Come Bio comanda
di Sabrina Giannini | Tratto dalla puntata di domenica 26 novembre 2000, ore 23 - Rai 3 |
Agricoltura
biologica, questa sconosciuta.
Perfino i consumatori di biologico conoscono poco le regole del settore e il
fatto e' abbastanza sorprendente se si pensa che il sistema alimentare
biologico e' l'unico controllato garantito e che si puo' definire
"sicuro".
Infatti tutta la filiera (dal seme al piatto) e' certificata da uno dei nove
enti di certificazione italiani o da tutti gli europei che per il principio
della reciprocita' valgono anche in Italia (anche alcuni non europei sono
accettati automaticamente dalla UE).
Per esempio un alimento con piu' ingredienti (come un biscotto) ha una
certificazione per ogni ingrediente e quando non si usa un ingrediente
biologico si deve specificare (la normativa consente di definire biologico un
prodotto con almeno il 95 per cento di ingredienti, nel caso in cui la
percentuale di ingredienti biologici sia al di sotto del 95 per cento va
specificata in etichetta la percentuale esatta). E' chiaro che l'etichetta
"biologica" e' trasparente ma soprattutto consente la "rintracciabilita'",
ovvero di risalire all'origine di tutta la filiera. Questo e' di fondamentale
importanza. Per capire l'importanza della "rintracciabilita'" prendo
ad esempio la carne convenzionale, sotto accusa in questo periodo, dove e'
difficile risalire a tutti i passaggi (allevamento dove il capo nasce, dove
cresce, dove ingrassa, dove viene macellato e non e' per nulla possibile
risalire al mangime con il quale e' stato alimentato). Nel sistema biologico
tutti i passaggi sono certificati, inclusi gli alimenti e garantiti da un
certificatore diverso che si prende le responsabilita' della certificazione.
Poiche' il sistema alimentare "modello" e' quello biologico, per
trasparenza e sicurezza, ci siamo chiesti perche' la maggior parte delle
persone ignori tutto cio'. La risposta e': mancanza di informazione.
Eppure, nonostante l'assenza di informazione, e' in atto una rivoluzione nel
mondo dei consumi che vede un aumento esponenziale del numero di consumatori
che acquistano biologico (l'uno per cento in Italia, ma perche' si tiene conto
della media nazionale penalizzata dalla quasi totale assenza di consumi al
Sud). Un direttore di un supermercato del naturale ha dichiarato che dopo lo
scandalo dei polli alla diossina gli introiti sono aumentati del 20 cento.
L'alimentazione biologica cresce sull'onda dell'emotivita' e non per una reale
conoscenza del metodo di coltura. E questo permette una serie di speculazioni.
ATTENZIONE ALL'ETICHETTA E
ALLA DISINFORMAZIONE
Le parole "naturale", "ecologico" sono tra le piu' abusate
in pubblicita' e sulle etichette. Questo penalizza il settore
"veramente" biologico e consente una serie di speculazioni a danno
di chi non riesce a districarsi nella giungla del "naturale".
Naturale non vuole dire niente, ecologica neppure. Quasi tutte le grandi
distribuzioni vendono prodotti che evocano una agricoltura
"naturale", ma non sono certificate e neppure biologiche quindi non
si spiega perche' devono costare di piu'.
La Novartis (multinazionale della chimica e della biotecnologia) ha creato una
linea biologica (ma non sempre), La Ce'real. Tra alcuni prodotti alcuni sono
certificati secondo la legge come biologici, altri riportano sulla scatola la
scritta "cereali non trattati" (definizione alquanto ingannevole ma
che non vuole dire nulla), ma se si telefona al numero verde disposto dalla
Novartis al servizio dei consumatori viene dichiarato che sono biologici, ma
e' un falso poiche' non vi e' nessuna conferma o certificazione che provi che
cio' sia vero. E' un diritto della Novartis avere una linea biologica ma non
e' un suo diritto confondere le idee sull'unico sistema alimentare che
bandisce la chimica e gli organismi geneticamente modificati.
C'e' da fare attenzione anche ad alcuni prodotti in commercio che riportano in
etichetta la scritta "bio" (un nota marca di yogurt francese, un
parmigiano, un sale, per esempio). L'Unione Europea ha deciso di recente che i
prodotti che riportano in etichetta la parola "bio" senza esserlo
possono continuare a farlo fino al 2006 se hanno depositato il marchio prima
del 1991 (devono farlo subito se hanno depositato il marchio dopo il 1991,
anno dell'entrata in vigore del regolamento CEE sull'agricoltura biologica),
in alternativa dovranno diventare davvero biologici.
