I fondamentalisti cristiani

Fondamentalisti americani all'arrembaggio
Con gli strumenti della antropologia psicoanalitica, Vincent Crapanzano indaga le matrici dell'intolleranza nei templi del fondamentalismo cristiano. Tanto più preoccupante dove più forte è il disagio sociale, questo fenomeno si è esteso dalla religione alla politica, all'economia, alla letteratura

DANIELA DANIELE

 

Esiste una matrice bianca del fondamentalismo? A nessuno viene in mente di cercarla in questa America a un passo dalla recessione a cui Bush, in toni biblici e apocalittici, promette "libertà duratura". Eppure, nei discorsi del presidente americano sono fortemente entrati Dio e la sua volontà, il conflitto tra bene e male, tra libertà e terrore, tra l'attacco istantaneo e la giustizia infinita, a riprova del fatto che questa guerra globale rischia di riproporre, rovesciati, i termini dell'integralismo religioso, riportando tristemente alla luce il retaggio di antiche supremazie culturali, di presunte superiorità razziali. Vincent Crapanzano - di cui il pubblico italiano conosce Tuhami. Ritratto di un uomo del Marocco, pubblicato da Meltemi, e Il dilemma di Ermes: il mascheramento della sovversione nella descrizione etnografica, di Anabasi, 1995 - insegna al Graduate Center della City University di New York, e indaga con gli strumenti dell'antropologia psicoanalitica i nuovi scenari della destra americana. In Serving the Word. Literalism in America from the Pulpit to the Bench (New York, Free Press, 2000), individua le matrici dell'intolleranza nei nuovi templi del fondamentalismo cristiano, cogliendone i riflessi autoritari nel pensiero giuridico e sul sistema politico. Lungi dall'essere un fenomeno prettamente religioso, il fondamentalismo per lui è una modalità del pensiero e del linguaggio che si estende in modo allarmante anche nei suoi aspetti più militanti, promuovendo un oscurantismo irriguardoso verso l'approccio laico e democratico e riducendo di colpo la complessità delle categorie etniche e sociali, in nome di chi pretende di detenere il controllo delle Scritture. Crapanzano ha studiato le facoltose comunità di Los Angeles, atenei tecnologicamente avanzati come il CalTech's Jet Propulsion Laboratory, in cui - Bibbia alla mano - si diffonde, soprattutto tra i "tecnici", una "creationist science" che forma quadri dirigenziali chiusi alle dialettiche interculturali ma attentissimi alle ragioni di un unico credo e di una sola logica economica. Il fondamentalismo, spiega l'antropologo, è una tentazione da sempre alla base della cultura americana, con la sua attrazione per le certezze letterali del discorso e il suo timore per il piano metaforico e figurativo.
Vincent Crapanzano si trova in questi giorni alla Buchmesse di Francoforte, e passerà in Germania i prossimi mesi come visiting professor. Gli rivolgiamo alcune domande sui temi che recentemente ha messo al centro del suo lavoro.

E' ancora possibile individuare nella matrice puritana la fonte di questa nuova intolleranza ideologica, così diffusa in America?

Non si tratta di condannare la matrice puritana di questa civilità, perché nei secoli essa ha vissuto un suo rinascimento e ha saputo volgersi al progresso e alla dialettica democratica. Questa nuova adesione al piano letterale delle Scritture ha origine nella cristianità evangelica del XIX secolo e a ispirarlo non è una nuova ricerca di rigore ma una resistenza alla figuralità e al valore simbolico del linguaggio, che viene percepito come un modo contaminato e deformante di presentare i fenomeni. In un mondo multietnico e plurinlinguistico come il nostro, questo generale irrigidimento coincide con un impoverimento del linguaggio, che tende a ridurre ogni categoria sociale e politica a entità uguali e contrarie, niente affatto rappresentative dell'eterogenea composizione della nostra società. L'adesione astorica e letterale ai testi sacri induce il 34-40 per cento degli americani a pensare che la Bibbia sia "la vera parola di Dio e in quanto tale va presa alla lettera". Uno dei seminaristi che ho incontrato afferma che "Dio non è democratico" e che la verità divina è soltanto una. Pretendere di sapere ciò che vuole Dio riflette una resistenza all'interpretazione e un'inerzia intellettuale che si avvicina, nei suoi meccanismi retorici al fondamentalismo religioso, con la sua fede prona e cieca verso i documenti di autorità assoluta. Ma non è solo il mondo religioso a investire la parola e il linguaggio di questa attribuzione assolutistica. C'è sempre un momento in cui il giudice della Corte Suprema e il presidente degli Stati Uniti si fanno solenni interpreti della volontà di Dio e citano la Bibbia a convalida delle loro decisioni. In un paese come l'America, dove Stato e Chiesa sono costituzionalmente separati, è molto pericoloso che la retorica politica tenda a confondere i due piani.

