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Punti di vista della storiografia
- J. Burckhardt, nella sua vecchia e classica visione, esalta le qualità del Rinascimento come «pieno sviluppo del sentimento dell’individuale» contro il «velo tessuto di fede, d’ignoranza infantile, di vane illusioni» tipico dell’oscuro Medioevo.
- Mentre per J. Huizinga: «chiunque cerchi con serietà di segnare una linea tra medioevo e rinascimento si avvede sempre che i confini gli si vanno allargando e spostando. Scopre nel lontano Medioevo forme e movimenti che sembrano già recare l’impronta del Rinascimento [...] Ma è vero anche il contrario: chi studia senza preconcetti il Rinascimento scopre in esso un carattere molto più ‘medievale’ di quanto la teoria voglia ammettere».
- Allo stesso modo J. Le Goff parla di un «lungo medioevo» includendovi anche aspetti del XVI secolo.
- Dopo Burckhardt e dopo «una generazione di specialisti, strettamente settoriale, [che] ha infranto l’unità del Rinascimento in migliaia di frammenti colorati e splendenti» per J. Macek si può mostrare come fra il 1300 e il 1530 «siano apparse in Italia evidenti manifestazioni e ripercussioni della crisi del feudalesimo [...] anche rapporti di produzione capitalistici e [...] lotte rivoluzionarie del popolo» tanto che sorge «un nuovo stile di vita della borghesia e del patriziato» e l’Umanesimo ha così «impresso il suo marchio allo sviluppo della conoscenza dell’uomo e della natura per mezzo della scienza e dell’arte.»
Punti di vista filosofici
- Per P.O. Kristeller il termine ‘umanesimo’ va ristretto alle discipline retorico-letterarie (le humane literae di Cicerone): gli umanisti si occupano di filosofia e scienza solo indirettamente. Essi non furono riformatori del pensiero filosofico perché non furono filosofi; inoltre è soprattutto la tradizione aristotelica e scolastica ad occuparsi di filosofia della natura e logica, e ciò avviene nelle istituzioni universitarie e di pensiero del M.E. anche se con influssi umanistici.
- Per E. Garin, invece, l’umanesimo ha una precisa valenza filosofica: solo chi pensa alla filosofia come costruzione sistematica di grandi proporzioni «nega che la filosofia possa essere anche un altro tipo di speculazione non sistematica, aperto, problematico e pragmatico [...] Le indagini sono concrete, definite, precise nella direzione della scienza morale (etica, politica, economia, estetica, retorica) e delle scienze della natura coltivate iuxta propria principia, al di fuori di ogni vincolo e di ogni auctoritas...»
Proprio questa attenzione «filologica» a problemi particolari «costituisce la nuova filosofia» sviluppata appunto su temi che riguardano l’uomo o la morale (1) o lo studio della natura (2).
Lungo la prima linea si vedranno le riflessioni politiche di Machiavelli nel Rinascimento e successivamente quelle di Hobbes o Locke; mentre sulla seconda bisognerà collocare sia l’interesse neoplatonico per la magia, le forze vive, il numero (anche Leonardo), sia gli sviluppi neoaristotelici dell’umanesimo a inizio XVI sec. (Pomponazzi), ma anche la rivoluzione scientifica con Copernico, Galileo, Keplero.
Se si afferma questo, si sta anche indicando l’umanesimo come inizio della modernità.
- Ma di nuovo, questa valenza filosofica non è così disgiunta dagli aspetti religiosi così come solo gli ultimi sviluppi dell’età moderna ci hanno abituato. Ecco che per H. de Lubac non esiste un umanesimo ateo e neanche laico (se per laico si intende il non-fedele): l’esaltazione della libertà dell’uomo anche da parte di un umanista come Pico è sempre una esaltazione della creazione e della potenza divina. Lo stesso parallelo fra macro- e micro-cosmo, caro alla tradizione neoplatonica, va visto in questo senso.
Punti di vista sociale e antropologico
Il Rinascimento italiano è un fenomeno legato alla vita cittadina di strati borghesi e nobili (non più ecclesiastici) prevalentemente in quattro regioni: Toscana, Veneto, territori pontifici, Lombardia. Proprio in queste inizia la separazione fra cultura popolare (o folklorica) e cultura alta: nei suoi sviluppi la cultura alta sarà sempre più espressione di corte legata a un signore-mecenate, mentre quella popolare rimarrà più vicina a quella medievale.
Una separazione in qualche modo simile si era già avuta nel Medio Evo: da un lato, la cultura religiosa espressa nell’arte sacra (dalla scultura alla musica) e nelle università; dall’altro, tutte le manifestazioni di religiosità popolare. Tuttavia tale separazione, pur vedendo punte contrapposte, è generalmente non così forte come nell’età moderna.
Cultura folklorica e delle classi dominanti divengono infatti sempre più lontane dal XV sec. e le forme popolari verranno sempre più attaccate nei secoli successivi sia in ambito cattolico sia protestante (in questo senso è interpretabile anche la caccia alle streghe). Tuttavia ciò non toglie che forme artistiche delle classi alte a volte prendano o riprendano materiali popolari, come ancora avviene nel XX sec.
In età umanistica l’artista, anche se fa ancora parte di una corporazione come nel M.E., tende a rendersi autonomo dalla tradizione sacra e popolare per venire incontro a esigenze mutate esaltando Dio tramite l’uomo e l’imitazione «non già di forme e risultati raggiunti [dalla classicità], ma dei processi per raggiungerli» (Garin, La cultura del Rinascimento, p. 46).
Invece la cultura popolare continuerà ad esprimersi con leggende e fiabe, credenze e riti magici, scongiuri, cantilene, giochi, feste paesane facendo perno sulla gestualità, sul riso, sul gusto per la parodia o l’irriverente.
Bibliografia
Burckhardt, Jacob | La civiltà del Rinascimento in Italia |
1860 ed. orig. |
de Lubac, Henri | L’alba incompiuta del Rinascimento (Pico della Mirandola) |
1974 ed. orig. |
Garin, Eugenio | è autore di diversi studi sul Rinascimento |
anni ‘50-‘60 |
Huizinga, Johann | L’autunno del medioevo |
1919-38 ed. orig. |
Kristeller, Paul Oskar | è autore di diversi studi sul Rinascimento |
anni ‘50-‘60 |
Le Goff, Jacques | è autore di diversi studi sul Medioevo |
anni ‘70-’80 |
Macek, Josef | Il Rinascimento italiano |
1965 ed. orig. |
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