BENITO MUSSOLINI
Carisma e
psicologia del Duce: nascita, ascesa e caduta del fenomeno Mussolini
di
A. Ghezzer e C. Benvenuto
IL DUCE HA SEMPRE RAGIONE
Il giovane Benito: nomen omen
Psicologia delle folle: gli insegnamenti di Le Bon
Vent'anni al potere
Hanno detto di lui
LA II GUERRA MONDIALE, FOLLIA COLLETTIVA
Psicologia di un dittatore
Psicanalisi di un dittatore
Testi consultati
Premessa
Piantato sul palco a gambe larghe in posa statuaria, le mani sui fianchi, gli occhi spiritati che scandagliano la folla, le mascelle all'infuori e le labbra turgidamente protese, Mussolini arringa con fiero cipiglio gli italiani con voce stentorea e frasi secche come scudisciate.
A vederlo e a sentirlo parlare oggi in uno dei suoi celeberrimi "Cinegiornali Luce" non si puo' fare a meno di sorridere per certe pose esagerate, per certi atteggiamenti da consumato teatrante. Eppure Benito Mussolini, anche con le recite da grottesco avanspettacolo e le pose gladiatorie che oggi fanno ridere, e' rimasto saldamente al potere per un ventennio; e' stato amato, adorato, idolatrato.
Infine oltraggiato e vilipeso, ormai gia' cadavere, da
quella stessa folla che per anni gli aveva manifestato consenso e ammirazione.
La sua parabola affascinante merita uno sforzo di ulteriore comprensione per
capire le ragioni che hanno fatto di quest'uomo sicuramente fuori dell'ordinario
il "Duce" incontrastato del popolo italiano.
La possibilita' di indagare a fondo la psicologia e il carisma di un personaggio
complesso e controverso come Benito Mussolini appare subito come un compito
tutt'altro che facile, per la scarsita' di materiale su questo tema specifico e
per l'ovvia impossibilita' di usufruire di testimonianze dirette. D'altra parte
la bibliografia su Mussolini e il fascismo e' sterminata. Pur di fronte a
numerose e a volte monumentali opere, come per esempio quella di Renzo De
Felice, pochi testi approfondiscono il lato psicologico e carismatico di
Mussolini come uomo e leader politico.
A questo proposito sarebbe stata di grande aiuto un'opera simile a quella
scritta da Walter C. Langer, lo psicanalista austriaco che nel 1943 redasse il
famoso studio "Psicanalisi di Hitler" per conto dell'Oss, il servizio
informazioni statunitense. A dir la verita' era stato rintracciato un
promettente "La individualita' psichica di Benito Mussolini" dello
psicologo Giovanni Fabrizi, anno 1926, ma, dopo una breve scorsa, gli elogi
sperticati e quasi imbarazzanti al "genio del Duce" ci hanno convinto
d'esser di fronte all'ennesima apologia.
Il lato psicologico del Duce si trova dunque disperso
in un'infinita' di testi, alcuni troppo elogiativi, altri, all'opposto, troppo
negativi. Abbiamo poco considerato la "biografia" della Sarfatti, una
delle sue troppe amanti e, come tale, non molto obbiettiva quando magnifica le
qualita' del suo eroe. Anche dai famosi "Colloqui con Mussolini" di
Emil Ludwig traspare l'eccessiva ammirazione dell'autore per l'illustre
intervistato e, non ultima, la sua sudditanza psicologi ca, che evidentemente
gli impedisce un atteggiamento sufficientemente imparziale.
Di converso anche i libri di coloro che l'hanno combattuto, intellettuali e
antifascisti in primo luogo, tendono a mettere in risalto soprattutto i lati
negativi. Mussolini non puo' essere stato il pupazzo descritto da certo
antifascismo di maniera. Se e' vero come e' vero che e' stato il leader di un
partito importante come quello socialista, se e' vero che e' stato il fondatore
di giornali e movimenti, se e' vero che ha messo in scacco tutto lo schieramento
democratico, se e' vero che ha guidato un paese per vent'anni, e' evidente che
e' stato anche un politico di un certo valore e non un pupazzo.
Molti di coloro che hanno conosciuto o sono stati vicini a Mussolini hanno
scritto libri e memorie. Da Dino Grandi a Galeazzo Ciano, da Cesare Rossi a
Giuseppe Bottai, e giu' giu' fino al suo cameriere-segretario Quinto Navarra.
Tutti testi da prendere con cautela, considerata la particolare posizione degli
autori.
Insomma, non e' facile capire chi era realmente Benito
Mussolini. Anche perche', lo ammise egli stesso, nelle sue relazioni con gli
altri si muoveva come su un palcoscenico, impegnato a recitare una parte, o
piuttosto una serie ininterrotta di parti differenti, per cui alla fine era
impossibile districare l'una dall'altra e capire quale fosse quella piu' vera o
verosimile. Su Mussolini quindi non esiste un giudizio unanime.
Una sintesi relativa all'argomento che ci interessa e' stata dunque ottenuta con
la lettura di molti testi, ovviamente di diversa estrazione, e dai quali abbiamo
ricavato questo breve saggio.
Il DUCE HA SEMPRE RAGIONE
Il potere di condizionamento e persuasione di Mussolini fu cosi' forte che pote'
permettersi persino il fortunato slogan "Il Duce ha sempre ragione", e
scriverlo sui manifesti in tutt'Italia senza temere il ridicolo. Ma di dove
veniva una tale pienezza di se', una simile incredibile presunzione?
Ci pare opportuno iniziare facendo un passo indietro, per dare uno sguardo a
quella che fu la sua formazione culturale. Mussolini, a dispetto dell'immagine
che voleva dare di se', di uomo colto e illuminato, che aveva "sempre
ragione" per l'appunto, possedeva al contrario una preparazione culturale
piuttosto approssimativa. E' interessante pero' notare che dai suoi
"modelli" egli prendeva in realta' solo cio' che gli faceva comodo:
poco gli interessavano, in fondo, le ideologie, quanto piuttosto il poter
mascherare la sua sfrenata ambizione e megalomania sotto nobili ideali, presi
magari da altri personaggi di ben altra autorevolezza. Si faceva forte, cioe',
delle ideologie altrui non per avvalorare le proprie idee, quasi tutte di
seconda mano, ma bensi' per giustificare e anzi occultare il suo arrivismo senza
limiti.
La prima impronta culturale comunque la si deve sicuramente al padre Alessandro,
che ebbe una notevole e decisiva influenza su di lui. Le idee rivoluzionarie del
padre furono poi rafforzate da molte e disordinate letture, soprattutto
quand'era emigrante in Svizzera: Marx, Sorel, Blanqui, Stirner, Schopenauer,
Kant, Spinoza, Lassalle, Kropotkin e Nietzsche. Mussolini lesse voracemente di
tutto. George Sorel specialmente, il teorico della violenza e il piu' acceso
caldeggiatore del sindacalismo rivoluzionario, lo influenzo' piu' di tutti.
Il suo pensiero si sposava alla perfezione con un uomo d'azione quale si sentiva
ed era Mussolini, che amava andare per le spicce e senza troppi riguardi per
nessuno. "L'esperienza contemporanea" dice Sorel, "insegna che la
democrazia costituisce il piu' grande pericolo sociale per tutte le classi della
Cite', principalmente per le classi operaie". E ancora: "La democrazia
confonde le classi, al fine di permettere a qualche banda di politicanti,
associati a dei finanzieri o dominati da essi, lo sfruttamento dei
produttori". In realta' Mussolini si servira' delle teorie di Sorel come
pretesto per giustificare le gratuite violenze del fascismo. E' attraverso la
violenza, l'azione, la piazza, che il socialismo puo' affermare le proprie idee,
Mussolini ne e' sicuro, da sempre. Il socialismo dunque, la rivoluzione violenta
del popolo oppresso, sono i suoi primi capisaldi culturali. Un altro
"ispiratore" e' Nietzsche. La sua idea di superuomo con la sua
volonta' di potenza creatrice sembra fatta apposta per Mussolini, che se ne
appropria.
Si crede l'uomo del fato, nato per l'azione, per "vivere
pericolosamente". Mediocrita' e modestia non fanno per lui: "il
fascismo italiano" di ra' piu' tardi "e' stato ed e' la piu'
formidabile creazione di una volonta' di potenza individuale e nazionale".
La "filosofia della vita" di Giovanni Gentile e la teoria del
"cesarismo" di Spengler furono l'ulteriore conferma alle sue
convinzioni: la prima perche' pone l'azione al centro della conoscenza e della
vita, e l'inazione come il piu' grande peccato dello spirito; proprio per questo
l'azione diventa l'espressione piu' pura della vita spirituale, in quanto le
idee e i valori rimangono sterili se non si tramutano in atti concreti. La
seconda perche' identifica il "cesarismo" in una dittatura di un solo
uomo che, con la sua volonta' "puramente politica", spazza via il
potere del denaro "sotto forma di democrazia". Di notevole curiosita'
intellettuale, Mussolini era culturalmente superiore a Hitler, a Stalin e ad
altri politici di spicco suoi contemporanei.
Del dittatore tedesco dira': "E' fuori discussione che, in politica, io
sono piu' intelligente di Hitler". Ciononostante era consapevole dei suoi
limiti, e cercava di mascherarli atteggiandosi a uomo di cultura, intervenendo
criticamente su ogni genere di questioni: politiche, letterarie, artistiche e
filosofiche. Affermo' di aver letto tutto Shakespeare, e quasi per intero Molie're
e Corneille, e di sapere a memoria lunghi brani di Goethe. Leggeva Dante ogni
giorno, ed usava tenere i dialoghi di Platone aperti sulla sua scrivania a
beneficio dei visitatori. Secondo i suoi calcoli, leggeva circa settanta libri
l'anno. Tutte queste pretese culturali in realta' indicavano quanto Mussolini ci
tenesse ad esser considerato una specie di superuomo, fatto di una stoffa
diversa da quella dei comuni mortali.
Faceva credere di leggere gli autori greci nel testo originale, o di conoscere
le opere di Anassagora: una volta, dopo un riferimento (sbagliato) alla
filosofia greca, si schermi' con aria condiscendente dicendo "scusate la
mia erudizione". Tutto si puo' dire di Mussolini tranne che fosse una
persona coerente. Egli cambio' mille volte bandiera, da un estremo all'altro e
con incredibili voltafaccia, rinnegando cio' che egli stesso aveva
orgogliosamente affermato in precedenza, senza curarsi minimamente di chi
l'accusava d'incoerenza.
Con la piu' bella affermazione di spirito di adattamento che mai sia stata
fatta, dopo aver fondato i "Fasci" egli dichiaro' spudoratamente:
"Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici,
conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti,
a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, d'ambiente nelle quali siamo
costretti a vivere e ad agire". In realta' questo moto ondi'vago da una
posizione all'altra indicava che Mussolini a veva idee piuttosto confuse o,
meglio, che egli si muoveva quasi sempre spinto dal piu' puro opportunismo, ed
era pronto a spiegare le vele laddove tirava il vento piu' favorevole.
Delle masse di persone che lui dominava a piacimento non aveva una grande
opinione, come confesso' a Emil Ludwig nel suo "Colloqui con Mussolini":
"La massa per me non e' altro che un gregge di pecore, finche non e'
organizzata. Non sono affatto contro di essa. Soltanto nego che possa governarsi
da se'. Ma se la si conduce, bisogna reggerla con due redini: entusiasmo e
interesse. Chi si serve solo di uno dei due, corre pericolo. Il lato mistico e
il politico si condizionano l'un l'altro".
