STORIA

Nella storia italiana sono numerosi i casi di affronto alla chiesa. Fino all’età di Giolitti i contrasti furono solamente di natura sociale o militare nei confronti del vaticano e della chiesa quale potenza. Nella storia moderna vennero ridefinite le modalità di scontro grazie all’influenza del cristianesimo in politica. Infatti alla fine del secolo IX  il mondo cattolico si stava lentamente riprendendo dal peso ideologico del non expedit – il divieto con cui il papa Pio IX interdiva ai fedeli la partecipazione alle elezioni e in generale alla vita politica dello stato (settembre 1874) – e si stava dotando di un pensiero sociale in concorrenza con quello socialista. A questa modificazione dell’atteggiamento cattolico nei confronti della società contribuì sensibilmente l’enciclica Rerum Novarum (emanata da Leone XIII) nel 1891 con la quale venivano poste le basi della dottrina sociale cattolica e veniva teorizzata la necessità di un accordo tra lavoratori e datori di lavoro imperniato sui valori della solidarietà cristiana. Da allora fino ai nostri giorni partecipano alla vita politica partiti di corrente cristiana.

 

PARTITO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA

 

Il partito cattolico più importante per la storia moderna del nostro paese fu senza dubbio la Democrazia cristiana (Dc) che acquisì un controllo egemone sullo stato e sulla società con le elezioni del ’48, avviando lo sviluppo economico e culturale degli anni ’50. Sul piano istituzionale si affermò una crescente identificazione del partito di maggioranza relativa con lo stato dovuta all’assenza di ricambio politico.

Una delle caratteristiche principali della Democrazia cristiana era i il suo interclassismo, che le consentì di raccogliere larghi consensi in quasi tutte re­gioni italiane e presso ceti sociali differenti: dagli imprenditori agli impiegati.,insegnanti, al vasto universo di artigiani e commercianti, al mondo contadino e a parte del lavoro dipendente e operaio, pur avendo nel mondo dei ceti medi urbani e nella piccola proprietà contadina la propria principale base di massa.

La base ideologica che negli anni della guerra fredda cementò questo variegato "arcipelago" - come i sociologi battezzarono la pluralità di interessi e di ceti sociali rappresentati all'interno del partito cattolico - era costituita dall'esplicito anticomunismo e dalla difesa dei valori tradizionali - famiglia, proprietà, morale cristiana - sostenuta dal suo ruolo di unico partito cattolico e dal legame organico con il Vaticano.

 

ANNI ’50 CRISI DELLA DC

 Proprio negli anni del boom economico maturò una profonda contraddizione fra il richiamo ai valori cristiani come fondamento culturale del consenso alla Dc e la progressiva "americanizzazione" degli stili di vita: l'edificazione della società dei consumi e del benessere cominciò a minare le basi stesse del  dominio della Democrazia cristiana e della chiesa, proponendo un modello di integrazione sociale individualistico e fondato sull'accesso ai consumi privati.

 

>La modernizzazione rappresentò l’omicida della cristianesimo politico (Dc), il quale come in un paradosso era la forza che la promuoveva e la guidava.<

 

 

(De Gasperi)

 

CRISI DEL CENTRISMO

 

La crisi del Centrismo, vale a dire la formula politica che si era imposta dopo le elezioni del 1948, fondata sulla centralità assoluta della DC, inizia nei primi anni Cinquanta, quando riprende l’emorragia di voti democristiani, sia verso destra che verso sinistra, perché le condizioni che hanno permesso il successo schiacciante del 1948 non esistono più. Per fare fronte all’emergenza De Gasperi – non potendo estendere l’alleanza ai partiti di destra - gioca la carta della riforma elettorale, con un sistema che prevede un premio di maggiorana pari a 2/3 dei seggi per il partito o la coalizione che ottiene la maggioranza assoluta dei voti. Il sistema, in pratica, è tale da consentire alla Dc di ottenere la maggioranza assoluta, a patto che scatti il premio di maggioranza per la coalizione di centro.

Alle elezioni del 1953 però l’operazione fallisce, anche a causa della opposizione durissima contro quella che viene definita la "legge truffa". La coalizione guidata da De Gasperi, accusata dagli avversari di voler conservare il potere in modo antidemocratico, non raggiunge la maggioranza assoluta per soli 57 mila voti e il premio non scatta. Il voto di molti elettori si sposta verso gli estremi dello schieramento politico, il Pci a sinistra e i monarchici e missini a destra. Il risultato elettorale, perciò, suona come una netta bocciatura della linea politica di De Gasperi. Quest’ultimo, non potendo ricostituire il quadripartito centrista per le resistenze di repubblicani e socialdemocratici, da vita ad un governo monocolore democristiano, il cui fallimento segna di fatto la fine della sua carriera politica.

Con le elezioni del 1953 inizia un periodo di forte instabilità politica. Nella coalizione di centro i piccoli partiti acquistano una maggiore forza contrattuale e di ricatto, poiché senza il loro apporto la Dc non potrebbe governare. Prende piedi la prassi del cosiddetto "governo ai margini", in base alla quale la principale preoccupazione di tutti i partiti politici (opposizione compresa) è quella di rafforzarsi in termini elettorali piazzando i propri uomini di fiducia nei punti chiave della pubblica amministrazione, della burocrazia e di ogni struttura organizzata in seno alla società civile. In seno alla Dc, intanto, si diffonde la consapevolezza che il Centrismo è in crisi e che perciò è indispensabile ideare un nuovo blocco di potere anticomunista, sempre incentrato sulla Dc: inizia così la fase di transizione al Centrosinistra, con l’apertura al Partito Socialista e l'abbandono progressivo dei tradizionali alleati moderati, cioè il Partito liberale e componenti più conservatori. Le condizioni per la svolta erano state poste anche a sinistra, con la fine del patto di unità d’ azione fra socialisti e comunisti avvenuto in seguito alla repressione sovietica in Ungheria del 1956. Dopo la fase dei fronti popolari, il Psi aveva abbandonato ogni riferimento alla vecchia tradizione massimalista. I socialisti andavano maturando una propria collocazione politica, che vedeva nella collaborazione con Dc, la cui permanenza al governo non poteva essere messa in discussione per l'ampiezza del suo radicamento sociale e internazionale, la possibilità di realizzare un ampio riformismo che incise nel disordinato e squilibrato sviluppo italiano.  Tra le forze imprenditoriali, la linea del centrosinistra era sostenuta dai maggiori e più dinamici gruppi privati (Fiat, Pirelli, Olivetti), interessati agli effetti di pacificazione sociale nelle fabbriche che la partecipazione dei socialisti al governo avrebbe potuto garantire, e dalle più attive aziende pubbliche (Eni e Iri). Una parte della Confindustria, invece, soprattutto i potenti monopoli dell'industria elettrica, preoccupati per i progetti di nazionalizzazione, e i settori più arretri cresciuti sui bassi salari e le concessioni fiscali, era nettamente avversa al progetto. Nel 1962 si formò il primo governo di centrosinistra, presieduto da Aminta Fanfani.

 

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