INCHIESTA
SU UNA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE
Come Monsanto vende gli Ogm
Abituate a dettare
legge ai governi, le società transnazionali devono oggi fare i conti
con un risveglio civico che rischia di ostacolare i loro progetti. Il
che spiega il proliferare di «codici comportamentali» e «carte etiche»
di cui si dotano per nascondere il loro unico, vero obiettivo:
conservare una totale libertà d'azione a livello planetario per
continuare a creare «valore» per gli azionisti. È nel settore
agrochimico che incontrano le maggiori difficoltà: gli Organismi
geneticamente modificati (Ogm) non «passano» a livello di opinione
pubblica, soprattutto in Europa, dato che nessuno studio scientifico ha
potuto dimostrare che sono innocui, o che la biodiversità sia esente
dai rischi connessi alla disseminazione accidentale, così come nessuno
ha potuto pronunciarsi sui loro presunti effetti benefici. Le grandi
industrie del settore, prima fra tutte la Monsanto, hanno dunque
studiato una strategia di aggiramento. Non cercano di provare che i loro
prodotti non presentano pericoli, ma li pubblicizzano come soluzione ai
problemi di malnutrizione e di salute pubblica del terzo mondo e,
soprattutto, come soluzione di ricambio per un pericolo sicuramente
reale, e cioè i pesticidi. Sperano così di «conquistare» i
diffidenti, grazie a campagne pubblicitarie elaborate minuziosamente e
finanziate in modo massiccio
di
AGNÈS SINAI*
Stato
di allerta alla Monsanto: dopo l'allarme per una bomba nel suo
insediamento francese di Peyrehorade, nel dipartimento delle Landes, il
secondo colosso mondiale di semi agricoli lancia sulla sua rete Intranet
un protocollo di sicurezza in caso di attacco cibernetico o fisico diretto
ai suoi dipendenti. Questi ultimi sono tenuti a segnalare comportamenti
sospetti, chiamate telefoniche non identificate e persone sconosciute,
come pure a chiudere a chiave tutte le porte, a usare password per
bloccare l'accesso al monitor dei computer e a non utilizzare modem
connessi con l'esterno. Quanto ai colloqui con i giornalisti, sono
proibiti a tutti, tranne che alle persone appositamente incaricate. La
cultura del segreto, del resto, non è poi così estranea all'attuale
direttrice delle comunicazioni di Monsanto-Francia, Armelle de Kerros, la
quale ha lavorato per la Compagnie générale des matières atomiques (Cogema).
Il che non impedisce alla Monsanto di ostentare la sua volontà di «trasparenza»...
Dopo lo scandalo Terminator, prima pianta assassina nella storia
dell'agricoltura, l'azienda si dibatte tra paranoia difensiva e
aggressività strategica. I problemi erano iniziati con l'acquisto, per la
somma di 1,8 miliardi di dollari, dell'impresa Delta & Pine Land. La
Monsanto entrava così in possesso di un brevetto che, grazie ad una
tecnica di ingegneria genetica, permetteva di «bloccare» i semi
inibendone la ricrescita da un anno all'altro, il che valse a questa
tecnica di sterilizzazione il soprannome di «Terminator» da parte della
Rafi (The Rural Advancement Foundation International).
Di fronte alla levata di scudi provocata a livello internazionale, il
presidente della Monsanto, Bob Shapiro, annunciò il ritiro del prodotto,
prima di dare le dimissioni.
Da allora, la multinazionale ha abbandonato lo slogan di un tempo - «Cibo,
salute, futuro» - e cerca di rifarsi un nome. Produrre Ogm (si parla
pudicamente di biotecnologie) è, infatti, un'impresa ad alto rischio, sia
in termini di immagine che di investimenti. Senza parlare di possibili
incidenti biologici: minacce alla biodiversità e comparsa di insetti
mutanti, resistenti agli insetticidi incorporati nelle piante transgeniche.
