". Per l'estensione territoriale, per le forze in campo, per il coinvolgimento "planetario" nel conflitto, per i milioni di morti. Al termine della guerra, le rovine materiali e morali e le perdite, in beni e uomini, non sono paragonabili in alcun modo ai problemi che l'hanno fatta esplodere.

Questa sproporzione assurda tra causa ed effetto ci da' la misura di una sorta di "impazzimento collettivo", culminato prima con lo sterminio "scientifico" degli ebrei, poi con l'esplosione della bomba atomica su Hiroshima. Stermini di massa inconcepibili prima di allora, e che ancor'oggi ci appaiono incredibilmente assurdi. Ma, forse, la cosa piu' tremenda e' pensare che questa follia collettiva e' stata innescata da una sola persona, Hitler. Una sola persona che ha determinato il destino di milioni di uomini. Noi riteniamo che esista, oltre a una "identita' psichica" dell'individuo, anche un'identita' collettiva che influisce anch'essa sui singoli con analoghi meccanismi, forse non ancora del tutto conosciuti.
Le Bon e' stato probabilmente il primo a intuire che anche le masse possedevano una loro psicologia, in grado di essere influenzata conoscendone i processi mentali. Ma come nasce un dittatore? Quali sono le cause che ne determinano o favoriscono l'avvento? La risposta non e' facile, perche' e' la somma di molte e complesse circostanze. Anche la guerra, che la logica di ognuno di noi condanna e deplora, nonostante l'avversione di milioni di uomini si scatena ugualmente con effetti imprevedibili. Tutti siamo d'accordo nel dire che la guerra e' una barbarie senza alcuna giustificazione, una follia. Eppure le guerre esistono da quando esiste l'uomo. Cosi' come puo' improvvisamente impazzire un singolo individuo, puo' evidentemente "impazzire" anche una collettivita', un intero popolo e persino tutta l'umanita', trascinata magari da pochi individui piu' "pazzi" degli altri. Il fatto che ci si renda conto di questo quand'e' ormai troppo tardi, o magari col senno di poi, dovrebbe preoccupare parecchio i nostri contemporanei, che magari pensano che tutto cio' non possa ripetersi, esattamente come chi riteneva improbabile un secondo conflitto dopo la tremenda esperienza della prima guerra mondiale.
Albert Einstein, in una sua famosa frase, disse che una quarta guerra mondiale si sarebbe combattuta con la clava, in quanto la terza avrebbe distrutto ogni forma di civilta'. Forse una prospettiva del genere puo' essere, oggi, un deterrente abbastanza forte per impedire un'ennesima catastrofe, anche se il filosofo Benedetto Croce ammoniva tristemente che "Tutto il peggio del peggior passato puo' sempre tornare".


Psicologia di un dittatore


E' davvero singolare come Mussolini e Hitler, sia pure nella loro diversita', abbiano molti elementi in comune: le modeste origini, l'esser stati ai margini della societa' per un certo periodo d'anni, la scarsa carriera militare sotto le armi durante la prima guerra mondiale, il ferimento, la brama di gloria, la sorprendente ascesa al potere e il dominio assoluto su milioni di uomini, quindi la tragica fine. Curiosamente, sfogliando le fotografie giovanili dei due futuri dittatori, possiamo vedere che nessuno dei due aveva una posizione dominante o preminente rispetto agli altri. In nessuna foto abbiamo visto atteggiamenti scherzosi o sorridenti coi compagni. Hitler specialmente, appare nelle fotografie sempre in disparte, in posizioni defilate, con l'aria di pensare esclusivamente ai fatti suoi.

Ben pochi, vedendolo in quelle foto, avrebbero potuto supporre che in pochi anni quel personaggio schivo e musone sarebbe diventato un demonio che avrebbe trascinato la Germania e il mondo intero alla rovina. Hitler agli inizi vedeva in Mussolini un maestro, tantoche' arrivo' persino a chiedergli, mentre era in carcere dopo il fallito putsch a Monaco, una foto autografa, che il Duce gli nego'. Hitler ammirava sinceramente Mussolini, non ricambiato. Il Duce, specie all'inizio, non poteva soffrire quell'omuncolo chiacchierone col suo codazzo di gerarchi presuntuosi e arroganti: gli era fortemente antipatico.

Il suo intuito poi gli aveva suggerito che dietro a quell'ometto coi ridicoli baffi alla Chaplin si nascondeva un pericoloso fanatico. Ben presto pero' l'allievo, diventato Führer, supero' il suo maestro: Mussolini si rese ben presto conto che quell'ometto coi baffi and ava preso sul serio, molto sul serio. Lui, Mussolini, che coi suoi grandi sogni di gloria di rifondare un nuovo impero romano, si ritrovava a capo dell'Italia con le sue magre conquiste, L'Etiopia e la Libia, un "cassone di sale" e un "cassone di sabbia", guardava a Hitler con invidia: egli poteva disporre del popolo tedesco, 70 milioni di uomini pronti a marciare compatti dietro al loro condottiero, alla conquista dell'Europa.

