Per chi tifa il Vaticano?

...non ci sarebbe neanche da chiederselo...


CITTA' DEL VATICANO - Un occhio rivolto a Marx, un occhio rivolto a Madrid. Alle prime elezioni del nuovo secolo il Papa e la gerarchia ecclesiastica si muovono in preda a due fantasmi. Rancorosi nei confronti delle ombre post-comuniste, impauriti dalla trionfante secolarizzazione iberica, che in pochi anni ha trasformato la cattolicissima Spagna in un paese liberale e libertino. Per il Vaticano, consapevole che il suo potere di interdizione svanisce appena varcate le Alpi, la Spagna è lo spettro di ciò che potrebbe diventare l'Italia se la gerarchia ecclesiastica perdesse la presa sui governi. Aprendo i lavori del consiglio permanente della Cei, il cardinal Ruini ha negato appassionatamente qualsiasi intento della Chiesa di perseguire "finalità politiche". In realtà le gerarchie ecclesiastiche sono decise a favorire, dietro le quinte, lo schieramento che meglio risponderà ai propri interessi. Un replay delle manovre messe in campo dal Vicariato durante le elezioni regionali del Lazio l'anno scorso, quando si indirizzarono discretamente i voti delle congregazioni religiose femminili verso Storace per punire Badaloni, reo di aver fatto approvare una legge sulle coppie di fatto (che oggi gli stessi partiti del Ppe riconoscono tranquillamente). 

Per i postcomunisti in Vaticano non c'è simpatia. Nella cerchia degli intimi di Wojtyla vengono chiamati sempre "loro", con una termine ereditato dalla guerra fredda. Non sono bastati l'ingente impegno economico e organizzativo del governo per il giubileo né le concessioni a favore della scuola cattolica. In Segreteria di Stato al centro-sinistra si mostra il pollice verso. "Non hanno fatto nulla per la scuola, nulla per i giovani, sono sempre su sponde opposte in campo bioetico", spiega seccamente un collaboratore del cardinale Angelo Sodano. Insomma, non sono venuti quei quattro milioni ad alunno che il cardinal Ruini esige per gli istituti cattolici e che moltiplicati per trecentomila studenti equivarrebbero a 1.200 miliardi l'anno. Il Polo, sono convinti nei sacri palazzi, salverà le scuole della Chiesa dalla crisi di liquidità. Si parlava una volta, ai vertici ecclesiastici, del contrasto fra Sodano e Ruini. In questa vigilia elettorale i due porporati agiscono come gemelli. Non nutrono alcun dubbio che sia necessario far vincere il Polo. 

Papa Wojtyla il 18 gennaio di fronte a Storace e Rutelli ha messo nuovamente sul piatto i suoi desiderata. Ha chiesto "rispetto del matrimonio, mai assimilabile ad altre forme di relazione...tutela della vita fin dal suo concepimento... iniziative coraggiose per la effettiva parità scolastica". Tradotto in italiano elettorale: no al riconoscimento delle unioni di fatto, plauso alle iniziative anti-pillola di Storace, buoni- scuola sull'esempio della Lombardia. Soddisfazione del Polo, imbarazzo del candidato premier Rutelli: "Quando parla il Papa, i politici non devono parlare, nel modo più assoluto", ha commentato. 

Pochi giorni prima gli era arrivata una telefonata dalla segreteria di Stato per esprimere il disappunto (e la contrarietà) del Vaticano alla candidatura di Walter Veltroni a sindaco di Roma. L'Urbe, nella strategia del cardinal Ruini, non deve assolutamente andare al segretario dei Ds. Ossessionato dalla sindrome spagnola, egli vede in Veltroni "un'incarnazione della mentalità liberal tipo Gonzalez o Blair, che da anni è la bestia nera del Papa", confida un assiduo frequentatore dei palazzi apostolici. La dottrina Ruini è stata proclamata in un'intervista all'Avvenire: "La Provvidenza ha affidato a Roma la missione di centro spirituale della cattolicità". Ciò riguarda la Chiesa, "ma riguarda anche tutta la città, che non può comprendere e realizzare se stessa prescindendo da questa missione". Così il porporato reintroduce l'ipoteca dell'Urbe come "città sacra", concetto espressamente abolito dal concordato Craxi-Casaroli. "Ruini teme un Sindaco che dalla tribuna capitolina su certi argomenti si contrapponga al Pontefice", confessa un vecchio democristiano che conosce il presidente della Cei da sempre. Si capisce, dunque, perché il cardinale stia tentando sino all'ultimo di trovare un contro-candidato, visto che D'Antoni (su cui aveva puntato) non ha voluto. 