Il giovane Benito: nomen omen
Un nome, un destino, si potrebbe dire: il padre Alessandro Mussolini impose al
proprio figlio, futuro Duce d'Italia, non uno ma ben tre nomi di famosi
rivoluzionari o uomini d'azione: Benito Jaurez, rivoluzionario presidente del
Messico, Andrea Costa, uno dei padri e fondatori del socialismo italiano,
Amilcare Cipriani, intrepido eroe garibaldino. Poteva il povero e giovane
Benito, caricato di cotanta ambizione paterna, crescere come una persona
normale? Evidentemente no. Il padre Alessandro, affinche' non vi fossero
equivoci sui suoi orientamenti politici, inflisse anche al secondogenito il nome
di Arnaldo, dal rivoluzionario Arnaldo da Brescia...
Questo la dice lunga sulle ambizioni di Alessandro Mussolini, rivoluzionario
mancato. Era stato uno dei primi socialisti in Italia, consigliere comunale e
prosindaco a Predappio. Fabbro di professione, era l'anarchico del paese, una
"testa calda" che comiziava nelle osterie e scriveva polemici articoli
sul "Pensiero Romagnolo" di Forli', un giornaletto repubblicano senza
troppe pretese. Piu' volte arrestato per i suoi atteggiamenti poco riguardosi
verso le autorita', e' fuor di dubbio che egli abbia trasmesso al giovane Benito
il suo temperamento ribelle e la sua divorante passione per la politica, per il
socialismo e la rivoluzione. Il figlio gli sara' accanto spesso, seguendolo
ovunque nelle discussioni politiche in piazza, negli scantinati, nelle riunioni
di partito, ove il piccolo Benito vedeva suo padre, col suo potentissimo timbro
della voce e la sua forte personalita', dominare letteralmente i compagni.
La madre Rosa Maltoni e' invece la classica donna all'antica, cattolica, maestra
del villaggio, donna pia e industriosa. Il padre Alessandro, non propriamente un
padre esemplare, donnaiolo, gran bevitore, impartisce tuttavia al figlio Benito
un'educazione molto severa. Spesso lo punisce a cinghiate. Gli instilla fin da
piccolo un senso di orgogliosa fierezza. Gli ripete spesso che "non si
devono tollerare prepotenze da nessuno, chi le subisce e' un vigliacco",
oppure "meglio un ceffone da tuo padre oggi che due da un estraneo
domani". Nonostante la rigida educazione, il futuro Duce dira' poi del
padre: "Di beni materiali non ci ha lasciato nulla; di beni morali un
tesoro: l'idea" oppure "Con un altro padre io non sarei mai diventato
quello che sono".
Il piccolo Benito cresce dunque proprio come papa' vorrebbe, ribelle,
battagliero, volitivo. Anche troppo. I genitori lo iscrivono all'Istituto dei
Salesiani di Faenza, dove si fa subito notare fin dall'inizio proprio per la
violenza dei suoi atteggiamenti. In collegio la disciplina e' ferrea, subisce
molti torti e umiliazioni a causa della sua condizione sociale. Il suo spirito
ribelle si esaspera ulteriormente. Per una coltellata a un compagno e' espulso
dall'istituto, e per un periodo e' costretto a studiare a casa, sotto la guida
premurosa della madre, quindi e' inviato all'Istituto Giosue' Carducci. E'
aggressivo, litigioso, collerico. E ha gia' due occhi penetranti e inquisitori
che fanno paura.
Ma ispira simpatia e, anche se appare sempre ingrugnito e raramente sorride, sa
tenere allegri i compagni, con le sue battute vivaci e i suoi racconti
paradossali inventati sul momento. La Romagna e' terra di gente passionale,
sanguigna, dove l'amore per la politica, la polemica e lo scontro verbale e'
forte. Be nito Mussolini non fa eccezione, anzi. Lo chiamano "el matt",
il matto. Si e' guadagnato questa fama da quando, incaricato dal direttore della
scuola di Forlimpopoli, Vilfredo Carducci, fratello del poeta, di commemorare
davanti agli alunni la morte di Giuseppe Verdi, invece di parlare di musica si
scaglia con violenza contro gli agrari e gli sfruttatori che opprimono sotto a
un tallone di piombo le classi dei lavoratori. Nonostante le intemperanze, a
scuola il suo profitto e' ottimo. E' serio, studioso, si impegna a fondo.
Indubbiamente il padre all'inizio e' un modello, un modello che cerchera' di
emulare prima e di superare poi. Ci pare interessante a questo punto fare un
rapido excursus delle esperienze piu' significative del giovane Mussolini,
perche' queste saranno determinanti, a nostro parere, per la formazione del suo
carattere, delle sue idee politiche e del suo atteggiamento verso la vita e la
societa'. Ben presto, come dicevamo, l'ambiente di provincia gli va stretto e,
non appena diplomato, con ottimi voti, decide di andare a fare l'insegnante a
Gualtieri in provincia di Reggio Emilia, con la disapprovazione del padre che
vede cosi' sfumare i sogni rivoluzionari che aveva riposto nel figlio. "Non
si fa la rivoluzione insegnando le aste ai bambini delle scuole", commenta
mestamente il padre Alessandro.
Ma Benito non si fa condizionare: e' un ragazzo intelligente, sveglio, ha
bisogno di vedere il mondo, di fare esperienze, di togliersi dall'ambiente
famigliare troppo sicuro, troppo tranquillo per il suo temperamento g ia' assai
irrequieto. Ma ben presto anche Gualtieri diventa un posto troppo angusto per le
sue ambizioni. "Socialisti da tagliatelle" e' l'accusa che egli
scaglia ai socialisti del paese, colpevoli d'esser troppo molli, troppo
mansueti, rivoluzionari che non rivoluzionano nulla. Un giorno, a una riunione
di maestri, parla con tanta violenza delle leggi scolastiche di allora, contro
l'incapacita' dei responsabili, contro l'ignavia dei reggitori della cosa
pubblica che, uno a uno, tutti i presenti abbandonano la seduta. Mussolini si fa
notare anche per le sue tempestose relazioni sentimentali.
Quel giovane che marcia sempre a passo di carica, col petto infuori e il mento
proteso in avanti riscuote un certo successo. Diventa l'amante di una donna
sposata, che ha il marito sotto le armi. "Facevo di lei quel che
volevo" scrivera' di lei piu' tardi, descrivendo a colori accesi il loro
amore burrascoso, punteggiato da rabbiosi litigi e da pugni e schiaffi
reciproci. Una volta colpi' la giovanissima amante, per gelosia, con una
coltellata a una natica. Di un'altra, tale Virginia, scrive: "Un giorno la
trascinai su per le scale, poi dietro a una porta la buttai per terra e mi
impadronii di lei. Quando si rialzo' da terra, piangente, mi insulto' tra i
singhiozzi. Diceva che le avevo tolto il suo onore. Non lo escludo. Ma di che
onore si trattava?" A Benito la violenza piace, e' un cultore della
violenza. Gli e' nata dentro, la passione per la violenza, alla scuola
anarchico-rivoluzionaria del padre, gli si e' ingigantita perche' questa e' la
sua natura, questa e' la intima essenza della sua mentalita'.
Decide di partire, lui antimilitarista fino al midollo (e anche per schivare il
servizio militare) per la Svizzera, patria della liberta' e di tutti gli spiriti
rivoluzionari, di tutti gli ambiziosi alla ricerca di uno sfogo. Qui pero' vi
trascorrera' i due anni piu' desolati della sua vita. Arriva senza conoscere
nessuno, con pochi spiccioli in tasca. Tenta di mettersi in contatto coi
socialisti italiani la' residenti, ma senza esito. Trova lav oro come manovale
in un cantiere, undici ore al giorno di lavoro spingendo una carriola carica di
pietre. Una fatica da schiavi che poco s'attaglia a un
"rivoluzionario" dai nobili ideali. Dopo una settimana viene cacciato
in malo modo.
Deve adattarsi ai piu' umili mestieri per sopravvivere, e sbarcare, male, il
lunario: manovale, sterratore, garzone di un vinattiere, d'un macellaio,
l'operaio in una fabbrica di cioccolato. Patisce spesso la fame, tantoche' una
volta, a Losanna, viene arrestato perche' sorpreso a mendicare. A Ginevra assale
due anziane turiste inglesi che ai giardini mangiavano pane, formaggio e uova.
Mussolini ricorda quell'episodio: "Non riuscii a trattenermi. Mi buttai su
una di quelle vecchie streghe e le strappai il pezzo di formaggio che aveva in
mano. Se tentavano di reagire le strozzavo, ti dico che le strozzavo!".
Finalmente riesce a entrare in contatto con i socialisti italiani. Sono quasi
tutti operai, semianalfabeti, e una persona istruita suscita in loro rispetto e
ammirazione.
Mussolini, forte del suo diploma di maestro, e' accolto fraternamente. Il
settimanale dei socialisti italiani a Losanna "Avvenire del
lavoratore" gli pubblica finalmente un articolo, il terzo del suo inizio di
carriera di giornalista (gli altri due erano apparsi su giornaletti per
insegnanti). Si mette presto in evidenza per il suo attivismo, partecipando a
riunioni, incontri, comizi, scrivendo articoli di fuoco sui fogli dei
lavoratori. Ha solo vent'anni, ma il suo ascendente sugli emigranti cresce
rapidamente. Questo giovanotto che sa parlare con periodare pungente, che guarda
fisso con gli occhi spiritati, che punteggia i suoi discorsi con ampi gesti
delle mani, conquista consensi e simpatie. Impara bene il francese,
discretamente il tedesco. Mano a mano che la popolarita' di Mussolini cresce,
aumentano i problemi con le autorita' svizzere, che non vedono troppo di buon
occhio quel giovane e turbolento romagnolo.
Ormai il maestrino e' entrato nel giornalismo rivoluzionario dei fogli degli
emigranti, la cerchia delle sue collaborazioni si allarga. Entra in contatto con
i piu' noti esponenti del socialismo italiano emigrato come Lucio e Giacinto
Menotti Serrati. Da Losanna si sposta a Berna, quindi a Ginevra. Viene espulso
dalla Svizzera piu' volte. In Italia vi torna da clandestino, in quanto
disertore per aver rifiutato di prestare il servizio di leva. Mussolini si sente
in gabbia. Approfitta di un'amnistia per fare ritorno in patria. E' arruolato
come bersagliere in una caserma di Verona, a Castelvecchio. Durante il servizio
militare non accade nulla di particolare: fa, come tutti, le marce, le manovre,
la corve'e, il servizio di guardia. Dopo il congedo Mussolini vive uno strano
periodo di apatia. Di ritornare in Svizzera non ha nessuna voglia, dopo le dure
esperienze passate. Tenta di trovare impiego come giornalista ma inutilmente.
Tutte le porte gli sono sbarrate. Attraversa un periodo di depressione in cui si
sente svuotato di ogni energia, finito. Ha il diploma di maestro, trova un posto
di insegnate nella scuola di Caneva, vicino a Tolmezzo, in Carnia. E' un po' la
riedizione dell'esperienza di Gualtieri, con la differenza che ora non e' piu'
un ragazzetto ai primi passi, e' uno scontento, uno spostato, un ribelle
frustrato che non riesce a trovare la sua strada. Non puo' durare a lungo in
quella situazione, e infatti non dura. Sceglie nuovamente la strada
dell'emigrazione, ma stavolta in Francia, a Marsiglia. Tenta di ripetere le
esperienze svizzere gettandosi nell'organizzazione sindacale degli emigranti, ma
gli operai italiani in Francia non lo portano alle stelle come quelli in
Svizzera, non ne approvano i metodi troppo bruschi. Quando cominciano ad
apprezzarlo, arriva per Mussolini l'ennesima espulsione. Torna a Forli', dove
vorrebbe fare il giornalista, ma il giornaletto socialista "L'idea
Socialista" non naviga in buone acque.
