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La constatazione (inconfutabile) di partenza è la variabilità del giudizio, secondo opinioni e sensazioni diverse. Tuttavia il criterio del vero come utile lascia aperta la strada a una convergenza di giudizi da parti diverse: l’utile è il criterio del vero, non solo del mio giudizio. Il vero e l’utile sono ovviamente il mio vero e il mio utile, ma non necessariamente solo l’utile individuale e contingente è vero: vero può anche essere l’utile per il gruppo (società o umanità) di cui pure io faccio parte. |
L’argomentazione ha una base logica derivata da quella eleatica: o esiste l’essere, o il non-essere, o essere e non-essere assieme. Il non-essere ovviamente non c’è, ma l’essere sarà o generato, o ingenerato e eterno. Tuttavia, se è eterno sarà infinito [qui si gioca su una infinità temporale che diventa pure spaziale] e, se è infinito, non è in alcun luogo; mentre un essere generato dovrà esserlo o dall’essere (che, se ingenerato, non è) o dal non-essere (e il non-essere non genera). Il tema fondamentale è, però, la radicale differenza fra i tre livelli: l’essere, il conoscere, il comunicare. Per fare scienza devo dare per scontata la loro identità o almeno sovrapponibilità (come già ha fatto Parmenide e come farà Aristotele): se conosco, voglio conoscere con verità e devo poter comunicare le mie conoscenze. Invece Gorgia ci richiama proprio al pericolo di questa assunzione e comunque alla sua non dimostrabilità. |
lunedì, 2 gennaio 2006