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ACQUA








Fuggo il secco.
Ora sono qui, sul vetro.
Ho conosciuto, sorvolandolo, il deserto. Per anni ho vissuto in Groenlandia, ferma nel ghiaccio.
Accanto a me, qualche alga gelata.
Accanto a me ora il vetro su questo tram a Verona.
Le particelle dell’aria mi sciupano, le polveri, i composti chimici diversi da me che mi si avvicinano, che volano assieme a me.
Sciupano la mia memoria, il mio essere. Potrei morirne. Potrei lasciare la mia memoria a qualche altra.
Forse se mi nascondessi sotto la pedana di gomma potrei trovare qualche alga, qualche fungo, chissà un seme, un humus abbastanza umido cui unirmi e rinvigorirlo.
Porto con me la memoria delle passate nazioni, di un passato chimico di elementi estranei.
Ora ossido di piombo e zolfo, ora, un po’ di sale nelle lacrime di fanciulla.
E tornerò fuori dal pullman, fuori da Verona nell’estate di un mare e porterò memoria. Ecco negli sfilacciati elettroni o nei legami della mia molecola.
Una volta, quasi morta, rimasuglio non bruciato di un idrocarburo distillato, compresso, incendiato.
Ed ora un raggio di sole attraverso il vetro, attraverso l’atmosfera mi farà volar via. Forse tu mi respirerai, forse uscirò dalla portiera.
Dentro a un corpo nel respiro, ma così non ti conoscerò e non entrerò nel sangue.
Poi fuggirò dal tuo respiro quando scenderai nel freddo del giorno d’inverno, magari mi poserò sulla facciata dell’Arena; ma non lo voglio, già il ricordo del carbonato di calcio mi fa rabbrividire, e così divento più luminosa riflettendo la luce nell’alito. No, non c’è mattone su cui voglia posarmi, né marmo, né gesso.
Per fortuna l’aria fredda mi ributta dentro al tram, proprio mentre la porta si chiude. Sono dall’altro lato, qui il sole non c’è, ancora turbino nel clima della vettura.
Aspetto la prossima fermata.

Sabato, 11 dicembre 1999

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