E' costretto a ripartire, stavolta a Oneglia, in Liguria, dove Lucio Serrati,
fratello minore di Giacinto Menotti Serrati, manda avanti faticosamente "La
Lima", settimanale dei socialisti liguri. Gli viene offerta una
collaborazione: anzi, per averlo come collaboratore fisso, praticamente come
direttore, Serrati gli procura un posto di insegnante di francese in una scuola
privata. A Oneglia si mette in luce coi suoi caustici articoli, e torna in breve
ad essere il battagliero Mussolini di prima, polemico, cattivo, pungente.
"La Lima" lo rimette in sella, e gli da' finalmente l'occasione per
coltivare quelle che sono ormai le sue brucianti passioni: il giornalismo e la
politica. Si stanca presto pero' anche della provinciale Oneglia, e torna a
Forli' giusto in tempo per capeggiare i tumulti organizzati dai sindacati
socialisti. E' arrestato e condannato a tre mesi di prigione.
Il tribunale di Bologna pero' accoglie il suo ricorso e dopo dodici giorni e'
scarcerato. Accetta l'offerta come redattore de "L'Avvenire del
lavoratore" a Trento e quindi di dirigere "Il Popolo", quotidiano
socialista di proprieta' dell'irredentista Cesare Battisti. Mussolini non tarda
a innescare incendiarie polemiche dapprima coi clericali, che la' possiedono
numerosi fogli, quindi con le autorita' asburgiche, che mal sopportano i
continui attacchi del battagliero giornalista.
Una querela di un prete ritenutosi diffamato, inaugura una lunga serie di
arresti. Le autorita' che governano sul territorio dell'Impero asburgico ne
hanno abbastanza delle intemperanze di Mussolini e, su forti pressioni del clero
locale, ne decretano la sua espulsione. E' accompagnato al confine da due
gendarmi. L'emigrazione, i numerosi arresti, le espulsioni, gli creano intorno
ormai un'aura di "martire del socialismo". La sua ambizione, gia'
smisurata, trova nuova linfa nel sentirsi un perseguitato, un ribelle che si
batte per una giusta e nobile causa. E finalmente e' un rivoluzionario che
comincia a far sentire la propria voce, a dar fastidio, a esser preso sul serio,
e a incontrare consensi e popolarita' sempre crescenti.
E' il trampolino che lo catapultera', attraverso il giornalismo, verso il
potere. La direzione de "L'Avanti", glorioso quotidiano del socialismo
italiano, e' la prima importante tappa. Dalle sue pagine rinnovera' i suoi
attacchi contro tutto e tutti, coi suoi violenti articoli, arriv ando persino a
mettersi un giorno contro i suoi stessi compagni. Un editoriale di Mussolini in
favore dell'intervento in guerra a fianco della Francia scatena la polemica nel
partito, tradizionalmente antibellico. E' costretto alle dimissioni dal
giornale, quindi e' espulso dal partito socialista.
L'espulsione dal partito e' un affronto sanguinoso per Benito Mussolini, un'onta
intollerabile che segna una svolta non solo nella sua storia personale ma,
probabilmente, anche in quella d'Italia. Di qui nascera' l'odio per i socialisti
e l'inizio del movimento fascista, con la creazione dei primi "Fasci
d'Azione Interventista". Il resto e' storia breve: dopo la parentesi
bellica, cavalcando abilmente la protesta e il malcontento dei reduci di guerra,
nel 1922 Mussolini conquista finalmente il potere. Abbiamo dunque potuto
constatare come la prima parte della vita di Mussolini sia stata una lunga serie
di patimenti: dalle angherie subite in gioventu' nei collegi fino alle dure
esperienze come emigrante, con arresti, espulsioni, carcerazioni piu' o meno
prolungate.
Quindi le difficolta' di inserimento nella societa', il suo sentirsi
costantemente rifiutato, la sua "guerra" continua contro tutti. Tutto
cio' non puo' dunque non aver fatto insorgere, in uno spirito gia' ribelle,
ambizioso e narcisistico per natur a, un potente senso di rivalsa: una
fortissima volonta' di affermazione e forse di vendetta. Mussolini voleva essere
a tutti i costi qualcuno, qualcuno finalmente degno di attenzione, ammirazione e
rispetto, non uno spiantato costretto a fare il maestro in qualche scuola di
provincia per sopravvivere o, magari, un rivoluzionario fallito come il padre.
Sembra che Mussolini in gioventu' abbia molto sofferto la mancanza di tenerezza
ed affetto: la durezza del padre, le poche attenzioni della madre che doveva
badare a tirare avanti la famiglia, le dure esperienze del collegio, dovevano
averlo convinto di non essere amato. Alfred Adler, lo psicanalista, era certo
che la sua prima infanzia gli avesse lasciato profondi sentimenti di
inadeguatezza. Molti lo ricordano come un misantropo, che amava fare lunghe
passeggiate da solo. Egli stesso mostrava di disprezzare la compagnia, e piu'
volte si vanto' di non aver mai avuto un amico. Chissa' cosa rimuginava tra se'
e se' il giovane Benito durante quei lunghi periodi di solitudine. Forse quel
"faro' stupire il mondo!" che ripeteva, ancora imberbe, all'amatissima
madre Rosa. Si puo' probabilmente spiegare cosi' cio' che e' stato Mussolini
negli anni a venire, coi suoi sogni sfrenati di gloria e di potenza: la rivalsa
innanzitutto, la vendetta, la potente volonta' di affermazione per compensare
quei sentimenti di inferiorita' e inadeguatezza che da giovane gli avevano
provocato tanta sofferenza. E forse anche il desiderio di sentirsi amato,
rispettato, adulato.
Per troppi anni aveva dovuto sentirsi un emarginato, uno spostato, un
incompreso. Sarebbe diventato invece un grand'uomo, l'aveva giurato a se'
stesso. Forse anche Mussolini, in fondo, dietro alla maschera dell'uomo duro e
virile, nascondeva in realta' un grande bisogno d'amore.
Psicologia delle folle: gli insegnamenti di Le Bon
Piero Gobetti e Carlo Rosselli hanno spiegato che fa parte
della psicologia degli italiani la necessita' di avere un padreterno capace di
risolvere i problemi che altri popoli risolvono con il metodo e con l'impegno.
Gli oppositori del fascismo si trovarono pero' di fronte a un nemico grande e
pericoloso: il Duce infatti non era solamente un leader politico, ma il dio di
una religione pagana.
Che cosa poteva la ragione contro la fede? Che cosa poteva il dubbio di fronte
alla "verita' assoluta"? Il Duce era, nella mentalita' degli italiani,
il protagonista di un'avventura che sembrava promettere un grande e luminoso
futuro. Anche se quel futuro era costato qualche testa rotta, la figura
provvidenziale del Duce si stagliava in tutta la sua grandezza. Il particolare
rapporto di Mussolini con le masse fu influenzato, com'egli stesso ebbe a
confessare, dall'opera di Gustave Le Bon, studioso francese che, con la
"Psicologia delle folle", diede un determinante contributo alla
comprensione del "carattere" delle masse e alle strategie di
persuasione per dominarle. Mussolini comprese che, nella sua epoca, le folle,
come scrisse per l'appunto Le Bon, rappresentavano per la prima volta un'immensa
potenza.
Egli le utilizzo' dunque per ottenere quel consenso che lo avrebbe sostenuto
cosi' a lungo. Mussolini aveva innate le caratteristiche che distinguono il
"bravo dittatore", ovvero la capacita' di immedesimarsi nel suo
popolo, di assecondarlo nei suoi bisogni e di stimolarlo nei suoi desideri. Di
notevole intuito e fiuto politico, egli rappresento' inoltre e finalmente
"l'uomo forte", di cui gli italiani sentivano una gran necessita' dopo
la drammatica esperienza della 1a Guerra Mondiale. Mussolini era l'uomo d'azione
in grado di imprimere finalmente al paese, dopo tante incertezze, una svolta
decisiva verso il benessere e il progresso.
Mussolini, grazie a sensibilita' e intuito non comuni, sapeva cogliere gli umori
piu' sottili del popolo ed era in grado di dare le risposte che il popolo stesso
si aspettava. In questo egli sembro' aver assimilato alla perfezione le teorie
di Le Bon. In "Psicologia delle folle" lo studioso definisce per la
prima volta le caratteristiche delle masse: la piu' saliente e' il desiderio
inconscio alla sottomissione e il bisogno di essere guidate da un capo. La folla
non possiede idee proprie in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro
individualita' e la loro personalita' cosciente: cio' determina un
affievolimento delle capacita' critiche, mentre si sviluppa un forte senso
d'appartenenza a una identita' collettiva. Di conseguenza la massa tende ad
assimilare idee gia' fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e
una carica di profonda suggest ione: la massa e', per sua natura, dominata
dall'inconscio e dall'impulsivita'.
Le Bon delinea anche le caratteristiche del capo: dev'essere innanzitutto un
uomo d'azione e non di pensiero, perche' la riflessione tende al dubbio e quindi
all'inazione. Dev'essere dotato di grande volonta' e sorretto da un'ideale o da
una fede incrollabile: questo esercita sulle masse una grande forza di
attrazione e coinvolgimento. Idee semplici, affermazioni concise, proclamate
ripetutamente, sono i principali strumenti di persuasione che si basano sulla
facilita' di assimilazione. Le idee semplici favoriscono la loro diffusione per
"contagio". Affermazione, ripetizione e contagio sono gli elementi che
contribuiscono a dar loro credibilita' e prestigio.
Il prestigio e' anche la molla piu' forte di ogni potere. Il prestigio personale
di un capo esercita un fascino magnetico e determina nello stesso tempo
un'autorevolezza che non si presta a contestazioni. Mussolini era un oratore di
consumata abilita'. La sua forza comunicativa si basava su frasi brevi,
pronunciate con tono oracolare e trionfalistico. Faceva un grande uso di
metafore, di terminologie militari (ferro, fuoco, spada, moschetti, baionette,
navi, cannoni) e spiritualistiche (fede, ideale, sacrificio, credere, martire,
missione, comunione).
Proclamava i suoi discorsi con brevi periodi, con martellante ritmo ternario
(nessuno/ puo'/smentirmi!) e con un continuo ricorso all'antitesi ("Voi
oggi mi odiate, perche' mi amate ancora"). Il suo lessico era povero, e
tuttavia ricco di enfasi, di pause sapienti, di richiami eroici e patriottici, e
di genericita' esaltanti proiettate in un indeterminato futuro, e proprio per
questo difficilmente verificabili.
Vent'anni al potere
"Si', sono posseduto da questa smania. Arde, mi rode e
consuma dentro, quale un male fisico: incidere, con la mia volontà, un segno
nel tempo, come il leone con il suo artiglio". Cosi' Mussolini confidava la
propria sfrenata ambizione all'amante e biografa Margherita Sarfatti.
Nell'edizione inglese della biografia compariva anche una nota di colore a
conclusione di una così impegnativa affermazione: e cioè il gesto deciso di
Benito che, per esemplificare meglio il concetto, graffiava imperiosamente lo
schienale di una poltrona da parte a parte.
Tralasciando le note di colore, Mussolini e' rimasto saldamente al potere per
vent'anni, tranquillo, ossequiato da tutti, idolatrato, osannato, acclamato come
un messia. Per vent'anni gli italiani, questo popolo scanzonato, spregiudicato,
menefreghista, l'hanno non solo sopportato, ma sostenuto, imposto al mondo, e
hanno creduto in lui, o almeno hanno dimostrato di credere in lui, nei suoi
slogans, nelle sue frasi piene, rotonde, altisonanti.