Negli Stati uniti, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente (Epa) ha già
incoraggiato gli agricoltori a destinare almeno il 20% delle loro terre a
coltivazioni convenzionali per permettere lo sviluppo di insetti non
resistenti al transgene Bacillus thuringiensis.
Organismi geneticamente «migliorati» Sono rischi sufficienti a spiegare
come mai, nel valzer delle fusioni-acquisti e delle ristrutturazioni, l'agrochimica,
che comprende le biotecnologie vegetali (cioè gli Ogm), sia
sistematicamente isolata dagli altri settori, in modo da compartimentare
il rischio transgenico. È in questa logica che Aventis cerca di
svincolarsi da CropScience, la sua branca agrochimica. L'azienda aveva
infatti commercializzato il mais transgenico Starlink, capace di provocare
allergie nell'uomo.
Benché destinato esclusivamente all'alimentazione animale, il mais è
stato ritrovato in notevoli quantità nelle patatine e nei corn-flakes dei
consumatori americani, come pure nei dolci della ditta Homemade Baking
venduti in Giappone. È sempre in questo contesto che nasce, nell'ottobre
2000, il primo gruppo mondiale di agrochimica, Syngenta, - risultato della
fusione della svizzera Novartis con l'anglo-svedese Astra-Zeneca - che
realizzerà un giro d'affari di circa otto miliardi di euro.
Monsanto, dopo la fusione con Pharmacia & Upjohn, una grande ditta
farmaceutica, si occupa ormai solo di agricoltura, con un giro d'affari
che nel 2000 ha raggiunto i 5,49 miliardi di dollari. Ha ceduto a
Pharmacia il suo medicinale di punta antiartrite, il Celebrex, per
specializzarsi nella produzione di prodotti fitosanitari, di semi agricoli
e, in particolare, di semi geneticamente modificati. Monsanto è ora, a
livello mondiale, la seconda casa produttrice di semi (dopo Pionneer) e di
fitosemi dopo Syngenta ed è il numero uno degli erbicidi grazie al
Roundup, l'erbicida più venduto al mondo (il suo giro d'affari nel 2000
è stato di 2,6 miliardi di dollari, quasi la metà di quello del gruppo).
Il suo obiettivo è quello di fare accettare i prodotti transgenici
convincendo l'opinione pubblica che è meglio nutrirsi con una pianta
transgenica piuttosto che con una irrorata di pesticidi. Strategia che si
agghinda di fronzoli filantropici ed ecologici per superare gli ultimi
ostacoli.
Senza lesinare in fatto di «etica», Monsanto ha così adottato, nel
gennaio 2001, un nuovo codice comportamentale che contiene cinque impegni:
«dialogo», «trasparenza», «rispetto», «condivisione» e «benefici».
Secondo il direttore generale di Monsanto-Francia, Jean-Pierre Princen, i
consumatori europei - i più restii agli Ogm - devono capire che un
organismo geneticamente modificato non è altro che un organismo
geneticamente migliorato. Da qui la nascita di una nuova Monsanto,
indicata all'interno dell'azienda come «progetto M2»: i suoi semi sono
ecologici e ottimi per la salute. Coloro che ne dubitano sono
semplicemente male informati. Del resto è bene fare tabula rasa del
passato: chi ricorda che Monsanto produceva il defoliante, detto «agente
arancio», utilizzato dai bombardieri americani durante la guerra del
Vietnam?
Oggi, le équipe della multinazionale si riuniscono a Ho-Chi-Minh-City per
vendervi i loro erbicidi e per stringere relazioni privilegiate con i
media, gli scienziati e i membri del governo vietnamita. Dalle Filippine
all'Argentina, si vuole disporre di una totale libertà d'azione: «Free
to operate» («carta bianca») nel gergo della casa.
All'esterno, dunque, sarà opportuno mettere in risalto le qualità
ecologiche degli Ogm, di cui il gruppo commercializza due varietà.
