Confindustria bacchetta il governo
PARMA -
Questo governo ha fatto "pochi passi avanti e non sempre nella direzione giusta". Antonio D'Amato, presidente di
Confindustria bacchetta Silvio Berlusconi e la squadra di governo. E mette in dubbio quell'idillio nato proprio a Parma poco meno
di un anno fa tra l'allora candidato premier e il capo degli industriali italiani. "Mi hai rubato il mestiere, hai preparato
un vero e proprio programma di governo", aveva esordito dieci mesi fa il Cavaliere, parlando alla platea degli industriali
riuniti a Parma per presentare i dieci punti che il governo avrebbe avrebbe dovuto soddisfare nella legislatura, una vera e
propria piattaforma programmatica. Che, aveva detto Berlusconi, "sembrano la fotocopia del programma che noi presenteremo
agli italiani".
Ma il bilancio che oggi, dalla stessa assise traccia D'Amato è, se non del tutto negativo, molto critico. Che fine ha fatto, si
chiede D'Amato, la scaletta programmatica con cui si era presentato questo governo all'elettorato? Che fine hanno fatto le riforme
annunciate, welfare, riduzione della pressione fiscale, infrastrutture? D'Amato cerca di dare una sferzata, di rimettere in
carreggiata l'esecutivo. "C'è ora bisogno di un salto di qualità - incalza il presidente di Confindustria - capace di dare
impulso al processo riformatore".
Un affondo al governo che Antonio D'Amato mette nero su bianco nella prefazione a una ricerca sulla competitività presentata oggi
al Centro studi di Confindustria a Parma. Ma è all'esecutivo che si rivolge. Siamo tornati "a Parma per rilanciare quella
sfida", insiste D'Amato, perché "l'Italia non si deve fermare. Deve riprendere il dialogo. Deve finalmente dare inizio
a un grande programma di riforme".
"L'obiettivo che ci eravamo posti, che riproponiamo oggi con grande convinzione - dice il leader confindustriale - è quello
di un'Italia in cui il benessere cresce e si diffonde. Dove le imprese nascono, si sviluppano, innovano processi e prodotti. Dove
c'è più lavoro e migliore qualità. Dove la coesione sociale non è una petizione di principio, ma un traguardo raggiungibile.
Un'Italia in cui gli attori della vita politica e sociale si confrontano con il comune intento di trovare soluzioni efficaci ai
problemi di oggi, senza preconcetti o chiusure ideologiche che sono l'eredità del passato. Un'Italia che crede nella concorrenza
e nella trasparenza del mercato. Che fa delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni uno strumento per eliminare aree di
privilegio e di inefficienza, per elevare gli standard di vita".
Poi D'Amato torna sui tre obiettivi che Confindustria aveva proposto lo scorso anno "a chi avrebbe assunto la responsabilità
della legislatura". Obiettivi che, per Confindustria, restano essenziali. "Dobbiamo - scrive D'Amato - aumentare di
dieci punti il tasso di occupazione, portandolo dal 54,6% a valori europei; ridurre drasticamente il divario tra il Sud e il resto
del Paese; dimezzare l'economia sommersa, che è il doppio della media europea".
E qui c'è l'affondo al governo. "Pochi passi avanti sono stati compiuti e non sempre nella direzione giusta. E' vero che
l'economia italiana è tra quelle che hanno reagito meglio all'impatto della recessione internazionale post 11 settembre. E' anche
vero che siamo a meno di un anno dall'inizio dell'attività di questo governo e che molte proposte di riforma sono state annotate
nell'agenda del Paese. Ma questo non è sufficiente. C'è ora bisogno di un salto di qualità capace di dare impulso al processo
riformatore".
Ma D'Amato ce l'ha anche con il sindacato. Le aziende italiane -spiega - restano piccole anche per colpa del sindacato. Negli
ultimi tre decenni si è assistito ad una vera e propria "fuga" da quella componente del lavoro dipendente
"organizzata nel sindacato e più esposta ai costi e alle rigidità del sistema".
Per rompere le rigidità del sistema gli economisti che hanno elaborato il Report (Mario Baldassarri, Giampaolo Galli e Gustavo
Piga) chiedono al governo di "avere il coraggio di scelte impopolari" e di fare le riforme del mercato del lavoro e
delle pensioni. La contrapposizione - scrivono - è tra riformatori e conservatori, come negli anni '80 sulla scala mobile e il
debito pubblico. E gli autori della ricerca si dicono profondamente amareggiati dalla durezza della reazione sindacale di fronte a
due proposte del governo in materia di articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e di riforma previdenziale, che realizzano alcuni
primi passi nella direzione necessaria".