Capitolo 4

Altri loro insegnamenti

 

IL BATTESIMO CON LO SPIRITO SANTO E I DONI DELLO SPIRITO SANTO

La dottrina avventista

Il battesimo con lo Spirito Santo si riceve quando si viene battezzati in acqua; i doni dello Spirito Santo (tra cui quello delle lingue) seguono il battesimo. Gli Avventisti insegnano che quando un’anima che ha creduto viene battezzata in acqua riceve il dono dello Spirito Santo o il battesimo con lo Spirito Santo. Ecco come due autorevoli Avventisti italiani si esprimono a tale riguardo. Antonio Caracciolo dice: ‘Dopo essere stata convinta di peccato e giustificata per la grazia di Dio in virtù della sua fede, l’anima è condotta dallo Spirito stesso verso l’esperienza successiva della nuova nascita. Ed è ancora Lui, lo Spirito, che compie il miracolo del rinnovamento interiore dell’anima già morta nei falli e nei peccati (Giovanni 3:5-8; Efesini 2:1). La menzione dell’acqua accanto allo Spirito nell’appello di Gesù a Nicodemo è certamente un’allusione al battesimo, l’indispensabile segno esteriore del rinnovamento interiore operato dallo Spirito Santo (Tito 3:5). E’ col battesimo che lo Spirito si insedia nel cuore dell’uomo rinato spiritualmente e prende possesso della sua vita: ‘… ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo… e voi riceverete il dono dello Spirito Santo’ Atti 2:38. (…) Se non c’è stato il battesimo dello Spirito, il battesimo di sola acqua è stato niente più che un atto formale, un atto privo di qualunque valore salvifico….’ (Antonio Caracciolo ‘La persona e l’opera dello Spirito Santo’ in Il Messaggero Avventista, Gennaio 1989 pag. 8). Ivo Fasiori afferma: ‘L’importanza del dono dello Spirito come mezzo di ‘unzione’ distingue il battesimo cristiano da quello di Giovanni. Questo era solo un battesimo d’acqua per il ravvedimento, l’altro è un battesimo d’acqua e di Spirito insieme’ (Ivo Fasiori ‘Chiamati a essere ‘cristi’ ‘, in Il Messaggero Avventista, Marzo 1984, pag. 41). Qualcuno allora dirà: ma allora gli Avventisti escludono che quando si viene battezzati con lo Spirito Santo ci si debba mettere a parlare in altre lingue secondo che lo Spirito dà di esprimersi? Sì, lo escludono infatti per gli Avventisti le lingue (che loro chiamano sempre il dono delle lingue) non sono il segno esteriore che attesta che il credente è stato battezzato con lo Spirito Santo. Ecco come Antonio Caracciolo si esprime a tale proposito: ‘… è opportuna una chiarificazione per non correre il rischio di inciampare nell’equivoco pericoloso del neo-pentecostalismo. (…) non ha alcun fondamento nella Scrittura l’idea che un cristiano che non abbia ricevuto un carisma eclatante – quale potrebbe essere il dono delle lingue o il dono di guarigione – non ha ricevuto il dono dello Spirito (…). I carismi sono dispensati ai cristiani battezzati dallo Spirito Santo a sua esclusiva discrezione, non secondo le loro vedute e preferenze. (…) il dono delle lingue, spesso invocato dai neocarismatici quale segno immancabile dell’avvenuto battesimo dello Spirito, è solo uno dei doni spirituali e non deve essere confuso col carisma che ricevettero gli apostoli nel giorno della Pentecoste. (…) Parecchie volte Luca riporta negli Atti episodi di conversioni singole o collettive seguite dal battesimo: i tremila alla Pentecoste, i credenti di Samaria, l’etiope, Saulo da Tarso, Lidia di Tiatiri e i suoi familiari, il carceriere di Filippi e i suoi congiunti, i neoconvertiti di Corinto. Non è pensabile che in tutti questi casi di conversione suggellata dal battesimo non fosse stato impartito ai neoconvertiti il dono dello Spirito Santo (nel caso dei Samaritani questo è detto espressamente), eppure in nessuno di essi si accenna a manifestazioni sovrannaturali, quali il parlare in altre lingue, come segno dell’avvenuto battesimo di Spirito Santo. Nelle due eccezioni riportate prima (nota mia: i casi di Cornelio e quelli di casa sua, e dei circa dodici discepoli di Efeso) sembra evidente che la manifestazione dello Spirito attraverso il dono delle lingue servisse come segno necessario e incontestabile della sua presenza in circostanze in cui sarebbe stato difficile riconoscerla. Nella prassi ordinaria, come si è visto, questo non succedeva’ (Antonio Caracciolo, in op. cit., pag. 9).

Per riassumere le cose viste fino a questo punto diciamo quanto segue; 1) per gli Avventisti quando si viene battezzati in acqua si viene anche battezzati con lo Spirito Santo (faccio notare però che loro usano l’espressione battezzati di Spirito); 2) il fatto che nel Nuovo Testamento alcune volte il battesimo con lo Spirito Santo sia disgiunto dal battesimo in acqua (come nel caso dei discepoli a Pentecoste e dei credenti di Samaria e di Cornelio e i suoi) costituisce un evento del tutto eccezionale, perché di solito il dono dello Spirito Santo veniva conferito al battesimo in acqua; 3) le lingue (che ripeto loro chiamano sempre dono delle lingue) non sono il segno comprovante che il credente è stato battezzato con lo Spirito Santo. Gli Avventisti non negano che a Pentecoste, a casa di Cornelio, e ad Efeso nel caso di quei circa dodici discepoli, quando i credenti ricevettero il dono dello Spirito Santo, i credenti in questione si misero a parlare in altre lingue, ma fanno notare che questo dono ricevuto da quei credenti, consisteva nel parlare del Vangelo agli stranieri nelle loro lingue senza averle imparate. Jean Zurcher per esempio dice: ‘A che cosa servirebbe infatti il dono delle lingue se non fosse lo strumento miracoloso per comunicare l’Evangelo agli uomini di altre lingue come è accaduto alla Pentecoste?’ (Jean Zurcher ‘Tacciansi le donne?’ in Il Messaggero Avventista, Marzo 1983, pag. 40. cfr. Dizionario di dottrine bibliche, pag. 199-200; Georges Stèveny ‘Parleranno in lingue nuove…’, in Il Messaggero Avventista, Dicembre 1989, pag. 182-183). A sostegno di questa dottrina gli Avventisti prendono le seguenti parole di Ellen White che si riferiscono al parlare in lingue verificatosi il giorno della Pentecoste: ‘La diversità di lingue sarebbe stato un grande ostacolo per la proclamazione del Vangelo; Dio perciò scelse un modo miracoloso per colmare la lacuna degli apostoli in questo ambito. Lo Spirito Santo fece per loro ciò che essi non avrebbero potuto compiere da soli in tutta la vita. Ora potevano predicare le verità del Vangelo ovunque, parlando con precisione le stesse lingue di coloro ai quali testimoniavano. Questo dono miracoloso era la prova del fatto che la loro missione aveva ottenuto l’approvazione di Dio. Da allora in poi la lingua dei discepoli fu pura, semplice e corretta, sia che parlassero nella loro lingua nativa che in lingua straniera (…) I sacerdoti e i capi del popolo (…) avevano messo a morte il Nazareno, ma ora i suoi servitori, illetterati galilei, raccontavano in tutte le lingue parlate, la storia della sua vita e del suo ministero’ (Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, Impruneta, Firenze 1989, pag. 25-26). Questa è la maniera in cui gli Avventisti interpretano le lingue presenti nel libro degli Atti degli apostoli. E circa le lingue di cui parla Paolo ai Corinzi? In questo caso propongono due interpretazioni.

La prima ‘vede nel dono delle lingue descritto da Paolo lo stesso dono di xenoglossia descritto da Luca negli Atti’ (Dizionario di dottrine bibliche, pag. 200), ritenendo però che ci siano delle differenze tra il dono delle lingue descritto negli Atti e quello descritto da Paolo ai Corinzi. Le differenze sono le seguenti. 1) Negli Atti il dono è equivalente alla profezia mentre ai Corinzi il dono è inferiore alla profezia; 2) negli Atti chi parla in lingue si indirizza agli uomini, mentre ai Corinzi chi parla in lingue si indirizza a Dio e non agli uomini; 3) negli Atti tutti comprendono chi parla in lingue ed egli parla delle cose grandi di Dio, mentre ai Corinzi nessuno comprende chi parla in lingue, perché egli proferisce misteri; 4) negli Atti gli oratori edificano chi li ascolta, mentre ai Corinzi chi parla in lingue non edifica la chiesa, ma se stesso; 5) negli Atti non si richiede interpretazione, mentre ai Corinzi è necessaria l’interpretazione; 6) negli Atti il risultato è l’evangelizzazione e la conversione, mentre ai Corinzi il risultato è l’allontanamento dei non credenti (cfr. Dizionario di dottrine bibliche, pag. 200-201). Coloro che sostengono questa interpretazione ‘affermano che tutte queste differenze derivano dal fatto che i Corinzi avevano fatto un cattivo uso del dono, anzi lo avevano falsato! Infatti, essi avevano trasformato, sotto l’influsso delle loro vecchie tradizioni pagane, il dono delle lingue da un potente mezzo evangelistico a una specie di ‘oracolo’ cristiano’ (ibid., pag. 201).

La seconda interpretazione sostiene che ‘il dono descritto da Paolo non sia xenoglossia, ma si tratti di vera glossolalia, cioè il parlare con lingue e suoni sconosciuti agli esseri umani, ma dettati dallo Spirito. Si tratterebbe di ‘sospiri ineffabili’, di un ‘linguaggio degli angeli’ (ibid., pag. 201). In questo caso le ragioni addotte per differenziare il dono descritto in Atti da quello descritto nella prima epistola ai Corinzi sono le seguenti: 1) ‘il dono delle lingue descritto da Atti 2 fu della massima importanza per l’evangelizzazione; perché, Paolo, se descrive lo stesso dono, lo mette all’ultimo posto, e lo deprezza così tanto rispetto alla profezia, mentre in Atti 2:17 i due vengono messi sullo stesso piano?’ (ibid., pag. 201); 2) ‘le frasi chi parla in lingue non parla agli uomini, ma a Dio’ ‘edifica se stesso’, ‘parlino a se stessi e a Dio’ sono difficilmente comprensibili se si interpretano le ‘lingue’ come ‘lingue straniere’; in che modo un credente potrebbe essere edificato parlando a se stesso in una lingua che non capisce?’ (ibid., pag. 201); 3) ‘tutto il cap 14 di 1Corinzi spiega chiaramente che ‘nessuno capisce’ chi parla in lingue. Ma se si fosse trattato di lingue straniere, senz’altro qualcuno (visitatore?) avrebbe potuto riconoscere qualche parola nella sua lingua! Inoltre per capire il glossolalo era necessario avere il dono dell’interpretazione…., però se si fosse trattato di lingue straniere sarebbe stato necessario solo un traduttore o interprete senza bisogno di un dono particolare dello Spirito!’ (ibid., pag. 202); 4) ‘Se a Corinto si fosse trattato solo di un cattivo uso del dono di parlare lingue straniere, perché Paolo non lo ha corretto dicendo ai Corinzi: Questo dono è per l’evangelizzazione! Non usatelo per voi soli, ma per gli increduli. Invece Paolo dice: Quanto al parlare in lingue non impeditelo’ (ibid., pag. 202); 5) ‘Paolo indica chiaramente che il dono delle lingue manifestato a Corinto è un dono vero, voluto dallo Spirito, non una contraffazione ed egli lo raccomanda e dice che parla in lingue più di tutti. E’ anche evidente che i Corinti usavano male tale dono e gli davano un importanza eccessiva!’ (ibid., pag. 202).