Il primo, il gene Bt, nato dal batterio Bacillus thuringiensis, diffonde
le proprie tossine insetticide, il che permette di diminuire la
vaporizzazione di pesticidi supplementari: un raccolto di cotone detto «Bt»
ne subirà due invece di sei o otto. Seconda varietà: il Roundup Ready,
concepito per resistere all'erbicida Roundup. Così, l'agricoltore compra
in kit sia il seme che l'erbicida! Il Roundup è presentato dalla ditta
come un prodotto biodegradabile, e questo le è valso un processo per
pubblicità menzognera, intentato dalla Direction générale de la
concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes (Dgccrf)
di Lione (Direzione generale per la concorrenza, il consumo e la
repressione delle frodi).
Rischi di sterilità Negli Stati uniti, l'Epa calcola tra i 20 e i 24
milioni di chilogrammi il volume annuo di glifosato utilizzato. Il
prodotto è presente in modo massiccio soprattutto nella produzione di
soia, grano, fieno, nei pascoli e nelle maggesi. Dal 1998, la sua
utilizzazione è aumentata di quasi il 20% all'anno. Contenuto nel Roundup,
è l'erbicida più venduto al mondo e rende ogni anno alla Monsanto circa
1,5 miliardi di dollari. Il brevetto è scaduto nel 2000, ma la ditta
conserverà una parte del monopolio grazie alle piante geneticamente
modificate, concepite per essere tolleranti al glifosato. In Bretagna,
questo pesticida figura tra gli inquinanti pericolosi e regolari:
nell'ottobre 1999 superava di 172 volte la norma nell'Elorn, che fornisce
acqua potabile ad un terzo del Finistère, «il che prova che la
dichiarata biodegradabilità del Roundup è una impostura» spiega la
dottoressa Lylian Le Goff, membro della missione Biotecnologie
dell'associazione France Nature Environnement (Francia Natura Ambiente).
L'inquinamento da pesticidi del suolo, dell'acqua e dell'acqua piovana,
dell'insieme della catena alimentare e dell'aria è diventato un serio
problema di salute pubblica che l'amministrazione francese ha tardato a
prendere in considerazione. Ne consegue, per la dottoressa Le Goff, «l'assoluta
necessità di applicare il principio di precauzione riconsiderando la
sollecitazione ad utilizzare pesticidi, soprattutto se incoraggiata da una
pubblicità falsa, che vanta l'innocuità e la biodegradabilità dei
prodotti a base di glifosato».
L'ingestione di pesticidi da parte del consumatore sarebbe nettamente più
alta se le piante geneticamente modificate dovessero diffondersi, visto
che queste ne sono impregnate. Come le diossine, anche i pesticidi - tra
cui il glifosato - non sono biodegradabili nel corpo umano e costituiscono
un vero e proprio inquinamento invisibile. Le loro molecole cumulano
effetti allergizzanti, neurotossici, cancerogeni, mutageni e ormonali
alterando la fertilità maschile. Hanno proprietà simili a quelle degli
ormoni femminili, gli estrogeni: globalmente, queste azioni ormonali
sarebbero responsabili di una diminuzione del 50% del tasso di produzione
spermatica registrato negli ultimi cinquant'anni. Se il declino spermatico
dovesse proseguire, la clonazione si imporrebbe alla specie umana intorno
al 2060! Oltre che biodegradabili, i semi transgenici compatibili con il
Roundup sono presentati dalla Monsanto come «amici del clima» (climate
friendly), dato che il loro impiego permetterebbe agli agricoltori di
ridurre, o addirittura eliminare l'aratura, permettendo lo stoccaggio
nella terra di dosi massicce di gas carbonico e di metano, con la
conseguenza di ridurre del 30% le emissioni di gas carbonico degli Stati
uniti.
Resta da spiegare in cosa una coltivazione non transgenica sarebbe meno
efficace... Una sola certezza: i profitti sarebbero minori, in particolare
perché una coltura ordinaria farebbe a meno dell'erbicida Roundup.