Perche', tutto questo? Si e' cercato, da molte parti, di dare una risposta a
questo interrogativo, facendo ricorso alla filosofia, alla storia, alla
psicologia, all'improvvisazione, al caso, e parlando, volta per volta, di
ubriacatura collettiva, di costrizione, di imposizione, di terrore, di
rassegnazione, di fanatismo. Forse una delle spiegazioni si puo' riassumere piu'
semplicemente in una sola parola: informazione.
Domandiamoci per un momento cosa sarebbe stato Mussolini senza i giornali, senza
il giornalismo. Mussolini era un formidabile giornalista, un eccezionale
manipolatore di parole, un persuasore occulto ante litteram, un "public
relations man" di valore superlativo. E in Italia, per una situazione
congenita, ottant'anni fa non molto dissimile da quella di oggi, un uomo di
questo genere poteva facilmente aver partita vinta. Poi, una volta piazzato, una
volta affermato, sempre con gli stessi elementi a disposizione, nella stessa
identica situazione, rimanere a galla. "L'ha detto la televisione"
diciamo oggi, per confortare e avvalorare un fatto, un'idea, un'opinione.
"C'e' scritto sul giornale" dicevano un tempo, quando la televisione
non esisteva ed era la stampa ad avere un enorme potere di condizionamento.
Questa autorevolezza e potere della stampa, paradossalmente, erano accresciuti
dalla sua scarsa diffusione in Italia rispetto agli altri paesi. Tra le
popolazione europee piu' progredite, gli italiani sono ancor'oggi tra coloro che
leggono di meno. Soprattutto allora, bastava che una cosa fosse scritta sul
giornale perche' divenisse dogma, verita' assiomatica, che non si discute.
Il giornale rappresentava la dimostrazione del vero assoluto, soprattutto per
chi non lo leggeva. Ai tempi di Mussolini, quando la radio era appena nata e la
televisione non c'era ancora, e i giornali avevano tirature infinitamente piu'
basse di quelle di oggi e i rotocalchi non esistevano, e le donne e gli uomini
non si sognavano neppure di avere tante idee e fatti a portata di mano con pochi
soldi, allora, davvero, tutto quello che sapeva di carta stampata era
considerato come qualcosa di superiore, di misteriosamente onnipotente, che
suscitava una sorta di timore reverenziale. Bastava una frase pubblicata da un
giornale per influenzare una folla, per indirizzarla a destra o a sinistra,
avanti o indietro, a piacere.
E Mussolini, appunto, era giornalista, un eccellente giornalista che sapeva
accarezzare il fatto, il titolo, il taglio della notizia, in modo magistrale.
Gli italiani, percio', cominciarono a seguire Mussolini, e a credergli in molti,
come giornalista. Lo diceva il giornale, era scritto sul giornale, quindi era
vero. E piu' Mussolini sciabolava, con le sue frasi ad effetto, con i suoi
titoli lapidari, e piu' la gente ci credeva. E anche se erano soltanto cinque
persone su cento che leggevano, effettivamente, quelle frasi, quei titoli, le
affermazioni di Mussolini diventavano realta' per tutti.
E' stato lui dunque, il primo dittatore della storia moderna ad esercitare con
maestria l'arte della propaganda, utilizzando efficacemente i mezzi di
comunicazione di allora, la stampa soprattutto e anche il cinema, ove si
proiettavano i famosi "cinegiornali Luce", documentari nei quali si
esaltavano le imprese del regime e l'immagine carismatica del Duce. In tutta
Italia, fin nei piu' remoti paeselli, manifesti, scritte, sculture e monumenti
proclamavano la sua gloria e il suo nome.
La radio, nuovo e potente mezzo d'informazione, inizio' a trasmettere
regolarmente i suo i discorsi. Nel 1933 fu fondato l'Ente radio-rurale,
un'istituzione che aveva il compito di diffondere apparecchi radio-riceventi
nelle scuole, specialmente rurali, e in tutte le organizzazioni del regime.
Curo' con sempre maggiori attenzioni la sua immagine pubblica, quale poteva
risultate dalle fotografie e dai cinegiornali: assumeva spesso espressioni di
fierezza e spavalderia. Amava mostrarsi sportivo, andava a cavallo, tirava di
scherma, nuotava, giocava a tennis, guidava l'automobile a forte velocita', la
motocicletta, pilotava l'aereo. Gli piaceva mettere in mostra la sua virilita',
la sua prestanza fisica e si faceva fotografare a torso nudo: ginnasta sulla
spiaggia, sciatore sui campi innevati, agricoltore mentre trebbiava il grano con
i contadini.
Questa mania di esibirsi a torso nudo era considerata da Hitler, al quale del
resto mancava il fisico adatto, estremamente indecorosa. Nelle manifestazioni
ufficiali Mussolini appariva sempre piu' spesso in divisa, o in uniformi
militaresche dalle fogge piu' svariate. Va riconosciuto che egli non fu mai
avido di denaro e, anche se ne avrebbe avuto tutte le occasioni, non si
arricchi' mai. Viveva anzi in modo parco, mangiava poco e non si concedeva
nessun lusso o stravaganza. Tutti i suoi figli frequentarono le scuole statali,
senza godere di speciali previlegi.
Cio' che colpiva di Mussolini era il suo magnetismo personale, sottolineato,
specie nelle occasioni pubbliche, da una grande teatralita': la sua capacita' di
arringare le folle, con voce metallica e slogans efficacemente scanditi, con
frasi piene d'effetto e suggestive metafore, era pressoche' inarrivabile ai suoi
contemporanei. Il pubblico del resto mostrava di gradire assai le
"sceneggiate" dal balcone di Piazza Venezia, che suscitavano
invariabilmente scene di entusiasmo e quasi di adorazione, con acclamazioni
festose di "Du-ce! Du-ce!". Persino i suoi piu' accesi detrattori
erano in qualche modo affascinati dal suo carisma e, mescolati alla folla delle
adunate "oceaniche", assistevano ai suoi discorsi con la scusa del
"sentiamo un po' cosa dice oggi quel buffone". Vederlo parlare era un
autentico spettacolo, perche' Mussolini era indubbiamente un grande attore: gli
atteggiamenti istrioneschi, durante i comizi o i discorsi, non si contavano: gli
ammiccamenti, le smorfie, le pose da bullo di periferia, il braccio forzuto che
scandiva le parole, le labbra infuori, il mascellone volitivo...
I caricaturisti ci andavano a nozze. A volte sembrava addirittura che si
autocaricaturasse egli stesso: capitava che, dopo una "sparata"
particolarmente efficace, accompagnasse con plateali gesti di compiacimento cio'
che aveva appena proclamato con fierezza. Uno dei suoi maggiori limiti come uomo
di governo era l'esser un grande accentratore.
Non si fidava di nessuno, e voleva controllare personalmente ogni piu' piccola
minuzia, perdendo una quantita' di tempo in particolari insignificanti. Inoltre
non sopportava d'esser contraddetto. Per questo si circondava di persone
mediocri, che lui poteva dominare facilmente, denunciando in cio' la sua
profonda insicurezza. Chi gli stava attorno tendeva ad assecondarlo in tutto pur
di non irritarlo. La scelta di subordinati cosi' poco capaci fu un grave errore,
perche' il Duce, circondato da quest'alone di onniscienza e infallibilita' che
egli stesso s'era costruito, intimidiva a tal punto che nessuno osava dirgli
nulla.
Poco a poco Mussolini perse in gran parte il contatto con la realta': ignorava
la sit uazione del paese, delle forze armate, dell'esercito, poiche' i suoi piu'
stretti collaboratori gli riferivano solo cio' che presumevano gli avrebbe fatto
piacere, nascondendogli invece i problemi o attenuando le cose negative.
Specialmente negli ultimi anni, a dispetto dei suoi atteggiamenti da
spaccamontagne, le sue incertezze si fecero piu' frequenti: raramente sapeva
prendere o imporre una propria decisione con rapidita' quando le circostanze lo
richiedevano. Era spesso dubbioso, cambiava idea piu' volte al giorno e con i
suoi collaboratori non di rado era vile, sleale, meschino e furbo, pronto alla
bugia e all'inganno. Non esitava inoltre a disfarsi calcolatamente dei suoi
seguaci piu' fidi pur di perseguire i suoi scopi. Era incapace di veri affetti.
Rinchiuso nella torre d'avorio del proprio mito, non poteva contare
sull'amicizia di nessuno, neppure di qualcuno che potesse esprimergli con
franchezza un parere su qualsiasi questione. Egli era un uomo terribilmente
solo, solo con il suo tremendo potere. Sembra che soffrisse di disturbi
psicosomatici allo stomaco, che si acutizzavano quando doveva fronteggiare
situazioni difficili. Negli ultimi anni le continue incertezze, l'incapacita' di
decidere, fecero sospettare che Mussol ini avesse seri problemi di salute
mentale, o addirittura che l'amorazzo con la Petacci, giudicato da chi gli stava
intorno come un patetico amore senile, gli avesse annebbiato le facolta'
mentali.
Ma, all'esterno, il mito di Mussolini resistette fino all'ultimo. Egli dava di
se' l'immagine della persona retta, onesta, quasi paterna, e nello stesso tempo
anche un po' autoritaria come dev'esserlo giust'appunto un buon padre di
famiglia, che pensa esclusivamente al bene dei suoi figli. Perche' Mussolini per
gli italiani era in fondo un grande padre, severo ma giusto, bonario e
protettivo, un padre a cui affidarsi con fiducia, che a tutto provvede
scegliendo sempre per il meglio.
Appena giunto al potere, conscio d'averlo conquistato grazie a una mossa
azzardata, egli si preoccupo' innanzitutto di consolidare la sua posizione:
tranquillizzo' chi vedeva in lui un avventuriero, dando di se' un'immagine
moderata e ragionevole; rassicuro' soprattutto la borghesia, di cui
precedentemente aveva invocato "lo sterminio fisico". Il suo primo
governo, prudentemente, fu un governo di coalizione, di cui i fascisti non erano
nemmeno la maggioranza. Mediante le cosiddette "elezioni truffa",
Mussolini cerco' di dimostrare presto al paese di poter contare su un vasto
consenso.
Creo' il Gran Consiglio del Fascismo, che avrebbe progressivamente esautorato il
parlamento, e "legalizzo'" le sue squadracce armate trasformandole in
milizia personale. Quindi, per conciliarsi e garantirsi l'appoggio delle forze
conservatrici del paese, decise l'ingresso dei nazionalisti nel partito
fascista, con l'elezione di personaggi seri e capaci, che difettavano assai
invece nel suo partito; con alcune decisioni, si ingrazio' clero cattolico e
Vaticano. Riformando la legge elettorale (legge Acerbo), con la quale si
assegnavano i due terzi dei seggi al partito di maggioranza relativa, egli
"blindo'" ulteriormente il suo potere.