Adesso vediamo cosa dicono gli Avventisti sui doni. Nel loro Dizionario si legge: ‘Alcuni evangelici sostengono che i doni più spettacolari (cioè: miracoli, guarigioni, lingue e interpretazione delle lingue) sono cessati con la fine della redazione dell’ultimo libro biblico (…) Però basta leggere 1Cor 13:8-12 per rendersi conto che Paolo pensa ai doni come qualcosa che sarà abolito solo al ritorno di Gesù’ (ibid., pag. 57-58). Dunque, gli Avventisti affermano chiaramente che loro credono che i doni dello Spirito Santo sono anche per la Chiesa di oggi. Come abbiamo visto però, gli Avventisti per dono delle lingue intendono la capacità di evangelizzare in lingue straniere mai imparate, tranne però – solo per alcuni di loro – nel caso delle lingue di Corinto dove il dono delle lingue era un parlare a Dio e non agli uomini ed occorreva il dono dell’interpretazione delle lingue affinché la chiesa ne potesse beneficiare. Nel caso invece di coloro che sostengono che anche le lingue di Corinto sono uguali a quelle degli Atti ‘nel caso di una traduzione, colui che parla una lingua straniera eguaglia il profeta, poiché sia dall’uno che dall’altro la chiesa riceve edificazione’ (Jean Zurcher ‘Tacciansi le donne?’ in Il Messaggero Avventista, Marzo 83, pag. 41). Questo per ciò che riguarda le lingue e interpretazione delle lingue.

Per quanto riguarda la fede essi dicono che non è quella comune a tutti i cristiani, ‘ma un tipo particolare di fede che consente di compiere cose straordinarie’ (Dizionario di dottrine bibliche, pag. 59).

Il dono di guarigione è simile a quello degli Atti e quantunque qualsiasi cristiano può pregare per la guarigione di una malattia ‘chi ha il dono di guarigione è diretto particolarmente da Dio a guarire le persone da Lui scelte’ (ibid., pag. 60). A riguardo però di questi doni di guarigioni è doveroso dire che gli Avventisti dicono anche che i ‘guaritori’ di cui si parla in 1 Corinzi 12:9,28 sono ‘tutti coloro che operano nel campo sanitario. [Non si tratta di ‘guaritori’ nel significato che il termine ha assunto oggi, ma la Bibbia usa questo termine e noi lo riportiamo nel suo contesto]. Oggi Dio si serve della medicina, ufficiale, là dove viene praticata con impegno, per ridare la salute a tante persone’ (Scuola del sabato, 2/95, pag. 85-86). Come mai parlano così? Perché Ellen G. White, che vi ricordo per loro aveva il dono di profezia, ebbe a dire: ‘Cristo operò mediante la predicazione della Parola e il sollievo della sofferenza con miracoli di guarigione. Però in base alle istruzioni che ho ricevute noi oggi non possiamo lavorare in questo modo, perché Satana eserciterà il suo potere compiendo i miracoli. I servitori di Dio ora non potrebbero agire per mezzo di miracoli, perché saranno operate anche false guarigioni facendole passare per divine. Per questo motivo il Signore ha indicato il modo in cui il suo popolo deve svolgere attività di guarigione fisica combinata con l’insegnamento della Parola. Si debbono istituire ospedali ed a questi collegare degli operai che svolgeranno opera medico-missionaria. Sarà così esercitato un influsso di protezione a favore di quanti vengono a farsi curare da noi’ (citato da Arthur White, I pionieri avventisti ed Ellen White di fronte al problema carismatico, pag. 116). Faccio presente però che la stessa White parlò di guarigioni fisiche avvenute nel loro mezzo ricorrendo alla preghiera a Dio e all’unzione dell’olio, e che lei parlò a favore della preghiera sul malato ungendolo d’olio nel nome del Signore di cui parla Giacomo (cfr. Arthur White, op. cit., pag. 109-114).

Il dono di potenza di operare miracoli ‘dà la capacità di compiere miracoli di vario genere’ (Dizionario di dottrine bibliche, pag. 60).

Per quanto riguarda il dono di parola di conoscenza e il dono di parola di sapienza essi dicono che sono collegati al dono dell’insegnamento; la parola di conoscenza infatti è ‘la capacità di apprendere le verità spirituali e di presentarle agli altri in modo ordinato’ (ibid., pag. 59), e la parola di sapienza è ‘il dono della saggezza e di comunicare questa saggezza ad altri’ (ibid., pag. 59).

A proposito del dono di profezia viene detto che a questo dono ‘è legato quello di rivelazione, cioè la comunicazione da parte di Dio di cose altrimenti non conoscibili (chiamate a volte da Paolo ‘i misteri’) (ibid., pag. 59), e che con questo dono ‘viene associato anche quello del ‘discernimento degli spiriti’ cioè il dono di distinguere i veri dai falsi profeti e le vere manifestazioni dello Spirito dalle contraffazioni’ (ibid., pag. 59). Sempre a proposito di questo dono gli Avventisti dicono: ‘Come popolo Avventista crediamo (…) che il dono di profezia si è manifestato in seno alla chiesa del rimanente (…). Questo dono si è manifestato all’interno della Chiesa Avventista nel ministero svolto da E. G. White. Accettiamo i suoi scritti come procedenti dal dono profetico..’ (ibid., pag. 384).

Confutazione

Come avete potuto vedere gli Avventisti fanno non poca confusione sia sul battesimo con lo Spirito Santo che su alcuni doni dello Spirito Santo. E’ necessario dunque mediante le Scritture dare un insegnamento sia sul battesimo con lo Spirito Santo che sui doni dello Spirito Santo, facendo notare man mano gli errori in cui sono caduti gli Avventisti.

Il battesimo con lo Spirito Santo e i doni dello Spirito Santo come li insegna la Scrittura

Il battesimo con lo Spirito Santo. Il messaggero mandato da Dio Padre davanti a Gesù Cristo per preparagli la via e dare conoscenza al popolo della salvezza, cioè Giovanni il Battista, nella sua predicazione che rivolse al popolo disse del Cristo: "Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo" (Mar. 1:8). Dunque, Giovanni sapeva che Gesù Cristo aveva il potere di battezzare con lo Spirito Santo, autorità che lui, cioè Giovanni, non aveva perché egli aveva solo l’autorità di battezzare in acqua; ma non solo sapeva che Gesù aveva questa autorità ma anche che un giorno l’avrebbe esercitata infatti gli disse che un giorno li avrebbe battezzati con lo Spirito Santo. Gesù Cristo, dopo avere compiuto l’opera che Dio gli aveva dato da compiere cioè dopo avere annunciato la salvezza al popolo d’Israele ed avere guarito tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, e dopo essere stato messo a morte dai Giudei ma risuscitato da Dio, dico dopo tutto ciò, poco prima di ascendere al Padre, durante i giorni nei quali si fece vedere vivente dai suoi discepoli ordinò agli apostoli "di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me. Poiché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra non molti giorni" (Atti 1:4-5). La promessa del Padre che gli apostoli avevano udito da Cristo era la promessa dello Spirito Santo secondo che disse Gesù: "Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché stia con voi in perpetuo, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce" (Giov. 14:16-17). Il compimento di questa promessa sarebbe consistito nella ricezione del battesimo con lo Spirito Santo; in altre parole quando Dio avrebbe dato agli apostoli l’altro Consolatore, cioè lo Spirito Santo, essi sarebbero stati battezzati con lo Spirito Santo. E quando sarebbero stati battezzati con lo Spirito sarebbero stati rivestiti di potenza dall’alto perché Gesù prima di ascendere in cielo aveva detto loro: "Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi…." (Atti 1:8). Ora, questo battesimo doveva adempiersi, secondo le parole di Gesù, dopo non molti giorni. E così fu, infatti il giorno della Pentecoste (circa dieci giorni dopo l’ascensione di Gesù) mentre tutti erano radunati nello stesso luogo: "Di subito si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, ed esso riempì tutta la casa dov’essi sedevano. E apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano, e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furon ripieni dello Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro d’esprimersi" (Atti 2:2-4). Gesù, dalla destra di Dio avendo ricevuto lo Spirito Santo promesso lo mandò alla sua Chiesa come aveva promesso quando aveva detto: "Pure, io vi dico la verità, egli v’è utile ch’io me ne vada; perché, se non me ne vo, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vo, io ve lo manderò" (Giov. 16:7). Dio Padre aveva per mezzo del suo Figliuolo adempiuto la sua promessa.

