Perché
la
sinistra
si
mette
in
gioco?
Costruire un nuovo scenario politico con due grandi partiti uno di centro riformista ed uno di sinistra che si possano unire per governare sarebbe proprio bello. Ma le cose belle quasi sempre non sono facili. Chi da qualche anno si dedica al tentativo di rinnovare-ricomporre la sinistra lo sa bene. Infatti le condizioni richiamate da Barenghi - no alla guerra, no al liberismo - in realtà uniscono ormai da qualche anno un arco che va dalla sinistra Ds a Rifondazione, ma, ciò malgrado, niente si è mosso. Perché?
Una prima risposta può essere questa: le due discriminanti sono importantissime, ma non sono sufficienti. Occorre puntare, come ha scritto Morelli, anche all'esercizio del governo attraverso la ricerca delle alleanze. Naturalmente non a tutti i costi e senza illudersi che il cambiamento si possa determinare solo dall'alto, ma l'obiettivo di governare senza fare guerre e di realizzare, governando, una politica di solidarietà alternativa al liberismo va assunto.
Una seconda risposta è: per sbloccare una situazione bloccata bisogna che qualcuno si muova tanto da creare un "fatto" che costringe anche gli altri a muoversi. Ma la situazione italiana è caratterizzata da una sindrome, quella che nelle teorie dei giochi di strategie si manifesta nel gioco del prigioniero o in quello a somma zero: nessuno si sposta abbastanza per paura di lasciare spazi che altri potrebbero occupare; tutti hanno paura di perdere muovendosi, alla fine nessuno si muove e tutti perdono. Come in quelle teorie del gioco, allora, bisogna trovare la soluzione dell'ottimo paretiano, cioè quella che consente il massimo vantaggio congiunto e simultaneo per tutti o, in termini più di strategie aziendali, bisogna dimostrare che, tra opportunità e minacce che un certo comportamento può produrre, i vantaggi delle prime superano i rischi delle seconde.
Se ci pensiamo bene e lo guardiamo freddamente lo scenario prefigurato dalla proposta di Barenghi è entusiasmante. Con i due grandi partiti prefigurati avremmo sicuramente un grande effetto consenso: sia l'elettorato di centro che quello di sinistra si riconoscerebbero meglio in due formazioni con più chiare identità e con più omogenei riferimenti sociali e questo potrebbe riattivare quel circuito virtuoso fatto di senso di appartenenza fiducia partecipazionerigenerazione dei partiti e della politica.
Ci
sarebbe,
inoltre,
certamente
l'effetto
traino
o
valore
aggiunto
perché
uno
schieramento
così
articolato
e
forte
potrebbe
candidarsi
credibilmente
a
vincere
e
quindi
trainare
non
solo
gli
astenuti,
ma
anche
gli
indecisi
che
spesso
finiscono
per
votare
per
chi
mostra
di
poter
vincere.
Difficile,
penso,
dimostrare
che
queste
valutazioni
e,
quindi,
la
proposta
di
Barenghi,
siano
sbagliate.
Facile,
però,
che
tutto
resti
così
ancora
e
che,
sempre
per
non
correre
grandi
rischi,
si
passi
da
un
Ulivo
a
un
altro,
federato,
ma
sempre
chiuso
a
Rifondazione
e
sempre
altro
dai
movimenti.
Sarebbe
questo
un
errore
fatale
che
lascerebbe
solo
a
uno
scossone
sociale
il
compito
di
rigenerare
la
sinistra.
Meglio
allora
assumere
nei
prossimi
mesi
una
posizione
netta:
o
si
riesce
a
fare
una
grande
alleanza
di
tutta
l'opposizione
per
governare,
consentendo
poi
che
dentro
di
essa
si
riorganizzino
un
centro
riformista
e
una
sinistra,
o
si
fa
l'alleanza
di
centro
riformista,
riproposta
da
Amato,
e
allora
alla
sinistra
spetta
il
compito
di
attivare
una
nuova
aggregazione.
In
ogni
caso
si
dovrà
scomporre
l'esistente
per
ricomporre
il
nuovo.
Se
riusciremo
a
non
farne
un
dramma,
ma
a
capire
che
fa
bene
a
tutti,
forse,
potremo
trovare
il
coraggio
di
farlo.