Non come lui che doveva guidare gli italiani, molli, indisciplinati e per niente guerreschi. Di questo se ne lamentava, magari con una delle sue sferzanti sentenze: "E' la materia che mi manca. Anche Michelangelo aveva bisogno del marmo per fare le statue: se avesse avuto soltanto dell'argilla, sarebbe stato un ceramista". E quanta considerazione avesse per il popolo italiano lo si capisce da un'altra sua celebre frase: "E' umiliante stare con le mani in mano mentre gli altri scrivono la storia. Poco conta chi vince. Per fare grande un popolo bisogna portarlo al combattimento magari a calci in culo". Mussolini dunque inizia a un certo punto la sua rovinosa rincorsa al dittatore tedesco, che gli ruba ora continuamente la scena internazionale: assolutamente sicuro che la Germania avrebbe vinto la guerra, non puo' accettare di rimanere escluso dalla vittoria, di rinunciare a ritagliarsi anche lui un posto al sole, a un po' di gloria.

"Mi bastano poche migliaia di morti per sedere al tavolo della pace" dira' cinicamente. Mussolini diverra' a tal punto succube di Hitler da subire le umilianti "chiamate col campanello", in cui il dittatore tedesco lo informava della situazione a cose fatte, e gli infliggeva ore ed ore di torrenziali e noiosissimi monologhi. Sia Mussolini che Hitler furono grandi oratori, abili propagandisti e trascinatori di folle. Si puo' dire pero' che furono uomini tragicamente soli, senza amici veri. Morirono a pochi giorni uno dall'altro, con le rispettive amanti: Mussolini fucilato dai partigiani mentre era in fuga insieme a Claretta Petacci, Hitler suicida con Eva Braun nel bunker di Ber lino, ormai preso d'assedio dall'esercito russo.


Psicanalisi di un dittatore

E' lecito chiedersi per quali ragioni uomini come Mussolini o Hitler siano diventati cio' che sono stati. Nel caso di Hitler poi, questo interrogativo e' ancor piu' inquietante considerate le terribili conseguenze che egli determino' per la sorte di interi popoli. Ma quali furono le circostanze che permisero ad un uomo come Hitler, che per lunghi anni visse come uno sfaccendato senza arte ne' parte, vivacchiando alla giornata ed elemosinando un piatto di minestra come il piu' miserabile dei falliti, a raggiungere nel giro di pochissimi anni il vertice assoluto della nazione tedesca, e addirittura a dominare l'Europa intera e a trascinare il mondo in una spaventosa guerra mondiale con milioni di morti? Una chiave di lettura molto interessante ce la offre Walter C. Langer, uno dei piu' autorevoli psicanalisti americani. Nato in Austria, esercito' la professione a Vienna fino al 1938, per poi emigrare negli Stati Uniti in seguito all'Anschluss.

Nel 1943 ricevette l'incarico dall'Oss, il servizio di informazioni statunitense, di redigere uno studio sulla personalita' di Adolf Hitler, con l'intento di capirne meglio la psicologia e prevederne quindi in qualche modo le mosse. Era un'impresa tutt'altro che facile, visto che il soggetto dell'analisi non poteva certo esser avvicinato in alcun modo. Langer e il suo staff studiarono meticolosamente una grande moltitudine di documenti, libri, testimonianze, interrogarono centinaia di persone che in qualche modo avevano avuto rapporti con Hitler, analizzarono ogni sorta di informazione disponibile. Ne usci' un ritratto per certi versi sconvolgente, che ha mantenuto la sua validita' anche alla distanza del tempo, e ha confermato le intuizioni di Langer anche quando molte notizie e informazioni sono state rese note dopo la fine del conflitto. Langer tra l'altro "previde" che il Führer si sarebbe suicidato. Il rapporto rimase segreto per 30 anni, e fu pubblicato per la prima volta nel 1972 con il titolo "The Mind of Adolf Hitler".

Non ci dilungheremo qui a riassumere le complesse e interessanti analisi psicanalitiche sulla personalita' di Hitler, ma prenderemo in esame solo quegli aspetti generali che evidenziano il rapporto tra leader e massa, tra un dittatore e l'ascendente che esercita sul popolo. Langer nel suo studio afferma che Hitler, agli inizi della s ua carriera, fu osservato dal mondo con un certo divertimento. Molti si rifiutarono di prenderlo sul serio, nella convinzione che "non poteva durare". A mano a mano che, un'impresa dopo l'altra, i successi divennero sempre piu' stupefacenti, la statura dell'uomo divenne piu' evidente, e il divertimento si trasformo' in incredulita'. Alla maggior parte delle persone sembrava inconcepibile che eventi di questo genere potessero verificarsi nella nostra civilta'. Langer insomma ci fa capire che i contemporanei di Hitler non si erano minimamente resi conto, se non quand'era ormai troppo tardi, che quest'uomo rappresentava una minaccia per l'intera umanita'. Anche oggi accade forse qualcosa di simile: noi siamo infatti intimamente convinti che un nuovo Hitler, o anche un Mussolini, non potrebbero riproporsi nel nostro tempo.