A chi si rivolge chi parla in altra lingua. Come abbiamo visto poco fa, nella descrizione che fa Luca di quell’evento verificatosi alla Pentecoste viene detto che quando quelle lingue come di fuoco si posarono su ciascuno dei presenti, tutti loro cominciarono a parlare in altre lingue. Ma è vero che queste lingue furono date loro per evangelizzare? Affatto. I motivi che ci spingono a negare una simile cosa li deduciamo da diverse cose che Luca dice subito dopo nello stesso capitolo. Ecco cosa dice Luca: "Or in Gerusalemme si trovavan di soggiorno dei Giudei, uomini religiosi d’ogni nazione di sotto il cielo. Ed essendosi fatto quel suono, la moltitudine si radunò e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nel suo proprio linguaggio. E tutti stupivano e si maravigliavano, dicendo: Ecco, tutti costoro che parlano non son eglino Galilei? E com’è che li udiamo parlare ciascuno nel nostro proprio natìo linguaggio? Noi Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia Cirenaica, e avventizî Romani, tanto Giudei che proseliti, Cretesi ed Arabi, li udiamo parlar delle cose grandi di Dio nelle nostre lingue. E tutti stupivano ed eran perplessi dicendosi l’uno all’altro: Che vuol esser questo? Ma altri, beffandosi, dicevano: Son pieni di vin dolce" (Atti 2:5-13). Si noti innanzi tutto che quella moltitudine di Giudei si radunò presso il luogo dove sedevano i discepoli del Signore, all’udire il suono come di vento impetuoso che soffiava, per cui essi arrivarono in quel luogo quando i discepoli stavano già parlando in altre lingue per lo Spirito. E cosa dicevano in quelle lingue i discepoli? Furono sentiti parlare delle cose grandi di Dio. Questo fu constatato da quei Giudei che si radunarono e li ascoltarono perché si avvidero che quei Galilei parlavano nelle loro natie lingue delle cose grandi di Dio. Si noti che tutti coloro che parlavano in altre lingue parlavano delle cose grandi di Dio; chi in una lingua, chi in una altra, ma tutti parlavano delle cose grandi di Dio. Ma queste cose grandi di Dio possono riferirsi al Vangelo che quei Giudei avevano bisogno di ascoltare? No, il Vangelo in quel parlare in altre lingue non era proclamato. Perché diciamo questo? Perché il Vangelo fu predicato a quei Giudei nella lingua ebraica (nella lingua che essi tutti potevano capire) da Simon Pietro, quando questi si alzò assieme agli undici dopo che sentì che alcuni si facevano beffe di loro pensando che erano ubriachi. Ecco quello che disse Pietro in quella predicazione: "Ma Pietro, levatosi in piè con gli undici, alzò la voce e parlò loro in questa maniera: Uomini giudei, e voi tutti che abitate in Gerusalemme, siavi noto questo, e prestate orecchio alle mie parole. Perché costoro non sono ebbri, come voi supponete, poiché non è che la terza ora del giorno: ma questo è quel che fu detto per mezzo del profeta Gioele: E avverrà negli ultimi giorni, dice Iddio, che io spanderò del mio Spirito sopra ogni carne; e i vostri figliuoli e le vostre figliuole profeteranno, e i vostri giovani vedranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serventi, in quei giorni, spanderò del mio Spirito, e profeteranno. E farò prodigi su nel cielo, e segni giù sulla terra; sangue, e fuoco, e vapor di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre, e la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno, che è il giorno del Signore. Ed avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato. Uomini israeliti, udite queste parole: Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra voi mediante opere potenti e prodigî e segni che Dio fece per mezzo di lui fra voi, come voi stessi ben sapete, quest’uomo, allorché vi fu dato nelle mani, per il determinato consiglio e per la prescienza di Dio, voi, per man d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo risuscitò, avendo sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile ch’egli fosse da essa ritenuto. Poiché Davide dice di lui: Io ho avuto del continuo il Signore davanti agli occhi, perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso. Perciò s’è rallegrato il cuor mio, e ha giubilato la mia lingua, e anche la mia carne riposerà in isperanza; poiché tu non lascerai l’anima mia nell’Ades, e non permetterai che il tuo Santo vegga la corruzione. Tu m’hai fatto conoscere le vie della vita; tu mi riempirai di letizia con la tua presenza. Uomini fratelli, ben può liberamente dirvisi intorno al patriarca Davide, ch’egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al dì d’oggi fra noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli avea con giuramento promesso che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, antivedendola, parlò della risurrezione di Cristo, dicendo che non sarebbe stato lasciato nell’Ades, e che la sua carne non avrebbe veduto la corruzione. Questo Gesù, Iddio l’ha risuscitato; del che noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio, e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. Poiché Davide non è salito in cielo; anzi egli stesso dice: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello de’ tuoi piedi. Sappia dunque sicuramente tutta la casa d’Israele che Iddio ha fatto e Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (Atti 2:14-36). Ora, noi diciamo, se i circa centoventi quando cominciarono a parlare in lingue si rivolgevano agli increduli annunciando il Vangelo che bisogno c’era che Pietro annunciasse loro il Vangelo in ebraico? Nessuno. Dunque quei credenti non potevano rivolgersi agli uomini increduli mediante il loro parlare in lingue. E questo è confermato dal fatto che i Giudei furono compunti nel cuore dopo aver ascoltato la predicazione di Pietro fatta nella loro lingua infatti è scritto: "Or essi, udite queste cose, furon compunti nel cuore…" (Atti 2:37), e non quando sentirono i credenti parlare nel loro natio linguaggio. In quell’occasione rimasero meravigliati, perplessi, ma non compunti nel cuore. Il compungimento venne solo quando sentirono dire a Pietro che quell’uomo Gesù che i Giudei avevano crocifisso era stato risuscitato da Dio, e che egli era stato fatto da Dio Signore e Cristo. Ed è confermato non solo da questo fatto, ma anche dalle parole che quei Giudei rivolsero a Pietro e agli altri apostoli, cioè: "Fratelli, che dobbiam fare?" (Atti 2:37); infatti se quei Giudei avevano già sentito la predicazione nel loro nativo linguaggio avrebbero di certo sentito dire che si dovevano ravvedere e farsi battezzare nel nome di Cristo, mentre il fatto che dopo averli sentiti parlare in altre lingue ancora non sapevano cosa dovevano fare vuol dire che in quelle "cose grandi di Dio" non era menzionato quello che essi dovevano fare. Come d’altronde anche nella predicazione di Pietro non c’era quello che essi dovevano fare; quello che dovevano fare fu loro detto dopo che Pietro ebbe terminato di predicare il Vangelo. Alla luce di ciò dunque gli Avventisti errano nel dire che le lingue date alla Pentecoste (come anche quelle date a casa di Cornelio ed ad Efeso) erano lingue che servivano all’evangelizzazione. Questo loro errore comunque fu fatto anche da molti credenti all’inizio di questo secolo quando in America molti cominciarono ad essere battezzati con lo Spirito Santo. Infatti inizialmente molti pensarono che le lingue che si ricevevano col battesimo con lo Spirito Santo servivano a predicare e alcuni partirono per dei paesi stranieri pensando che là avrebbero predicato con quelle lingue, ma poco tempo dopo tornarono a casa delusi. E si badi bene che questo errore viene fatto tuttora da molti credenti. E’ un errore che viene fatto perché si ignorano le parole di Paolo ai Corinzi: "Chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio" (1 Cor. 14:2). Notate con quanta chiarezza Paolo spiega in che direzione è rivolto il parlare in altra lingua. Non è diretto verso gli uomini, ma verso Dio. A proposito di queste parole è opportuno far notare che esse seguono queste: "Procacciate la carità, non lasciando però di ricercare i doni spirituali, e principalmente il dono di profezia" (1 Cor. 14:1) e precedono queste altre: "Poiché nessuno l’intende, ma in ispirito proferisce misteri. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione. Chi parla in altra lingua edifica se stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa" (1 Cor. 14:2-4). Perché è opportuno fare notare questo? Perché se si leggono questi versetti nel loro ordine si vedrà che Paolo mediante di essi spiega il perché occorre desiderare principalmente il dono di profezia. Infatti egli prima dice di ricercare i doni spirituali e specifica che in primo luogo occorre desiderare il dono di profezia, e poi spiega il perché. La ragione è perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio, mentre chi profetizza parla agli uomini. Come dire, è meglio il dono di profezia del dono delle lingue perché mentre chi parla in altra lingua parla a Dio in ispirito, e nessuno l’intende perché proferisce misteri (se però c’è chi interpreta allora la chiesa intenderà il parlare a Dio e potrà dire ‘Amen’), chi profetizza parla direttamente agli uomini nella loro lingua e non c’è bisogno del dono dell’interpretazione delle lingue. Non per questo però Paolo sprezza il dono delle lingue, assolutamente; solo che dà la priorità, nella ricerca dei doni spirituali che deve compiere il credente, al dono di profezia appunto per questo motivo. La differenza dunque tra il parlare in altra lingua e la profezia è che mentre chi parla in altra lingua parla a Dio ed edifica se stesso (la chiesa sarà edificata solo se lui o qualcun altro interpreta), chi profetizza edifica la chiesa perché parla agli uomini e non ha bisogno di un interpretazione. Altri versetti che confermano che chi parla in altra lingua parla a Dio e non agli uomini sono questi: "Perciò, chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare; poiché, se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza. Altrimenti, se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito, come potrà colui che occupa il posto del semplice uditore dire ‘Amen’ al tuo rendimento di grazie, poiché non sa quel che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamento; ma l’altro non è edificato" (1 Cor. 14:13-17). Si notino queste espressioni: "se prego in altra lingua", "io pregherò con lo spirito", "salmeggerò con lo spirito", "benedici Iddio soltanto con lo Spirito", "tuo rendimento di grazie", "tu fai un bel ringraziamento"; perché esse attestano chiaramente che il parlare in altra lingua è rivolto a Dio e non agli uomini. Cade da sé quindi l’interpretazione avventista sulla differenza tra il parlar in altre lingue il giorno della Pentecoste e quello di Corinto. Perché ambedue non erano un parlare agli uomini, ma a Dio. Superfluo dunque dire che le lingue parlate a Corinto erano delle vere lingue e non delle contraffazioni o una sorta di parlare estatico che affondava le sue origini nella mistica pagana. Qualcuno forse dirà a questo punto; ma il giorno della Pentecoste quei Galilei non furono sentiti né pregare, e né rendere grazie a Dio in altra lingua. Questo è vero, ma furono sentiti salmeggiare perché essi parlavano delle cose grandi di Dio, cioè dei segni e dei prodigi compiuti da Dio nell’antichità. Vediamo prima di tutto di confermare con le Scritture che le cose grandi di Dio erano le opere potenti di Dio. Mosè disse ad Israele nel deserto: "Egli è l’oggetto delle tue lodi, egli è il tuo Dio, che ha fatto per te queste cose grandi e tremende che gli occhi tuoi hanno vedute" (Deut. 10:21), ed ancora: "Poiché gli occhi vostri hanno veduto le grandi cose che l’Eterno ha fatte" (Deut. 11:7). Anche quando nel Nuovo Testamento si dice che gli apostoli Paolo e Barnaba giunti a Gerusalemme "riferirono quanto grandi cose Dio avea fatte con loro" (Atti 15:4), il riferimento è a segni e prodigi (senza escludere naturalmente il fatto che Dio aveva salvato anche molti Gentili per mezzo del loro ministerio), difatti quando poco dopo gli apostoli e gli anziani si raunarono per esaminare la questione che era sorta Paolo e Barnaba "narravano quali segni e prodigî Iddio aveva fatto per mezzo di loro" (Atti 15:12). Anche oggi quando tra fratelli si parla delle cose grandi di Dio nella maggior parte dei casi si tratta di segni e prodigi compiuti da Dio. Adesso vediamo di dimostrare sempre con le Scritture che il parlare delle cose grandi di Dio in altra lingua equivale a salmeggiare perché nell’antichità furono proferiti da degli Ebrei dei Salmi in lingua ebraica (non in altra lingua quindi) in cui si parlava dei segni e dei prodigi compiuti da Dio nel passato. In un Salmo leggiamo: "Egli percosse i primogeniti d’Egitto, così degli uomini come degli animali. Mandò segni e prodigi in mezzo a te, o Egitto, su Faraone e su tutti i suoi servitori. Egli percosse grandi nazioni, e uccise re potenti: Sihon, re degli Amorei, e Og, re di Basan, e tutti i regni di Canaan. E dette il loro paese in eredità, in eredità a Israele, suo popolo" (Sal. 135:8-12); in un altro Salmo leggiamo: "Egli mandò Mosè, suo servitore, e Aaronne, che aveva eletto. Essi compiron fra loro i miracoli da lui ordinati, fecero dei prodigi nella terra di Cham. Mandò le tenebre e fece oscurar l’aria, eppure non osservarono le sue parole. Cangiò le acque loro in sangue, e fece morire i loro pesci. La loro terra brulicò di rane, fin nelle camere dei loro re. Egli parlò, e vennero mosche velenose e zanzare in tutto il loro territorio. Dette loro grandine invece di pioggia, fiamme di fuoco sul loro paese. Percosse le loro vigne e i loro fichi e fracassò gli alberi del loro territorio. Egli parlò e vennero le locuste e i bruchi senza numero, che divorarono tutta l’erba nel loro paese e mangiarono il frutto della loro terra. Poi percosse tutti i primogeniti nel loro paese, le primizie d’ogni loro forza. E fece uscire gli Israeliti con argento ed oro, e non vi fu alcuno, fra le sue tribù, che fosse fiacco. L’Egitto si rallegrò della loro partenza, poiché la paura d’essi era caduta su loro. Egli distese una nuvola per ripararli, e accese un fuoco per rischiararli di notte. A loro richiesta fece venire delle quaglie, e li saziò col pane del cielo. Egli aprì la roccia e ne scaturirono acque; esse corsero per luoghi aridi, come un fiume. Poiché egli si ricordò della sua parola santa e d’Abrahamo, suo servitore; e trasse fuori il suo popolo con allegrezza, e i suoi eletti con giubilo. E dette loro i paesi delle nazioni, ed essi presero possesso della fatica dei popoli, perché osservassero i suoi statuti e ubbidissero alle sue leggi. Alleluia" (Sal. 105:26-45). A questo punto vi domando: ‘Ponete il caso che un giorno mentre vi trovate in una nazione straniera, come per esempio la Cina, mentre vi trovate in mezzo ad una assemblea di credenti cinesi cominciaste a sentire queste parole dei Salmi appena citate in perfetto italiano, non direste che un cinese sta parlando delle cose grandi di Dio nella vostra lingua?’ O ponete invece il caso che in quell’assemblea si trovi un ebreo nato e cresciuto in Italia, che conosce la storia del suo popolo, e sente proferire quelle parole dei salmi o parole simili in perfetto italiano; non pensate voi che egli dirà: come è che un cinese parla delle cose grandi di Dio nella lingua italiana? Dunque il sentire parlare delle cose grandi di Dio il giorno della Pentecoste fu un sentire parlare delle opere potenti compiute da Dio nel passato (non si può escludere che tra le cose grandi di Dio ci fossero anche descrizioni dell’operare di Dio nella natura, come il sorgere del sole, il suo tramonto, il levarsi delle onde del mare, ecc., perché anche queste cose sono cose grandi compiute da Dio). Stabilito dunque che a Pentecoste le lingue date dallo Spirito Santo non servivano all’evangelizzazione, è implicito che anche a casa di Cornelio e ad Efeso le lingue che furono date dallo Spirito Santo non servivano all’evangelizzazione.

