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Analisi grammaticale e analisi logica


Analisi grammaticale o morfologica
articolo
nome o sostantivo
aggettivo
pronome o sostituente
verbo
avverbio o modificante
preposizione o funzionale subordinante
congiunzione
interiezione o esclamazione
Analisi logica o sintattica
analisi della proposizione
analisi del periodo

note

Sabato, 11 dicembre 1999


ANALISI GRAMMATICALE o MORFOLOGICA

1








La grammatica (studio normativo della lingua) si divide in fonologia, morfologia e sintassi.

La morfologia (dal greco morfé, forma, e logos, studio) è la disciplina che descrive e analizza le forme delle parole e i loro mutamenti in rapporto alla funzione che svolgono nelle frasi, senza però considerare il pensiero, facendo cioè astrazione dal resto della frase stessa. Si esamina la forma di ogni «singolo mattone» linguistico.
L’analisi grammaticale consiste nel: 1) classificare le varie parole assegnando ciascuna di esse a una delle nove parti del discorso2;
2) indicare, per ciascuna parola così classificata, tutte le caratteristiche morfologiche, cioè genere, numero, tipo, ecc.
Tradizionalmente, nella lingua italiana, si distinguono nove categorie grammaticali o parti del discorso, suddivise in due gruppi: a) parti variabili e b) parti invariabili.
Parti variabili (parole che hanno più forme) sono: articolo, nome, aggettivo, pronome e verbo.
Parti invariabili sono: avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione.

L’articolo
L’articolo è un «piccolo elemento» variabile del discorso che si inserisce prima del nome per introdurlo e individuarlo. Marca genere e numero del nome, oltre al carattere di precisione o genericità.
Fare l’analisi grammaticale dell’articolo significa stabilire:
1) la funzione: determinativo, indeterminativo o partitivo;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale.
Esempi: i è articolo determinativo, maschile, plurale; una è articolo indeterminativo, femm., sing.

Il nome o sostantivo
La funzione fondamentale del nome nel processo linguistico è di tipo semantico (relativo al significato): serve a «denominare», cioè designare, indicare, chiamare un oggetto di riferimento, una «sostanza» di tipo materiale o immateriale. Esso è variabile.
Sul piano sintattico è il costituente fondamentale di ogni sintagma nominale, cioè di un gruppo nominale, cui possono essere congiunti articoli o aggettivi.
Fare l’analisi grammaticale del nome significa stabilire:
1) la specie in rapporto al significato: nome comune o proprio di persona, animale o cosa; concreto o astratto; individuale o collettivo;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale; eventualmente anche invariabile (es. specie), difettivo (es. burro; libertà) o sovrabbondante (es. dito/ i diti/ le dita);
4) la struttura morfologica: primitivo, derivato, composto o alterato.
Esempi: lettino è nome comune di cosa, concreto, maschile, singolare, alterato diminutivo;
virtù è nome comune di cosa, astratto, femminile, singolare, primitivo;
Normandia è nome proprio di regione, femminile.

L’aggettivo
L’aggettivo si «aggiunge» a un nome per attribuirgli una qualità o per determinarlo; quindi non ha esistenza autonoma e deve essere sempre usato assieme al nome cui si riferisce e da cui dipende grammaticalmente (con cui si accorda in genere e numero), a meno che non sia sostantivato, ma in questo caso svolge la funzione di nome. L’aggettivo è quindi una parte variabile del discorso.
Gli aggettivi possono essere classificati in due gruppi fondamentali: gli aggettivi qualificativi, che si aggiungono al nome per segnalarne una qualità, e gli aggettivi determinativi, che invece servono a meglio specificare il nome e si dividono in possessivi, dimostrativi, indefiniti e numerali.
L’aggettivo, in rapporto al nome, ha due funzioni: attributiva, se si unisce direttamente al nome, e predicativa, se costituisce la parte nominale di un predicato nominale congiunto al nome dalla copula.
Fare l’analisi grammaticale dell'aggettivo significa stabilire:
1) la specie: qualificativo, dimostrativo, possessivo, indefinito, numerale, interrogativo/esclamativo;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale;
4) la struttura morfologica (solo per l’agg. qualificat.): primitivo o derivato; composto o alterato;
5) il grado (solo per l’aggettivo qualificativo): positivo, comparativo (di uguaglianza, minoranza o maggioranza), superlativo (relativo o assoluto)3.
Esempi: buono è aggettivo qualificativo, maschile, singolare, primitivo, di grado positivo;
quelli è aggettivo dimostrativo, maschile, plurale.

