Banca mondiale


Un elogio inatteso alla politica cubana su scuola e sanità. Arriva dal presidente dell’organizzazione internazionale James Wolfenshon. Che dice: in questi settori, l’isola rossa è ai livelli dell’Occidente. E negli Usa scoppia la polemica

di Maurizio Matteuzzi

 

All’Avana aspettano e temono per la salute di Fidel, il padre-padrone un po’ burbero ma rassicurante che il prossimo mese compirà 75 anni. E che un paio di settimane fa è semisvenuto durante un comizio. A Miami aspettano - ormai da quarant’anni - e pregano che questa volta Fidel esca davvero di scena, preparandosi a quel carnevale che per troppe volte hanno dovuto annullare. A Washington aspettano e scrutano i futuri scenari, divisi fra la speranza che il loro più longevo nemico finalmente tolga il disturbo, e la paura che il dopo-Fidel apra una fase di inquietante instabilità alle porte di casa. In fin dei conti sono passati 42 anni e il grande vecchio dell’Avana si è visto passare davanti agli occhi ben dieci presidenti degli Stati Uniti. Ognuno dei quali entrò alla Casa Bianca con l’impegno di rovesciare il “lider maximo” e di “riportare la democrazia” nell’isola rossa.
In qualche misura ciascuna delle parti in commedia recita il suo ruolo. A uscire un poco dal copione è stato, martedì 10 luglio, uno degli attori non protagonisti della quarantennale saga Usa-Cuba, che ha imprevedibilmente abbandonato per un attimo il canovaccio già scritto e udito un’infinità di volte. A Washington non è frequente ascoltare battute positive verso Fidel Castro e la sua Cuba del “socialismo o muerte”. E così è stato uno choc quando il presidente della Banca Mondiale, James Wolfenshon, si è lasciato andare ad aperte lodi della politica sociale cubana. A vantare l’educazione, la salute, gli indici di mortalità infantile a Cuba, finora erano stati solo i castro-cubani; ovvero i paesi latino-americani e in generale quelli del sud del mondo, distrutti da decenni di malgoverno, corruzione e ora neoliberalismo più o meno selvaggio; e infine, ma storcendo il naso e giustapponendoli sempre alla mancanza di democrazia e alla compressione dei diritti politici, alcuni paesi europei.
«Credo che Cuba abbia fatto, e tutti dovrebbero riconoscerlo, un grande lavoro nei settori dell’educazione e della salute», ha detto Wolfenshon in una conferenza stampa a Washington, insistendo che «ci si dovrebbe congratulare con i cubani per quello che hanno fatto». Niente di straordinario. Cose risapute. Ma il fatto che a dirle, e a Washington, sia stato il capo di uno dei due santuari del capitalismo neo-liberale, ha prodotto uno choc.
«La abissale ignoranza di Mr. Wolfenshon sulle reali condizioni di Cuba lascia senza fiato per la sua enormità», ha replicato Dennis Hays, uno dei vicepresidenti della “Cuban-American National Foundation”, il nocciolo duro dell’anti-castrismo ultrà fondato dal defunto Jorge Mas Canosa. «Oltre al fatto di avere detto cose del tutto sbagliate, vuole davvero farci credere che la repressione più estrema può essere giustificata con dei presunti successi negli indicatori socio-economici?», ha aggiunto. Gli ha fatto eco uno dei due deputati di origine cubana che siedono al Congresso di Washington: le affermazioni di Wolfenshon vanno «oltre ogni limite immaginabile», ha dichiarato Lincoln Diaz-Balart, un repubblicano eletto in Florida. E ha minacciosamente assicurato che «ne discuterà con i suoi colleghi deputati». Un modo poco elegante di ricordare che la Banca Mondiale dipende dalla generosità del Congresso Usa per il finanziamento dei suoi programmi.
Nonostante la tempesta su Washington scatenata dai giudizi di Wolfenshon - un australiano naturalizzato statunitense - non è neanche la prima volta che la Banca Mondiale elogia la politica sociale di Cuba. C’è chi ha ricordato che una decina d’anni fa Robert McNamara, già segretario di Stato ai tempi della guerra del Vietnam, non esitò a dichiarare di provare “un’immensa ammirazione” per i risultati ottenuti dal regime castrista in campo sociale. Però McNamara lo disse quando ormai non era più presidente della Banca Mondiale. E questa è - e fa - la non trascurabile differenza.
Le statistiche maneggiate dalla Banca Mondiale rivelano che Cuba per certe voci è più o meno sugli stessi livelli di molti paesi occidentali sviluppati. Secondo i “World Development Indicators, 2001” della BM, nel ’99 l’indice di mortalità infantile a Cuba è stato del 7 per mille bambini nati vivi. Lo stesso degli Stati Uniti. E il tasso di analfabetismo nello stesso anno risultava del 3 per cento per gli uomini e del 4 per cento per le donne. Livelli comparabili con quelli dei paesi industrializzati. E, come Fidel Castro non perde occasione di ricordare, a Cuba l’educazione e la salute sono gratuiti (e l’Avana, nonostante sia catalogata fra i paesi poveri, si permette anche il lusso di offrire borse di studio per studenti universitari stranieri poveri: ci sono perfino otto afro-americani che attualmente stanno studiando medicina nell’isola).
Wolfenshon non si è fermato qui. Ha voluto notare anche che Cuba ha raggiunto questi risultati da sola, senza alcun aiuto della Banca Mondiale e tanto meno del Fondo Monetario Internazionale. Perché, per via del veto Usa, è uno dei paesi che non fa parte né dell’una né dell’altro e perché in pratica è l’unico paese che - dice Fidel - non aspira ad entrarvi.
Naturalmente non sono solo rose e fiori per Cuba. Funzionari della Banca Mondiale hanno tenuto a precisare, come per scusarsi degli elogi, che per loro la definizione della situazione di un paese “è molto più ampia” e la loro filosofia dice che l’educazione e la salute sono indicatori importanti ma lo sono anche “la libertà economica e politica”. E la Cuba castrista ha evidentemente scelto di puntare sui settori sociali “a spese del suo progresso economico”. Una diffusa, a volte angosciosa, povertà, con effetti perversi sul sistema sociale, è innegabile per chiunque metta piede nell’isola.
Ma gli ultrà anti-castristi di Washington e Miami, della Casa Bianca e del Congresso, appaiono irrimediabilmente fuori tempo, se non fuori gioco. Un altro elogio inatteso, non certo per il sistema socialista cubano nel suo insieme ma per i suoi programmi sociali, è venuto poco tempo fa dallo stesso Colin Powell. «Castro ha fatto alcune cose buone per il suo popolo», ha detto il segretario di Stato.
Confermando comunque che il quarantennale blocco Usa andrà avanti.