Quando si riceve il battesimo con lo Spirito Santo e qual è il segno esteriore che ne attesta l’avvenuta ricezione. A questo punto - dato che come abbiamo visto per gli Avventisti il dono dello Spirito Santo si riceve al battesimo e le lingue non sono il segno comprovante che uno ha ricevuto il dono dello Spirito Santo - passiamo a dimostrare come il battesimo con lo Spirito Santo non è un battesimo che si riceve col battesimo in acqua o assieme ad esso (quasi che siano simultanei), e che quando lo si riceve si comincia a parlare in altra lingua come lo Spirito dà di esprimersi. Per fare ciò però dobbiamo parlare innanzi tutto della nuova nascita. L’uomo è morto nei suoi falli e nei suoi peccati; in lui dunque non c’è vita ma morte. Egli non può avere comunione con Dio perché nella sua vita regna il peccato, peccato che lui serve e che lo ripaga con la morte. Che deve fare dunque per ottenere la vita e potere avere comunione con Dio? Deve ravvedersi e credere nel Vangelo. Il ravvedimento implica il riconoscersi peccatori davanti a Dio e provare dispiacere per i propri peccati oltre che prendere la decisione di abbandonare il proprio servizio al peccato. Il credere nel Vangelo implica il riconoscere che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, venuto nel mondo nella pienezza dei tempi per ordine del Creatore dei cieli e della terra, per salvare gli uomini dal peccato. Salvarli come? Morendo sulla croce per i loro peccati. Oltre alla morte di Cristo naturalmente egli dovrà riconoscere che Gesù il terzo giorno è risorto secondo le Scritture e apparso vivente a molti. Cosa succederà all’uomo nel momento in cui si ravvederà e crederà nel Vangelo? Egli nascerà di nuovo o da Dio. "Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio" (1 Giov. 5:1), dice Giovanni; dunque nel momento in cui uno crede in Gesù rinasce, nasce da Dio. Si badi bene che qui non viene detto che chi crede in Gesù e viene battezzato è nato da Dio, ma chi crede; questo a dimostrazione che per nascere di nuovo è indispensabile la fede, ma non è indispensabile il battesimo in acqua. Il battesimo in acqua segue la nuova nascita, è il segno esteriore con cui uno confessa di essere nato da Dio, di essere diventato per la grazia di Dio una nuova creatura. Ora, dato che quando uno crede che Gesù è morto per i nostri peccati e risorto dai morti nasce da Dio, è implicito che egli è un figlio di Dio. Potrebbe mai essere infatti che Dio genera qualcuno che poi non può essere chiamato suo figlio? No. Ecco perché è scritto che "a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figliuoli di Dio, a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma son nati da Dio" (Giov. 1:12-13), perché chi crede diventa un figlio di Dio. E dato che è un figlio di Dio per forza di cose deve avere nel suo cuore lo Spirito Santo. Perché? Perché senza lo Spirito Santo non si può dire di essere dei figli di Dio; Paolo dice che lo Spirito attesta insieme con il nostro spirito che siamo figliuoli di Dio, e in un altro luogo che "perché siete figliuoli, Dio ha mandato lo Spirito del suo Figliuolo nei nostri cuori, che grida: Abba, Padre" (Gal. 4:6). Dunque, ancora prima di essere battezzati in acqua i credenti in Cristo hanno nel loro cuore lo Spirito Santo di Dio. Non è quindi col battesimo in acqua che lo Spirito Santo viene a dimorare in loro, ma nel momento in cui essi credono; e lo Spirito li spingerà subito a farsi battezzare. Al battesimo il credente ha già lo Spirito Santo. Non c’è il minimo dubbio a riguardo. A questo punto, qualcuno dirà, ma se il credente ha lo Spirito Santo sin da quando ha creduto, perché nel Nuovo Testamento si parla di ricezione dello Spirito Santo, di battesimo con lo Spirito Santo, di discesa dello Spirito in riferimento a persone che avevano creduto ed erano state già battezzate, come per esempio i circa centoventi a Pentecoste e i Samaritani, e i circa dodici discepoli a Efeso? La risposta è perché la ricezione dello Spirito Santo o la ricezione del dono dello Spirito Santo o il battesimo con lo Spirito o la discesa dello Spirito non è da intendersi come qualcosa che si sperimenta automaticamente quando si nasce di nuovo, o detto in altre parole, non è la stessa esperienza della nuova nascita. Prendiamo l’esempio dei circa centoventi. Erano nati di nuovo prima del giorno della Pentecoste? Sì, perché avevano tutti creduto che Gesù era il Messia, e siamo sicuri che erano anche battezzati in acqua. Essi avevano lo Spirito Santo nei loro cuori. In relazione agli undici è scritto chiaramente che quando Gesù apparve loro disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo" (Giov. 20:22). Eppure Pietro in due occasioni, parlando a riguardo della ricezione dello Spirito Santo da parte dei Gentili, dice: "Se dunque Iddio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato anche a noi che abbiam creduto nel Signor Gesù Cristo, chi ero io da potermi opporre a Dio?" (Atti 11:17), e: "E Dio, conoscitore dei cuori, rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo a loro, come a noi" (Atti 15:8), ed ancora: "Lo Spirito Santo scese su loro, com’era sceso su noi da principio" (Atti 11:15). Notate come per Pietro, a Pentecoste lui e gli altri che erano con lui ricevettero il dono dello Spirito (o ricevettero lo Spirito Santo, o lo Spirito Santo scese su loro). Ma allora prima del giorno della Pentecoste avevano o non avevano lo Spirito Santo? Avevano una misura di Spirito Santo, ma ancora non erano ripieni di Spirito Santo. Ecco perché è detto che a Pentecoste furono tutti ripieni di Spirito Santo. Vediamo adesso l’esempio dei Samaritani. E’ scritto: "Ma quand’ebbero creduto a Filippo che annunziava loro la buona novella relativa al regno di Dio e al nome di Gesù Cristo, furon battezzati, uomini e donne. E Simone credette anch’egli; ed essendo stato battezzato, stava sempre con Filippo; e vedendo i miracoli e le gran potenti opere ch’eran fatti, stupiva. Or gli apostoli ch’erano a Gerusalemme, avendo inteso che la Samaria avea ricevuto la parola di Dio, vi mandarono Pietro e Giovanni. I quali, essendo discesi là, pregarono per loro affinché ricevessero lo Spirito Santo; poiché non era ancora disceso sopra alcuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signor Gesù. Allora imposero loro le mani, ed essi ricevettero lo Spirito Santo" (Atti 8:12-17). Anche in questo caso, essendo che quelle persone avevano creduto, esse erano nate da Dio e quindi avevano una misura di Spirito Santo, ma quando Pietro e Giovanni imposero loro le mani e pregarono per loro, essi furono ripieni di Spirito Santo. Quando Luca dice che essi erano stati soltanto battezzati nel nome del Signor Gesù, vuol dire che avevano ricevuto solo il battesimo in acqua ma non ancora quello con lo Spirito Santo. Espressione che conferma che non perché uno è stato battezzato in acqua ciò significa che è stato battezzato anche con lo Spirito Santo. Notate inoltre che anche nell’esempio dei Samaritani si parla di discesa dello Spirito Santo su dei credenti (cfr. Atti 8:16), come nel caso dei credenti a Pentecoste. Vediamo ora l’esempio dei discepoli di Efeso. E’ detto che prima Paolo li battezzò in acqua nel nome del Signor Gesù e "dopo che Paolo ebbe loro imposto le mani, lo Spirito Santo scese su loro, e parlavano in altre lingue, e profetizzavano" (Atti 19:6). Si noti come anche in questo caso si parla di discesa dello Spirito Santo su dei credenti dopo il battesimo in acqua. In tutti e tre i casi visti quindi lo Spirito Santo scese su dei credenti dopo il loro battesimo. Con questa discesa essi furono battezzati con lo Spirito, furono ripieni di Spirito, ricevettero il dono dello Spirito Santo. Ma c’è un caso negli Atti, anzi ce ne sono due, in cui lo Spirito Santo scese su dei credenti prima del battesimo in acqua. Sono quelli di Cornelio e Saulo da Tarso. Di Cornelio e i suoi è scritto: "Mentre Pietro parlava così, lo Spirito Santo cadde su tutti coloro che udivano la Parola. E tutti i credenti circoncisi che erano venuti con Pietro, rimasero stupiti che il dono dello Spirito Santo fosse sparso anche sui Gentili; poiché li udivano parlare in altre lingue, e magnificare Iddio. Allora Pietro prese a dire: Può alcuno vietar l’acqua perché non siano battezzati questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi stessi? E comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Allora essi lo pregarono di rimanere alcuni giorni con loro" (Atti 10:44-48). Nel caso di Saulo è detto: "E Anania se ne andò, ed entrò in quella casa; e avendogli imposte le mani, disse: Fratello Saulo, il Signore, cioè Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale tu venivi, mi ha mandato perché tu ricuperi la vista e sii ripieno dello Spirito Santo. E in quell’istante gli caddero dagli occhi come delle scaglie, e ricuperò la vista; poi, levatosi, fu battezzato" (Atti 9:17-18). Questi due esempi mostrano come si può essere ripieni di Spirito Santo ancora prima di essere battezzati in acqua, se questo è il volere di Dio. Ma non prima di essere nati di nuovo naturalmente perché per ricevere lo Spirito Santo è necessario avere la fede secondo che è scritto: "Affinché ricevessimo, per mezzo della fede, lo Spirito promesso" (Gal. 3:14), ed ancora: "Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Or disse questo dello Spirito, che doveano ricevere quelli che crederebbero in lui…." (Giov. 7:38-39). Di Cornelio e di quelli di casa sua e di Saulo occorre dunque dire che nel momento che furono ripieni di Spirito o che lo Spirito discese su loro avevano la fede.

