Tutti colpevoli

Vittorio Agnoletto, (ex) presidente della Lila: "Dell'Aids si è parlato soltanto quando ha cominciato a colpire i gay bianchi. Anche i Paesi africani l'hanno trascurato per non allarmare i turisti".

 

MILANO - "Di Aids si ammalano tutti, in tutto il mondo, ma si muore a seconda del Paese in cui si vive e del colore della pelle". Punto. Vittorio Agnoletto, presidente della Lila, la Lega italiana per la lotta contro l'Aids, fa una pausa. Un silenzio che, però, vuol dire tutto. Vuol dire che il virus Hiv è la peste del secolo, vuole dire che dopo venti anni l'Hiv continua a uccidere, ma vuole dire sopratutto che l'Aids è diventata la malattia dei poveri del mondo: in Sudafrica, in India, in Cina. E l'elenco potrebbe continuare. "Per colpa nostra - precisa dopo un attimo - dei cosiddetti Paesi ricchi, che l'abbiamo ignorata per anni finché in America non si sono ammalati i primi gay bianchi. E anche per colpa degli stessi Paesi meno sviluppati, in particolare quelli africani, che per anni l'hanno negata per cultura e per non rischiare di perdere i turisti stranieri".

Venti anni dalla scoperta del primi cinque casi. All'inizio colpiva solo omosessuali e tossicodipendenti, poi ha cominciato a diffondersi indiscriminatamente, e ora?
Innanzi tutto bisogna fare un bilancio di questi venti anni. Dal punto di vista clinico-terapeutico sono stati fatti enormi passi avanti. Alla fine degli anni '80 c'era un solo farmaco, oggi ce ne sono 16. Prima si moriva nel giro di pochi mesi, oggi, nei Paesi del Nord del mondo, se si seguono correttamente le terapie, passano in media 15-16 anni dal momento dell'infezione all'Aids conclamato.

Quindi è diventata una malattia cronica?
Sì, se pensiamo che ora come ora siamo in grado di prolungare la vita agli ammalati e di migliorarne la qualità. L'obiettivo immediato, ovviamente solo per l'Occidente, è la semplificazione terapeutica. Le cure attuali sono molto complesse: si possono arrivare a prendere anche una ventina di farmaci al giorno

e numerosissimi sono gli effetti collaterali. Ma basta saltare meno del 20 per cento delle compresse da assumere quotidianamente per vanificare tutta la terapia.

Prospettive future per le cure?
Quella più vicina non è certo il vaccino. Ci vorranno al meno cinque o sei anni prima che possa essere prodotto e commercializzato: per fattori oggettivi, perché il virus si modifica continuamente, ma soprattutto perché le ricerche vengono finanziate soltanto dalle strutture sanitarie pubbliche e dalle donazioni di privati. Le multinazionali farmaceutiche, invece, concentrano le proprie ricerche sulle terapie, non sui vaccini.

Perché?
Ovvio, per crudi, ragionieristici motivi di mercato. Il vaccino si prende una volta sola, la terapia, invece, è lunga e costosa: 15-20 milioni l'anno. Pensi a che cifra si può arrivare se li moltiplichiamo per il numero delle persone contagiate, una quarantina di milioni in tutto il mondo.

Se oggi, quindi, di Aids si può non morire più, si corre il rischio si abbassare la guardia?

L'effetto rilassatezza purtroppo c'è. E il pericolo è soprattutto che vengano tagliati i fondi alla ricerca. Tutto deriva da una errata interpretazione dei dati che parlano di una diminuzione dei nuovi casi di infezione. I contagi stanno diminuendo, è vero, ma, dal momento che contemporaneamente si allunga, grazie alle terapie, la vita dei sieropositivi e dei malati, ecco allora che il numero delle persone contagiate aumenta. E con loro il rischio di nuovi contagi. In Italia, poi, stiamo entrando nella "stagione" a rischio: secondo una ricerca dell'Unione europea, il 50 per cento delle nuove infezioni avviene durante i mesi estivi.

Però l'Aids è anche diventata un'emergenza internazionale. A fine giugno ci sarà una sessione speciale dell'assemblea generale dell'Onu per istituire un fondo comune di 10 miliardi di dollari. E di Aids si parlerà anche al G8 di Genova.
Vero, tra l'altro la Lila rappresenterà all'Onu le organizzazioni europee per la lotta all'Aids. Chiederemo la realizzazione di un grande piano mondiale contro la diffusione dell'Aids e delle malattie sessuali, che metta insieme prevenzione, terapie contro la trasmissione madre-figlio, terapie per gli adulti. Il tutto affidato all'Organizzazione mondiale della Sanità. Ma, perché non si facciano soltanto grandi dichiarazioni di principio, sono necessari i finanziamenti dei Paesi ricchi.

E al G8?
Si discuterà la proposta, avanzata proprio dall'Italia, di un fondo per la salute dei Paesi in via di sviluppo. In particolare chiederemo la cancellazione del debito dei Paesi poveri e l'impegno dei Paesi europei a ridiscutere il principio della proprietà intellettuale dei farmaci, per abbassare la durata del brevetto da 20 a 5 anni e permetterne così la produzione a costo zero ai Paesi poveri.
 

Il motivo per cui le case farmaceutiche hanno fatto causa al Sudafrica...
Sì. E il fatto che l'abbiano ritirata stabilisce un importante principio giuridico, ma per produrre di fatto i farmaci anti-Aids nei Paesi poveri sono necessari personale, strutture, know-how. Che possono venire soltanto dai Paesi ricchi. Brutalmente: dobbiamo farlo nel nostro interesse egoistico, per evitare che il disastro cui stiamo assistendo in Africa arrivi anche in Europa.

Le cifre sono drammatiche: più di 25 milioni di persone infette, quasi il 9% delle popolazione adulta, mentre in tutto il Sudest asiatico si arriva "solo" a 6 milioni e mezzo.
Chiariamo, però, che il virus, con ogni probabilità è nato proprio in Africa, e quindi ha avuto almeno 10 anni in più per svilupparsi. Per quanto riguarda l'Asia, pensiamo poi che i dati governativi molto spesso non sono attendibili, soprattutto in Cina. Come fanno a esserlo se in un solo paesino l'80% degli abitanti è sieropositivo perché la popolazione è talmente povera che per sopravvivere si sottopone trasfusioni di sangue, che vengono fatte con siringhe non sterilizzate?

Di chi è la colpa?
Sicuramente nostra, dei Paesi del Nord del mondo, che hanno ignorato il problema finché l'Aids è rimasto confinato all'Africa.
Poi è stata colpita la lobby gay bianca di san Francisco e l'Aids è diventata un'emergenza. Intanto, però, si sono persi anni.

E i Paesi africani non hanno responsabilità?
Sicuramente c'è una responsabilità oggettiva legata a fattori culturali: la donne deve allattare al seno, l'uomo non può usare il preservativo perché non avere figli è considerato un disonore, e così via. Ma i governi hanno commesso anche moltissimi errori. Negando apertamente l'esistenza dell'Aids per non perdere i turisti e gli investimenti stranieri.