Inoltre vanno fatte alcune precisazioni: lotta integrata e' un sistema che non
elimina i pesticidi ma li riduce cercando di adottare un metodo che si pone a
meta' strada tra la lotta biologica e quella chimica.
L'alimentazione biologica e' soltanto una, quella certificata, e ha una
etichetta trasparente che deve riportare le seguenti scritte: "da
agricoltura biologica", "regime di controllo CEE", il codice
dell'azienda produttrice, varie autorizzazioni ministeriali e il marchio
dell'ente di certificazione (per esempio BIOS, CODEX, AIAB, ECOCERT Italia, QC&I,
IMC (Istituto Mediterraneo di Certificazione), Suolo e Salute, CCPB (Consorzio
per il Controllo dei Prodotti Biologici), Bioagricert, inoltre per la sola
provincia autonoma di Bolzano e' stato riconosciuto l'ente di certificazione
BIOZERT (che e' tedesco). Una delle ennesime concessioni antinazionaliste
concesse all'Alto Adige dallo Stato italiano (in questo caso dal Ministero
delle Politiche Agricole).
Queste informazioni
fondamentali dovrebbero essere conosciute da tutti. Non e' cosi' e c'e' una
ragione: non sono mai stati stanziati soldi dal nostro governo per promuovere
un'informazione adeguata. Sono stati stanziati invece dall'Unione Europea che
ha promosso nel 1999 un "Decalogo per la sicurezza alimentare"
costato piu' di un miliardo. Soldi buttati visto che la sua pubblicazione ha
sollevato un vespaio di polemiche a causa di una imprecisione nella
definizione del biologico, si scriveva infatti che nel metodo biologico
"l'impiego di concimi chimici e di antiparassitari e' stato ridotto
all'essenziale". E' una definizione falsa che puo' andare bene per la
lotta integrata. Inoltre vengono inseriti nello stesso capitolo il biologico e
il geneticamente modificato, chissa' perche', visto che nel biologico e'
vietato categoricamente l'OGM.
Responsabili di questa disinformazione sono in tanti: primo tra tutti l'Unione
Nazionale Consumatori che coordinava il progetto, poi numerose associazioni di
consumatori, Legambiente, una lunga serie di gruppi di produttori,
distributori (tra cui la Coop, che ha distribuito il decalogo), perfino la
McDonald's e il tutto e' stato fatto sotto il patrocinio del Ministero della
Sanita' e delle Politiche Agricole. Assenti a quel tavolo erano gli operatori
del settore del biologico.
Come spiegarsi tutto questo? Forte e' il sospetto che il sistema alimentare
dominante stia tentando una sorta di boicottaggio e depistaggio per confondere
le idee ai consumatori.
BIOLOGICO E BIODINAMICO
Nell'attesa che le autorita'
informino adeguatamente i consumatori cerchiamo di capire cos'e' il metodo
biologico usato in agricoltura.
Prima di tutto la chimica
viene bandita categoricamente.
Oggi e' possibile trovare concimi e insetticidi naturali gia' preparati
dall'industria.
Per concimare si usa il letame o preparati a base di leguminose, ricche di
azoto.
Per combattere i parassiti e gli insetti dannosi si usa anche la lotta
biologica che inserisce gli insetti utili che si nutrono dei parassiti delle
piante o le trappole ai ferormoni che attirano i maschi di alcune specie di
insetti dannosi alle piante.
In questi ultimi anni l'agroecologica ha messo a punto sistemi scientifici di
difesa naturali migliorando il sistema agricolo usato per millenni dall'uomo
(prima che arrivasse la chimica, soltanto 50 anni fa).
Comunque sono ancora molto in uso antiparassitari e antifungicidi tradizionali
come il solfato di rame, che essendo un metallo viene ammesso nel metodo
biologico.
Mentre sui terreni convenzionali si usano i pesticidi per togliere le erbacce,
nell' agricoltura biologica il diserbo e' a macchina o a mano.
Anche nel biologico si possono ottenere frutta e verdura di serra, al posto
degli ormoni sintetici si utilizzano impollinatori naturali come i bombi
(simili ai calabroni).
Nel metodo biologico non sono ammessi i conservanti chimici per mantenere a
lungo la frutta ma esclusivamente la conservazione con il freddo.
Tutti questi sistemi alternativi alla chimica aumentano i costi, la mano
d'opera e la perdita del prodotto e giustificano in parte i prezzi piu' alti
rispetto ai prodotti convenzionali.