Qual è il volto del sistema giuridico americano di cui lei coglie i risvolti autoritari?

L'interpretazione letterale della Costituzione è molto preoccupante per il peso politico e strategico che essa riveste in America, dove è considerata un testo sacro come la Bibbia. Ogni volta che avviene una violazione dei codici, i cittadini possono impugnare la Costituzione e appellarsi alla Corte Suprema, da cui dipende l'intera struttura del sistema giuridico americano. Negli ultimi sessant'anni, la Corte Suprema ha giocato un ruolo rilevante nel bilanciare il potere presidenziale e nel mantenere certi standard democratici che il Congresso avrebbe altrimenti sacrificato. La Corte Suprema si esprime e sentenzia su questioni razziali, sull'istruzione, sull'identità nazionale: durante il New Deal ha sostenuto i progetti di Roosevelt e più tardi è stata usata in maniera creativa anche dalla commissione Warren, non limitatandosi ad applicare leggi, ma teorizzando e legalizzando questioni complesse come la contraccezione e l'aborto. Negli ultimi anni, Robert Bork, con l'appoggio di Reagan, ha invece promosso una visione statica e "originalista" della Costituzione. E, dal momento che negli Stati Uniti è il presidente a nominare i giudici della Corte, ora c'è molta apprensione sugli uomini che cercherà d'imporre. Dopo quelli che vengono comunemente definiti i brogli elettorali dello scorso anno, la Corte Suprema, prendendo la decisione di mandare Bush al potere, è entrata in una questione politica su cui non avrebbe dovuto esercitare alcuna autorità: è un'interferenza inaccettabile nella vita politica, e questo è intollerabile per le coscienze democratiche.

Quali sono gli strati sociali più soggetti a questa tentazione conservatrice e riduzionistica? Esistono dei fattori economici scatenanti?

Credo che il fondamentalismo rappresenti una reazione a un nuovo tipo di insicurezza economica e al fatto di non vedere più riconosciuti i propri diritti e le minime garanzie sociali che ancora esistono in Europa occidentale. Chi è privo di diritti democratici tende ad affidarsi a una cristianità conservatrice. Dove più forte è il disagio sociale e l'assenza di strumenti critici, il dogma può assumere un valore anche terapeutico per chi diffida del ruolo che potrebbero giocare altre soggettività nel mondo americano, oggi costrette a riconoscersi in una testualità neutra e universale che esclude il dissenso.

Lei che è anche docente di Letterature comparate, non crede che il fondamentalismo, come paradigma concettuale del nuovo autoritarismo, stia limitando lo sviluppo delle scienze umane e, più in generale, l'esercizio del senso critico?

In questi giorni siamo indotti a pensare che il fondamentalismo sia un prodotto dell'ignoranza ma, purtroppo, è il prodotto di un'intolleranza che sta trovando una veste istituzionale, in grado di fare proseliti e di formare una classe di intellettuali. Essa cresce anche nella destra cattolica americana che, con il sostegno del Papa, sta attribuendo all'Opus Dei la leadership intellettuale della chiesta cattolica americana, nonostante il grave disappunto dell'ordine gesuita, che in passato si era mostrato capace di autonomia e di controversie nei confronti del Vaticano. Queste nuove milizie cattoliche, come ha scritto Gore Vidal su "Vanity Fair", trovano la complicità di giudici influenti come Clarence Thomas, dispongono di grossi investimenti (con cui hanno rilevato un intero palazzo d'epoca a Manhattan) e adottano peculiari forme di reclutamento, usando tecniche scientologiche capaci di sedurre gli adepti e di consumarne le sostanze. I predicatori televisivi sono solo l'aspetto più grossolano di un fenomeno in realtà molto esteso, capace di manipolare cervelli e di soffocare le libertà acquisite con le proteste pacifiste e la cultura degli anni Sessanta. Questa ribellione mi pare meglio integrata nella storia dei movimenti politici e sociali europei, i quali hanno insegnato alla gente a pensare in termini non morali ma politici. Invece, in America, soprattutto quella più periferica, continua ad esserci una maggioranza silenziosa, rimasta esclusa da questi processi di democratizzazione, che si è sentita offesa dalle provocazioni della cultura democratica e dei politici usciti dalle università dell'Ivy League e dell'East Coast democratica. Con l'elezione di Bush c'è stato un brusco cambiamento e una drastica riduzione del dibattito sociale a vantaggio della mera performance, dove a vincere è la rozzezza sprezzantemente esibita. Quello che oggi si tende a privilegiare è questo livello minimo di comunicazione, che non tiene conto del livello figurale del discorso e del ruolo decisivo dell'interpretazione nella produzione dei significati.