Passiamo adesso a trattare la questione delle lingue in relazione al battesimo con lo Spirito Santo. Sono o non sono il segno che attesta la ricezione dello Spirito Santo o il battesimo con lo Spirito Santo o la discesa dello Spirito Santo? Riteniamo di avere già risposto a questa domanda quando abbiamo citato gli esempi dei credenti a Pentecoste, di Cornelio e quelli di casa sua, e l’esempio di quei circa dodici discepoli a Efeso, perché in tutti questi casi si parla di un parlare in altre lingue avvenuto subito dopo la discesa dello Spirito Santo. Che dire allora dei casi dei credenti di Samaria e del caso di Paolo, in cui non viene detto che quando furono ripieni di Spirito Santo si misero a parlare in altre lingue? Diciamo questo. Nel caso dei Samaritani si capisce che si misero a parlare in altre lingue dal fatto che viene detto che Simone vide "che per l’imposizione delle mani degli apostoli era dato lo Spirito Santo" (Atti 8:18); se non ci fosse stato il segno esteriore delle lingue non avrebbe potuto accorgersi di questo. Nel caso di Paolo, anche se negli Atti non è specificatamente detto, si deduce dal fatto che ai Corinzi egli dice che ringraziava Dio di parlare in altre lingue più di tutti i Corinzi (1 Cor. 14:18). Ma dato che ci sono altri casi nel libro degli Atti in cui non ci viene detto che i credenti si misero a parlare in altre lingue, che vengono presi dagli Avventisti (e non solo da loro) per sostenere che il parlare in lingue non è il segno che attesta che si è ricevuto il dono dello Spirito Santo, siamo costretti a dire qualcosa d’altro. Da come parlano loro pare di capire che Dio avrebbe dovuto far scrivere il libro degli Atti (e non solo questo libro) in un’altra maniera. Perché dico questo? Perché basta che negli Atti non ci sia scritto che dei credenti non parlavano in lingue per dedurne che essi non avevano quel segno nella loro vita. Ma si possono fare simili deduzioni? No. Se si dovessero fare simili deduzioni a riguardo del battesimo con lo Spirito Santo, si dovrebbero fare altre deduzioni a riguardo del battesimo in acqua e precisamente che esso non venne sempre ministrato ai credenti e che in taluni casi venne ministrato per aspersione. Perché questo? Perché dei credenti di Tessalonica, di Atene, e di Antiochia di Pisidia non viene per nulla detto che furono battezzati. E dei credenti di Gerusalemme, di Filippi, di Corinto, e di Saulo non viene assolutamente detto che furono battezzati per immersione in acqua. C’è scritto che furono battezzati ma non in acqua. Come mai allora gli Avventisti insegnano che il battesimo deve essere ministrato per immersione e non per aspersione? Perché prendono l’esempio del battesimo di Gesù e quello dell’eunuco. Bene, noi diciamo. Ma se deducono quindi che anche a Gerusalemme, a Corinto, coloro che credettero furono battezzati in acqua e non per aspersione anche se sta solo scritto che furono battezzati; e nel caso di quei credenti di Tessalonica, dei credenti di Atene e di altri posti, che essi furono tutti quanti battezzati anche se non sta scritto neppure che furono battezzati, perché non deducono anche che nei casi dei Samaritani e di Saulo essi si misero a parlare in lingue quando furono ripieni di Spirito come lo furono i credenti a Pentecoste, a casa di Cornelio e a Efeso? E perché non deducono anche che i credenti sperimentarono la discesa dello Spirito Santo con il conseguente parlare in lingue anche nei casi dove non è detto che lo Spirito scese su loro? I motivi mi paiono evidenti; non gli sta bene. Quindi si danno a vani ragionamenti.

I doni dello Spirito Santo. L’apostolo Paolo dice ai Corinzi: "Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza. Voi sapete che quando eravate Gentili eravate trascinati dietro agl’idoli muti, secondo che vi si menava. Perciò vi fo sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: Gesù è anatema! e nessuno può dire: Gesù è il Signore! se non per lo Spirito Santo. Or vi è diversità di doni, ma v’è un medesimo Spirito. E vi è diversità di ministerî, ma non v’è che un medesimo Signore. E vi è varietà di operazioni, ma non v’è che un medesimo Iddio, il quale opera tutte le cose in tutti. Or a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utile comune. Infatti, a uno è data mediante lo Spirito parola di sapienza; a un altro, parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigioni, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza d’operar miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue, e ad un altro, la interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo Spirito, distribuendo i suoi doni a ciascuno in particolare come Egli vuole" (1 Cor. 12:1-11). Come potete vedere Paolo desiderava che i credenti (non solo quelli di Corinto) non fossero nell’ignoranza circa i doni spirituali. Ora, di quale ignoranza parla in questo caso? Di quella che ignora l’esistenza dei doni spirituali o di quella che ignora la loro funzione nel corpo di Cristo e il loro giusto uso? Considerando che i Corinzi non difettavano di alcun dono, perché questo lo dice Paolo all’inizio della sua epistola, e in mezzo a loro c’era chi parlava in altra lingua e chi profetizzava (perché questo si evince dal discorso che Paolo fa in seguito), Paolo non voleva che i Corinzi fossero nell’ignoranza circa l’uso dei doni. E’ chiaro però che se dei credenti ignorano l’esistenza dei doni spirituali (niente di cui meravigliarsi, se si considera che al tempo di Paolo c’erano persino dei credenti che per un certo tempo non avevano saputo dell’esistenza dello Spirito Santo) è necessario ammaestrarli affinché questa ignoranza cessi di esistere, essendo che i doni sono per la Chiesa, per la sua edificazione e non per la sua distruzione. Paolo lo dice chiaramente: a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utile comune. Si notino bene queste parole "per l’utile comune" perché esse annullano tutti quei ragionamenti che vogliono far credere che i doni dello Spirito Santo oggi non siano più necessari. Difatti se a quel tempo la manifestazione dello Spirito era utile alla Chiesa, di conseguenza essa deve essere utile anche adesso a distanza di più di millenovecento anni. Se lo Spirito edificava la Chiesa mediante i suoi doni, di certo Egli continuerà ad edificarla mediante quegli stessi doni ancora oggi. Se lo Spirito a quel tempo desiderava edificare la Chiesa di Dio per mezzo dei suoi doni, di certo desidererà edificarla ancora oggi. O forse qualcuno può dimostrare che questo non è il sentimento dello Spirito? No, non c’è nessuno che può dimostrare che il sentimento e l’operare dello Spirito siano cambiati, e non c’è nessuno che può cambiare il suo sentimento e il suo operare. Egli ancora oggi distribuisce i suoi doni come Egli vuole, e non c’è nessuno che glielo può impedire. Ora, come abbiamo visto lo Spirito è uno, ma i doni sono svariati. In altre parole lo Spirito Santo concede manifestazioni diverse in seno alla Chiesa di Dio. E questo perché le necessità sono svariate nella Chiesa; un po’ come nel corpo umano insomma, in cui ci sono diverse membra con diverse funzioni in base alle necessità. L’occhio mette in grado di vedere, l’orecchio di sentire, i piedi di camminare, la bocca di mangiare, lo stomaco e il fegato di digerire quello che si è mangiato, ecc. Così anche nel corpo di Cristo, dato che i bisogni sono svariati lo Spirito dà a ciascuno delle capacità diverse per supplire ai diversi bisogni presenti in seno alla fratellanza. Non a tutti Egli dà la medesima manifestazione dello Spirito, ma a tutti Egli dà una manifestazione in accordo con la volontà di Dio. Volontà di Dio però che non esclude affatto il desiderare da parte del credente di questi doni, infatti Paolo dice più volte di bramare i doni spirituali: "Desiderate ardentemente i doni maggiori" (1 Cor. 12:31), "cercate di abbondarne per l’edificazione della chiesa" (1 Cor. 14:12), dice Paolo. La cosa è chiara, questi doni devono essere oggetto di ricerca da parte di tutti noi, nessuno escluso. Non c’è una categoria di credenti che è esclusa da questa ricerca. Tutti devono essere coinvolti in essa. Chi non li desidera in realtà non vuole che la Chiesa sia edificata mediante la manifestazione dello Spirito. Egli non vuole che la Chiesa di oggi sia edificata per mezzo dei doni, come lo era la chiesa antica. Ma vediamoli da vicino questi doni di cui parla Paolo, al fine di capire il perché essi sono dati per l’edificazione della chiesa, al fine di capire la loro utilità.

Dono di parola di sapienza. Questo dono è la rivelazione di un fatto che deve accadere. Rivelazione che può essere data per mezzo di una visione, di un sogno, o per mezzo di una voce ascoltata. Alcuni esempi di parola di sapienza nella Scrittura sono i seguenti.

Ad Antiochia un certo profeta di nome Agabo "levatosi, predisse per lo Spirito che ci sarebbe stata una gran carestia per tutta la terra; ed essa ci fu sotto Claudio" (Atti 11:28). Sempre Agabo, alcuni anni dopo, sceso a casa di Filippo "prese la cintura di Paolo, se ne legò i piedi e le mani, e disse: Questo dice lo Spirito Santo: Così legheranno i Giudei a Gerusalemme l’uomo di cui è questa cintura, e lo metteranno nelle mani dei Gentili" (Atti 21:11). Anche in questo caso la predizione di Agabo si avverò. Dio mediante una visione fece sapere a Saulo, mentre egli si trovava cieco in casa di Giuda a Damasco, che sarebbe venuto da lui un uomo chiamato Anania ad imporgli le mani affinché ricuperasse la vista. Quando infatti il Signore parlò ad Anania gli disse di Saulo: "Egli è in preghiera, e ha veduto un uomo, chiamato Anania, entrare e imporgli le mani perché ricuperi la vista" (Atti 9:11-12). A Giovanni, Dio sull’isola di Patmos, in visione, gli mostrò molte cose che devono avvenire. Per esempio citiamo queste: "E vidi salir dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci diademi, e sulle teste nomi di bestemmia. E la bestia ch’io vidi era simile a un leopardo, e i suoi piedi eran come di orso, e la sua bocca come bocca di leone; e il dragone le diede la propria potenza e il proprio trono e grande potestà. E io vidi una delle sue teste come ferita a morte; e la sua piaga mortale fu sanata; e tutta la terra maravigliata andò dietro alla bestia; e adorarono il dragone perché avea dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: Chi è simile alla bestia? e chi può guerreggiare con lei? E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie e le fu data potestà di agire per quarantadue mesi. Ed essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome e il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi e di vincerli; e le fu data potestà sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione. E tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, l’adoreranno. Se uno ha orecchio, ascolti. Se uno mena in cattività andrà in cattività; se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi. Poi vidi un’altra bestia, che saliva dalla terra, ed avea due corna come quelle d’un agnello, ma parlava come un dragone. Ed esercitava tutta la potestà della prima bestia, alla sua presenza; e facea sì che la terra e quelli che abitano in essa adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata sanata. E operava grandi segni, fino a far scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva quelli che abitavano sulla terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare un’immagine della bestia che avea ricevuta la ferita della spada ed era tornata in vita. E le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia, onde l’immagine della bestia parlasse e facesse sì che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi. E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero della bestia, poiché è numero d’uomo; e il suo numero è 666" (Ap. 13:1-18). Queste due bestie devono fare la loro comparsa prima della venuta di Cristo, infatti quando Cristo tornerà la bestia e il falso profeta saranno presi e gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo (cfr. Ap. 19:20-21). Il profeta Eliseo mentre imperversava la carestia in Samaria ebbe una parola di sapienza che preannunciava la cessazione della carestia. Ecco il fatto: "Or dopo queste cose avvenne che Ben-Hadad, re di Siria, radunato tutto il suo esercito, salì contro Samaria, e la cinse d’assedio. E vi fu una gran carestia in Samaria; e i Sirî la strinsero tanto dappresso che una testa d’asino vi si vendeva ottanta sicli d’argento, e il quarto d’un kab di sterco di colombi, cinque sicli d’argento. Or come il re d’Israele passava sulle mura, una donna gli gridò: ‘Aiutami, o re, mio signore!’ Il re le disse: ‘Se non t’aiuta l’Eterno, come posso aiutarti io? Con quel che dà l’aia o con quel che dà lo strettoio?’ Poi il re aggiunse: ‘Che hai?’ Ella rispose: ‘Questa donna mi disse: - Da’ qua il tuo figliuolo, che lo mangiamo oggi; domani mangeremo il mio. - Così cocemmo il mio figliuolo, e lo mangiammo. Il giorno seguente io le dissi: - Da’ qua il tuo figliuolo, che lo mangiamo. - Ma essa ha nascosto il suo figliuolo’. Quando il re ebbe udite le parole della donna, si stracciò le vesti; e come passava sulle mura, il popolo vide ch’egli portava, sotto, un cilicio sulla carne. E il re disse: ‘Mi tratti Iddio con tutto il suo rigore, se oggi la testa di Eliseo, figliuolo di Shafat, rimane ancora sulle sue spalle!’ Or Eliseo se ne stava sedendo in casa sua, e con lui stavano a sedere gli anziani. Il re mandò innanzi un uomo; ma prima che questo messo giungesse, Eliseo disse agli anziani: ‘Lo vedete voi che questo figliuol d’un assassino manda qualcuno a tagliarmi la testa? Badate bene; quand’arriva il messo, chiudete la porta, e tenetegliela ben chiusa in faccia. Non si sente già dietro a lui il rumore de’ passi del suo signore?’ Egli parlava ancora con essi, quand’ecco scendere verso di lui il messo. E il re disse: ‘Ecco questo male vien dall’Eterno; che ho io più da sperar dall’Eterno?’ Allora Eliseo disse: ‘Ascoltate la parola dell’Eterno! Così dice l’Eterno: - Domani, a quest’ora, alla porta di Samaria, la misura di fior di farina si avrà per un siclo, e le due misure d’orzo si avranno per un siclo’. Ma il capitano sul cui braccio il re s’appoggiava, rispose all’uomo di Dio: ‘Ecco, anche se l’Eterno facesse delle finestre in cielo, potrebbe mai avvenire una cosa siffatta?’ Eliseo rispose: ‘Ebbene, lo vedrai con gli occhi tuoi, ma non ne mangerai" (2 Re 6:24-33;7:1-2). E le cose avvennero come predisse Eliseo infatti è scritto che il giorno dopo: "Allora il popolo uscì fuori, e saccheggiò il campo dei Sirî; e una misura di fior di farina si ebbe per un siclo, e due misure d’orzo per un siclo secondo la parola dell’Eterno. Il re aveva affidato la guardia della porta al capitano sul cui braccio s’appoggiava; ma questo capitano fu calpestato dalla folla presso la porta e morì, come avea detto l’uomo di Dio, quando avea parlato al re ch’era sceso a trovarlo. Difatti, quando l’uomo di Dio avea parlato al re dicendo: ‘Domani, a quest’ora, alla porta di Samaria, due misure d’orzo s’avranno per un siclo e una misura di fior di farina per un siclo’, quel capitano avea risposto all’uomo di Dio e gli avea detto: ‘Ecco, anche se l’Eterno facesse delle finestre in cielo, potrebbe mai avvenire una cosa siffatta?’ Ed Eliseo gli avea detto: ‘Ebbene, lo vedrai con gli occhi tuoi, ma non ne mangerai’. E così gli avvenne: fu calpestato dalla folla presso la porta, e morì" (2 Re 7:16-20).

