Il peccato e la porpora

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NEL MARYLAND L’OSPEDALE PSICHIATRICO DOVE SI CURANO I SACERDOTI PEDOFILI
Silver Spring: nella clinica degli angeli caduti

SILVER SPRING. I l mistero di un uomo dannato, che mette Dio sulla bocca degli uomini. Se il prodigio esiste davvero, come raccontava Graham Greene nel «Potere e la Gloria», questo deve essere l’indirizzo dove abita: 8901 New Hampshire Avenue, Silver Spring, Maryland. E’ un lungo viale alberato, che taglia un sobborgo residenziale di Washington immerso nel verde. Sulla destra, quasi nascosto, c’è il Saint Luke Institute, un ospedale psichiatrico per sacerdoti.

Qui la Chiesa americana manda a curare i suoi angeli caduti; qui l’ex prete John Geoghan, la pietra dello scandalo di Boston, quello condannato a dieci anni di prigione per aver molestato oltre 130 bambini, era stato visitato nel 1989 e nel 1995. Diagnosi: pedofilia omosessuale. Il cardinale Law lo aveva fatto curare per tre mesi, e poi lo aveva spedito in un’altra parrocchia. Il risultato è questa crisi, che per il filosofo Michael Novak «dovrebbe far inginocchiare i nostri vescovi per chiedere perdono». Saint Luke era nato nel 1981 per assistere i preti alcolizzati. Nel 1983, però, scoppiò il caso di padre Gilbert Gauthe, condannato a 20 anni di prigione in Lousiana, per aver molestato almeno 35 ragazzi. Allora l’istituto fu chiamato ad allargare la sua missione alle patologie sessuali.

Davanti all’ingresso c’è un’aiuola fiorita, e poi il campanile della chiesa con una grande statua della Resurrezione: Gesù sollevato per le spalle dal Padre, che poi è il simbolo della redenzione che si viene a cercare tra queste mura. Mentre sediamo nella sala d’aspetto per essere ricevuti, si avvicina un signore grassoccio coi capelli bianchi. Avrà circa sessant’anni e chiede: «Sei qui per una visita psichiatrica». «No, e lei?». Sorride, prepara la risposta, ma la voce della segretaria lo interrompe: «Sam, vieni qui, mi serve aiuto con questi libri».

E’ la legge della privacy: i clienti vanno protetti, perché altrimenti potrebbero rinunciare alle cure. Padre Gregory Reisert, il direttore che stavamo aspettando, veste in abiti civili, con una camicia a scacchi e jeans verdi. E’ prete dal 1964, e dopo anni passati in questa valle delle lacrime, riesce ancora a sorridere come un curato di campagna: «Hai visto quanto è bella la statua del Cristo che risorge? E pensare che l’ha scolpita una donna ebrea, molto amica del nostro istituto». Saint Luke, spiega padre Gregory, sorge sopra un’area di 43 acri di terreno.

Ci sono tre campi da tennis, uno da pallamano e uno da basket, ma non è un resort per le vacanze. Ha uno staff clinico di 30 persone, tra cui sei preti e sei suore. Offre cinque programmi: la valutazione, che dura una settimana e serve per la diagnosi del paziente; la residenza per gli uomini, che dura da 3 a 6 mesi e significa la cura; la residenza per le donne, stesso discorso; l’half house, ossia un programma di cura più leggero, per chi ha già fatto il ricovero ma ha bisogno di completare il lavoro; e il continuing care, cioè il monitoraggio dei pazienti dimessi che può durare fino a 5 anni, con contatti telefonici settimanali, controlli costanti da parte di un tutore nel luogo di residenza, e due ricoveri annuali di sette giorni per verifica.

