"Come palestinese sono sconvolto"
Parla Salim Tamari, negoziatore del processo di pace: "La maggior parte di noi prova orrore, ma siamo disperati"
MICHELE GIORGIO - GERUSALEMME

Le torri gemelle del WTC Salim Tamari le aveva a poca distanza dal suo ufficio, nell'università di New York. "Vederle crollare, sapendo che sotto le macerie sono rimaste migliaia di persone, è stato uno shock" racconta dopo una notte trascorsa ad ascoltare le notizie provenienti dagli Stati Uniti. Docente di sociologia urbana all'università di Bir Zeit, Salim Tamari è uno degli intellettuali palestinesi più noti e stimati all'estero. Ogni anno trascorre almeno sei mesi a New York, dove tiene lezioni sul conflitto in Medio Oriente. In passato è stato uno degli esperti palestinesi ai negoziati multilaterali sulla questione dei profughi. Ora è direttore dell'ufficio di Gerusalemme del "Centro per gli studi palestinesi", un importante istituto di ricerca con sede a Washington. Risiede a Ramallah, in Cisgiordania. Con lui abbiamo discusso della reazione e delle paure dei palestinesi dopo gli attentati devastanti di martedi negli Stati Uniti. E' stato detto che nulla sarà più come prima dopo questo attacco senza precedenti agli Stati Uniti. Cosa significa tutto ciò per i palestinesi?

E' difficile prevedere cosa succederà sul terreno dopo gli attentati a New York e Washington. Le incognite sono molte. Certo le pressioni già si stanno concentrando sui palestinesi ed i loro leader. Mi attendo perciò un periodo durissimo per il nostro popolo che rischia di pagare, ancora una volta, sul piano politico e diplomatico per crimini commessi, come in questo caso, da altri a molte migliaia di chilometri di distanza. La pista più accreditata è quella araba e islamica e non è difficile immaginare che ci saranno tanti, soprattutto Israele, che a questo punto metteranno in dubbio persino il diritto del nostro popolo all'autodeterminazione, all'indipendenza, che pure è sancito dalle risoluzioni internazionali.

Martedì sera le tv di tutto il mondo hanno mandato in onda le immagini di gruppi di palestinesi in festa a Nablus, Ramallah e a Gerusalemme est. Scene che il mondo ha accolto con sdegno e che hanno contribuito a rendere ancor più precaria la posizione palestinese in questo momento così delicato.

Il mondo ha tratto delle conclusioni affrettate sull'atteggiamento del nostro popolo. Quelle immagini sono vere ma riflettono soltanto il giudizio che una parte, a mio avviso minoritaria, dei palestinesi ha dato dell'accaduto. Da quello che ho potuto ascoltare dalla gente, dai discorsi fatti in strada, ho registrato invece l'orrore che tanti palestinesi, la maggior parte, hanno provato apprendendo della morte di tante migliaia di americani innocenti. Vedete in Palestina, nel Medio Oriente, il risentimento verso la politica filo-israeliana degli Stati Uniti è forte. Troppe sono le sofferenze patite dal nostro popolo. Ma i palestinesi sono essere umani e nessun essere umano può provare soddisfazione, ad eccezione di pochi folli e imbecilli, di fronte a tanta morte e distruzione. Non dimenticate inoltre che una parte della nostra popolazione ha stretti legami con gli Stati Uniti. Ci sono villaggi della Cisgiordania dove gran parte della popolazione è in possesso di un passaporto statunitense. Tanti palestinesi hanno parenti e amici in terra americana, anche a Washington e New York e in effetti temo che tra le migliaia di vittime degli attentati ci siano anche palestinesi. La realtà nei Territori è molto diversa da quella che hanno riferito le televisioni mandando in onda le immagini di gioia dopo gli attentati.

Si dice che la secca condanna fatta da Yasser Arafat degli attacchi contro gli Stati Uniti, non eviterà la sua espulsione dai territori autonomi da parte di Israele, pronto ad approfittare delle condizioni che si sono create a livello internazionale. E' una ipotesi fondata?

No. Israele e Stati Uniti sanno bene che Arafat è l'unico leader palestinese in grado di firmare un accordo di pace. Piuttosto temo che, con l'attenzione internazionale concentrata sugli Stati Uniti, il governo israeliano decida una escalation militare in Cisgiordania e Gaza volta a mettere fine all'Intifada contro l'occupazione israeliana. Ariel Sharon cercherà di creare fatti concreti sul terreno e di rendere ancora più difficili le condizioni di vita dei palestinesi. Ciò che sta accadendo a Jenin, con 11 palestinesi uccisi, lo conferma e in futuro le cose potrebbero andare ancora peggio.