La conquista della Libia negli anni si dimostrò ben più difficile di quanto
si era propagandato. Anche durante gli avvenimenti bellici molte cose non si
vennero a sapere, soprattutto in patria, per via di un distacco, cercato ed
ottenuto nei fatti, tra il fronte e la patria. Tale distacco emerge
prepotentemente nel momento in cui il conflitto si tramutò da nazionale, fatto
da un esercito regolare di massa con grossi apparati per la creazione
dell'opinione pubblica, in coloniale, fatto da volontari, coloni e mezzi
militari più evoluti. Agli inizi del 1930 si stava ultimando, dopo un ventennio
di guerra, la conquista della parte occidentale della Libia, la Tripolitania,
mentre ad oriente, Cirenaica, era in atto uno scontro tra fascisti e patrioti
libici che durò più a lungo e fu più intenso negli scontri.
In gennaio il generale Graziani, sulla scia della popolarità e degli agganci
seguiti alla conquista della Tripolitania, viene nominato vicegovernatore della
Cirenaica e insieme a Badoglio diventa uno dei personaggi chiave della fase
finale, quella risolutiva. Per farci un'idea del loro operato è sufficiente
ricordare, per ora, che il primo diede vita ai "tribunali volanti" con
diritto di morte per reati quali possesso di arma da fuoco o pagamento di
tributi ai ribelli; il secondo propose l'utilizzo di strumenti terroristici,
quali le bombe ad aggressivi chimici per stroncare la resistenza libica.
Il fronte opposto era occupato dalla Senussia, organizzazione statuale dei
seminomadi di religione musulmana. Nata agli inizi dell'ottocento, si basava su
di numerose zauie, luoghi periferici del controllo politico, e allo
stesso tempo religioso, che regolavano l'attività dei commerci, del pagamento
delle decime e dell'attività amministrativa e giudiziaria in una società di
numerosi duar, accampamenti talvolta militarizzati, sparsi per
l'altopiano del Gebel.
I fascisti compresero che per rompere i legami organizzativi della resistenza
dovevano eliminare la Senussia come fattore di mantenimento dell'ordine feudale.
In un territorio come quello del Gebel però non era accettata l'invasione di
stranieri che poteva mettere a repentaglio il delicato equilibrio ecologico, in
relazione alla densità demografica, che si era instaurato. L'altopiano
presentava maggiori possibilità di coltivare e allevare bestiame soprattutto
per la presenza di piogge senz'altro maggiori che nella parte occidentale del
paese. Tale fertilità tuttavia veniva messa in discussione dall'arrivo di nuove
genti che non avevano minimamente intenzione di mantenere il naturale ordine
delle cose della natura ma di colonizzare e portare un altro mondo fondato sul
dominio e non sul rispetto della natura.
L'invasione fu vista come annientamento delle proprie risorse e di conseguenza
della propria esistenza. Resistere significava tentare di sopravvivere, farsi
soggiogare era, agli occhi dei libici, come andare incontro a un suicidio perchè
avrebbe rotto il naturale rapporto di equilibrio con la natura e con esso la
vita stessa. Chiarendo tale atteggiamento della maggioranza della popolazione
locale, che non deve essere colto solamente nell'omogeneità delle posizioni
data la numerosa eterogeneità delle culture di origine tribale, è possibile
comprendere il forte attaccamento per l'indipendenza che portò tutta la
popolazione a collaborare coi ribelli ed a pagare di persona.
Di fronte ai colonizzatori si presentava un problema di non poco conto: la zona
più ricca della Libia, la Cirenaica, era quella che presentava una ribellione
diffusa e difficile da sconfiggere perchè mimetizzata nel territorio e
soprattutto perchè godeva dell'appoggio della popolazione. Non dev'essere
trascurato il ruolo della dirigenza della resistenza che, grazie soprattutto
all'opera di Omar al-Mukhtar, fu in grado di impiegare un efficiente sistema
informativo e un veloce reclutamento delle forze.
