| Nel 1945 Vannevar Bush afferma la possibilità di una scrittura non sequenziale. Un «ipertesto» è un documento che non è solo scandito sequenzialmente dalla suddivisione in capitoli e paragrafi (magari con note a margine e illustrazioni), ma nasce già con rimandi (link, collegamenti) continui da un punto all’altro. Tuttavia il termine «ipertesto» viene coniato solo nel 1965 da Theodor Holm Nelson: è «un insieme di materiale scritto o figurato interconnesso in un modo così complesso da non poter essere rappresentato su carta. Esso può contenere sommari, o mappe dei suoi contenuti e relazioni, o annotazioni [...]; tale sistema, correttamente disegnato e gestito, presenta grandi potenzialità nel campo educativo per l’ampia gamma di scelte, per il suo senso di libertà, per la sua presa intellettuale. Un sistema come questo può crescere indefinitamente, includendo gradualmente sempre maggiori conoscenze [...]».
Già alla fine degli anni ‘50, sotto la presidenza Eisenhower, sorge il progetto ARPA (Advanced Research Project Agency) un’agenzia del governo USA: lo scopo era di tipo militare e si volevano sperimentare le possibilità di comunicazione fra calcolatori elettronici. Nel corso di una decina d’anni i vari organi della difesa statunitense (Pentagono, basi militari, Casa Bianca) erano in grado di scambiare dati: nel 1968-69 la rete «ARPAnet» connetteva interattivamente tramite il protocollo «telnet» (un computer diventa terminale a linee di caratteri di un computer remoto) e scambiava file via «ftp» (file transfer protocol).
Negli anni seguenti furono costruite reti non militari, soprattutto ad uso della ricerca universitaria. Una «rete» è il collegamento fra numerosi computer reso possibile da reti telefoniche, cavi dedicati, ponti radio o reti locali.
Dunque, inizialmente, reti di computer e ipertesti hanno ben poco a che spartire; anche se hanno in comune il concetto di collegamento (link, ipertestuale o fra computer remoti).
Solo nel 1981 T. Nelson definì un ipertesto come un raggruppamento non lineare di nodi connessi. Gli ipertesti sono così prodotti sulla base del modello node-link: una rete di connessioni permette il passaggio da un’unità semantica ad un’altra. Il lettore si sposta fra esse in base ai propri interessi, un po’ «brucando o curiosando» (browsing) da un punto all’altro.
A inizio anni ‘90 Tim Berners-Lee al CERN di Ginevra (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) sviluppa l’HTML (HyperText Markup Language) che viene reso popolare da un Browser sviluppato al NCSA, Mosaic. Nel giro di pochi anni le reti di computer divengono il WWW (World Wide Web) basato su HTTP (HyperText Transfer Protocol): oggi internet è sostanzialmente un (enorme) ipertesto, da cui però si differenzia per la grande flessibilità dei collegamenti. Il WWW è, infatti, una rete di informazioni poste fisicamente su computer di tutto il mondo e rese accessibili da univoci «url» (Universal Resourse Location: indirizzi del tipo «http://www.w3.org/...»).
Il «w3.org» (double V cube) è un Consorzio pubblico statunitense che oggi si occupa di dettare le specifiche su HTML, giunto alla versione 4.0 (la 3.0 è del 1995 e la 3.2 del 1997). Il linguaggio con cui sono scritte le pagine sul WWW si basa sui caratteri ASCII (leggibili da qualunque piattaforma) e su «marcatori» (tag) che dicono ai Browser come devono rendere le varie parti delle pagine: l'obiettivo della versione 4 è fornire HTML di maggiori possibilità nel rendere gli aspetti grafici, mediante i fogli di stile e gli oggetti visuali o non, ma anche aumentare l’accessibilità del web e permettere ai portatori di handicap di fruirne (mediante specifici Browser, anche non visuali).
Il WWW è reso più affascinante dalla multimedialità, cioè dalla capacità di integrare in un unico documento non solo testi e rimandi fra pagine, ma immagini, suoni ed altri oggetti (peraltro, qualunque illustrazione rende già un po’ multimediale un libro...).
Ogni «url» contiene una pagina o un oggetto, i link fra url rendono ogni «molecola semantica» dell’ipertesto locale parte di un network. Autonomia e connessioni con gli altri elementi del network assicurano che il nodo sia raggiungibile da più punti di partenza in una struttura priva di una rigida gerarchia lineare. Selezionando un termine, una parola calda, o una parte di una immagine sensibile, il lettore è libero di creare percorsi di lettura alternativi e quindi può «navigare» nell’ipertesto (o nel web).
In teoria le possibilità di consultazione dell’ipertesto (o del web) sono infinite. Ma occorre tenere presente due rischi opposti, uno relativo agli ipertesti e l’altro al web: da un lato la povertà dei link e dall’altro il loro eccessivo numero.
Da un lato, un buon ipertesto (ad esempio una presentazione da consultare off-line su un cd rom, o anche un singolo sito web) deve soprattutto avere link significativi e consentire una precisa e chiara navigazione e magari essere accattivante (i link possono solo venire accettati o rifiutati dal lettore, ma egli non ne può creare di nuovi); al contrario, il web ha fin troppi link, fin troppa informazione che rischia di divenire «rumore» (informazione non desiderata) che impedisce di trovare quel che serve veramente in quel momento.
Lo strumento ipertestuale è utilizzato in tutte le sue potenzialità in due casi: 1) nell’organizzazione di opere da consultazione; 2) quando un testo richiede un apparato critico di annotazioni e rimandi facilmente traducibile in una costellazione di altri documenti. In entrambe i casi la struttura a rete di tipo associativo dell’ipertesto si presenta come lo strumento migliore. |