Nelle successive elezioni tuttavia Mussolini commise il suo primo e serio passo
falso: con il delitto Matteotti, il parlamentare socialista che oso' denunciare
apertamente il clima di intimidazione in cui si era svolta la consultazione
elettorale, finalmente l'opposizione ebbe una reazione abbastanza decisa
(secessione parlamentare dell'Aventino). Anche la gente, che aveva sopportato
per due anni un clima di crescente intimidazione, di violenza e illegalita' con
progressive limitazioni di tutte le liberta', ebbe un moto di rivolta e
indignazione. Mussolini vide vacillare il suo potere. In questa e altre
circostanze, vennero alla luce due caratteristiche del suo temperamento: la
tendenza a perdersi d'animo di fronte a grosse difficolta' e la grande capacita'
di recupero. Mussolini reagi' alla crisi con un atto di forza: nel famoso
discorso alla camera del 3 gennaio 1925 rivendico' la piena e totale
responsabilita' di quanto era accaduto, e annuncio' le misure restrittive che
sarebbero state chiamate "leggi fascistissime". Poco a poco i giri di
vite contro la liberta' di stampa si faranno sempre piu' stretti, fino al suo
completo soffocamento. Mussolini teneva a bada l'opposizione, quasi inesistente,
o comunque chi poteva dargli fastidio, con la tecnica "del bastone e della
carota": la seconda fu ad esempio impiegata per piegare d'Annunzio, che
nutriva velleita' d'esser il rappresentante di un'alternativa al fascismo e
godeva di notevole seguito in Italia.
Del "poeta-soldato" Mussolini sfrutto' abilmente sia la scarsa
capacita' di leader politico, che tra l'altro si manifestava con continue
incertezze e oscillazioni, sia la continua e inesauribile sete di danaro;
confinato a Gardone nella sua sontuosa villa chiamata il "Vittoriale",
e da lui continuamente abbellita, d'Annunzio ricevette ogni sorta di favori ed
elargizioni purche' se ne stesse buono senza dare fastidio, e non assumesse
alcuna seria iniziativa politica.
La creazione di un impero coloniale, oltre che soddisfare la sua megalomania,
gli servi' per irrobustire l'orgoglio nazionale: Libia, Etiopia, Somalia,
Eritrea e Albania, dovevano servire a "pareggiare i conti" con le
altre potenze coloniali, Francia e Inghilterra soprattutto, e fare dell'Italia
"assetata di gloria e di potenza" la nazione guida dell'Europa e,
perche' no, il faro della civilta' nel mondo.
Cio' rafforzava il suo prestigio in politica interna. Mussolini si diede da fare
anche nel gioco diplomatico internazionale, intervenendo nei tr attati a far da
paciere o da arbitro. La stampa fascista non manco' mai di enfatizzare ed
esaltare i suoi meriti nella risoluzione di complesse trattative. I suoi
"successi internazionali" contribuivano quindi, continuamente esaltati
dal regime, alla sua progressiva "deificazione". Anche nel campo
culturale Mussolini si fece promotore di molte iniziative: al filosofo Giovanni
Gentile affido' la monumentale "Enciclopedia Italiana". Nel 1926 creo'
L'Accademia d'Italia, che assorbi' l'antica e prestigiosa Accademia dei Lincei.
Questo gli consenti' di asservire tanti intellettuali attirati dai privilegi che
la nomina di accademico conferiva loro. Nella prima "infornata" di
accademici, tutti da lui personalmente designati, v'erano Marinetti, Mascagni,
Pirandello, Fermi: Guglielmo Marconi ne divenne successivamente il presidente.
Tutti questi bei nomi dell'arte e della scienza gli servivano in realta' come
specchietto per le allodole, per dare lustro e prestigio al regime.
Incentivo' il cinema, il teatro, l'arte e l'architettura. In quest'ultimo campo,
al pari di altre architetture di regime, lascio' l'impronta di un'architettura
gigantesca e magniloquente, come simbolo del potere e della grandezza
dell'ideologia fascista. Certo e' che per un ventennio l'Italia, sotto il
fascismo, rimase nel complesso isolata dalle piu' vive correnti culturali e
artistiche europee e mondiali, chiusa all'interno di una mediocrita' provinciale
che il regime esaltava come propria virtu' (lo strapaese). Ne' cio' avveniva per
caso: l'abbassamento del livello culturale faceva parte della strategia politica
di un regime che aveva sospinto la popolazione a credere nei miti piuttosto che
a ragionare, a scambiare la retorica con la realta', a delegare ogni decisione
al Duce, dal momento che egli "aveva sempre ragione".
Mussolini tuttavia si rendeva conto che il fascismo fino a quel momento non
aveva una base ideologica abbastanza forte, convincente: fu proprio Gentile
allora a impegnarsi a "costruirne" una su misura. Anzi, ancor meglio,
il fascismo nella concezione mussoliniana e gentiliana diventava migliore di
qualsiasi altra ideologia: era dottrina, fede, religione! Ecco che allora nei
testi elaborati dal Partito Nazionale Fascista abbondavano termini come
"martire", "credente", "sacrificio",
"devozione al duce", "fed e fascista", "dottrina
fascista", "mistica fascista", "comandamenti",
"catechismi".
Il profeta di questa nuova religione era al principio Mussolini, sino a che non
ne divenne il Dio stesso. Nel motto "credere-obbedire-combattere" c'e'
tutta l'ideologia fascista concentrata: c'e' la religione, c'e' la scomparsa del
pensiero critico, c'e' la violenza. Augusto Turati, nuovo segretario del PNF
succeduto a Farinacci nel 1926, istituzionalizzo' il culto del capo; Giuseppe
Bottai, uno dei migliori giornalisti del regime, lo rese intellettualmente
rispettabile, proclamando a piu' riprese la propria convinzione che nessuna
figura della storia reggeva il confronto con quest'uomo eccezionale; il fratello
Arnaldo, dalle colonne del Popolo d'Italia, lo santificava ogni giorno: Il Duce,
il principale statista d'Europa, aveva messo la sua saggezza, il suo eroismo ed
il suo enorme intelletto al servizio del suo popolo. La sua persona doveva
essere pertanto sacra e inviolabile.
Nel 1926-1927 la religione del ducismo era ormai in pieno sviluppo: gli
insegnanti ebbero l'ordine di esaltare questa figura solitaria, di mettere in
risalto il suo interesse, il suo meraviglioso coraggio e la sua mente brillante,
e di spiegare che l'obbedienza ad un tale uomo era la virtu' suprema. Mussolini
venne paragonato ad Aristotele, Kant e Tommaso d'Aquino. Egli era il massimo
genio della storia d'Italia, piu' grande di Dante o di Michelangelo, piu' grande
di Washington, Lincoln o Napoleone. Era in realta' un Dio, ed i gerarchi del
fascismo dovevano considerarsi i suoi sacerdoti. Questa figura leggendaria
divenne piu' umanamente famigliare attraverso la biografia scritta dalla
Sarfatti, di cui Mussolini stesso corresse le bozze; solo molto piu' tardi,
quando la Sarfatti aveva ceduto il posto ad altre amanti, ammise che il libro
era intessuto di ridicole sciocchezze.
"E' una bottega di chincaglierie" disse: "permisi che fosse
pubblicato perche' ai fini della propaganda le invenzioni sono piu' utili della
verita'". Mussolini avvio' importanti riforme economiche, nel campo del
lavoro, dell'industria e dell'agricoltura, e diede inizio a rilevanti opere
pubbliche; queste gli servivano per dare prove tangibili al popolo che il
fascismo produceva non solo chiacchiere ma fatti concreti. Tra le piu' citate,
le bonifiche dei terreni paludosi dell'Agro Pontino.
Con "La battaglia del grano", Mussolini persegui' l'intento di
aumentare la produzione di cereali, nel quadro di quella famosa
"autarchia" che, in caso di guerra, avrebbe reso l'Italia
autosufficiente. Cio' gli serviva anche per tenere i contadini nelle campagne,
giacche' non vedeva di buon occhio l'eccessiva urbanizzazione: nelle campagne si
pensa solo a lavorare sodo, nelle citta' la gente parla e pensa troppo. Con la
"Carta del Lavoro" (aprile 1927), che i propagandisti salutarono come
"La Magna Charta" della rivoluzione fascista, il regime stabili'
alcuni diritti-doveri del lavoratore: la giornata lavorativa di otto ore, la
cassa malattie, le pensioni di vecchiaia, l'assistenza alla maternita', le
vacanze organizzate a cura del Dopolavoro.
Gli articoli della Carta tuttavia rimasero in gran parte una pura dichiarazione
di principi, per via dell'arretratezza dell'organizzazione statale. Nella
concezione fascista il lavoro, inquadrato nelle varie corpo razioni, divenne un
dovere sociale, e lo sciopero un reato perseguibile penalmente. Egli dunque
"fascistizzo'" progressivamente lo Stato: "Il fascismo dev'essere
come il sangue in un corpo" affermo', e quindi lo Stato,
Lo Stato Fascista, avrebbe dovuto predominare in ogni aspetto della vita
sociale, politica e culturale. Di qui la famosa massima "Tutto nello Stato,
niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato". Neppure la
gioventu' fu risparmiata dall'indottrinamento; anzi, il regime considerava
fondamentale "addestrare" gli italiani al regime fascista fin quasi
dalla nascita: la "Gioventu' Italiana del Littorio" aveva appunto il
compito di creare un uomo che fosse, per cosi' dire, naturalmente fascista, che
vivesse e pensasse "spontaneamente", grazie ad una meticolosa
educazione, da fascista. Il fascismo entrava cosi', poco a poco, non solo in
ogni apparato dello Stato ma nella vita sociale e privata di ogni cittadino:
nelle nuove generazioni, esso entrava nelle loro mentalita' fin dall'infanzia.
Parallelamente a questo condizionamento capillare, ogni opposizione era messa a
tacer e. Partiti e sindacati furono dichiarati illegali e quindi soppressi, i
giornali che non si adeguavano al regime chiusi d'imperio. Gli oppositori
politici bastonati, messi in galera o mandati al confino, a volte assassinati.
Fu creato il "Tribunale speciale per la difesa dello Stato" come
strumento di repressione politica. Grazie all'Ovra, il servizio segreto del
regime, si instauro' un autentico clima di terrore. Nel giro di un decennio
dalla presa del potere, la ferrea dittatura fascista era compiuta. Non si pensi
tuttavia che Mussolini abbia mantenuto il potere cosi' a lungo solamente in
ragione della forza e della dittatura: fino alla tragica decisione di entrare in
guerra a fianco di Hitler, egli godette di un larghissimo consenso in ampi
strati della popolazione, anche da parte di fior di intellettuali, letteralmente
soggiogati dalla sua forte personalita'.
Mussolini godeva di un indubbio prestigio anche all'estero. Lo stesso Churchill
aveva sempre avuto espressioni di rispetto nei suoi confronti. Si puo' dire che
il suo declino inizio' con l'entrata in guerra, un'avventura che lui solo,
pensavano gli italiani, aveva voluto. E quando divenne evidente a tutti che le
cose si mettevano male, in quel momento Mussolini divento' non il primo
responsabile del disastro, ma il responsabile unico.
Lui stesso ammise d'esser diventato "l'uomo piu' odiato dagli
italiani". Proprio quei tratti caratteriali sui quali si era cos truito il
suo mito, erano ora violentemente disconosciuti e rovesciati: il coraggio fisico
e morale diventava vigliaccheria, l'assoluta probita'
Hanno detto di lui
"Gli idoli o si adorano o si rovesciano". Ecco
spiegato con una frase sola perchè Mussolini e' al tempo stesso l'uomo più
amato e odiato del mondo". Così si esprime Margherita Sarfatti nella sua
affascinata biografia dedicata al Duce. "Io per conto mio" continua
l'autrice "a parte il fascino che esercita il suo genio antiveggente, ho
cercato sempre di spiegarmi il fenomeno Mussolini".
La Sarfatti non e' l'unica ad aver perseguito questo intento. Benito Mussolini
e' stato un personaggio contraddittorio e, per certi versi, misterioso. In molti
si sono chiesti le ragioni del suo incredibile successo. Chi lo considerava un
genio, chi un grande statista, chi poco più di un cialtrone demagogo. Ci pare
dunque interessante offrire una panoramica di giudizi espressi sulla stampa
nazionale e internazionale, nell'intento di capire chi e' stato Benito Mussolini.
