Le torri gemelle del WTC Salim Tamari le aveva a poca distanza dal suo
ufficio, nell'università di New York. "Vederle crollare, sapendo che sotto
le macerie sono rimaste migliaia di persone, è stato uno shock" racconta
dopo una notte trascorsa ad ascoltare le notizie provenienti dagli Stati Uniti.
Docente di sociologia urbana all'università di Bir Zeit, Salim Tamari è uno
degli intellettuali palestinesi più noti e stimati all'estero. Ogni anno
trascorre almeno sei mesi a New York, dove tiene lezioni sul conflitto in Medio
Oriente. In passato è stato uno degli esperti palestinesi ai negoziati
multilaterali sulla questione dei profughi. Ora è direttore dell'ufficio di
Gerusalemme del "Centro per gli studi palestinesi", un importante
istituto di ricerca con sede a Washington. Risiede a Ramallah, in Cisgiordania.
Con lui abbiamo discusso della reazione e delle paure dei palestinesi dopo gli
attentati devastanti di martedi negli Stati Uniti.
E' stato detto che nulla sarà più come prima dopo questo attacco senza
precedenti agli Stati Uniti. Cosa significa tutto ciò per i palestinesi?
E' difficile prevedere cosa succederà sul terreno dopo gli attentati a New York
e Washington. Le incognite sono molte. Certo le pressioni già si stanno
concentrando sui palestinesi ed i loro leader. Mi attendo perciò un periodo
durissimo per il nostro popolo che rischia di pagare, ancora una volta, sul
piano politico e diplomatico per crimini commessi, come in questo caso, da altri
a molte migliaia di chilometri di distanza. La pista più accreditata è quella
araba e islamica e non è difficile immaginare che ci saranno tanti, soprattutto
Israele, che a questo punto metteranno in dubbio persino il diritto del nostro
popolo all'autodeterminazione, all'indipendenza, che pure è sancito dalle
risoluzioni internazionali.
Martedì sera le tv di tutto il mondo hanno mandato in onda le immagini di
gruppi di palestinesi in festa a Nablus, Ramallah e a Gerusalemme est. Scene che
il mondo ha accolto con sdegno e che hanno contribuito a rendere ancor più
precaria la posizione palestinese in questo momento così delicato.
Il mondo ha tratto delle conclusioni affrettate sull'atteggiamento del nostro
popolo. Quelle immagini sono vere ma riflettono soltanto il giudizio che una
parte, a mio avviso minoritaria, dei palestinesi ha dato dell'accaduto. Da
quello che ho potuto ascoltare dalla gente, dai discorsi fatti in strada, ho
registrato invece l'orrore che tanti palestinesi, la maggior parte, hanno
provato apprendendo della morte di tante migliaia di americani innocenti. Vedete
in Palestina, nel Medio Oriente, il risentimento verso la politica
filo-israeliana degli Stati Uniti è forte. Troppe sono le sofferenze patite dal
nostro popolo. Ma i palestinesi sono essere umani e nessun essere umano può
provare soddisfazione, ad eccezione di pochi folli e imbecilli, di fronte a
tanta morte e distruzione. Non dimenticate inoltre che una parte della nostra
popolazione ha stretti legami con gli Stati Uniti. Ci sono villaggi della
Cisgiordania dove gran parte della popolazione è in possesso di un passaporto
statunitense. Tanti palestinesi hanno parenti e amici in terra americana, anche
a Washington e New York e in effetti temo che tra le migliaia di vittime degli
attentati ci siano anche palestinesi. La realtà nei Territori è molto diversa
da quella che hanno riferito le televisioni mandando in onda le immagini di
gioia dopo gli attentati.
Si dice che la secca condanna fatta da Yasser Arafat degli attacchi contro
gli Stati Uniti, non eviterà la sua espulsione dai territori autonomi da parte
di Israele, pronto ad approfittare delle condizioni che si sono create a livello
internazionale. E' una ipotesi fondata?
No. Israele e Stati Uniti sanno bene che Arafat è l'unico leader palestinese in
grado di firmare un accordo di pace. Piuttosto temo che, con l'attenzione
internazionale concentrata sugli Stati Uniti, il governo israeliano decida una
escalation militare in Cisgiordania e Gaza volta a mettere fine all'Intifada
contro l'occupazione israeliana. Ariel Sharon cercherà di creare fatti concreti
sul terreno e di rendere ancora più difficili le condizioni di vita dei
palestinesi. Ciò che sta accadendo a Jenin, con 11 palestinesi uccisi, lo
conferma e in futuro le cose potrebbero andare ancora peggio.