I fascisti decisero un'azione radicale sulla collocazione geografica delle etnie
per mezzo di movimenti coatti di popolazione. A partire dal 25 giugno 1930 si
decise per la creazione di campi di concentramento che dovevano contenere le
popolazioni del Gebel che avevano dato maggiore appoggio alla resistenza. Furono
immuni alla detenzione le popolazioni già sottomesse e quelle stanziate al di
fuori del Gebel. Lo scopo era quello di rompere ogni legame tra ribelli e
popolazione ma anche di rompere ogni possibilità di autosussistenza delle
comunità. Lo stesso Badoglio, cosciente di cosa stava andando a fare, dice:
"Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà
dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è
stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine anche se dovesse
perire tutta la popolazione della Cirenaica".
Quanti furono i deportati dal Gebel ai campi limitrofi alla costa? Giorgio
Rochat giunge ad una stima, per approssimazione, di 100/120.000 persone,
praticamente tutta la popolazione del Gebel. Tuttavia, anche operando in modo
così radicale, non si raggiunsero gli obiettivi prefissati cosicchè a fine
agosto fu deciso di muovere nuovamente i campi in zone costiere perché i legami
tra Senussia e popolazione non erano venuti meno. Furono inasprite le sanzioni
verso i detenuti e irrigidite le norme riguardanti la detenzione. All'interno
dei campi vigevano condizioni precarie per la mancanza di cibo e di risorse; ci
furono epidemie di tifo a cui difficilmente si riuscì a porre rimedio per
l'assoluta mancanza medici - due per 60.000 detenuti - e di strumenti basilari,
anche semplici pentole, per sterilizzare vesti e vettovagliamenti. Il
disinteresse dei fascisti si tramutò in una filantropia che si concretava nel
trasmettere, forzatamente, ai locali una sorta di etica del lavoro. Venivano
negati i mezzi di produzione (terra e bestiame) ma allo stesso tempo si
ricercava di inserire (sussumere) i locali in lavori di natura propriamente
capitalistica.
La popolazione del Gebel, una volta rinchiusa, divenne versatile serbatoio di
forza lavoro a basso prezzo da inserire nelle innumerevoli opere pubbliche
(soprattutto strade) che andavano di pari passo coll'occupazione. Ai lavoratori
veniva dato un salario tre volte inferiore a quello degli italiani che li
metteva su di un piano di subordinazione ed allo stesso tempo li privava
gradatamente degli strumenti e delle conoscenze nei lavori tradizionalmente
sviluppati. Alle donne venivano dati telai e materie prime da impiegare nella
fattura di tappeti e tessuti. Lo scopo era inserire gradatamente la popolazione
entro un rapporto sociale legato al salario e alla produzione per
l'accumulazione e non per l'auto-consumo. Tuttavia tali iniziative erano
destinate a fallire, perchè i fascisti volevano ricreare in maniera coatta
comunità artificiali di auto-sussistenza, senza rendersi conto che la
precedente distruzione dell'autosussistenza formatasi attraverso pratiche
graduali socialmente e culturalmente accettate impediva poi di ricreare mondi
artificiali funzionanti in tale realtà perché ad essa estranei.
Fu imposto un vero e proprio modo di produzione altro. Se le
popolazioni erano in precedenza occupate nell'allevamento del bestiame e
nell'agricoltura, ora venivano impiegate nella costruzione di opere edili o
nella pesca. L'imperialismo italiano fu innanzi tutto esportazione di un modo di
produzione che andò a destrutturare i rapporti sociali precedenti.
Un altro modo per spezzare i legami tradizionali della società libica fu
l'eliminazione del 90-95% del bestiame tra gli anni 1930-1931. In una società
dedita alla pastorizia, oltre che all'agricoltura e al commercio, venivano messi
in discussione i requisiti minimi di approvvigionamento delle popolazioni del
Gebel. Un ultimo provvedimento fu infine utilizzato per fare terra bruciata
attorno ai ribelli di Omar al-Mukhtar: la proibizione del commercio con
l'Egitto, dove circa 20.000 libici che si erano rifugiati erano certamente
interessati a dare man forte ai patrioti. Più tardi, allo scopo di porre fine
al contrabbando che avveniva per mezzo di piccole spedizioni su cammelli, i
fascisti decisero di costruire un reticolato lungo 270 km lungo la direttrice
Bardia-Giarabub. Dall'aprile a settembre 1931 fu costruito tale recinto largo
qualche metro e impenetrabile perchè controllato per mezzo di fortini e voli
aerei.
