Lega araba: siamo contro chi festeggia


12 settembre 2001

I palestinesi che hanno festeggiato gli attentati negli Stati Uniti non rappresentano la maggioranza. Lo ha dichiarato la portavoce della Lega Araba Hanan Ashrawi in una conferenza a Ramallah.

«Il popolo palestinese soffre per la repressione, le bombe e il terrore, capisce esattamente i sentimenti e il dolore del popolo americano» -ha dichiarato, visibilmente colpita dagli eventi americani - «il popolo palestinese ha in generale mostrato dolore quando ha capito la gravità della situazione».

Tutti gli esponenti palestinesi hanno espresso shock e preoccupazione per gli attacchi -ha detto, aggiungendo che vi sono state eccezioni solo di singoli individui. Intanto il governatore di Nablus ha smentito che gli abitanti della città abbiano festeggiato gli attentati scendendo in strada per cantare «Dio è grande».

Si trattava invece -afferma un comunicato del governatorato- di manifestazioni di solidarietà con gli abitanti di Jenin. Ma un giornalista della radio israeliana ha affermato che almeno due emittenti straniere non hanno trasmesso le immagini dei festeggiamenti di Nablus dopo aver ricevuto minacce da parte palestinese.

 

OGGI FESTA A SABRA E CHATILA
Nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, alla periferia Sud di Beirut, molti hanno celebrato la notte scorsa fino a tardi, tra danze, scorpacciate di dolci e raffiche di mitra sparate alla luna. Oggi, alcuni, ancora ebbri, dicono: «Vorrei esserci stato io ai comandi di uno di quegli aerei», ma i più sono tornati ad arrabbattarsi per sbarcare il lunario e i giornali con le foto delle torri gemelle di New York in fiamme sono già sui banchi dell'affollato mercato, pronti per incartare pesci e verdure.

Ali Mohammed, un libanese di 23 anni che abita in Danimarca, oggi 'turistà nella baraccopoli che quasi 19 anni fa, il 16 settembre del 1982, fu teatro di un immane massacro di civili palestinesi, dice che quella di ieri «è stata una giornata fantastica, vorrei che fosse così ogni giorno». Molta gente attorno a lui la pensa però diversamente. «Gli attacchi di ieri contro gli Usa hanno ucciso civili innocenti. Noi che ogni giorno viviamo la morte sulla nostra pelle non possiamo gioire», lo rimprovera, chiudendosi nel suo chador nero, Khadija, una madre palestinese.

Ma Ali insiste: «Quella di ieri è stata la mano di Dio. Una vendetta per le uccisioni di bambini in Iraq commesse dagli americani». Un ragazzo di 19 anni, Riad Asmar, meccanico, gli si fa vicino e si dice d'accordo, perchè «così provano quello che proviamo noi quando uccidono la nostra gente. È una soddisfazione vedere Bush scappare nei sotterranei in preda alla paura». Riad era nato da un giorno quando 19 anni fa le milizie cristiane filo-israeliane massacrarono centinaia di palestinesi a Sabra e Chatila, durante l'invasione israeliana del Libano.

Il numero delle vittime non è mai stato accertato, ma si ritiene che siano state oltre 1.500. Nel 1983 una commissione d'inchiesta di Israele giudicò l'attuale premier Ariel Sharon indirettamente responsabile della strage, cosa che allora indusse il 'falcò del Likud ad abbandonare la carica di ministro della Difesa. Ali dice che gli piacerebbe pensare che quella di ieri è stata una vendetta per quel massacro, in cui morì pure suo padre. «Ma so che non è così. Una eventuale vendetta colpirebbe Israele, Sharon, e non gli Usa». Mohammad Jammar, un venditore di scarpe usate, è d'accordo e dice che le celebrazioni di ieri sono una vergogna: «Non si può fare festa quando muore gente innocente. E poi - dice - è ridicolo pensare che possano essere stati dei palestinesi gli autori degli attacchi. Se avessimo una tale capacità la useremmo su Israele, che è il vero nemico, il vero responsabile della nostra miseria e della nostra diaspora».