Nel suo libro lei vede il rischio che questa chiusura possa passare dalla religione e dalla giurisprudenza ad altri campi del sapere, profilando un attacco all'intera cultura...

Storicamente i periodi più reazionari sono sempre stati segnati da un attacco alla cultura. Non a caso, il grande critico George Steiner ha già parlato di "post-cultura." Ciò che distingue il fondamentalismo è la volontà di rivendicare al di sopra di tutto un impegno morale. Si tratta, però, di un impegno a difesa della propria morale che in genere non mostra alcun interesse o apertura verso la morale altrui. I libri di testo su cui si stanno formando i nostri studenti universitari sono tutti testi di base. I nuovi protocolli richiedono più istruzione di base e meno corsi di arte e di letteratura. L'effetto è quello di soffocare l'esercizio della funzione critica del linguaggio, il ruolo dell'interpretazione, imponendo un'unica morale aziendalista, che è poi la stessa che ha concepito questi strumenti. Ora c'è il rischio che l'attuale sventolio di bibbie e corani investa anche la psicoanalisi, la psicologia, la genetica, cioè quei terreni cognitivi che pongono nuove, difficili questioni su come la nostra democrazia dovrebbe affrontare differenze morali, culturali e religiose, che ormai sono parte integrante del nostro mondo.

Quale ruolo gioca la tecnologia in questo processo di semplificazione cognitiva?

Oggi si sente molto l'assenza di un approccio antropologico più complesso all'immaginario tecnologico e al modo in cui esso produce significati: il rischio è quello di appiattire il pensiero sui mezzi tecnologici. Va infatti consolidandosi una cultura settoriale e specialistica sempre più inconsapevole dei contesti. Privata della sua sostanza umanistica, essa esibisce un volto efficientista e competenze tecniche che tendono a ridurre la complessità delle dialettiche sociali e della psiche a una semplice questione di dati, a cui si tende ad attribuire la funzione letterale di informazione. Anche il linguaggio della rete tende ad attribuire alle informazioni un impatto cognitivo immediato: quella telematica è una modalità di apprendimento alquanto diversa dai modi a cui eravamo abituati, i quali pervenivano a una decodifica dei dati a partire dal riconoscimento dei loro contesti e della loro funzione antropologica. Sintomatico, quindi, è l'attuale isolamento degli studi umanistici, l'interesse decrescente degli studenti nei loro confronti, e il fatto che gli atenei investano i loro fondi su obiettivi immediatamente pratici, pur sapendo che è semplicistico ridurre ogni pratica linguistica e culturale a una pratica economica.

Ma quali sono i nuovi luoghi della critica se quelli tradizionali vengono così investiti da quest'ondata di conservazione?

In questa fase di sterilità crescente, in cui anche le menti più vive arrivano ai congressi con l'occhio al cellulare e in costante contatto con i loro consulenti finanziari, mi pare il caso di chiedersi quale sia oggi lo spazio dell'utopia e della speranza. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una violenta reazione nei confronti della decostruzione e del postrutturalismo: quando l'accademia americana ha scoperto Bachtin, è andato profilandosi un paradigma diverso da quello strutturalista che ha offerto una visione molto sofisticata degli artifici del linguaggio. Malgrado i suoi meccanicismi, le controversie con la storia e le rigidità distintamente avvertite da autori come De Man, Derrida, Levi-Strauss si è saputa elaborare una teoria da cui è nata la moderna dimensione antropologica e la percezione dell'artificio che sostiene la nostra dimensione di pensiero e il nostro sistema di comunicazione. Oggi, invece, i critici letterari stanno abbandonando l'analisi culturale e si attaccano ai testi preoccupandosi dei loro contenuti, del loro messaggio morale e assumendo toni predicatori tutti mirati all'immediato riconoscimento dei significati. Anche questo procedimento volge a una forma di fondamentalismo, perché evoca una lettura teologica dei testi e induce analisi letterali in cui è il messaggio spirituale e morale a prevalere. Su queste stesse basi va costruendosi un nuovo pensiero conservatore che tende a intrappolare l'immaginazione.

Nell'attuale risposta dell'Occidente cristiano contro il terrorismo islamico è facile percepire i mutamenti antropologici e il progressivo irrigidimento del pensiero americano di cui lei tratta nel suo libro. Gli eventi più recenti hanno richiesto un aggiustamento delle sue posizioni in fatto di fondamentalismo?

Credo che Bin Laden per gli Stati Uniti e gli Stati Uniti per Bin Laden siano due polarità ottimamente funzionali al desiderio di ridurre la complessità della nostra società globalizzata, dove tutto è telematicamente collegata. Questa, in realtà, non ha un centro e non può più credere di avere dei nemici così facilmente individuabili e da "centrare". Le reazioni a cui assistiamo non sono altro che nuove forme di resistenza alla retorica, oltre che alla realtà, del nostro mondo postmoderno.