Come una dinamo
"Entrate nella sala dinamo d'una officina di forza
motrice e il vostro cuoio capelluto comincia a crepitare sotto l'effetto dell'elettricita'
di cui l'aria e' satura. Trovarsi in presenza di Mussolini produce sullo spirito
un effetto identico, egli spande energia come una stufa il calore".
G. Ward Price, I Know these dictators, 1938
Mussolini l'arcitaliano
"Mussolini suscita intorno a sé un delirio, un
fremito, una commozione tali, che hanno cause intime e piu' profonde. Gia'
dicemmo che il popolo italiano sente -sentimento oscuro ma infallibile, come
tutte le grandi emozioni collettive- che Mussolini e' la sua piu' pura
espressione. In Lui si assommano quelle che sono le caratteristiche virtu' della
nostra razza mirabile. Egli e' l'anima, la voce, la coscienza del nostro popolo.
La folla ascoltandolo comprende confusamente questo, e il suo applauso e' grido
di gioia per aver trovato un tale interprete del suo sentimento profondo".
Ida Avetta, Mussolini e la folla 1927.
Il grande capo
"Per comprendere qualcosa nel Fascismo, non si puo'
prescindere dalla personalita' del suo fondatore e del suo capo: Benito
Mussolini. Egli e', sostanzialmente, l'animatore del movimento; una specie di
grande attore che emerge in una compagnia di guitti. I dirigenti del Fascismo
che lo circondano non procedono oltre la piu' borghese mediocrita': uomini
volonterosi, desiderosi di fare, di emergere, tutto quel che si vuole, ma uomini
assolutamente mediocri, quasi tutti orecchianti attorno ai molti problemi ed
argomenti sui quali discorrono, giudicano e mandano. Mussolini emerge su di loro
spiccatamente, in modo assoluto, non tanto per vigori'a intellettuale, per
preparazione culturale, tecnica, concreta, quanto per la prepotenza della sua
personalita'. E' un uomo che non lascia indifferenti, che s'impone
all'attenzione di tutti, sia per il feticismo sia per l'odio che desta. Lo si
ama o lo si ammira sino al delirio, o lo si odia irrimediabilmente: lo si puo'
giudicare un arrivista, un pazzoide, un uomo del dest ino, un messo di Dio.
Tutto cio' conta poco, quel che conta e' la sua personalita', che s'impone
all'ammirazione o alla denigrazione dei suoi contemporanei.
Deputato al parlamento, Il fascismo. Origini,
sviluppo e finalita', 1922.
Il suo socialismo
"La concezione del socialismo, in Mussolini, non e' mai
stata riformista e neppure sindacalista. Egli non ha mai creduto nelle conquiste
del voto e nell'organizzazione operaia: bensi' ha creduto nell'insurrezione a
mano armata, nei colpi violenti delle minoranze, insomma nell'azione
diretta".
Giuseppe Prezzolini, Quattro scoperte, 1927
L'opportunista
"Bisogna riconoscere che Mussolini, oltre alla fortuna,
ha certe doti necessarie per approfittarne. La sua intelligenza non e' certo ne'
profonda ne' originale; ma e' vivace e assimilatrice. La sua intuizione manca di
vastita' ed e' incapace di generalizzazione; ma e' rapida e sicura nel saper
cogliere l'opportunita' del momento: egli non ha torto quando si vanta di essere
"tempista". Mussolini manca di una volonta' logica, continuativa,
costruttiva; ma e' abilissimo nel ripiego. [...]
L'istrione
La sua energia non ha nulla d'intimo e di reale: essa e'
soltanto esteriore e verbale, ma e' straordinariamente pronta nello scoprire la
debolezza dell'avversario e nello sfruttarla fino alle ultime conseguenze".
[...] "I libri che ha scritto Mussolini sono pietosi, senza nerbo e senza
scheletro; ma come articolista ha una valore indubbio. Infine egli ha una
potenza di lavoro poco comune; un'eloquenza che non manca d'efficacia, anche
quando ricorre ai luoghi comuni della piu' bassa demagogia; una penetrazione
psicologica istintiva ed acuta". [...] "L'istrionismo di Mussolini,
invece, merita di essere illustrato ampiamente. E' un soggetto che basterebbe da
solo per un libro, ed e' senza dubbio la vera chiave del suo successo. Io nego a
Mussolini ogni altra genialita'; ma non esito a ripetere che, come istrione, e'
veramente un genio". [...]
Il grande attore I
"Le sue doti d'attore sono notevoli. Nessun politico
moderno, fatta eccezione forse per Trotzky, e' cosi' buon attore". [...]
Il grande attore II
"Egli vive -o piuttosto, ha sempre vissuto- recitando
una parte come un attore sul palcoscenico: di socialista rivoluzionario
intransigente; di neutralista feroce; di interventista furibondo, di rinnovatore
audace; di reazionario ad oltranza. Ed e' onesto riconoscere che ognuna di
queste parti e' stata da lui recitata sempre alla perfezione. [...] La migliore
scusa per coloro che anche oggi si fanno ingannare dalla sua abilita' di
commediante, e' che in precedenza e' riuscito a ingannare tutti quelli che ha
voluto ingannare, senza eccezione. Uomini di notevole intelligenza, di acuto
giudizio, di consumata esperienza, ci sono cascati, non meno delle folle ignare
su cui ha fatto le prime prove. Io credo che Mussolini riesca ad ingannare anche
se' stesso, perche' anche di fronte a se' stesso non cessa di recitare la sua
parte. Sarebbe troppo poco dire che l'istrionismo e' in lui una seconda natura.
No, e' la sua natura, senza piu' e senza meno".
Alceste De Ambris, Mussolini. La leggenda e
l'uomo, 1930. Sindacalista e rivoluzionario, esule.
L'Italia di Mussolini
"Nel dopoguerra l'Italia era caduta nell'abisso del
bolscevismo e ridotta alla carestia: Mussolini le dette l'unico rimedio in grado
di salvarla dalla rovina: il manganello; gli italiani non s'interessavano
affatto dei loro diritti personali, ne' delle liberta' politiche; essi non
pensano che a mangiare a proliferare".
Gaetano Salvemini, Mussolini Diplomate, 1932
L'ambizioso
"Una sola cosa gli premeva: l'affermazione della sua
persona. Le idee, i valori, le fedi in tanto valevano in quanto potevano farsi
strumento della sua ambizione". [...]
Il dominatore
"La figura di Mussolini domina il mondo contemporaneo
da piu' di quindici anni, longum humani aevi spatium, secondo Tacito. Ammirato,
amato fino all'idolatria dagli uni, odiato, maledetto dagli altri, non e'
indifferente a nessuno. Quale che sia il prestigio di Hitler, l'interesse
suscitato ieri da Lenin, oggi da Stalin, quale che sia il credito di cui gode
Franklin Roosvelt, il Duce domina tutti i condottieri di popoli. [...]
Senza opposizione
"Mussolini trionfo' per la quasi universale diserzione,
attraverso una lunga rete di sapienti compromessi. Solo alcune ristrette
minoranze di proletari e di intellettuali ebbero l'ardire di affrontarlo con
radicale intransigenza sin dagli inizi." [...]
Mussolini e gli italiani
"Mussolini fornisce la misura della sua banalita'
quando considera il problema della autorita' e della disciplina come il problema
pedagogico essenziale per gli italiani. Vivaddio non e' questo che occorre
insegnare agli italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono
tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna rivoluzione di
popolo. In tutte le sue epoche della sua storia il popolo italiano ha
sprigionato dal suo seno punte altissime, solitarie, inaccessibili; minoranze
eroiche, ferrei caratteri; ma non ha saputo mai realizzare se' stesso. L'Italia
fu la grande assente nelle lotte di religione, lievito massimo del liberalismo,
atto di nascita dell'uomo moderno".
Carlo Rosselli, Socialismo liberale, 1930.
Un genio?
"Il signor Mussolini ha o non ha del genio? Io non mi
stupirei che ne avesse, ma nell'impossibilita' in cui sono al momento di
giudicare, io ripetero' cosi' cio' che un gran numero di italiani che l'attende
all'opera dice: "aspettiamo".
Ludovic Naudeau, L'Italie fasciste ou l'autre danger,
1927, Pubblicista francese.
Un genio!
"Mussolini e' un Genio che non ha nulla di nevropatico,
nulla di psicopatico, che non manifesta abnormita' nei fenomeni intellettuali,
sia nei sentimenti, sia negli atti; che ha di superiore la percezione pronta,
esatta, non superficiale, ma profondissima della realta', anche di quelle che
sfuggono ai competenti nello studio delle singole categorie di fenomeni. Mai
illuso, sempre chiaroveggente, ha di mirabile la capacita' di un rapidissimo
passaggio dalla percezione alla concezione delle azioni opportune alla
contingenza, al servizio di un Ideale, grandissimo, e la pronta creazione
stessa; ed e' proprio perche' si tratta di servire un Ideale elevato e fulgido
che la concezione come la sua azione e' grandemente innovatrice".
Giovanni Fabrizi, La individualita' psichica di Benito
Mussolini, 1926. Psicologo.
L'oratore
"Come uomo d'azione , il Mussolini ha, senza alcun
dubbio, qualita' eminenti: rapido colpo d'occhio intuitivo, tempestiva audacia,
risoluzione pronta, ferma tenacia, parola icastica e fascinatrice. Della sua
eloquenza si son dette tante cose ed alcuni hanno prodotta l'adulazione sino al
punto di dichiararlo piu' grande, non diro' di Demostene, ma di Mirabeau, di
Danton, di Vergniaud. La verita' e' che i suoi discorsi producono spesso
un'impressione profonda, ma e' tutta in quell'attimo, ed all'uomo d'azione e'
quell'attimo che serve; ma non resistono alla lettura, perche' sempre il
contenuto e' trattato approssimativamente, niente approfondito e verificato,
niente in armonia con tutto un mondo di pensieri, al quale un'anima e' legata, e
spesso, a ben considerare, vengon su delle cose o strampalate o grossolanamente
errate o false e talora la mistificazione e l'equivoco vi sono spinti fino al
lirismo".
Generale Filareti (Carlo Alemagni), In margine del
fascismo, 1925. Giornalista liberale.
Come Machiavelli
"Mussolini sostiene fermamente che i princi'pi di
Machiavelli sono praticabili e applicabili nel 1928 cosi' come lo erano ai tempi
di Cesare Borgia, che e' un altro degli idoli che s'e' scelto. Secondo il codice
etico machiavelliano cose come coercizione, intimidazione, corruzione e in
verita' le piu' evidenti violazioni del decalogo non sono comunemente ammesse,
salvo che esse siano illuminate dall'arte di governo, nel qual caso diventano
azioni commendevoli e meritorie".
John Bond, Mussolini the wild man of Europe, 1929.