Dono di parola di conoscenza. Questo dono è la rivelazione di un fatto che sta avvenendo o che è già accaduto. Anche questa rivelazione può essere data in visione o in sogno o mediante una voce. Alcuni esempi biblici in cui troviamo la manifestazione di questo dono sono i seguenti.

Gesù disse alla donna samaritana: "Va’ a chiamar tuo marito e vieni qua. La donna gli rispose: Non ho marito. E Gesù: Hai detto bene: Non ho marito; perché hai avuto cinque mariti; e quello che hai ora, non è tuo marito; in questo hai detto il vero. La donna gli disse: Signore, io vedo che tu sei un profeta" (Giov. 4:16-19). In questo caso Gesù, mediante una parola di conoscenza, seppe che quella donna aveva avuto cinque mariti e che quello che aveva in quel momento non era suo marito. La donna comprese da questo che chi le parlava era un profeta. Negli Atti è scritto: "Un certo uomo, chiamato Anania, con Saffira sua moglie, vendé un possesso, e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie; e portatane una parte, la pose ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: Anania, perché ha Satana così riempito il cuor tuo da farti mentire allo Spirito Santo e ritener parte del prezzo del podere? Se questo restava invenduto, non restava tuo? E una volta venduto, non ne era il prezzo in tuo potere? Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio. E Anania, udendo queste parole, cadde e spirò. E gran paura prese tutti coloro che udiron queste cose. E i giovani, levatisi, avvolsero il corpo, e portatolo fuori, lo seppellirono" (Atti 5:1-6). Pietro mediante una parola di conoscenza poté sapere che Anania e Saffira non avevano ricavato dalla vendita di quel loro possesso quanto Anania aveva messo ai piedi degli apostoli ma di più e poté riprendere Anania per aver mentito allo Spirito Santo. Il profeta Eliseo mediante il dono di parola di conoscenza poté far sapere per diverse volte al re d’Israele dove il re di Siria avrebbe posto il suo campo: "Ora il re di Siria faceva guerra contro Israele; e in un consiglio che tenne coi suoi servi, disse: ‘Io porrò il mio campo nel tale e tal luogo’. E l’uomo di Dio mandò a dire al re d’Israele: ‘Guardati dal trascurare quel tal luogo, perché vi stan calando i Sirî’. E il re d’Israele mandò gente verso il luogo che l’uomo di Dio gli aveva detto, e circa il quale l’avea premunito; e quivi si mise in guardia. Il fatto avvenne non una né due ma più volte. Questa cosa turbò molto il cuore del re di Siria, che chiamò i suoi servi, e disse loro: ‘Non mi farete dunque sapere chi dei nostri è per il re d’Israele?’ Uno de’ suoi servi rispose: ‘Nessuno, o re, mio signore! ma Eliseo, il profeta ch’è in Israele, fa sapere al re d’Israele perfino le parole che tu dici nella camera ove dormi" (2 Re 6:8-12). Non bisogna pensare però che Eliseo poteva sapere mediante questo dono tutto quello che accadeva o che era accaduto, tanto è vero che nel caso della morte del figlio della Shunamita lui non sapeva che il suo figlio era morto difatti è scritto: "Ella dunque partì, e giunse dall’uomo di Dio, sul monte Carmel. E come l’uomo di Dio l’ebbe scorta di lontano, disse a Ghehazi, suo servo: ‘Ecco la Shunamita che viene! Ti prego, corri ad incontrarla, e dille: - Stai bene? Sta bene tuo marito? E il bimbo sta bene?’ - Ella rispose: ‘Stanno bene’. E come fu giunta dall’uomo di Dio, sul monte, gli abbracciò i piedi. Ghehazi si appressò per respingerla; ma l’uomo di Dio disse: ‘Lasciala stare, poiché l’anima sua è in amarezza, e l’Eterno me l’ha nascosto, e non me l’ha rivelato" (2 Re 4:25-27).

Dono della fede. La fede di cui Paolo parla come dono, non è la fede che viene dall’udire la Parola di Dio e mediante la quale si viene salvati e si riceve lo Spirito Santo. E’ una fede speciale concessa dallo Spirito Santo a taluni in certe occasioni per compiere qualcosa di particolare. Per esempio Gesù mediante questo dono sfamò migliaia di persone per ben due volte con pochi pani e due pesci (cfr. Matteo 14:15-21; Mar. 6:30-44; Giov. 6:1-15, e Matt. 15:32-37; Mar. 8:1-9), camminò sulle acque del mar di Galilea (cfr. Matt. 14:25; Mar. 6:48), e fece seccare all’istante un fico (cfr. Matt. 21:18-19).

Doni di guarigioni. I doni di guarigioni sono doni che mettono in grado chi li riceve di guarire gli ammalati. Come nel caso di Gesù, la potenza del Signore sarà con lui per compiere delle guarigioni (cfr. Luca 5:17). Gesù diede la potestà di guarire gli infermi ai suoi dodici discepoli secondo che è scritto: "Poi, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potestà di cacciare gli spiriti immondi, e di sanare qualunque malattia e qualunque infermità" (Matt. 10:1; cfr. Luca 9:1-2). Ed essi guarirono gli ammalati, Gesù vivente, secondo che è scritto: "Ed essi, partitisi, andavano attorno di villaggio in villaggio, evangelizzando e facendo guarigioni per ogni dove" (Luca 9:6). Anche l’apostolo Paolo aveva dei doni di guarigioni infatti a Malta è detto: "E accadde che il padre di Publio giacea malato di febbre e di dissenteria. Paolo andò a trovarlo; e dopo aver pregato, gl’impose le mani e lo guarì. Avvenuto questo, anche gli altri che aveano delle infermità nell’isola, vennero, e furon guariti" (Atti 28:8-9). Si badi bene però di evitare di pensare che chi ha i doni di guarigioni possa guarire indiscriminatamente chi vuole perché la guarigione affinché possa avvenire necessita della fede da parte del malato (ricordatevi che a Nazaret Gesù non poté fare molte opere potenti a cagione della loro incredulità) ed anche del permesso di Dio, cioè che la guarigione dell’individuo rientri nel volere di Dio verso lui in quel tempo. A riguardo di ciò facciamo presente che Paolo quando scrisse a Timoteo la prima epistola ancora non aveva guarito Timoteo dalle sue frequenti infermità (cfr. 1 Tim. 5:23), e quando gli scrisse la seconda epistola disse a Timoteo di avere lasciato Trofimo infermo a Mileto (cfr. 2 Tim. 4:20). Si noti che Paolo non si vergognò di scrivere queste cose, quantunque avesse i doni di guarigioni e molti mediante di essi erano stati guariti dalle loro infermità. Questo ci insegna che chi riceve i doni di guarigioni si deve pure lui sottomettere alla volontà di Dio. Un’altra cosa da dire a riguardo delle guarigioni è che quand’anche un credente non abbia i doni di guarigioni egli deve pregare per i fratelli malati affinché Dio li guarisca: Giacomo dice infatti: "Pregate gli uni per gli altri onde siate guariti" (Giac. 5:16). Si noti che è un ordine e non qualcosa di facoltativo.

Alcune parole adesso sul discorso dei guaritori fatto dagli Avventisti. Innanzi tutto il termine è improprio, ci sono i doni di guarigioni secondo la Scrittura, ma coloro che li hanno non sono definiti guaritori. Coloro che hanno ricevuto i doni di guarigioni non hanno nulla a che vedere con coloro che operano nel campo sanitario-medico, perché essi mettono al servizio della gente dei doni spirituali ricevuti da Dio, e non delle capacità umane come quelle dei medici, capacità sviluppatesi mediante i relativi studi e la messa in pratica di questi studi. Nessuno vi seduca in nessuna maniera fratelli; quando si manifestano i doni di guarigioni la guarigione avviene in maniera soprannaturale senza il minimo bisogno di alcuna medicina o di cura. La guarigione avviene per la potenza di Dio, mediante la fede da parte del malato nel nome del Signore Gesù. Per descrivere questo non ci sono parole migliori di quelle che Pietro rivolse ai Giudei dopo aver guarito lo zoppo alla porta del tempio detta ‘Bella’: "E per la fede nel suo nome, il suo nome ha raffermato quest’uomo che vedete e conoscete; ed è la fede che si ha per mezzo di lui, che gli ha dato questa perfetta guarigione in presenza di voi tutti" (Atti 3:16). Queste parole le può dire chiunque ha ricevuto i doni di guarigione dopo che ha guarito un malato. Lo ripeto, le guarigioni che compiono coloro che hanno dei doni di guarigioni avvengono senza il minimo concorso di medicine o terapie. A Dio sia la gloria in eterno. Amen. Superfluo che vi dica infine che le parole della White secondo cui Dio le avrebbe detto che noi non possiamo più usare il metodo di lavoro di Cristo per i motivi che abbiamo visto, sono delle menzogne, le ennesime menzogne che ella attribuì a Dio. Gesù disse: "In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch’egli le opere che fo io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vo al Padre; e quel che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figliuolo. Se chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò" (Giov. 14:12-14). Perché dunque meravigliarsi se oggi ci sono uomini di Dio che fanno le stesse opere che fece Cristo perché hanno ricevuto dei doni di guarigioni e di potenza di operare dei miracoli? Ah, mi si dirà, ma anche Satana compie miracoli! Sì, lo sappiamo che Satana compie prodigi bugiardi, ma appunto perché il diavolo li continua a fare ciò vuol dire che Dio ancora compie opere potenti tramite i suoi servitori, e che lo Spirito Santo ancora oggi concede i doni di guarigioni. Perché il diavolo cerca sempre di contraffare qualcosa di vero che procede da Dio. E’ veramente assurdo pensare che i ministri del diavolo compiono segni e prodigi bugiardi per sedurre le persone, se fosse possibile anche gli eletti, cioè cercando di fargli credere che essi sono fatti da parte di Dio per lo Spirito Santo, mentre i ministri di Dio dovrebbero rinunciare al ‘metodo di lavoro’ di Cristo ‘perché anche Satana può esercitare la sua potenza sull’uomo facendo miracoli’. Sarebbe come dire: noi non possiamo predicare il Vangelo di Dio alle persone perché anche Satana può esercitare la sua potenza o la esercita sull’uomo per fargli accettare un falso Vangelo! No, non è come disse la White che fu ingannata dal diavolo, ma è come dice la Scrittura. La Scrittura non può essere annullata. Si desiderino ardentemente dunque i doni di guarigioni, e chi li riceve li metta al servizio della gente senza chiedere compensi di nessun genere e mantenendosi umile e puro. Che il nome del nostro grande Iddio sia glorificato tramite le guarigioni compiute nel nome di Cristo; e le opere del diavolo distrutte. Che si riconosca ancora oggi che in mezzo alla Chiesa c’è un Dio che guarisce ogni malattia, che può fare e fa quello che nessun medico può fare. A Lui sia la gloria in Cristo Gesù. Amen.