Il pronome o sostituente
Il pronome si usa «al posto del nome» e ne fa le veci. Il pronome, però, può sostituire anche altri elementi del discorso, come un aggettivo, un verbo, un altro pronome o un’intera frase, perciò è corretto chiamarlo sostituente. Esso è una parte variabile.
Il pronome può anche svolgere una funzione designativa, come nei pronomi personali.
Fare l’analisi grammaticale del pronome significa stabilire:
1) il tipo: personale (cfr. sotto), possessivo, dimostrativo, indefinito, relativo, misto, interrogativo o esclamativo4;
2) il genere: maschile o femminile;
3) il numero: singolare o plurale;
4) la funzione logica: soggetto, complemento oggetto (diretto), complemento indiretto (per i pronomi relativi o misti).
Esempi: «Il ragazzo che sta parlando è mio fratello» che è pronome relativo, masch., sing., soggetto;
«Sono i miei» miei è pronome possessivo, maschile, plurale, parte nominale.
In particolare, fare l’analisi grammaticale del pronome personale significa stabilire:
1) il tipo: pronome personale;
2) la persona: prima, seconda o terza
3) il numero: singolare o plurale;
4) il genere: maschile o femminile;
5) la funzione logica: soggetto, complemento oggetto, complemento indiretto5
6) la forma: tonica o atona (se ha funzione di pronome complemento);
7) il valore: riflessivo o no (se ha funzione di pronome complemento).
Esempi: egli è pronome personale di terza persona singolare, maschile, soggetto;
me è pronome personale di prima persona singolare, complemento, tonico.

Il verbo
Il verbo designa una azione (o uno stato), quindi fornisce la collocazione nel tempo e informazioni sul soggetto. E’ la parte più importante di una frase, potendola costituire da solo e senza la quale non è possibile esprimere un pensiero; è pertanto la «parola» per eccellenza. E’ una parte variabile.
Quando fungono da copula, anche se morfologicamente sono verbi, essi non hanno il compito di esprimere alcuna azione e, quindi, non danno luogo a un predicato verbale, ma a un predicato nominale (ad esempio: Il cielo è nuvoloso. Il cielo sembra sereno).
Fare l’analisi grammaticale del verbo significa stabilire:
1) la coniugazione cui la voce verbale appartiene: voce del verbo... della I, II, III coniugazione;
2) il modo6: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo, infinito, participio, gerundio;
3) il tempo: presente, imperfetto, passato-trapassato: prossimo o remoto, futuro semplice, anteriore;
4) la persona: prima, seconda, terza;
5) il numero: singolare o plurale;
6) il genere: transitivo o intransitivo;
7) la forma: attiva, passiva, riflessiva7 (sono le 3 forme personali), pronominale8, impersonale9;
8) l’eventuale funzione: ausiliare, servile10, causativo (o fattivo)11, fraseologico (o aspettuale)12 ;
9) l’eventuale caratteristica formale: coniugazione regolare o irregolare, difettivo (urgere non ha i tempi composti), sovrabbondante (adempiere/adempire).
Esempi: piove è voce del verbo piovere, II coniug, modo indicativo, tempo presente, impersonale;
(che tu) sia stato interpellato è voce del verbo interpellare, I coniugazione, modo congiuntivo, tempo passato, seconda persona singolare, forma passiva;
mi sveglierò è voce del verbo svegliarsi, I coniugazione, modo indicativo, futuro semplice, prima persona singolare, intransitivo pronominale;
ferveva è voce del verbo fervere, II coniug, modo indicat, tempo imperfetto, III pers. sing.

