Le vittime dei raid sono più numerose dei morti dell'11 settembre
La stima è di un professore dell'Università del New Hampshire. In un rapporto, i numeri sui civili morti dal 7 ottobre: sarebbero circa 5mila. E imperversa la polemica sulle "bombe intelligenti".
Hanno condotto questa guerra per dare giustizia alle migliaia di vittime morte negli attacchi dell’11 settembre. Ma gli Stati Uniti stanno ora diventando gli artefici di una nuova carneficina.
A
denunciarlo
è
Marc
Herold,
professore
all’Università
del
New
Hampshire,
che
ha
condotto
una
ricerca
dettagliata
sulle
casualties,
gli
errori
commessi
dalle
“bombe
intelligenti”
americane
nei
raid
che
dal
7
ottobre
colpiscono
l’Afghanistan.
Con
dati
alla
mano,
tratti
dalle
cronache
dei
principali
giornali
internazionali,
il
conto
è
presto
fatto:
sono
circa
3.800
i
civili
afghani
morti
tra
il
giorno
di
inizio
dei
bombardamenti
americani
su
Kabul
e
il
7
dicembre
(figuratevi
oggi
quanti
altri
sono
morti!!!)
Ma i numeri sono espressi per difetto. “Sarebbe più realistico parlare di circa 5.000 vittime del fuoco americano” – ha dichiarato lo stesso Professor Herold alla Bbc. Sono infatti esclusi dalla stima tutti coloro che dopo un raid “sbagliato” sono morti successivamente in ospedale. |
Il
rapporto
è
destinato
a
far
montare
la
querelle
che
sta
infiammando
le
organizzazioni
internazionali
per
i
diritti
umani
ma
anche
gran
parte
dell’opinione
pubblica
internazionale.
Il
partito
contrario
“all’occhio
per
occhio,
dente
per
dente”,
troverà
infatti
nelle
pagine
stilate
dall’accademico
una
buona
conferma
alle
proprie
teorie.
Nonostante
il
numero
delle
vittime
degli
attacchi
alle
Torri
Gemelle
non
sia
ancora
definitivo,
né
verra
mai
forse
ufficializzato
da
Washington,
le
ultime
stime
parlavano
di
circa
5mila
morti.
Il
conto
sembra
così
pareggiato.
E
alimenterà
la
polemica
fra
chi
accusa
gli
Stati
Uniti
e
il
mondo
occidentale
di
distinguere
tra
morti
di
serie
A
e
serie
B.
Il
Pentagono,
d’altra
parte,
si
è
mostrato
molto
cauto,
fin
troppo
diplomatico,
se
non
addirittura
“reticente”
sugli
obiettivi
colpiti
erroneamente.
L’ultimo
bombardamento
su
un
villaggio
afghano
è
avvenuto
proprio
qualche
giorno
addietro,
mentre
il
governo
afghano
chiedeva
con
forza
la
fine
dei
raid
sul
Paese:
52
i
civili
morti.
E
già
in
precedenti
occasioni
la
risposta
del
segretario
alla
Difesa
americana
Rumsfeld
era
stata
questa:
“La
realtà
è
che
c’erano
diverse
indicazioni
dell’intelligence
che
facevano
pensare
a
quel
luogo
come
a
un
‘target
qualificato’
e
che
ci
sono
state
poi
diverse
altre
esplosioni
consequenziali
attorno
a
quell’obiettivo”.
Alla
risposta
più
moderata,
segue
poi
quella
più
decisa:
“Non
esiste
una
guerra
dove
non
ci
siano
vittime
civili,
o
‘danni
collaterali’”,
che
tradotto
vorrebbe
dire
che
il
prezzo
da
pagare
per
avere
Bin
Laden
e
i
suoi
è
che
qualche
vita
venga
interrotta
in
Afghanistan.
Ma
in
questa
guerra,
come
in
quella
in
Kosovo,
gli
Usa
hanno
avuto
qualche
difficoltà
ad
ammettere
i
propri
errori.
Quando
le
tv
di
mezzo
mondo
mostrarono
dozzine
di
corpi,
tra
cui
quelli
di
molti
bambini,
rimasti
vittime
all’inizio
del
mese
di
uno
dei
raid
attorno
alla
grotta-bunker
di
Tora
Bora,
Washington
ha
infatti
ripetuto
ostinatamente
che
si
trattava
di
parenti
di
esponenti
di
al-Qaeda,
l’organizzazione
di
Bin
Laden,
o
erano
conosciuti
per
aver
già
dato
ospitalità
ai
terroristi.
Dall’altra
parte,
specialmente
quando
i
taleban
erano
ancora
al
potere,
il
numero
degli
stessi
morti,
è
stato
esagerato
da
fonti
ufficiali
dell’ex
governo
di
Kabul.
Guerra di cifre insomma, di propaganda, di morti contesi. Ma un sospetto nasce: secondo quanto riferitodal Comando Centrale americano, il Pentagono non sta tenendo alcun conto delle vittime morte dall’inizio dell’operazione militare Enduring Freedom in Afghanistan.