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Schema storico e geografico
delle basi culturali dell’Europa

schema storico delle radici geografiche e storico-culturali








Di fronte a una individualità culturale sta sempre, come è ovvio, una alterità. Tale alterità diviene in età medievale quella araba, alterità rispetto a un’Europa cristiana e a un cristianesimo che si confrontava col potere politico: dapprima quello imperiale romano, poi anche quello dell’Impero germanico uscendone sostanzialmente vincitore. Altre ‘alterità’, ma ben più lontane, sono quella indiana, o quella cinese, o una generica africana...

Il potere temporale dei Papi viene però discusso e, alla lunga, sconfitto da proteste culturali: dei teologi tedeschi (protestantesimo), di scienziati (rivoluzione scientifica), di filosofi politici (giusnaturalismo, liberalismo) e dagli stessi stati nazionali (da Filippo il Bello nel 1302 a... Porta Pia nel 1870).

Proprio questa separazione fra mondo laico da un lato (scienza e potere politico) e mondo religioso dall’altro non fa parte della cultura musulmana che piuttosto ha portato avanti la linea di una convergenza fra ragione e fede, linea del resto presente anche in pensatori cristiani come Tommaso d’Aquino contro quella della loro separazione (peraltro presente in un pensatore arabo di Spagna come Averroé).

Inoltre occorre osservare come già dall’età medievale quella che è l’Europa cristiana inizi ad essere divisa in ‘regioni’ avviate a trasformarsi nei futuri stati nazionali: forse un punto di forza dell’Europa1, oltre che una fonte di grave pericolo per i tanti conflitti, è lo scambio fra le diverse culture nazionali (sorte già in età medievale) che di volta in volta portano a soluzioni culturali nuove, come è avvenuto spesso negli ultimi secoli. Infine, va sottolineato come la rivoluzione scientifica e la cultura razionalistico-meccanica abbia la sua più concreta applicazione nella rivoluzione industriale, ma anche nel colonialismo. Per Bacone l’uomo ha tre tipi di ambizione: personale (deplorevole), per la propria nazione, per l’intera umanità (la più lodevole); tuttavia gli esploratori inglesi (o francesi, o tedeschi...) che pianteranno la loro bandiera all’interno dell’Africa come in Antartide lo faranno per un po’ tutte e tre queste ambizioni e non solo per l’ultima, facendosi portatori di una precisa volontà di conquista2.

In una prospettiva futura, occorre chiedersi quale sia l’ambizione corretta, quanto queste siano condizionate da interessi economici, quanto sia ‘esportabile’ il modello di sviluppo europeo che ha sì dato benessere e ricchezza all’occidente, ma a costi alti per le risorse del pianeta e per gli altri popoli.

Per Lévi-Strauss3:

«a seconda della prospettiva scelta si possono stabilire classificazioni differenti [fra le culture]. Se il criterio adottato fosse stato il grado di adattamento nel trionfare degli ambienti più ostili, non c’è dubbio che gli esquimesi da una parte, e i beduini dall’altra, si assicurerebbero il primato. L’India ha saputo, meglio di qualunque altra civiltà, elaborare un sistema filosofico religioso, e la Cina un genere di vita, capaci di ridurre le conseguenze psicologiche di uno squilibrio demografico. Già da tredici secoli, l’Islam ha formulato una teoria della solidarietà di tutte le forme della vita umana – tecnica, economica, sociale, spirituale –, che l’Occidente avrebbe ritrovato solo recentemente [...]: questa visione profetica ha permesso agli Arabi di occupare [un posto preminente] nella vita intellettuale del medioevo. L’Occidente signore delle macchine, ha conoscenze molto elementari sull’utilizzazione e sulle risorse di quella suprema macchina che è il corpo umano. In questo campo, come in quello connesso dei rapporti fra fisico e morale, l’Oriente e l’Estremo Oriente lo hanno anticipato da millenni...»
«Inoltre è estremamente difficile all’etnologo formulare una giusta valutazione di un fenomeno come l’universalizzarsi della civiltà occidentale, e ciò per molte ragioni. Anzitutto l’esistenza di una civiltà mondiale è un fatto probabilmente unico nella storia. [...] Cominceremo col rilevare che l’adesione al genere di vita occidentale, o a certi suoi aspetti, è ben lungi dall’essere così spontanea come agli Occidentali piacerebbe credere. Essa dipende non tanto da una libera decisione, quanto da una mancanza di scelta. La civiltà occidentale ha stabilito soldati, banche, piantagioni e missionari nel mondo intero...»



- note -

1. Per Lévi-Strauss (1908-...) è proprio l’incontro e lo scambio fra culture diverse (contemporanee o non) che genera il progresso culturale, non mai la chiusura: «ogni progresso culturale [è] funzione di una coalizione fra le culture»; «culture che, volontariamente o involontariamente, combinano i loro giochi rispettivi e realizzano con vari mezzi (migrazioni, influenze, scambi commerciali, guerre) quelle coalizioni [...]. E proprio qui tocchiamo con mano l’assurdità di dichiarare una cultura superiore a un’altra. [...] nessuna cultura è sola; ogni cultura è sempre data in coalizione con altre».
Da “Razza e storia”, ed. orig. 1952, tr. it. a cura di P. Caruso, ed. Einaudi 1967, collana Nuovo Politecnico, p.134-35.

2. Cfr. G. V. Scammell, “Genesi dell’euroimperialismo e sua espansione oltremare (1400-1715)”, ed. orig. 1989, ed. it. ECIG 2000.
Voltaire (1694-1778) nel suo “Dizionario filosofico” alla voce ‘tolleranza’ scrive: «Fra tutte le religioni, il cristianesimo è senza dubbio quella che deve ispirare più tolleranza, benché finora i cristiani siano stati i più intolleranti fra gli uomini.»

3. Razza e storia, cit., pp. 120-21 e 124. Il corsivo è aggiunto.

Martedì, 3 febbraio 2004


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