L'improvvisa vocazione ecologica della Monsanto e lo zelo del suo «presidente
per lo sviluppo sostenibile», Robert B. Horsch, convergono con gli
interessi di chi vende i diritti ad inquinare, come quei proprietari
terrieri del Montana, già riuniti in una Coalizione per la vendita di
diritti di emissione di gas carbonico.
Se la fraseologia ad uso esterno della Nuova Monsanto è centrata su «tolleranza»,
«rispetto» e «dialogo», il vocabolario strategico si fa nettamente più
crudo all'interno. La «filosofia» dell'azienda, come è stata esposta da
Ted Crosbie, direttore del programma di sviluppo vegetale, ad un'assemblea
di dirigenti della Monsanto-America latina nel gennaio 2001, non usa
sfumature: «consegniamo insieme il pipeline e il futuro». Detto più
chiaramente, si tratta di inondare di Ogm le superfici agricole
disponibili per occupare terreno - e in modo irreversibile. L'America
latina è, da questo punto di vista, «un ambiente vincente»: Monsanto
valuta che nel solo Brasile restano ancora 100 milioni di ettari di
superfici da «sviluppare». Purtroppo, questo paese continua ad essere
restio agli Ogm, lamentano Nha Hoang e i suoi colleghi del gruppo Monsanto
incaricati della strategia «free to operate» in America latina: «È già
il secondo produttore mondiale di soia transgenica dopo gli Stati uniti, e
probabilmente sarà presto il primo. È la più grande potenza economica
dell'America latina, ma è la sola in cui le coltivazioni transgeniche non
hanno ancora ricevuto il permesso. I giudici hanno ritenuto viziato il
processo di autorizzazione della soia transgenica Roundup Ready, perché
non erano stati condotti appropriati studi d'impatto ambientale; sono
arrivati a sostenere che l'attuale agenzia di regolazione delle
biotecnologie sia stata costituita in modo illegale». La regolarizzazione
dello statuto dell'agenzia in questione, CtnBio, attende la ratifica da
parte del Congresso brasiliano... Obiettivo: ottenere il «pipeline» per
la soia transgenica per aprire la strada ad altre autorizzazioni che
consentano di immettere sul mercato: mais Yieldgard, cotone Bollgard e
cotone Roundup Ready nel 2002; mais Roundup Ready nel 2003; soia
insetticida Bt nel 2005. Intanto, Monsanto investe 550 milioni di dollari
nella costruzione di una fabbrica che produrrà il suo erbicida Roundup
nel nord-est dello Stato di Bahia.
La strategia della multinazionale è centrata sulla biotech acceptance:
fare accettare gli Ogm dalla società, poi - o in concomitanza - inondare
i mercati. Allo scopo vengono lanciate massicce campagne di aggressione
pubblicitaria. Negli Stati uniti, gli spot televisivi sono comprati
direttamente dall'organo di propaganda delle imprese del settore, il
Council for Biotechnology Information. La Monsanto è cofondatrice di
questo organismo, che centralizza le informazioni relative ai «benefici
dei biotech»: «La televisione è uno strumento importante per fare
accettare i biotech. Perciò fate attenzione agli spot pubblicitari e
fateli vedere alla vostra famiglia e agli amici», è l'invito di Tom
Helscher, direttore dei programmi di biotechnology acceptance nella sede
di Monsanto, a Crève-Coeur (Missouri). Soprattutto, si devono rassicurare
gli agricoltori americani che, spaventati in particolare per i loro
mercati esteri, esitano a comprare semi geneticamente modificati.
Anche se Aventis Crop Science, Basf, Dow Chemical, DuPont, Monsanto,
Novartis, Zeneca Ag Products hanno lanciato massicce campagne di
propaganda negli Stati uniti, esitano ancora a fare altrettanto in
Europa... In Gran Bretagna, l'équipe commerciale della Monsanto si
dichiara soddisfatta dei risultati del proprio programma di «perorazione
in favore delle biotecnologie» che permette ai dipendenti del settore
commerciale, dopo una formazione garantita dall'impresa, di
autoproclamarsi «esperti» nella materia ed andare quindi a vantare i
meriti dei prodotti transgenici tra i contadini e nelle scuole. «Non c'è
niente di meglio che un eccesso di comunicazione», sostiene Stephen
Wilridge, direttore della Monsanto-Europa del Nord.