Biodinamica
Guardando bene le etichette si puo' notare che il biologico non e' l'unico
metodo che bandisce la chimica, esiste infatti la biodinamica che si distingue
sul mercato grazie al il marchio Demeter.
La biodinamica usa la lotta biologica ma ha come obiettivo principale quello
di rendere la terra piu' ricca di vita, per fare questo si utilizzano
preparati naturali da unire al terreno al momento dell'irrorazione, della
semina e da unire ai concimi che si ottengono dal compostaggio del letame.
L'agricoltura biodinamica
deriva da una teoria filosofica (antroposofia) elaborata negli anni '20 dal
filosofo austriaco Rudolf Steiner. E' un metodo che rispecchia il principio
dell'armonia della terra con le forze della natura. Ogni trattamento infatti,
dalla semina alla concimazione, rispetta il calendario lunare, i ritmi
cosmici.
Spesso i biodinamici vengono considerati "stregoni" per questo
pedissequo rispetto dei ritmi cosmici. E in molti sorge il dubbio che questo
sistema sia in armonia con la natura ma non abbastanza produttivo. Le prove
che la biodinamica sia anche produttiva sono sempre piu' numerose. Noi abbiamo
trovato un'azienda nel Lazio, dove si trova Agrilatina, che produce frutta e
verdura che arrivano sulle tavole di tutta Europa.
Ma i prodotti biologici sono
anche i trasformati: burro, biscotti, pane, marmellate...
La grande differenza tra questi prodotti e quelli comuni (oltre all'origine
biologica degli ingredienti) sono i processi industriali diversi che tendono a
non alterare le proprieta' organolettiche dell'alimento.
Inoltre viene ridotta all'essenziale la lista degli additivi, quella degli
aromi, che devono essere naturali, e quella dei conservanti (sono ammessi,
incredibilmente, i nitrati nei salumi in deroga al regolamento, ma molti
produttori non ne fanno uso).
I grassi industriali devono avere una chiara origine e non sono ammessi quelli
dalla definizione poco chiara che si trovano nei prodotti convenzionali.
Per saperne di piu' sull'agricoltura biodinamica e la filosofia alla quale si ispira: http://www.rudolfsteiner.it/
LA GARANZIA BIOLOGICA E
GLI ENTI DI CERTIFICAZIONE
Per definirsi produttori biologici o biodinamici bisogna seguire un
regolamento ben preciso e sottoporsi al controllo da parte di uno dei nove
enti di certificazione autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole.
Il controllo viene fatto da ispettori regionali.
Gli enti di controllo devono fare rispettare la legge che regolamenta il
metodo biologico in agricoltura (che e' del 1991) e quello nell'allevamento
(che e' dell'agosto 2000). Gli enti possono anche essere piu' restrittivi del
regolamento rifacendosi a norme private di organismi internazionali o a
proprie regole. In altre parole ci sono enti piu' severi di altri.
Il punto debole del sistema
sta nel fatto che a pagare gli enti di certificazione siano le aziende.
Il controllato paga il controllore con una quota annuale e con una percentuale
sulle vendite. E' cosi' in tutta Europa, ad esclusione di un paio di nazioni.
La severita' di un ente si
vede per esempio quando deve accettare la richiesta di conversione di un
produttore, ovvero quando un'azienda convenzionale decide di abbandonare la
chimica. Per poter essere ammesso deve sottostare a determinate regole tra le
quali produrre esclusivamente biologico, limitare al massimo le fonti di
contaminazione esterna e quindi attivarsi per esempio inserendo siepi tra il
proprio appezzamento e quello del vicino che usa la chimica, oppure usare
depuratori per l'acqua. La fase di conversione dura dai due ai tre anni per
coltivazioni in terra e molto meno per quelle in serra. Durante questo periodo
non e' possibile vendere i propri prodotti come biologici.
L'ente di certificazione puo' anticipare la fase di conversione ma soltanto a
determinate condizioni e solo se l'azienda dimostra che da tempo usa la lotta
biologica.
Il dubbio e' che ci siano troppe conversioni miracolose, dato il momento
storico che stiamo vivendo, di grande esplosione del mercato del biologico
(negli ultimi cinque anni le aziende italiane biologiche sono passate da
quattromila a quarantamila).
La serieta' di un ente si
vede anche durante le ispezioni annuali, che vengono fatte soprattutto sulle
carte e sui terreni. Gli ispettori devono essere sufficientemente esperti (e
onesti) nell'individuare eventuali irregolarita' (come l'uso di pesticidi).