Dono di potenza di operare miracoli. Come si può ben vedere questo dono è distinto dai doni di guarigioni, perché mentre i doni di guarigioni concernono la guarigione da un male il dono di potenza di operare miracoli concerne l’operare segni e prodigi vari. Quello che si deve tenere presente è che questo dono è una potestà di compiere determinate cose per ordine di Dio. Per spiegare questo dono con le Scritture citerò gli esempi di Mosè e quello dei due testimoni che devono apparire prima della venuta di Cristo.

Di Mosè è detto che quando Dio gli apparve nella fiamma di un pruno ardente gli ordinò di scendere in Egitto per liberare il suo popolo dalla mano di Faraone. Gli disse di andare dagli anziani dei figliuoli d’Israele e dirgli: "L’Eterno, l’Iddio de’ vostri padri, l’Iddio d’Abrahamo, d’Isacco e di Giacobbe m’è apparso, dicendo: Certo, io vi ho visitati, e ho veduto quello che vi si fa in Egitto; e ho detto: Io vi trarrò dall’afflizione d’Egitto, e vi farò salire nel paese dei Cananei, degli Hittei, degli Amorei, de’ Ferezei, degli Hivvei e de’ Gebusei, in un paese ove scorre il latte e il miele" (Es. 3:16-17). Ma Mosè replicò a Dio: "Ma ecco, essi non mi crederanno e non ubbidiranno alla mia voce, perché diranno: L’Eterno non t’è apparso’. E l’Eterno gli disse: ‘Che è quello che hai in mano?’ Egli rispose: ‘Un bastone’. E l’Eterno disse: ‘Gettalo in terra’. Egli lo gettò in terra, ed esso diventò un serpente; e Mosè fuggì d’innanzi a quello. Allora l’Eterno disse a Mosè: ‘Stendi la tua mano, e prendilo per la coda’. Egli stese la mano, e lo prese, ed esso ritornò un bastone nella sua mano. ‘Questo farai, disse l’Eterno, affinché credano che l’Eterno, l’Iddio dei loro padri, l’Iddio d’Abrahamo, l’Iddio d’Isacco e l’Iddio di Giacobbe t’è apparso’. L’Eterno gli disse ancora: ‘Mettiti la mano in seno’. Ed egli si mise la mano in seno; poi, cavatala fuori, ecco che la mano era lebbrosa, bianca come neve. E l’Eterno gli disse: ‘Rimettiti la mano in seno’. Egli si rimise la mano in seno; poi, cavatasela di seno, ecco ch’era ritornata come l’altra sua carne. ‘Or avverrà, disse l’Eterno, che, se non ti crederanno e non daranno ascolto alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo segno; e se avverrà che non credano neppure a questi due segni e non ubbidiscano alla tua voce, tu prenderai dell’acqua del fiume, e la verserai sull’asciutto; e l’acqua che avrai presa dal fiume, diventerà sangue sull’asciutto" (Es. 4:1-9). Quando poi Mosè ed Aaronne si presentarono agli anziani di Israele, Aaronne fece i prodigi in presenza del popolo e il popolo credette loro (cfr. Es. 4:30-31). Ma Dio diede a Mosè il potere di compiere prodigi anche davanti a Faraone infatti gli disse: "Quando sarai tornato in Egitto, avrai cura di fare dinanzi a Faraone tutti i prodigi che t’ho dato potere di compiere; ma io gl’indurerò il cuore, ed egli non lascerà partire il popolo" (Es. 4:21).

Nel caso dei due unti che devono apparire è detto nel libro dell’Apocalisse: "Sono i due olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signor della terra. E se alcuno li vuole offendere, esce dalla lor bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa maniera. Essi hanno il potere di chiudere il cielo onde non cada pioggia durante i giorni della loro profezia; e hanno potestà sulle acque di convertirle in sangue, potestà di percuotere la terra di qualunque piaga, quante volte vorranno" (Ap. 11:4-6).

Come si può ben vedere l’autorità ricevuta da Mosè e quella che riceveranno i due unti concerne il fare cose che non sono in relazione a guarigioni fisiche.

Dono del discernimento degli spiriti. Mediante questo dono lo Spirito Santo mette in grado il credente di discernere la presenza di spiriti maligni in persone o vicino a persone o di vedere degli spiriti mentre operano malvagiamente. Esistono spiriti di svariato genere, cioè occupati a fare svariate forme di male.

Esistono spiriti che provocano mutismo e sordità come quello cacciato fuori da quel fanciullo epilettico da Gesù infatti Gesù gli disse: "Spirito muto e sordo, io tel comando, esci da lui e non entrar più in lui" (Mar. 9:25). Cosicché in questi casi affinché la guarigione si compia è necessario discernere lo spirito o gli spiriti che provocano le malattie per poi cacciarlo o cacciarli fuori nel nome di Cristo Gesù.

Esistono spiriti seduttori che sono occupati a sedurre; Paolo dice infatti che nei giorni a venire "alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori…." (1 Tim. 4:1). Di questi spiriti ce ne sono molti in seno al popolo di Dio; mediante di essi ogni sorta di falsa dottrina è fatta credere a certi credenti.

Esistono spiriti che fanno segni e prodigi; Giovanni ne vide alcuni in visione infatti dice: "E vidi uscir dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi, simili a rane; perché sono spiriti di demonî che fan de’ segni e si recano dai re di tutto il mondo per radunarli per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente" (Ap. 16:13-14). Si noti che in questo caso Giovanni dice a cosa assomigliavano questi spiriti, perché tutti gli spiriti hanno una sembianza. Ci sono spiriti che assomigliano a delle scimmie, altri a rane, altri a coccodrilli, altri a serpenti, altri a capre, a maiali, ecc.

Come si può ben capire questo dono risulta molto utile nella guerra contro il diavolo e i suoi demoni perché mediante di esso vengono smascherate le opere del nemico e distrutte.

La profezia, la diversità delle lingue e l’interpretazione delle lingue.

Esamineremo questi tre doni assieme commentando gran parte del capitolo 14 della prima epistola ai Corinzi. Ripeteremo concetti già espressi in precedenza ma riteniamo necessario farlo.