Probabilmente commettiamo lo stesso errore di sottovalutazione di coloro che consideravano Hitler uno che "non poteva durare". Ancor'oggi infatti ci interroghiamo stupefatti e increduli sullo stermino "scientifico" del popolo ebreo voluto da Hitler.
Eppure e' accaduto, anche se questo ci appare oggi come qualcosa fuori di ogni logica. Eventi tanto spaventosi e aberranti furono fatti ricadere sotto la responsabilita' diretta di Hitler. Secondo Langer pero' questa e' una soluzione un po' troppo semplicistica; Hitler fu infatti unanimemente considerato un pazzo, se non un personaggio del tutto inumano. Lo studioso ci mette in guardia: "Un giudizio di questo tipo, concernente la natura del nostro piu' pericoloso nemico, puo' forse bastare all'uomo della strada.

Incasellare un individuo dal comportamento incomprensibile in questa o quella categoria astratta, gli da' un senso di soddisfazione, e una volta che lo ha classificato puo' credere di aver risolto il problema. Non resterebbe che togliere di mezzo il pazzo, eliminandolo dalla scena degli eventi, e rimpiazzarlo con un qualsiasi individuo normalmente sano, perche' il mondo torni di nuovo al pacifico regno degli affari". Langer ci costringe dunque a intravedere una realta' ben piu' complessa e inquietante: sarebbe un grave errore -egli scrive- accontentarsi di considerare Hitler un personaggio tout court, un folle da condannare alla dannazione eterna perche' il resto del mondo possa vivere in pace e in tranquillita'.

Ci si deve rendere conto invece che "la follia del ü si e' trasformata nella follia di un'intera nazione, se non di una gran parte del continente europeo". E ancora "non si tratta piu' del comportamento di un individuo isolato, ma che tra il Führer e il popolo esiste un rapporto di reciprocita', che la follia dell'uno stimola e fluisce nella follia dell'altro, e viceversa". Non fu solo Hitler dunque, il pazzo, a creare la follia della Germania, ma la follia della Germania a creare Hitler. Dopo averlo eletto quale proprio portavoce e condottiero, il popolo tedesco si e' lasciato trascinare da una sorta di forza d'inerzia, che lo ha sospinto molto al di la' dei limiti che si era prefisso, all'inizio, di raggiungere. E tuttavia continua a seguirne la guida, anche se tutti gli individui dotati di ragione devono ormai essere persuasi che la strada di Hitler conduce verso un'inevitabile distruzione.

Aggiunge Langer: "Da un punto di vista scientifico, siamo quindi costretti a considerare Hitler, il Führer, non come il demoniaco personaggio la cui malvagita' si identifica con le sue azioni e con la sua filosofia, ma piuttosto come l'espressione di una condizione mentale esistente in milioni di persone, e non solo in Germania, ma a un livello minore, in tutti i paesi civili".
Langer parla di "segrete correnti psichiche" che nutrono questa "distruttiva condizione mentale", e che puo' far si' che un solo individuo trascini milioni di uomini verso la catastrofe. Ci offre insomma un'illuminante visione su quelli che sono i meccanismi che producono i "leader", i capi, cioe' coloro che muovono le masse. Queste dinamiche sono comuni a molte culture, e sono probabilmente le stesse che hanno prodotto, sia pure con minori forme di fanatismo, il fenomeno Mussolini e il fascismo in Italia.

Mettendo ulteriormente in luce una convergenza con le teorie di Le Bon sul comportamento delle masse, Langer scrive del dittatore della Germania: "L'abilita' con cui sfrutta le tendenze inconsce del popolo tedesco agendo da suo portavoce ha consentito a Hitler di mobilitare le energie dei connazionali, e di incanalarle nella medesima direzione nella quale egli credette di aver trovato una soluzione soddisfacente ai suoi problemi personali".
Ne e' risultata una omogeneita' straordinaria nei modi di pensare e di agire del popolo tedesco. E' come se Hitler fosse riuscito a paralizzare le facolta' critiche degli individui, assumendone su di se' il ruolo. Come tale, e' divenuto parte integrante della personalita' dei suoi singoli sostenitori ed e' in grado di dominarne i processi mentali. Questo fenomeno sta alla radice del vincolo peculiare che lega Hitler, come persona, al popolo tedesco, e lo pone al di fuori del controllo di qualsiasi richiamo alla ragione, alla logica, all'intelletto". "Combattendo per Hitler" conclude Langer "tutti costoro stanno ormai inconsciamente battendosi per cio' che ai loro occhi rappresenta la propria integrita' psicologica.

Tutto questo getta una luce particolarmente interessante sulla struttura psicologica latente in una larga parte della popolazione tedesca, in tempo di guerra come in pace, e indurrebbe a pensare che siano necessari mutamenti radicali, all'intero della cultura tedesca, prima che questo popolo sia pronto ad assumere un ruolo costruttivo in un contesto di nazioni". Da parte nostra ci limitiamo ad osservare che "la struttura psicologica latente in una larga parte della popolazione tedesca" e' probabilmente comune ad altre culture e non solo a quella tedesca. Analoghi meccanismi sono sicuramente alla base anche del "carisma" che Mussolini seppe esercitare sugli italiani.