Nel caso di sospetti di avvenute irregolarita' l'ente puo' procedere con una
analisi chimica del terreno o del prodotto. Un solo ente di certificazione (BIOS)
prevede un'analisi annuale obbligatoria per ogni azienda.
Il controllo viene fatto soprattutto sulle fatture che devono dimostrare
l'acquisto di concimi e prodotti per la lotta biologica, oppure di mangimi
biologici, o, per chi trasforma, sugli acquisti degli ingredienti base
biologici.
Qualsiasi decisione presa in
merito alle aziende (valutazione delle richieste di conversione, ammissioni,
abbandoni, sanzioni, sospensioni, espulsioni) vengono prese da commissioni
interne agli enti composte anche da rappresentanti dei consumatori e vanno poi
segnalate agli uffici degli assessorati agricoltura delle Regioni delegate
alle ispezioni e al controllo degli enti (relativamente alle aziende della
regione di appartenenza) e al Ministero delle Politiche Agricole che si occupa
di supervisionare il sistema che, come abbiamo detto, e' pagato dai
controllati.
Purtroppo il sistema di vigilanza delle varie Regioni funziona a macchia di
leopardo (inoltre gli operatori regionali sono stati addestrati soltanto un
anno fa con un corso del Ministero delle Politiche Agricole).
Lo stesso Ministero delle Politiche Agricole dovrebbe vigilare ma ha poco
personale ispettivo a disposizione. Lo stesso dipartimento che si occupa di
biologico arruola un pugno di funzionari.
Gli enti hanno per anni
lavorato in quasi totale autonomia e anarchia, soprattutto nel campo
dell'allevamento biologico, mai incentivato dai nostri politici che, a
differenza di altri colleghi europei, hanno atteso il tardivo regolamento
comunitario (giunto nel 1999). Il vuoto legislativo che ha frenato lo sviluppo
del settore ha dichiaratamente privilegiato il sistema produttivo intensivo,
quello basato su mangimi industriali (anche a base di farine di carne), sul
sistema crudele e innaturale degli spazi angusti per gli animali trattati come
macchine e non come essere viventi, ingrassati a ritmo continuo e sostenuti da
considerevoli dosi di farmaci (che finiscono nel piatto).
il sistema alimentare dominante e' stato evidentemente l'unico possibile per i
nostri ministri (ad esclusione di De Castro e Pecoraro Scanio, gli unici che
hanno invertito la rotta).
BIOLOGICO, MA QUANTO MI
COSTI!
L'aspetto piu' evidente rispetto ai
prodotti coltivati secondo il metodo convenzionale (uso della chimica) e' nel
prezzo. Di fatto il prezzo piu' alto dei prodotti biologici e' motivato
proprio dal tipo non intensivo di coltivazione, da una esigenza maggiore di
mano d'opera e da un maggiore scarto di prodotto (poiche' e' severamente
vietato l'uso di conservanti chimici). Ma la ragione del prezzo alto che piu'
pesa sta nel circuito distributivo, che e' nelle mani di pochi che possono
permettersi di governare il sistema dei prezzi. Sono i distributori, infatti,
che determinano i prezzi d'acquisto ai fornitori e agli acquirenti. E c'e'
ancora molta arbitrarieta' nel determinare i prezzi, che spesso non
rispecchiano il reale costo ma (per esempio) la difficolta' ad andarlo a
recuperare. Questo potere nelle mani di pochi distributori che fino ad oggi ha
giocato sulla esclusivita' del prodotto verrebbe meno se i prodotti biologici
fossero diffusi capillarmente. Infatti i costi aumentano per i distributori
quando con un carico devono girare per una provincia (o per una regione o per
l'Italia) e scaricare piu' volte. Guardando l'evoluzione del mercato del
biologico in altri Paesi europei dove e' piu' diffuso (Olanda, Germania,
Austria) i prezzi sono notevolmente piu' bassi.