Nonostante la simpatia per il Polo e il canale diretto con Storace, Ruini non è affatto entusiasta del candidato polista Tajani. Lo vede troppo vicino a Cesare Previti, considerato espressione della sempre temuta massoneria. Se il cardinal Vicario è padrone del suo gregge a Roma, gli è più difficile guidare alle manovre elettorali il corpo dell'episcopato. L'attacco con cui l'Avvenire ha demolito il programma di Rutelli ha suscitato sconcerto fra i vescovi. Parecchi di loro hanno telefonato alla sede della Cei, alla Circonvallazione Aurelia, per sapere se vi era una "linea ufficiale" contraria al centro-sinistra. Con le inevitabili e necessarie smentite. Due presuli hanno sentito il dovere di bloccare subito qualsiasi fiancheggiamento della Chiesa nella contesa elettorale. Da Siena monsignor Gaetano Bonicelli, segretario generale aggiunto della Cei negli anni Settanta, ha messo le mani in avanti. "Non esiste e non può esistere un pensiero univoco dei vescovi" in materia elettorale, ha affermato. Aggiungendo, per chiarire bene: "E' impensabile che l'episcopato possa attaccare un candidato premier o l'altro".

Qualche giorno dopo anche il cardinal Martini ha gettato il suo sulla bilancia: "Non riteniamo utile fare elenchi prescrittivi o proscrittivi". I vescovi appaiono riluttanti, divisi, disorientati. C'è in cuor suo chi è polista e chi ulivista, ma il grosso è soprattutto recalcitrante a lasciarsi coinvolgere nella campagna elettorale. "La Chiesa non scenderà in politica, su questo non si abbia timore", scrive "Verona fedele", l'organo diocesano del vescovo Flavio Carraro. Di sicuro non c'è più un'onda maggioritaria pro-Ulivo come quella che nel 1996 portò alla vittoria il tandem Prodi e Veltroni. Il colpo di mano di D'Alema lascia le sue scorie avvelenate. "C'è un grande disagio nel mondo cattolico in vista delle prossime elezioni", afferma il cardinal Tonini, "cresce il disamore per la vita politica, i cittadini sono turbati per lo stile gladiatorio con cui si disprezza l'avversario, si è perso il senso di comunanza che deriva dalla carta costituzionale". La stampa cattolica, che supera il milione di lettori, offre l'immagine di un'istituzione ecclesiastica che nella dimensione locale preferisce occuparsi di problemi concreti piuttosto che di schieramenti partitici. Immigrazione, lavoro, iniziative antiusura, i tagli alla sanità pubblica, il futuro del servizio civile, i rapoprti con l'Islam. Certamente, nel libro dei sogni di tantissimi vescovi c'è ancora la rinascita di un Grande Centro come quello evocato da D'Antoni. Ma lentamente i presuli cominciano ad arrendersi all'ineluttabilità del bipolarismo. "L'alibi della delega in bianco non regge più - scrive il Cittadino di Lodi - Occorre che ciascuno si coinvolga più personalmente per conoscere bene i programmi elettorali e si assicuri sull'attendibilità di coloro che li dovranno tradurre in realtà". Rimane, comunque, prepotente (e frustrato) il bisogno di esprimere un cattolicesimo sociale e popolare, che nel pensiero di parecchi vescovi non riesce a trovare visibilità nei due blocchi contrapposti. Il gesuita Bartolomeo Sorge, direttore della rivista Aggiornammenti sociali, propone di "inventare strade nuove". Proprio nell'agonia della seconda repubblica egli crede si possa realizzare una nuova versione dell'idea di Sturzo: "Un partito laico, aconfessionale, ispirato ai valori cristiani, ma aperto a tutti i "liberi e forti", non centralizzato, che parta dal territorio". Fra qualche settimana riunirà a Roma gli aspiranti fondatori provenienti da tutta Italia.