L’avverbio o modificante
L’avverbio si «aggiunge a un’altra parola» per modificarne il significato, qualificandolo o precisandolo. A differenza degli aggettivi, gli avverbi sono invariabili e non si aggiungono solo ai nomi, ma anche ad aggettivi, altri avverbi o a un’intera frase per modificarne il significato.
Fare l’analisi grammaticale dell’avverbio significa stabilire:
1) la categoria: avverbio o locuzione avverbiale;
2) il tipo: di modo, di tempo, di luogo, di quantità, di affermazione, di negoziazione, di dubbio, interrogativo o relativo;
3) la struttura morfologica: semplice o alterato;
4) il grado: positivo, comparativo o superlativo.
Esempi: talvolta è avverbio di tempo; all’antica è locuzione avverbiale;
meno è avverbio di quantità, di grado comparativo.

La preposizione o funzionale subordinante
La preposizione si «pone davanti» a una parola della frase per porla in relazione con un’altra parola della stessa frase (esempio: Il libro di Giovanni è rimasto sul tavolo in cucina). E’ invariabile.
La preposizione è dunque un segno funzionale, che cioè è usato per stabilire una relazione, per collegare, due elementi di una frase. La relazione che viene stabilita è di tipo subordinante.
Fare l’analisi grammaticale della preposizione significa stabilire:
1) la categoria: propria, impropria o locuzione prepositiva;
2) la struttura morfologica: semplice o articolata.
Esempi: in è preposizione propria, semplice; nel è preposizione propria articolata (in + il);
in base a è locuzione prepositiva semplice.

La congiunzione o funzionale coordinante e subordinante
La congiunzione serve a collegare, cioè «unire assieme», due parole di una proposizione o due proposizione in un periodo. E’ una parte invariabile.
Quindi anche la congiunzione è un segno funzionale che serve a stabilire una relazione che può essere coordinante, se le due parti unite sono sullo stesso piano logico, o subordinante, se la parte introdotta dalla congiunzione risulta su un piano logico dipendente. Il tipo di relazione che viene stabilito rappresenta il tipo della congiunzione stessa.
Fare l’analisi grammaticale della congiunzione significa stabilire:
1) la forma: semplice, composta, locuzione congiuntiva;
2) la funzione: coordinate o subordinate;
3) il tipo: copulativa, avversativa, disgiuntiva, dichiarativa, conclusiva, correlativa, finale, causale, consecutiva, temporale, concessiva, condizionale, modale, comparativa, limitativa, dubitativa e interrogativa, esclusiva o limitativa.
Esempi: e è congiunzione semplice coordinante, copulativa;
ma è congiunzione semplice coordinante, avversativa;
perché è congiunzione composta subordinate, finale o causale (a seconda del contesto).

L'interiezione o esclamazione
L’esclamazione serve a esprimere sensazioni, emozioni o stati d’animo: ha intensità espressiva, ma dal punto di vista sintattico non ha nessuna funzione ed è paragonabile a un brevissimo inciso. E’ anch’essa una parte invariabile del discorso.
Il tipo di emozione che esprime rappresenta il tipo dell’interiezione stessa.
Fare l’analisi grammaticale dell’interiezione significa stabilire:
1) la forma: propria, impropria, locuzione interiettiva;
2) il tipo: di stupore, di dolore, di gioia, di paura, ecc.
Esempi: ahi! è interiezione propria di dolore; santo cielo! è locuzione interiettiva di stupore.