Attore d'una tragedia
"Quando un avventuriero come Mussolini puo' giungere al
potere, vuol dire che il paese non e' ne' sano ne' maturo. Bisogna che gli
italiani si sbarazzino di Mussolini, ma bisogna anche che si sbarazzino dei
difetti che hanno permesso la vittoria del fascismo. L'Italia e' il classico
paese degli eroi. In un paese nel quale si e' formata una coscienza collettiva,
non si hanno ne' dittatori ne' attentatori. L'eroe che, come Lucetti, come
Schirru, si leva, solo, contro il tiranno, e' l'espressione di un bisogno ideale
di un paese depresso; e' la compensazione psichica di una degradazione
collettiva. [...] Tutto il Risorgimento e' pieno di azioni individuali, di
spedizioni folli di eroismo, ma anche di numerose e prolungate vilta'. Noi
abbiamo sempre avuto dittatori, demiurghi ministeriali, grandi agitatori e
manipolatori di maggioranze parlamentari. L'individualita' e' sempre stata la
nota dominante della vita pubblica italiana". [...] "Tutta la
situazione italiana ha portato alla dittatura, ha determinato le suc cessive
fasi del fascismo. E' infantile il credere che tutto questo sia stato il
prodotto della volonta' e dell'intelligenza di un uomo. Mussolini non e' stato e
non e' che un attore della tragedia italiana. Ma un paese non e' un teatro, e il
marasma economico, le carceri piene di innocenti, le isole del confino, il
Tribunale Speciale, l'inquisizione poliziesca, la milizia, l'esilio, tutto cio'
dimostra che arrivare al potere e' piu' facile che essere un uomo di
Stato".
Camillo Berneri, Mussolini, Psicologia di un dittatore,
1932. Esponente anarchico.
Formidabile ruffiano
"La sua carriera e' quella del piu' formidabile
ruffiano e uomo di genio che ci sia nella storia moderna". [...]
L'orgoglioso
"Si possono tirare alcune indicazioni dai tratti
complessi del carattere di Mussolini per comprendere i motivi del suo potere.
Per prima cosa egli possiede solidita' e resistenza in un paese che spesso ne e'
privo. Malgrado tutte le sue rodomontate e fanfaronate la sua intelligenza e'
fredda, analitica, deduttiva ed estremamente realista. Il suo egoismo
scintillante e' simpatico agli italiani. Il suo orgoglio e' evidentemente fuori
misura; per esempio stabilizzo' la lira ad una quota troppo alta, piu' che altro
per superare la quota francese". [...]
Il capo carismatico
"Al di sopra d'ogni altra cosa egli possiede un
magnetismo fisico intenso. La sua vitalita' si esprime in ogni suo gesto; quando
saluta, per esempio, lancia il suo braccio con una tale forza che pare possa
cadergli la mano. Questa vitalita' e' eccessivamente contagiosa. Quando passa in
rassegna le truppe, la sua presenza ha quasi l'effetto di una scarica
elettrica".
John Gunther, Inside Europe, 1936. Giornalista
statunitense.
L'uomo di stato
"Mussolini non ha nulla d'un genio; egli, come e'
giustamente rilevato da Bolton King, non possiede che le "qualita'
inferiori dell'uomo di Stato"; ma le possiede in altissimo grado. Infine la
sua forza e' stata fatta soprattutto della debolezza dei suoi avversari".
Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 1938.
Dirigente socialista.
Il suo segreto
"I giornali, grandi e piccoli, di cui egli fu
direttore, furono sempre scandalistici e mercenari. I suoi articoli di fondo,
senza scrupolo e completamente privi di logica e di notizie esatte, avevano non
di rado una certa efficacia per i sarcasmi e le minacce. Altrettanto si puo'
dire per i suoi discorsi, il cui segreto, come del resto quello dei suoi
scritti, consisteva nella totale mancanza di parole come "forse" o di
altra che potesse infondere un minimo senso di dubbio. Nocciolo o polpa della
sua prosa, scritta o parlata, e' il dogmatismo improvvisato, in un ritmo
martellante. Qualunque cosa egli abbia detto o pensato ieri, anche se, e
specialmente e', il contrario di cio' che egli pensa o dice oggi, e' dimenticata
da lui stesso, e cosi' deve esserlo da coloro che lo leggono o lo
ascoltano". [...]
Studioso mancato
"Mussolini, benche' lo nascondesse con cura, si rendeva
conto dell'inferiorita', non solo delle sue origini sociali ma della qualita'
degli studi. Cerco' di rimediarvi con un dogmatismo urlante; un espediente per
passare gli esami. Lo studioso mancato e il poeta deluso lavorarono nel
sopravvissuto uomo politico. Mussolini utilizzo' queste sue aspirazioni
pervertendone i fini".
Giuseppe Antonio Borgese, Golia, Marcia del fascismo,
1938.
Gli ideali
"Anarchico? No. Chiamarlo anarchico sarebbe ingiusto
verso la tradizione e la fede di uomini quali Baku'nin, Kropotkin, Reclus e
Malatesta, apostoli dello spirito libertario e dell'abolizione del potere;
mentre Mussolini non e' stato altro, in realta', che un autoritario in cerca
della conquista ed esercizio del potere". [...] "Egli cerco' di
attingere, dalla gradevole lettura spicciola dei periodici e dall'eccitante
letteratura rivoluzionaria, quegli elementi che, ad un tempo, stimolavano,
potenziavano, e davano una certa veste intellettuale al suo spirito ribelle.
C'e' poco o nulla che egli abbia letto e ponderato senza farlo valere a buon
conto per se' stesso. [...] "Questa capacita' istrionica di assumere
atteggiamenti di ardente devozione e dedizione e' sempre stata una delle
principali sorgenti del suo ascendente politico come agitatore e come capo, e
spiega sia il suo grande successo personale quando predicava il vangelo
socialista, sia il perche' molti italiani, non simpatizzanti per le teorie
fasciste, possano essere, ciononostante, sinceramente mussoliniani." [...]
"In realta', Mussolini, non ha mai avuto altra fede che in se stesso, ma si
e' sempre reso buon conto che gli uomini in generale hanno assoluto bisogno di
una fede". [...] "Tutte le divagazioni, tutte le capriole morali e
dottrinarie di Mussolini, tutta la sua mutevole dedizione alle teorie politiche
piu' svariate e contraddittorie, assumono un carattere omogeneo ed organico,
qualora si inquadrino nella sua incommensurabile volonta' di dominio".
Gaudens Megaro, Mussolini in the making, 1938.
Novello Napoleone
Per trovare un termine di paragone che permetta di parlare
di lui adeguatamente bisogna risalire a Napoleone. La sua immagine e' familiare
a tutti e anche la sua voce grazie al cinema sonoro, con i suoi grandi occhi
neri che lanciano lampi, sembra affascinare i suoi contemporanei dal primo
all'ultimo". [...]
Come Zarathustra
"Benito Mussolini ha qualcosa di inumano come lo
Zarathustra di Nietzsche, del quale meditava le sentenze ai tempi della
gioventu', quando conduceva in Svizzera la dura vita dell'emigrante. Mai
condottiero d'uomini fu piu' vicino a coloro che aveva raccolto sotto la sua
legge, piu' vicino soprattutto a quella che Pierre Hamp ha chiamato la
"pena degli uomini", perche' nessuno come lui l'ha conosciuta e l'ha
provata. Ma questo manovratore di folle, questo costruttore di una citta' nuova,
questo capo innamorato della sua patria e il cui lungo sforzo ininterrotto e'
indirizzato alla grandezza e al benessere di questa, e' e rimane un grande
solitario".
Fernand Hayward, Presentation de l'Italie, 1939.
Italianista francese.
Il miglior regime possibile
"Il Duce ha imposto la sua volonta' magnetica e
fascinatrice a 42 milioni di esseri umani. E nella grande massa del popolo sono
pochi quelli che s'indignano, protestano per la perdita dei poteri politici. Il
regime fascista, cosi' com'e', e' sostenuto in Italia come il migliore del
mondo. Tranne qualche migliaio di intellettuali e di idealisti, il paese lo
trova pienamente soddisfacente".
Paul Gentizon, Rome sous le faisceau, 1933.
Corrispondente del "Temps".
Pover'uomo
"Mio marito pareva un leone, e invece, tutto sommato,
era un pover'uomo".
Rachele Mussolini, da "Mussolini" di Denis
Mack Smith.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE, FOLLIA COLLETTIVA
La Seconda Guerra Mondiale segna una tragica svolta nella
storia dell'umanita': come dice Gaston Bouthoul, si e' trattato del "piu'
violento e spettacolare tra tutti i fenomeni sociali". Per l'estensione
territoriale, per le forze in campo, per il coinvolgimento
"planetario" nel conflitto, per i milioni di morti. Al termine della
guerra, le rovine materiali e morali e le perdite, in beni e uomini, non sono
paragonabili in alcun modo ai problemi che l'hanno fatta esplodere.
Questa sproporzione assurda tra causa ed effetto ci da' la misura di una sorta
di "impazzimento collettivo", culminato prima con lo sterminio
"scientifico" degli ebrei, poi con l'esplosione della bomba atomica su
Hiroshima. Stermini di massa inconcepibili prima di allora, e che ancor'oggi ci
appaiono incredibilmente assurdi. Ma, forse, la cosa piu' tremenda e' pensare
che questa follia collettiva e' stata innescata da una sola persona, Hitler. Una
sola persona che ha determinato il destino di milioni di uomini. Noi riteniamo
che esista, oltre a una "identita' psichica" dell'individuo, anche un'identita'
collettiva che influisce anch'essa sui singoli con analoghi meccanismi, forse
non ancora del tutto conosciuti.
Le Bon e' stato probabilmente il primo a intuire che anche le masse possedevano
una loro psicologia, in grado di essere influenzata conoscendone i processi
mentali. Ma come nasce un dittatore? Quali sono le cause che ne determinano o
favoriscono l'avvento? La risposta non e' facile, perche' e' la somma di molte e
complesse circostanze. Anche la guerra, che la logica di ognuno di noi condanna
e deplora, nonostante l'avversione di milioni di uomini si scatena ugualmente
con effetti imprevedibili. Tutti siamo d'accordo nel dire che la guerra e' una
barbarie senza alcuna giustificazione, una follia. Eppure le guerre esistono da
quando esiste l'uomo. Cosi' come puo' improvvisamente impazzire un singolo
individuo, puo' evidentemente "impazzire" anche una collettivita', un
intero popolo e persino tutta l'umanita', trascinata magari da pochi individui
piu' "pazzi" degli altri. Il fatto che ci si renda conto di questo
quand'e' ormai troppo tardi, o magari col senno di poi, dovrebbe preoccupare
parecchio i nostri contemporanei, che magari pensano che tutto cio' non possa
ripetersi, esattamente come chi riteneva improbabile un secondo conflitto dopo
la tremenda esperienza della prima guerra mondiale.
Albert Einstein, in una sua famosa frase, disse che una quarta guerra mondiale
si sarebbe combattuta con la clava, in quanto la terza avrebbe distrutto ogni
forma di civilta'. Forse una prospettiva del genere puo' essere, oggi, un
deterrente abbastanza forte per impedire un'ennesima catastrofe, anche se il
filosofo Benedetto Croce ammoniva tristemente che "Tutto il peggio del
peggior passato puo' sempre tornare".
Psicologia di un dittatore
E' davvero singolare come Mussolini e Hitler, sia pure nella
loro diversita', abbiano molti elementi in comune: le modeste origini, l'esser
stati ai margini della societa' per un certo periodo d'anni, la scarsa carriera
militare sotto le armi durante la prima guerra mondiale, il ferimento, la brama
di gloria, la sorprendente ascesa al potere e il dominio assoluto su milioni di
uomini, quindi la tragica fine. Curiosamente, sfogliando le fotografie giovanili
dei due futuri dittatori, possiamo vedere che nessuno dei due aveva una
posizione dominante o preminente rispetto agli altri. In nessuna foto abbiamo
visto atteggiamenti scherzosi o sorridenti coi compagni. Hitler specialmente,
appare nelle fotografie sempre in disparte, in posizioni defilate, con l'aria di
pensare esclusivamente ai fatti suoi.