Il sistema scolastico costituisce evidentemente un elemento strategico
nella conquista dell'opinione pubblica. Il programma Biotechnology
Challenge 2000, parzialmente finanziato dalla Monsanto, ha visto il 33%
degli studenti liceali irlandesi produrre ricerche sul ruolo delle
biotecnologie nella produzione alimentare. Mobilitato per distribuire
premi e trofei, il commissario europeo incaricato della protezione della
salute dei consumatori, David Byrne in persona, non ha «alcun dubbio sul
fatto che esiste un legame tra la riluttanza dei consumatori nei confronti
delle biotecnologie e la mancanza di una seria informazione sull'argomento».
Per il 2001, il direttore della Monsanto-Irlanda, Patrick O'Reilly spera
in una più ampia partecipazione, perché «questi studenti sono
consumatori consapevoli e decideranno del futuro».
La multinazionale impara a decodificare, ma anche a riciclare i messaggi e
le attese della società. Da alcuni mesi, Monsanto oscilla tra velleità
di dialogo e rifiuto viscerale nei confronti delle più importanti
organizzazioni non governative che contestano le presunte qualità degli
Ogm. A cominciare da Greenpeace, definita un «criminale contro l'umanità»
dall'inventore svizzero del riso dorato, Ingo Potrykus, che lavora alla
Syngenta. Il riso dorato è un riso transgenico arricchito di
beta-carotene (vitamina A), dunque un Ogm di seconda generazione, detto «alicament»
per le sue pretese curative, oltre che alimentari.
Primo riso terapeutico nella storia dell'agricoltura, è molto atteso
dalle grandi industrie biotecnologiche: con lui gli ultimi scettici non
avranno più dubbi sul carattere fondamentalmente virtuoso del progetto
Ogm. La vitamina A, integrata per transgenesi, sarà, alla fine, il
promotore morale dell'alimentazione transgenica mondiale: chi si azzarderà
ancora a criticarne i meriti, quando tanti bambini del terzo mondo sono
colpiti da cecità per carenza di beta-carotene?
Chi oserà più dubitare che la vocazione di fondo del commercio di semi
transgenici sia nutritiva, ecologica ed umanitaria?
Una contestazione demoniaca Rimane il fatto che l'efficacia del riso
dorato per le popolazioni interessate è poco credibile: Greenpeace e
altri lo dimostrano per assurdo, chiarendo in particolare, con l'aiuto dei
microgrammi, che per ingerire ogni giorno una dose sufficiente di vitamina
A, un bambino del terzo mondo dovrebbe compiere un'impresa eroica:
ingerire 3,7 chilogrammi di riso dorato bollito al giorno, invece di due
carote, un mango e una ciotola di riso. Ed ecco la reazione pubblica di
Potrykus, durante una conferenza stampa a Biodivision, il «Davos» delle
biotecnologie, tenuta a Lione nel febbraio 2001: «Se avete intenzione di
distruggere le coltivazioni sperimentali a scopo umanitario di riso
dorato, sarete accusati di contribuire ad un crimine contro l'umanità. Le
vostre azioni saranno scrupolosamente registrate in tribunale e avrete,
spero, modo di rispondere dei vostri atti illegali e immorali davanti ad
una corte internazionale».
Criminali contro l'umanità, dunque, tutti coloro che dubitano e
contestano, sono addirittura definiti «demoni della terra» (Fiends of
the Earth), gioco di parole che richiama sia il nome inglese degli Amici
della terra (Friends of the Earth) che un sito web molto apprezzato dal
personale della Monsanto. Se la contestazione politica è per sua natura
«demoniaca», il «dialogo» non può proseguire. Eppure, la nuova
Monsanto s'impegna, nella sua carta deontologica, «a instaurare un
dialogo permanente con tutti i soggetti interessati, per comprendere
meglio problematiche e preoccupazioni suscitate dalle biotecnologie».