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ANALISI LOGICA o SINTATTICA








La sintassi (dal greco syntaxis, unione o ordinamento) studia il modo in cui le parole si combinano tra loro per formare le frasi. L’analisi logica rimette assieme i vari «mattoni» evidenziando il ruolo che essi svolgono nella formulazione del pensiero.
Tradizionalmente si distingue fra analisi logica della frase semplice o proposizione e analisi della frase complessa o periodo.
L’analisi della proposizione consiste nell’individuare i rapporti fra i vari elementi della frase, cioè la loro funzione logica: soggetto, predicato, complemento oggetto (o diretto), complementi indiretti, attributi e apposizioni.
L’analisi del periodo consiste nel determinare i rapporti esistenti fra le varie frasi semplici che compongono il periodo: si individua la frase reggente o principale e quelle subordinate o dipendenti, o quelle coordinate, designandone il tipo di rapporto coordinante o subordinante implicito o esplicito, il grado, la funzione logica svolta.

Analisi della proposizione
Il soggetto è l’elemento che compie l’azione; qualunque parte del discorso sostantivata può essere soggetto, ma nella maggior parte dei casi è un nome. Può essere sottinteso.
Il predicato è il verbo, nel predicato verbale, o la copula e la parte nominale, nel predicato nominale. Non è sottinteso, a meno che non si tratti di un periodo nominale (come nei titoli dei giornali: Trattative USA-Eltsin sull’intervento in Iraq).
Il complemento oggetto è ciò su cui va a finire l’azione: risponde alla domanda «chi, che cosa». Nella forma passiva diventa soggetto, mentre il soggetto diviene complemento d’agente (o di causa efficiente se è inanimato). Si lega al verbo senza preposizioni. Esempi: Giovanni mangia la mela; La mela è mangiata da Giovanni.
I complementi indiretti si legano al verbo mediante preposizioni, ad esempio: complemento di termine (a chi, che cosa?), di specificazione (di chi, che cosa?), di mezzo (per mezzo di chi, cosa?), di luogo (stato, moto a, moto da, moto attraverso luogo), di tempo (determinato o continuato), di modo o maniera (come?: sono spesso avverbi o locuzioni avverbiali), di limitazione (rispetto a che?), di argomento (su chi, cosa?), ecc.
Gli aggettivi in analisi logica vengono chiamati attributi in quanto servono ad attribuire una qualità al nome cui si riferiscono.
Il nome che accompagna un altro nome per meglio determinarlo è un’apposizione. Esempi: L’Imperatore Augusto governò...; Anna, ragazza diligente, ha sempre...

Analisi del periodo
Principale: come in un treno occorre sempre una locomotiva che porti avanti i vari vagoni.
Coordinata per asindeto (senza legami, solo con la punteggiatura) o per polisindeto con congiunzioni copulative, disgiuntive, avversative, conclusive, correlative che danno il tipo di coordinazione.
Le subordinate hanno un grado (I se si subordinano alla principale; II se si subordinano a una subordinata di I grado, e così via); sono esplicite quelle che hanno un verbo di modo finito (indicativo, congiuntivo, imperativo), implicite quelle col verbo di modo indefinito (gerundio, participio, infinito); infine, esse svolgono una funzione logica in relazione al verbo della frase cui si subordinano e possono quindi essere soggettive (se svolgono la funzione di soggetto, ad esempio: E’ chiaro che tu studi), oggettive (se sono l’oggetto, ad esempio: Gli studiosi tramandano che Romolo fondò Roma), oltre che complementari indirette, svolgendo la funzione di complementi (come le proposizioni finali, consecutive, causali, ecc.)