Ogni settimana, in media, si presentano qui quattro religiosi per essere visitati, ma quelli con problemi sessuali sono il 25%: il resto ha malattie mentali o dipendenze diverse. In questo 25%, i pedofili sono una frazione ridotta, ma sono anche quelli che fanno più notizia. La residenza per gli uomini ospita in genere circa 35 persone, e quella per le donne tra 12 e 15. L’half house è aperta ad una decina di clienti. Quindi a St. Luke ci sono circa 60 pazienti, che l’anno scorso venivano da 17 paesi diversi.

Sono persone che hanno toccato il fondo, come dice una di loro, che non possiamo nominare per rispettare la legge sulla privacy e il suo calvario: «Quando arrivai qui volevo suicidarmi. Non potevo più sopportare il dolore dentro di me, e l’unica risposta che trovavo era farla finita. Non vedevo via d’uscita dall’oscurità che mi perseguitava. Odiavo il mio corpo, per tutto quello che mi aveva procurato. Guardatemi ora! Sono vivo, e felice ogni giorno che mi sveglio». La terapia comprende un po’ di tutto. Per esempio oggi, venerdì, le donne cominciano alle 6,30 con un’ora di Yoga, e vanno avanti fino alle 10 di sera, passando dal Focal Group alla liturgia. Il mercoledì alle 12,45 si fa Art Therapy, e il martedì alle 9 Psychodramma. Secondo i dati dell’istituto, l’85% dei religiosi torna alla vita normale.

Su 450 pazienti curati dal 1985 al 1995, solo 3 ci sono ricascati, e la percentuale generale di ricaduta è del 2,6%. Ma è proprio quel 2,6%, con la faccia di Geoghan, che mette paura agli americani, dopo il vertice di Roma tra il Papa e i cardinali che ha lasciato aperta la porta per il reintegro dei preti giudicati molestatori non seriali. «E’ la questione più difficile», ammette padre Stephen Rossetti, psicologo e presidente dell’Insitute. Una storia singolare, la sua. Nel 1973 si era laureato alla Air Force Academy, e per sei anni aveva lavorato nel servizio di intelligence dell’aviazione militare americana. Poi la conversione, l’ordinazione, il dottorato in psicologia e la vocazione per il salvataggio dei fratelli caduti. «Il Papa e i vescovi - continua Rossetti - hanno fatto due cose molto importanti: stabilire che gli abusi sono un crimine ed invocare una politica nazionale per combatterli.

La tolleranza zero è sacrosanta per persone come Geoghan, col quale abbiamo commesso un errore imperdonabile. Ma siamo sicuri che per tutti gli altri il rimedio è allontanarli dal sacerdozio? E una volta fuori cosa faranno, non torneranno a molestare? Forse anche piu’ di prima, come accadde con James Porter, un prete del Massachusetts che fu cacciato, si sposò, e finì in prigione per aver abusato della sua baby sitter. Di sicuro i molestatori vanno allontanati per sempre dai bambini, ma forse tenerli nella Chiesa potrebbe servire a controllarli meglio. Su questi problemi, comunque, noi e la società dobbiamo collaborare e non scontrarci, perchè l’obiettivo sacro comune è la sicurezza dei bambini». Secondo Rossetti, ci sono cinque punti da chiarire: «Non tutti i molestatori sono pedofili, e non tutti sono incurabili. Non c’è collegamento scientifico provato tra celibato e molestie, e tra omosessualità e pedofilia.

I vescovi in realtà denunciano gli abusi più di quanto avvenga per legge tra i laici, e i preti molestatori sono circa il due per cento come tra i laici». Padre Stephen, però, non sfugge alle sue responsabilità: «E’ chiaro che abbiamo sbagliato, e un solo errore in questo campo è già troppo. Lo scandalo, però, ha rafforzato ancora di più la nostra volontà a lavorare meglio». Mostra la lettera di un ex paziente, che comincia così: «St. Luke mi ha dato una nuova vita». Rossetti però non si vanta: «Questo è un posto di grazia, ma non è una grazia facile. C’è molto sudore e molte lacrime, loro e nostre».