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Berkeley è un vescovo anglicano che vuole opporsi ai deisti per difendere la religione rivelata. Tale posizione viene portata avanti in un modo molto particolare che riesce fondere due dottrine apparentemente inconciliabili: l'empirismo di Locke e l'idealismo neoplatonico. Egli, da un lato, radicalizza l'empirismo affermando che «l'essere è il percepito (esse est percepi)» e criticando in Locke la concezione delle idee astratte (quando penso il concetto di «uomo» penso sempre ad uno particolare e non formulo mai alcuna idea astratta: è un nominalismo rigido), quella delle qualità primarie e quella della sostanza (residui dogmatici derivati dall'ammettere una astrazione). Dall'altro lato, tali posizioni riescono ad essere perfettamente coerenti con un platonismo radicale che afferma l'esistenza delle sole sostanze spirituali e delle idee da queste possedute. Dice Berkeley per convalidare, oltre all'affermazione per cui l'essere è il percepito, la tesi per cui esistono veramente solo sostanze spirituali e percezioni (idee) da esse operate: «Io domando se i supposti originali delle nostre idee, ossia le cose esterne, siano essi stessi percepibili o meno. Dal Trattato sui principi della conoscenza umana, parte I |
Ampliato: Domenica, 15 giugno 2003