Adesso anche la grande distribuzione italiana ha creato una linea biologica
(primi tra tutti Esselunga, seguita da Coop) i costi della distribuzione si
allineano su parametri standard. Noi abbiamo fatto una spesa parallela in una
di queste catene distributive acquistando prodotti alimentari fondamentali
alla dieta (latte, pane, uova, pasta, eccetera) biologici da una parte e
convenzionali (di marca) dall'altra e abbiamo speso il 15 per cento in piu'
per la spesa biologica. Se non avessimo acquistato prodotti di marca il
divario sarebbe stato maggiore, ma questo spiega anche i costi della
pubblicita' che nel biologico (per ora) ancora non ci sono, fatta esclusione
per poche realta' note (che infatti costano molto di piu' rispetto a prodotti
biologici equivalenti). Esistono ancora molti prodotti che costano anche il
doppio rispetto ad altri convenzionali, per esempio la frutta esotica, ma a
ben guardare ci sono valide ragioni come situazioni di sfruttamento sia di
personale impiegato che della terra, situazioni che nel biologico non vengono
attivate (per esempio le banane biologiche sono prodotte da cooperative e non
da multinazionali che riescono ad abbassare i costi sfruttando i lavoratori e
impiegando molti pesticidi e conservanti dannosi per la salute sia di consuma
che di chi maneggia certe sostanze durante le fasi di lavorazione).
IL PREZZO DELLE DEROGHE (E
DELLE DIFFERENZE)
Si dice che il prezzo giusto del prodotto biologico non dovrebbe superare
il 30 per cento del prezzo di un equivalente non biologico. Ma non e' sempre
un indice esatto, poiche' all'interno dello stesso prodotto biologico ci sono
differenze di metodo. Esistono molti produttori biologici "puri",
che utilizzano mangimi biologici al 100 per cento e rispettano al massimo
l'animale concedendogli spazi di movimento notevoli, anche il pascolo, ma va
detto che il nuovo regolamento comunitario recepito in agosto dall'Italia e da
molti altri Paesi europei concede molte deroghe, per esempio spazi ristretti e
perfino la catena ai bovini purche' si inizi la conversione dimostrando di
avere iniziato l'adeguamento degli spazi. Tutto questo per incentivare la
conversione. Ma dieci anni sembrano troppi (il ministro delle politiche
agricole Pecoraro Scanio ha posto il limite a due anni, ma le associazioni del
mondo del biologico sono insorte, quindi vedremo chi la spunta dopo la
postilla che si fara' alla legge proprio in seguito alle reazioni del mondo
produttivo). Noi speriamo che da una parte si pensi a incentivare il mercato
pur senza penalizzare chi produce biologico puro e soprattutto i consumatori
che non possono capire le differenze dall'etichetta. Lo stesso vale per la
deroga sui mangimi che possono contenere anche il 15 per cento di ingredienti
non biologici (soprattutto la soia, monopolizzata dal mercato del transgenico).
Per informazione va detto che chi adotta il metodo biodinamico non si appella
a questa deroga sul mangime. E' l'unica indicazione che posso dare a chi
acquista, ma auspichiamo che i produttori scrivano sull'etichetta piu'
indicazioni possibili per orientarci nell'acquisto e farci capire per esempio
cosa c'e' dietro la produzione del latte, delle uova, della carne.
Noi abbiamo fatto un parallelismo tra un allevatore avicolo che produce uova
secondo il metodo biologico in provincia di Treviso e un altro che adotta il
metodo biodinamico in provincia di Civitavecchia. Notevoli sono le differenze,
eccole: il primo ha il pascolo obbligatorio per legge (4 m2 per gallina) ma
nel capannone stipa diecimila galline (neanche libere di uscire quando
vogliono visto che viene lasciato libero l'accesso al pascolo soltanto se non
piove perche' la produzione di uova diminuisce se le galline si bagnano le
zampe); l'altro lascia le galline libere di entrare e uscire dalle casette che
condividono con poche "colleghe", permettendo cosi' lo strutturarsi
della loro vita sociale naturale; inoltre lo spazio di movimento e' notevole
(19 m2 per gallina). Visto che "gallina vecchia fa buon brodo" ma
poche uova l'allevatore di Treviso uccide le galline dopo il secondo anno di
produzione, l'allevatore di Civitavecchia invece le fa vivere fino a tre anni,
sebbene la produzione di uova cali considerevolmente dal secondo anno in poi
(negli allevamenti convenzionali, oltre ad essere in gabbie o allevate a terra
ma in spazi molto ristretti, le galline vivono un anno).
Per avere i dati aggiornati sul mondo del biologico, un elenco delle aziende produttrici, dei supermercati e dei mercatini e altri riferimenti pratici: http://www.biobank.it/
Per sapere come funziona il
sistema di certificazione basta navigare in un sito di un ente:
http://www.bioagriccop.it/, http://www.aiab.it/,
http://www.ccpb.it/
OLTRE IL BIOLOGICO
Sul prezzo dei prodotti incide anche
il costo della certificazione che il produttore deve sostenere e che alla fine
paga il consumatore.