Una volta depredato il Gebel, per il lungo e per il largo, agli italiani non
restava altro che porre fine alla resistenza in un ambiente finalmente immune,
dove i rastrellamenti risultarono efficaci a tale scopo. I ribelli non avevano
più la possibilità di muoversi in maniera discreta ed era venuta meno la
precedente copertura delle popolazioni. Gli esploratori al servizio degli
italiani tallonavano i ribelli passando informazioni tempestive ai comandi per
un pronto intervento. L'accerchiamento dei ribelli veniva fatto in maniera tale
da presidiare eventuali vie di fuga. In caso di fuga intervenivano l'aereonautica
e la cavalleria per inseguire in maniera più stringente il nemico.L'arresto di
Omar al-Mukhtar avvenne nel settembre del 1931 e l'esecuzione della condanna a
morte, già decisa in sede extragiudiziaria, si tenne, secondo macrabo rito
colonial-fascista, sulla pubblica piazza. Il 9 dicembre si riunirono i rimanenti
oppositori all'occupazione e decisero per la resa. L'uccisione di Omar
al-Mukhtar apparve come l'episodio definitivo di una serie che aveva portato a
un veloce indebolimento della Senussia.
Una volta intacccate, come si è visto, le basilari strutture della produzione,
dei commerci e dell'amministrazione, la vittoria era totale . Furono distrutti
non solo i caratteri propriamente endogeni della società senussita, ma anche
quelli esogeni come il rapporto tra densità demografica-popolazione. E totale
fu anche il dominio, che fu subito da tutta la popolazione nonostante i ribelli
in armi fossero tra i 600 e gli 800, con variazioni a seconda del dor che
veniva coinvolto negli scontri.
Risulta enorme la sproporzione nel perseguire i ribelli e i loro
fiancheggiatori: i secondi pagarono molto di più, primo perchè erano
marginalmente coinvolti nelle battaglie, secondo perché perirono in maggior
numero. Si tenga conto del fatto che l'amnistia per i ribelli entrò in vigore
prima della chiusura dei campi che andarono in contro a tale sorte proprio a
causa della contraddizione per cui non si potevano perseguire le popolazioni
anziché i diretti responsabili dei fatti.
Secondo fonti italiane i morti tra i ribelli per il periodo 1923-1931 sarebbero
stati 6.500 ma c'è un vizio di forma in tali dati, che sono presi da materiale
di parte. Altri sono i numeri macabri che emergono tenendo conto dell'esistenza
dei campi, delle malattie, dei trasferimenti e dell'impoverimento arrecato alle
popolazioni. Prendendo in considerazione valutazioni e censimenti della
popolazione, effettuati prima e dopo la guerra dalle autorità coloniali, si ha
la conferma di una impressionante diminuzione demografica nella Cirenaica. Da
dati del 1928 gli abitanti sarebbero stati 225.000, mentre dal censimento del
1931 risulterebbero essere 142.000 compresi gli italiani e i nuovi immigrati.
Tenendo conto di quanti fuggirono dal Gebel verso l'Egitto (10-15.000 persone) e
del tasso di incremento demografico, il genocidio fascista dovuto alla
repressione sarebbe di circa 45-50.000 persone che crescono fino a 70.000 se ai
dati italiani si sostituiscono quelli dell'antropologo Evans-Pritchard.
"Questo non è l'unico genocidio della storia delle conquiste coloniali, se
ciò può consolare qualcuno, ma è certo uno dei più radicali, rapidi e meglio
travisati dalla propaganda e dalla censura".
Una volta che la ribellione fu vinta le popolazioni non poterono tornare nei
luoghi d'origine sul Gebel che erano destinati, essendo le zone più fertili,
agli italiani. I libici subirono così la radicale modifica dei principali
aspetti della vita materiale e non solo: in quanto seminomadi furono rinchiusi
in riserve, dove essere sfruttati come manodopera semplice.