Sabato, 11 dicembre 1999

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note
1 Si possono consultare le seguenti grammatiche. M. Sensini: «Il sistema della lingua» - ed. A. Mondadori.
Dardano-Trifone: «La lingua italiana» - ed. Zanichelli.
Della Casa: «Capire e comunicare la lingua» - ed. La Scuola.torna al testo
2 Le forme verbali composte con gli ausiliari sono considerate come un’unica parola; i comparativi di aggettivi e avverbi formati con «più o meno» sono considerati come un’unica parola; le preposizioni articolate si considerano come una sola parola. Al contrario, le particelle atone unite ai verbi vanno analizzate separatamente.torna al testo
3 Alcuni aggettivi (buono, cattivo, grande, piccolo) hanno anche forme di derivazione latina per il comparativo di maggioranza e il superlativo relativo (migliore, peggiore, maggiore, minore) e per il superlativo assoluto (ottimo, pessimo, massimo, minimo); a questi possono essere accostati anche altri aggettivi che non hanno un grado positivo (esteriore e estremo, inferiore e infimo, interiore e intimo, superiore e supremo) ma possono essere usati come comparativi e superlativi di altri aggettivi (esterno, basso, interno, alto).
Ci sono poi aggettivi di grado positivo, anche detti «non graduabili», che hanno di per sé un significato superlativo e, quindi, rifiutano il superlativo assoluto, ma possono avere il grado comparativo e il superlativo relativo: ad esempio, colossale, enorme, eterno, meraviglioso, straordinario, eccezionale, terribile, magnifico, fantastico, infinito, divino.torna al testo
4 I pronomi possessivi, indefiniti, interrogativi/esclamativi hanno forme corrispondenti agli aggettivi.torna al testo
5 Il pronome personale complemento nella forma atona di terza persona «si» può avere funzione: 1) riflessiva (Gianni si lava); 2) riflessiva reciproca (Gianni e Carlo si salutano); 3) riflessiva apparente, cioè si semplice particella senza alcuna funzione grammaticale o sintattica, nei verbi intransitivi pronominali (Gianni si pente; verbo pentirsi); 4) impersonale quando serve a costruire impersonalmente un verbo (Si finirà presto); 5) passivante, quando sostituisce la forma passiva (Si chiama Gianni = è chiamato Gianni).torna al testo
6 Il modo può essere finito, se ha le desinenze personali, o indefinito (infinito, participio o gerundio) se non le ha.torna al testo
7 I verbi riflessivi possono essere: riflessivi diretti, cioè riflessivi veri e propri, in cui il pronome è complemento oggetto (Gianni si lava); riflessivi indiretti, in cui il pronome è complemento di termine (Gianni si lava le mani); riflessivi reciproci, con un soggetto plurale (Gianni e Franca si amano).torna al testo
8 I verbi pronominali possono essere: pronominali intensivi, in cui il pronome atono sottolinea la partecipazione del soggetto all’azione (Mi farò una bella dormita); intransitivi pronominali, in cui la particella pron. è componente formale del verbo e perciò non ha alcun significato (svegliarsi).torna al testo
9 C’è differenza fra forma verbale impersonale e forma verbale priva di soggetto: veri e propri verbi impersonali (senza soggetto) sono i verbi atmosferici. Negli altri casi c’è generalmente una costruzione impersonale con un soggetto che può essere rappresentato da una intera frase (Bisogna che ce ne andiamo) o da un pronome che rinvia a un soggetto generico, col significato di «qualcuno o la gente» (Qui si mangia bene).torna al testo
10 I verbi servili non hanno un significato autonomo, ma precisano il significato costituendo un unico predicato con l’infinito cui si legano; sono: potere, dovere, volere e sapere.torna al testo
11 I verbi causativi sono solo: «fare o lasciare + infinito». Indicano un’azione causata dal soggetto, ma non effettivamente compiuta da esso (Gianni ha fatto arrabbiare la mamma).torna al testo
12 I verbi fraseologici contribuiscono ad individuare il valore aspettuale dl modo indefinito che li accompagna: «stavo per uscire o cominciò a urlare» = ingressivo; «smetterò di fumare» = conclusivo; «sto leggendo» = durativo; «ho completamente smesso di fumare» = puntuale (momentaneo).torna al testo


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