E' assurdo che chi sostiene l'unico sistema alimentare sicuro debba pagare per
garantire che i veleni stiano alla larga. Infatti il sistema del biologico e'
l'unico al momento che garantisce un controllo dal seme al piatto. E' il
modello della sicurezza alimentare. Ma e' una lampante contraddizione che
questo modello non venga adottato dal sistema produttivo dominante, quello che
porta con se' i veleni, e i grandi numeri, quello del consumo spinto della
chimica e dell'allevamento intensivo, quello che sempre piu' spesso sfugge al
controllo, come provano il caso dei polli alla diossina e della mucca pazza.
Andiamo per ordine: i
pesticidi, i fitofarmaci, i concimi, i diserbanti chimici.
Siamo il paese europeo che ne usa di piu', subito dopo l'Olanda.
Sono passati dieci anni dal referendum che voleva una legge che ne limitasse
l'uso. In occasione di quel referendum, che non passo' soltanto perche' non si
raggiunse il quorum, ben 18milioni di italiani votarono "no" ai
pesticidi nel piatto. Una chiara richiesta di regolamentare l'uso dei veleni.
Ripetiamo: 18 milioni di italiani che per i nostri governanti evidentemente
valgono meno delle lobbies della chimica e degli interessi degli agricoltori,
enorme serbatoio di voti.
E allora via libera ai
signori della chimica, con uno Stato che per non mettere i bastoni tra le
ruote consente la compravendita di veleni come se fossero caramelle. Da anni
si chiede un controllo reale, una ricetta per chi acquista. Non esiste.
Esiste un patentino che gli agricoltori devono procurarsi per comprare i
pesticidi considerati piu' tossici. Ma chi vigila sull'uso corretto dei
pesticidi?
I controlli vengono fatti a campione dalle ASL.
L'1,6 per cento di campioni prelevati e' fuori dai limiti sui residui. Ma cio'
non toglie che portiamo in tavola numerosi veleni, come rivela una indagine
fatta raccogliendo i dati ufficiali di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte,
Toscana, Campania e Trentino dall'associazione Verdi Ambiente e Societa',
secondo la quale quasi la meta' della frutta e verdura e' contaminato da
pesticidi. Dentro i limiti decisi chissa' da chi.
Limiti che tengono conto delle relazioni con il corpo adulto e mai di quello
del bambino.
E questo sistema di controllo, se cosi' si puo' chiamare, non tiene conto
della somma di piu' pesticidi. Nonostante il mondo della ricerca oncologica da
anni ribadisca il concetto che l'associazione tra piu' sostanze attive puo'
avere potere cancerogeno.
I pesticidi sospettati di essere pericolosi vengono ugualmente usati?
Per capire quanto sicuro sia
il sistema alimentare dominante abbiamo preso ad esempio uno dei pesticidi
piu' usati: il mancozeb, un fungicida tra i piu' diffusi, viene usato su
frutta e verdura per prevenire le muffe da circa 40 anni.
Evidentemente il principio di cautela non viene adottato. Le prove sono in una
lista nera dove vengono elencati i fitofarmaci piu' pericolosi, tra cui
compare il mancozeb. Da non crederci: secondo l'Unione Europea il mancozeb
viene catalogato come possibile teratogeno (ovvero puo' creare dei danni al
feto), per lo IARC (Centro Internazionale di ricerca sul cancro) viene
considerato probabile cancerogeno, e secondo la Commissione Consultiva
Tossicologica Nazionale del Ministero della Sanita' c'e' una convincente
evidenza di cancerogenicita'. Questo mentre un altro ufficio del Ministero
della Sanita' autorizza il commercio del mancozeb (e purtroppo anche di molti
altri principi attivi inclusi nella lista nera).
Non si capisce quale prova serva ai tutori della nostra salute per proibire
l'uso di certe sostanze. Il solo sospetto non basta? Perche' non cercare le
prove allora? Non lo ha fatto il nostro governo (e nessun'altro) ma la
Fondazione Europea di Oncologia e Scienze Ambientali B: Ramazzini di Bologna
che ha sperimentalmente provato che il mancozeb e' un cancerogeno multipotente,
in grado di essere cancerogeno per diversi organi.
La ricerca sara' pubblicata su una rivista scientifica nel 2001. Nel frattempo
il mancozeb continuera' a riempire la nostra frutta, la nostra terra, le
nostre acque. Forse continuera' anche dopo.