Dietro questa apparente sollecitudine si mette in moto una vera e propria
strategia commerciale, quella della doppia conformità: conformità a
posteriori, dell'immagine dei prodotti Ogm con le attese dei consumatori;
conformità delle menti, attraverso propaganda pubblicitaria e
comunicazione intensiva. Perché, se il solo e unico scopo della Monsanto
è far passare il suo progetto biopolitico mondiale, la nuova Monsanto ha
bisogno di mostrare un'etica, necessariamente a geometria variabile, visto
che è la multinazionale stessa a dettarne le regole. A tal fine, la
società ha affidato ad una specialista mondiale delle comunicazioni
d'impresa, Wirthlin Worldwide, il compito di «trovare meccanismi e
strumenti che aiutino la Monsanto a persuadere i consumatori con la
ragione e a motivarli con l'emozione».
Questo sondaggio degli atteggiamenti mentali - battezzato «progetto Vista»
- è basato sulla «rilevazione dei sistemi di valori dei consumatori».
Si tratta, a partire dalla raccolta di dati, di elaborare «una
cartografia a quattro livelli dei modi di pensare (...): i preconcetti, i
fatti, i sentimenti e i valori. Negli Stati uniti, i risultati dello
studio hanno permesso di elaborare messaggi che colpiscono il grande
pubblico, di individuare cioè l'importanza dell'argomento a sostegno dei
biotech: meno pesticidi nei vostri piatti». In Francia, i dipendenti
della Monsanto sono stati sottoposti a questa indagine durante un
colloquio confidenziale ove si presumeva potessero esprimere liberamente
il loro pensiero sulle biotecnologie, «nel bene o nel male», dato che
l'obiettivo era formare dei «portavoce che utilizzeranno i messaggi
studiati per il grande pubblico».
Inquinamento genetico L'accesso al materiale genetico, e ai mercati, col
beneficio di una totale libertà di manovra, è la duplice priorità
definita dal concetto «free to operate». La messa a punto di un Ogm
costa tra i 200 e i 400 milioni di dollari e richiede dai sette ai dieci
anni. Come contropartita per un tale investimento, la multinazionale deve
necessariamente ottenere una rendita, garantita dalla dipendenza rispetto
al brevetto depositato sulla pianta. Per potere riseminare da un anno
all'altro, bisognerà ogni volta pagare royalties all'impresa. Ogni varietà
che comporti un organismo geneticamente modificato sarà protetta dal
brevetto, il che implica, per l'agricoltore, l'acquisto di una licenza.
Il rischio, a (breve) termine, è quello di dare ai grandi produttori di
semi la possibilità di bloccare tutto il sistema, monopolizzando il
patrimonio genetico mondiale e creando una situazione irreversibile:
l'agricoltore non potrebbe più recuperare questo patrimonio per tornare a
selezionare lui stesso.
Questo poteva porre un problema alla Monsanto anche in base al suo stesso
codice comportamentale che l'impegna a «far sì che gli agricoltori senza
risorse del terzo mondo possano beneficiare della conoscenza e dei
vantaggi di tutte le forme di agricoltura, per contribuire a migliorare la
sicurezza alimentare e la protezione dell'ambiente».
Ed ecco allora la generosa concessione al Sudafrica del brevetto sulla
patata dolce transgenica, nella speranza di un più ampio insediamento sul
continente nero. «In Africa, potremmo con pazienza ampliare le nostre
posizioni con lo Yield Gard, e anche con il mais Roundup Ready.
Parallelamente, dovremmo pensare a diminuire o a eliminare i diritti sulle
nostre tecnologie adattate alle culture locali, come la patata dolce o la
manioca».