Ben pochi, vedendolo in quelle foto, avrebbero potuto supporre che in pochi anni
quel personaggio schivo e musone sarebbe diventato un demonio che avrebbe
trascinato la Germania e il mondo intero alla rovina. Hitler agli inizi vedeva
in Mussolini un maestro, tantoche' arrivo' persino a chiedergli, mentre era in
carcere dopo il fallito putsch a Monaco, una foto autografa, che il Duce gli
nego'. Hitler ammirava sinceramente Mussolini, non ricambiato. Il Duce, specie
all'inizio, non poteva soffrire quell'omuncolo chiacchierone col suo codazzo di
gerarchi presuntuosi e arroganti: gli era fortemente antipatico.
Il suo intuito poi gli aveva suggerito che dietro a quell'ometto coi ridicoli
baffi alla Chaplin si nascondeva un pericoloso fanatico. Ben presto pero'
l'allievo, diventato Führer, supero' il suo maestro: Mussolini si rese ben
presto conto che quell'ometto coi baffi and ava preso sul serio, molto sul
serio. Lui, Mussolini, che coi suoi grandi sogni di gloria di rifondare un nuovo
impero romano, si ritrovava a capo dell'Italia con le sue magre conquiste,
L'Etiopia e la Libia, un "cassone di sale" e un "cassone di
sabbia", guardava a Hitler con invidia: egli poteva disporre del popolo
tedesco, 70 milioni di uomini pronti a marciare compatti dietro al loro
condottiero, alla conquista dell'Europa.
Non come lui che doveva guidare gli italiani, molli, indisciplinati e per niente
guerreschi. Di questo se ne lamentava, magari con una delle sue sferzanti
sentenze: "E' la materia che mi manca. Anche Michelangelo aveva bisogno del
marmo per fare le statue: se avesse avuto soltanto dell'argilla, sarebbe stato
un ceramista". E quanta considerazione avesse per il popolo italiano lo si
capisce da un'altra sua celebre frase: "E' umiliante stare con le mani in
mano mentre gli altri scrivono la storia. Poco conta chi vince. Per fare grande
un popolo bisogna portarlo al combattimento magari a calci in culo".
Mussolini dunque inizia a un certo punto la sua rovinosa rincorsa al dittatore
tedesco, che gli ruba ora continuamente la scena internazionale: assolutamente
sicuro che la Germania avrebbe vinto la guerra, non puo' accettare di rimanere
escluso dalla vittoria, di rinunciare a ritagliarsi anche lui un posto al sole,
a un po' di gloria.
"Mi bastano poche migliaia di morti per sedere al tavolo della pace"
dira' cinicamente. Mussolini diverra' a tal punto succube di Hitler da subire le
umilianti "chiamate col campanello", in cui il dittatore tedesco lo
informava della situazione a cose fatte, e gli infliggeva ore ed ore di
torrenziali e noiosissimi monologhi. Sia Mussolini che Hitler furono grandi
oratori, abili propagandisti e trascinatori di folle. Si puo' dire pero' che
furono uomini tragicamente soli, senza amici veri. Morirono a pochi giorni uno
dall'altro, con le rispettive amanti: Mussolini fucilato dai partigiani mentre
era in fuga insieme a Claretta Petacci, Hitler suicida con Eva Braun nel bunker
di Ber lino, ormai preso d'assedio dall'esercito russo.
Psicanalisi di un dittatore
E' lecito chiedersi per quali ragioni uomini come Mussolini
o Hitler siano diventati cio' che sono stati. Nel caso di Hitler poi, questo
interrogativo e' ancor piu' inquietante considerate le terribili conseguenze che
egli determino' per la sorte di interi popoli. Ma quali furono le circostanze
che permisero ad un uomo come Hitler, che per lunghi anni visse come uno
sfaccendato senza arte ne' parte, vivacchiando alla giornata ed elemosinando un
piatto di minestra come il piu' miserabile dei falliti, a raggiungere nel giro
di pochissimi anni il vertice assoluto della nazione tedesca, e addirittura a
dominare l'Europa intera e a trascinare il mondo in una spaventosa guerra
mondiale con milioni di morti? Una chiave di lettura molto interessante ce la
offre Walter C. Langer, uno dei piu' autorevoli psicanalisti americani. Nato in
Austria, esercito' la professione a Vienna fino al 1938, per poi emigrare negli
Stati Uniti in seguito all'Anschluss.
Nel 1943 ricevette l'incarico dall'Oss, il servizio di informazioni
statunitense, di redigere uno studio sulla personalita' di Adolf Hitler, con
l'intento di capirne meglio la psicologia e prevederne quindi in qualche modo le
mosse. Era un'impresa tutt'altro che facile, visto che il soggetto dell'analisi
non poteva certo esser avvicinato in alcun modo. Langer e il suo staff
studiarono meticolosamente una grande moltitudine di documenti, libri,
testimonianze, interrogarono centinaia di persone che in qualche modo avevano
avuto rapporti con Hitler, analizzarono ogni sorta di informazione disponibile.
Ne usci' un ritratto per certi versi sconvolgente, che ha mantenuto la sua
validita' anche alla distanza del tempo, e ha confermato le intuizioni di Langer
anche quando molte notizie e informazioni sono state rese note dopo la fine del
conflitto. Langer tra l'altro "previde" che il Führer si sarebbe
suicidato. Il rapporto rimase segreto per 30 anni, e fu pubblicato per la prima
volta nel 1972 con il titolo "The Mind of Adolf Hitler".
Non ci dilungheremo qui a riassumere le complesse e interessanti analisi
psicanalitiche sulla personalita' di Hitler, ma prenderemo in esame solo quegli
aspetti generali che evidenziano il rapporto tra leader e massa, tra un
dittatore e l'ascendente che esercita sul popolo. Langer nel suo studio afferma
che Hitler, agli inizi della s ua carriera, fu osservato dal mondo con un certo
divertimento. Molti si rifiutarono di prenderlo sul serio, nella convinzione che
"non poteva durare". A mano a mano che, un'impresa dopo l'altra, i
successi divennero sempre piu' stupefacenti, la statura dell'uomo divenne piu'
evidente, e il divertimento si trasformo' in incredulita'. Alla maggior parte
delle persone sembrava inconcepibile che eventi di questo genere potessero
verificarsi nella nostra civilta'. Langer insomma ci fa capire che i
contemporanei di Hitler non si erano minimamente resi conto, se non quand'era
ormai troppo tardi, che quest'uomo rappresentava una minaccia per l'intera
umanita'. Anche oggi accade forse qualcosa di simile: noi siamo infatti
intimamente convinti che un nuovo Hitler, o anche un Mussolini, non potrebbero
riproporsi nel nostro tempo.
Probabilmente commettiamo lo stesso errore di sottovalutazione di coloro che
consideravano Hitler uno che "non poteva durare". Ancor'oggi infatti
ci interroghiamo stupefatti e increduli sullo stermino "scientifico"
del popolo ebreo voluto da Hitler.
Eppure e' accaduto, anche se questo ci appare oggi come qualcosa fuori di ogni
logica. Eventi tanto spaventosi e aberranti furono fatti ricadere sotto la
responsabilita' diretta di Hitler. Secondo Langer pero' questa e' una soluzione
un po' troppo semplicistica; Hitler fu infatti unanimemente considerato un
pazzo, se non un personaggio del tutto inumano. Lo studioso ci mette in guardia:
"Un giudizio di questo tipo, concernente la natura del nostro piu'
pericoloso nemico, puo' forse bastare all'uomo della strada.
Incasellare un individuo dal comportamento incomprensibile in questa o quella
categoria astratta, gli da' un senso di soddisfazione, e una volta che lo ha
classificato puo' credere di aver risolto il problema. Non resterebbe che
togliere di mezzo il pazzo, eliminandolo dalla scena degli eventi, e
rimpiazzarlo con un qualsiasi individuo normalmente sano, perche' il mondo torni
di nuovo al pacifico regno degli affari". Langer ci costringe dunque a
intravedere una realta' ben piu' complessa e inquietante: sarebbe un grave
errore -egli scrive- accontentarsi di considerare Hitler un personaggio tout
court, un folle da condannare alla dannazione eterna perche' il resto del mondo
possa vivere in pace e in tranquillita'.
Ci si deve rendere conto invece che "la follia del ü si e' trasformata
nella follia di un'intera nazione, se non di una gran parte del continente
europeo". E ancora "non si tratta piu' del comportamento di un
individuo isolato, ma che tra il Führer e il popolo esiste un rapporto di
reciprocita', che la follia dell'uno stimola e fluisce nella follia dell'altro,
e viceversa". Non fu solo Hitler dunque, il pazzo, a creare la follia della
Germania, ma la follia della Germania a creare Hitler. Dopo averlo eletto quale
proprio portavoce e condottiero, il popolo tedesco si e' lasciato trascinare da
una sorta di forza d'inerzia, che lo ha sospinto molto al di la' dei limiti che
si era prefisso, all'inizio, di raggiungere. E tuttavia continua a seguirne la
guida, anche se tutti gli individui dotati di ragione devono ormai essere
persuasi che la strada di Hitler conduce verso un'inevitabile distruzione.
Aggiunge Langer: "Da un punto di vista scientifico, siamo quindi costretti
a considerare Hitler, il Führer, non come il demoniaco personaggio la cui
malvagita' si identifica con le sue azioni e con la sua filosofia, ma piuttosto
come l'espressione di una condizione mentale esistente in milioni di persone, e
non solo in Germania, ma a un livello minore, in tutti i paesi civili".
Langer parla di "segrete correnti psichiche" che nutrono questa
"distruttiva condizione mentale", e che puo' far si' che un solo
individuo trascini milioni di uomini verso la catastrofe. Ci offre insomma
un'illuminante visione su quelli che sono i meccanismi che producono i
"leader", i capi, cioe' coloro che muovono le masse. Queste dinamiche
sono comuni a molte culture, e sono probabilmente le stesse che hanno prodotto,
sia pure con minori forme di fanatismo, il fenomeno Mussolini e il fascismo in
Italia.
Mettendo ulteriormente in luce una convergenza con le teorie di Le Bon sul
comportamento delle masse, Langer scrive del dittatore della Germania:
"L'abilita' con cui sfrutta le tendenze inconsce del popolo tedesco agendo
da suo portavoce ha consentito a Hitler di mobilitare le energie dei
connazionali, e di incanalarle nella medesima direzione nella quale egli
credette di aver trovato una soluzione soddisfacente ai suoi problemi
personali".
Ne e' risultata una omogeneita' straordinaria nei modi di pensare e di agire del
popolo tedesco. E' come se Hitler fosse riuscito a paralizzare le facolta'
critiche degli individui, assumendone su di se' il ruolo. Come tale, e' divenuto
parte integrante della personalita' dei suoi singoli sostenitori ed e' in grado
di dominarne i processi mentali. Questo fenomeno sta alla radice del vincolo
peculiare che lega Hitler, come persona, al popolo tedesco, e lo pone al di
fuori del controllo di qualsiasi richiamo alla ragione, alla logica,
all'intelletto". "Combattendo per Hitler" conclude Langer
"tutti costoro stanno ormai inconsciamente battendosi per cio' che ai loro
occhi rappresenta la propria integrita' psicologica.
Tutto questo getta una luce particolarmente interessante sulla struttura
psicologica latente in una larga parte della popolazione tedesca, in tempo di
guerra come in pace, e indurrebbe a pensare che siano necessari mutamenti
radicali, all'intero della cultura tedesca, prima che questo popolo sia pronto
ad assumere un ruolo costruttivo in un contesto di nazioni". Da parte
nostra ci limitiamo ad osservare che "la struttura psicologica latente in
una larga parte della popolazione tedesca" e' probabilmente comune ad altre
culture e non solo a quella tedesca. Analoghi meccanismi sono sicuramente alla
base anche del "carisma" che Mussolini seppe esercitare sugli
italiani.