Naomi Klein: è finita l'era della guerra in videogames

«La guerra non è un gioco. È vite reali spezzate in due. È figli, figli, madri, padri morti, tutti con una storia dignitosa.... Forse l'11 settembre 2001 segnerà la fine della vergognosa era della guerra videogame». Così Naomi Klein, l'autrice di «No Logo» diventato la «bibbià del movimento »no global' in tutto il mondo, sul sito della rivista della sinistra americana «The Nation», osserva come gli attentati a New York e Washington abbiano, in pochi minuti, fatto svegliare «come una persona colpita da amnesia, gli Stati Uniti nel mezzo di una guerra, per scoprire poi che era in corso da anni».

«Sin dai tempi della Guerra del Golfo, la politica estera americana si è fondata su un'unica brutale finzione: che l'esercito americano potesse intervenire nei conflitti in tutto il mondo, Iraq, Kosovo Israele, senza riportare nessuna vittima - scrive la Klein - Questo è un paese che è arrivato a credere nel più perfetto ossimoro: una guerra sicura».

Nel suo articolo, la Klein, una delle voci più ascoltate del movimento anti-global nordamericano, ricerca proprio in questa ipocrisia le ragioni della tragedia di martedì: «Gli Stati Uniti si meritavano di essere attaccati? Certamente no - scrive ancora - una simile posizione è brutta e pericolosa. Ma c'è un'altra domanda che bisogna porsi: la politica estera americana ha creato le condizioni nelle quali queste logiche perverse possono attecchire, una guerra non tanto contro l'imperialismo degli Stati Uniti ma contro quella che appare come la sordità americana?»


E parla di una «cieca rabbia» che ha portato «menti perverse» a voler infliggere anche ai civili americani quella sofferenza provata da civili di altri parti del mondo: «quando la Nato ha bombardato target civili in Kosovo, compresi mercati, ospedali, convogli di rifugiati, treni passeggeri e stazioni tv, l'Nbc non ha fatto interviste per strada con i sopravvissuti». «L'era delle guerre da videogame, in cui gli Stati Uniti sono sempre in vantaggio, ha prodotto una rabbia cieca in molte parti del mondo, una rabbia per la persistente asimmetria della sofferenza -spiega la Klein- È in questo contesto che persone perverse in cerca di vendetta non vogliono altro che gli americani condividano le sofferenze».