Strategia a due facce, dove si mostrano intenzioni generose per prendere
piede in mercati poco disponibili, o meno solvibili, ma potenzialmente
dipendenti. Un procedimento simile a quello che ha portato a impiantare il
riso dorato della Syngenta in Thailandia (per metterlo a disposizione
gratuitamente è stato necessario togliere 70 brevetti) o ad usare la
vacca da latte indiana dopata al Polisac della Monsanto (ormone proibito
nell'Unione europea), per arrivare a conquistare mercati locali poco
attratti dalle biotecnologie.
D'altro canto poi, la Monsanto ha recentemente fatto condannare Percy
Schmeiser, agricoltore canadese, ad una multa di circa 22 milioni di lire
per «pirateria» di colza transgenica. L'interessato ha contrattaccato
accusando la Monsanto di avere accidentalmente inquinato i suoi campi di
colza tradizionale con colza transgenica tollerante al Roundup.
Ma la giustizia è in grado di stabilire l'origine di un inquinamento
genetico? Questo caso, che rischia di ripresentarsi, mostra la difficoltà
di contenere le disseminazioni accidentali di Ogm. In Francia, queste sono
sottoposte alla legge del silenzio. Nel marzo del 2000, diversi lotti di
semi convenzionali di colza primaverile della società Advanta,
contaminati da semi Ogm di un'altra società, sono stati seminati in
Europa. Le piante sono state distrutte. Nell'agosto 2000, alcune varietà
di colza invernale, controllate dalla Dgccrf, hanno rivelato
contaminazioni da semi Ogm. Ma nessun Ogm di colza è ancora autorizzato
per la coltivazione o il consumo in Francia.
Già da ora, la tracciabilità mostra le sue crepe. Le contaminazioni
fortuite sono sempre più frequenti. Un responsabile sanitario della
Lombardia ha recentemente denunciato la presenza di Ogm in lotti di semi
di soia e di mais della Monsanto. Ogm sono stati rilevati in stock di semi
di mais depositati a Lodi, vicino a Milano. La pressione in Europa salirà,
visto che la soia importata - ormai massicciamente transgenica - sostituirà
le farine animali oggi proibite.
Ma l'obiettivo delle industrie che producono semi transgenici non è forse
quello di vedere sparire la filiera senza Ogm, contando sugli alti costi
di controllo che essa comporta? È probabile che nei prossimi anni gli
agricoltori trovino sempre maggiori difficoltà a procurarsi semi
provenienti da questa filiera. La ricerca mondiale si orienta verso i semi
transgenici, e dunque non è impensabile che le varietà non-Ogm finiscano
con l'essere inadatte all'evoluzione delle tecniche agricole, se non
completamente obsolete.
Si può dunque dubitare della «trasparenza» mostrata dalla Monsanto.
Il consumatore dipende delle informazioni fornite dall'impresa. Ogni
costruzione genetica è considerata un brevetto e non esiste alcun obbligo
legale, per una società, di fornire il test a laboratori privati per
eseguire analisi di controllo. In Francia, la descrizione di una
costruzione genetica è depositata presso la Dgccrf che è la sola a poter
effettuare analisi. Non essendo però abilitata a farlo a titolo
commerciale, non può essere utilizzata a questo scopo da consumatori o
industriali.
Il consumatore dovrà dunque accontentarsi di sapere che l'industria
commercializza i semi solo dopo che questi hanno ricevuto l'autorizzazione
a essere utilizzati per l'alimentazione umana e dopo essersi impegnata a
«rispettare le preoccupazioni d'ordine religioso, culturale ed etico nel
mondo non utilizzando geni provenienti dall'uomo o da animali nei [suoi]
prodotti agricoli destinati all'alimentazione umana o animale». La
recente nomina alla direzione dell'Epa americana di una ex dirigente della
Monsanto, Linda Fischer, fa pensare che non solo la nuova Monsanto non è
fuori legge, ma mira a fare la legge.
note:
* Ricercatrice.
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