L’apostolo Paolo dice: "Procacciate la carità, non lasciando però di ricercare i doni spirituali, e principalmente il dono di profezia" (1 Cor. 14:1). Ora, si noti come Paolo dica innanzi tutto di ricercare la carità di cui ha parlato estesamente e in maniera mirabile poco prima, carità che non verrà mai meno, a differenza dei doni spirituali che un giorno cesseranno. Ma pure, quantunque la carità sia superiore ai doni spirituali, Paolo dice subito dopo di non tralasciare la ricerca dei doni spirituali. Perché questo? Perché qualcuno potrebbe pensare; perché mai dovrei mettermi a ricercare qualcosa che poi un giorno cesserà? Non è meglio che io ricerchi solo la carità? Allora, Paolo per evitare che i credenti pensino che occorra procacciare solo la carità, dice subito dopo di non tralasciare però nello stesso tempo la ricerca dei doni spirituali. E dice pure quale dono spirituale i credenti devono ricercare per primo, cioè quello di profezia. Perché proprio questo e non il dono della diversità delle lingue per esempio? Paolo lo spiega poco dopo. "Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l’intende, ma in ispirito proferisce misteri. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione. Chi parla in altra lingua edifica se stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa. Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue; ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno ch’egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione" (1 Cor. 14:2-5). Ecco spiegato dunque perché la profezia è da preferirsi alle lingue (come dono naturalmente). Perché mentre chi parla in altre lingue parla a Dio perché nessuno lo capisce e proferisce misteri, e affinché la chiesa intenda quello che egli ha detto e ne riceva edificazione c’è bisogno di qualcuno che ha il dono dell’interpretazione che interpreti il suo parlare straniero; chi profetizza parla agli uomini un linguaggio di edificazione, consolazione ed esortazione che essendo che è proferito nella lingua capita da tutti non ha bisogno di essere interpretato ed edifica la chiesa. Ora, per far capire in che cosa consista questo linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione citerò alcune profezie proferite dal profeta Isaia. Linguaggio di edificazione: "Porgete orecchio, e date ascolto alla mia voce! State attenti, e ascoltate la mia parola! L’agricoltore ara egli sempre per seminare? Rompe ed erpica egli sempre la sua terra? Quando ne ha appianata la superficie, non vi semina egli l’aneto, non vi sparge il comino, non vi mette il frumento a solchi, l’orzo nel luogo designato, e il farro entro i limiti ad esso assegnati? Il suo Dio gl’insegna la regola da seguire e l’ammaestra. L’aneto non si trebbia con la trebbia, né si fa passar sul comino la ruota del carro; ma l’aneto si batte col bastone, e il comino con la verga. Si trebbia il grano; nondimeno, non lo si trebbia sempre; vi si fan passar sopra la ruota del carro ed i cavalli, ma non si schiaccia. Anche questo procede dall’Eterno degli eserciti; maravigliosi sono i suoi disegni, grande è la sua sapienza" (Is. 28:23-29). Linguaggio di esortazione: "O trasgressori, rientrate in voi stessi!... L’Eterno degli eserciti, quello, santificate! Sia lui quello che temete e paventate!... Lavatevi, purificatevi, togliete d’innanzi agli occhi miei la malvagità delle vostre azioni; cessate dal fare il male; imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate ragione all’orfano, difendete la causa della vedova!" (Is. 46:8; 8:13; 1:16,17). Linguaggio di consolazione: "Io, io son colui che vi consola; chi sei tu che tu tema l’uomo che deve morire, e il figliuol dell’uomo che passerà com’erba?... Ascoltatemi, o voi che conoscete la giustizia, o popolo che hai nel cuore la mia legge! Non temete l’obbrobrio degli uomini, né siate sgomenti per i loro oltraggi. Poiché la tignola li divorerà come un vestito, e la tarma li roderà come la lana... Non temere, perché io t’ho riscattato, t’ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando passerai per delle acque, io sarò teco; quando traverserai de’ fiumi, non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non ne sarai arso, e la fiamma non ti consumerà" (Is. 51:12; 51:7,8; 43:1,2). A proposito della profezia vanno dette le seguenti cose. La prima è che il dono di profezia non consiste, come alcuni credono, nella rivelazione di un evento futuro perché come abbiamo visto la rivelazione di un evento futuro è la parola di sapienza. Se si noteranno le parole profetiche appena citate infatti in esse non c’è la rivelazione di un particolare evento futuro. Che ci sia una differenza tra profezia e rivelazione è evidente anche dal fatto che Paolo poco dopo le cita separatamente quando dice: " Infatti, fratelli, s’io venissi a voi parlando in altre lingue, che vi gioverei se la mia parola non vi recasse qualche rivelazione, o qualche conoscenza, o qualche profezia, o qualche insegnamento?" (1 Cor. 14:6). La seconda che il solo dono di profezia non fa profeta chi lo possiede perché per essere riconosciuti profeti occorre avere anche dei doni di rivelazione (che sono la parola di sapienza, la parola di conoscenza e il discernimento degli spiriti). L’esempio dei profeti citati nella Scrittura, come Elia, Eliseo, Isaia, Geremia, Ezechiele ed altri lo mostra chiaramente. Ma torniamo alle lingue. Come abbiamo visto Paolo dice che vorrebbe che tutti parlassero in altre lingue, ma molto più che tutti profetassero perché chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue (per la ragione addotta prima). Ma questa superiorità cessa di esistere se chi parla in altre lingue interpreta pure infatti Paolo dice: "A meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione". Perché quel "a meno che"? Perché nel caso chi parla in altre lingue interpreta, pure la chiesa intenderà quello che lo Spirito ha detto in altre lingue tramite di lui a Dio, e ne riceverà edificazione. Facciamo un esempio esplicativo: mettiamo il caso che in mezzo all’assemblea un fratello preghi in altra lingua a Dio chiedendogli di liberare il fratello Tizio in Costa d’Avorio da degli uomini malvagi che si accingono ad ucciderlo a motivo della sua fede, e che dopo avere così pregato interpreti la preghiera rivolta in altra lingua. Che accadrà nell’assemblea? Che i credenti potranno dire ‘Amen’ a quella preghiera perché avranno capito in che cosa essa consisteva. E naturalmente essi tutti riceveranno grande edificazione nel sapere che lo Spirito per bocca di quel credente ha interceduto per un figliuolo di Dio a loro sconosciuto che si trova in una nazione di un altro continente. Nel caso invece il parlare in altre lingue consisteva in un cantico a Dio allora la chiesa capirà le parole di quel cantico spirituale. Ecco dunque perché la chiesa ne riceverà edificazione dall’interpretazione delle lingue. Non è come alcuni credono, per mancanza di conoscenza, che le lingue più interpretazione è una profezia cioè un parlare agli uomini, per questo la chiesa ne riceverà edificazione. Perché l’edificazione non si riceve esclusivamente sentendo proferire un messaggio di esortazione, consolazione ed edificazione rivolto agli uomini, ma pure sentendo una preghiera o un cantico (in questo caso interpretati da un’altra lingua). Questo è fuori di dubbio. Ma ditemi: se si rimane edificati nel sentire pregare o cantare in italiano alcuni fratelli, perché si avverte che quella loro preghiera o quel loro cantico sono sospinti dalla grazia di Dio, perché mai non si dovrebbe rimanere edificati nel sentire una preghiera o un cantico che sono stati proferiti dallo Spirito Santo in una lingua straniera per bocca degli stessi o di altri fratelli? Ora, Paolo dopo avere detto a meno che egli interpreti affinché la chiesa ne riceva edificazione dice: "Infatti, fratelli, s’io venissi a voi parlando in altre lingue, che vi gioverei se la mia parola non vi recasse qualche rivelazione, o qualche conoscenza, o qualche profezia, o qualche insegnamento? Perfino le cose inanimate che dànno suono, quali il flauto o la cetra, se non dànno distinzione di suoni, come si conoscerà quel ch’è suonato col flauto o con la cetra? E se la tromba dà un suono sconosciuto, chi si preparerà alla battaglia? Così anche voi, se per il vostro dono di lingue non proferite un parlare intelligibile, come si capirà quel che dite? Parlerete in aria. Ci sono nel mondo tante e tante specie di parlari, e niun parlare è senza significato. Se quindi io non intendo il significato del parlare, sarò un barbaro per chi parla, e chi parla sarà un barbaro per me. Così anche voi, poiché siete bramosi de’ doni spirituali, cercate di abbondarne per l’edificazione della chiesa. Perciò, chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare; poiché, se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza" (1 Cor. 14:6-15). Tutte queste parole dell’apostolo hanno l’evidente scopo di far capire ai credenti che il parlare in altra lingua in mezzo all’assemblea non sarà di alcuna utilità agli altri se non è accompagnato dall’interpretazione. In altre parole, il parlare in altra lingua privo dell’interpretazione è come una tromba che da un suono sconosciuto; è come qualcuno che parla una lingua barbara di cui non si capisce niente. Giova sì a chi parla in altra lingua perché lo edifica (lo edifica non perché capisce quello che dice, ma perché parla per lo Spirito), ma non giova alla chiesa perché essa non intende quello che viene detto. Ecco perché Paolo dice: "Perciò chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare" (al fine di poter edificare la chiesa, oltre che se stesso). Perché se io prego in altra lingua prega il mio spirito ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Allora che devo fare, io che prego in altra lingua? domanda Paolo. Pregherò in altra lingua (con lo spirito) ma interpreterò pure (pregherò anche con l’intelligenza); salmeggerò (alcune versioni hanno canterò) in altra lingua (con lo spirito) ma interpreterò pure il mio salmeggiare (salmeggerò con l’intelligenza). Questo affinché la chiesa ne riceva edificazione. E subito dopo Paolo dice: "Altrimenti, se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito, come potrà colui che occupa il posto del semplice uditore dire ‘Amen’ al tuo rendimento di grazie, poiché non sa quel che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamento; ma l’altro non è edificato. Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi; ma nella chiesa preferisco dir cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua" (1 Cor. 14:16-19). Paolo in altre parole dice: nel caso invece tu non fai come ti dico io, cioè nel caso tu preghi o salmeggi in altra lingua senza darne l’interpretazione come potrà chi ti ascolta dire ‘amen’ al tuo rendimento di grazie? Non potrà; certo tu farai un bel rendimento di grazie ma l’altro non sarà edificato. Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi, ciononostante nella chiesa (si noti che Paolo dice nella chiesa e non quando sono solo perché è evidente che questo particolare discorso riguarda il caso in cui si è assieme ad altri credenti e non da soli quando chi ci ascolta è solo Dio) preferisco dire cinque parole comprensibili che diecimila in altra lingua. E poi dice: "Fratelli, non siate fanciulli per senno; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto a senno, siate uomini fatti" (1 Cor. 14:20). Come dire, nella semplicità siate come i bambini, ma non siate bambini quanto a intelligenza, siate invece uomini fatti quanto a intelligenza. A questo punto Paolo cita queste parole pronunciate da Dio per mezzo di Isaia: "Egli è scritto nella legge: Io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d’altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppur così mi ascolteranno, dice il Signore" (1 Cor. 14:21). E poi dice: "Pertanto le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti: la profezia, invece, serve di segno non per i non credenti, ma per i credenti. Quando dunque tutta la chiesa si raduna assieme, se tutti parlano in altre lingue, ed entrano degli estranei o dei non credenti, non diranno essi che siete pazzi? Ma se tutti profetizzano, ed entra qualche non credente o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è scrutato da tutti, i segreti del suo cuore son palesati; e così, gettandosi giù con la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi" (1 Cor. 14:22-25). Quel "pertanto" dopo quelle parole di Isaia stanno a confermare che in base a ciò che Dio disse tramite Isaia le lingue sono di segno agli increduli e non ai credenti. Mentre la profezia è di segno ai credenti. A questo punto è necessario fare una puntualizzazione. Le parole di Isaia per alcuni credenti confermano che il parlare in altre lingue è un messaggio rivolto agli uomini. Ma ciò non può essere vero altrimenti Paolo si sarebbe contraddetto nel dire in precedenza che chi parla in altra lingua parla non agli uomini ma a Dio. Quello che occorre tenere presente è che quelle parole di Isaia vengono citate da Paolo a conferma che le lingue sono un segno per i Giudei non credenti. In altre parole Dio disse che avrebbe parlato ad Israele tramite il segno delle lingue, cioè avrebbe attirato la loro attenzione mediante questo segno. Quel parlerò a questo popolo per mezzo di gente d’altra lingua, e per mezzo di labbra straniere, vuole indicare che con quella manifestazione soprannaturale Dio avrebbe fatto capire al suo popolo che Egli era presente in mezzo ai Gentili, in altre parole i Giudei avrebbero potuto riconoscere che Dio era in mezzo a coloro che parlavano in altre lingue anche se appartenenti ad altri popoli. Un esempio che mostra ciò, cioè che Dio per mezzo delle lingue parlò al suo popolo, lo abbiamo in quello che avvenne il giorno della Pentecoste difatti quei Giudei rimasero meravigliati nel sentire parlare dei Galilei nelle loro lingue natie e si domandavano che cosa ciò volesse significare. I segni dati da Dio parlano, questo è quello che occorre sempre tenere presente. Quando Dio parlò a Mosè gli disse: "Che è quello che hai in mano?’ Egli rispose: ‘Un bastone’. E l’Eterno disse: ‘Gettalo in terra’. Egli lo gettò in terra, ed esso diventò un serpente; e Mosè fuggì d’innanzi a quello. Allora l’Eterno disse a Mosè: ‘Stendi la tua mano, e prendilo per la coda’. Egli stese la mano, e lo prese, ed esso ritornò un bastone nella sua mano. ‘Questo farai, disse l’Eterno, affinché credano che l’Eterno, l’Iddio dei loro padri, l’Iddio d’Abrahamo, l’Iddio d’Isacco e l’Iddio di Giacobbe t’è apparso’. L’Eterno gli disse ancora: ‘Mettiti la mano in seno’. Ed egli si mise la mano in seno; poi, cavatala fuori, ecco che la mano era lebbrosa, bianca come neve. E l’Eterno gli disse: ‘Rimettiti la mano in seno’. Egli si rimise la mano in seno; poi, cavatasela di seno, ecco ch’era ritornata come l’altra sua carne. ‘Or avverrà, disse l’Eterno, che, se non ti crederanno e non daranno ascolto alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo segno; e se avverrà che non credano neppure a questi due segni e non ubbidiscano alla tua voce, tu prenderai dell’acqua del fiume, e la verserai sull’asciutto; e l’acqua che avrai presa dal fiume, diventerà sangue sull’asciutto" (Es. 4:2-9). Si noti questa espressione "se non daranno ascolto alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo segno" perché essa attesta come i segni di Dio hanno una voce. Così anche le lingue costituiscono un segno di Dio per gli increduli. La profezia invece un segno per i credenti; ecco perché Paolo dice che se entra qualche non credente e sente tutti parlare in lingue dirà che siamo dei pazzi, mentre se tutti profetizzano il non credente avrà i pensieri del suo cuore palesati e riconoscerà che Dio è in mezzo a noi. Ma allora che cosa si deve fare? Paolo risponde: "Quando vi radunate, avendo ciascun di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o una interpretazione, facciasi ogni cosa per l’edificazione. Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al più, a farlo; e l’un dopo l’altro; e uno interpreti; e se non v’è chi interpreti, si tacciano nella chiesa e parlino a se stessi e a Dio. Parlino due o tre profeti, e gli altri giudichino; e se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente si taccia. Poiché tutti, uno ad uno, potete profetare; affinché tutti imparino e tutti sian consolati; e gli spiriti de’ profeti son sottoposti a’ profeti, perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace" (1 Cor. 14:26-33). In relazione alle lingue diciamo che, se c’è chi parla in altra lingua devono parlare in lingue solo due o al massimo tre, e uno dopo l’altro, e uno deve interpretare; ma se non c’è chi interpreta, coloro che parlano in altre lingue devono farlo sottovoce e non a guisa di tromba. I profeti, i quali hanno il dono di profezia, parlino; anche qui però due o tre al massimo, e gli altri esaminino le profezie. Nel caso però viene data una rivelazione ad un profeta che sta seduto il precedente si deve tacere. La conclusione del discorso di Paolo è questa: "Se qualcuno si stima esser profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo son comandamenti del Signore. E se qualcuno lo vuole ignorare, lo ignori. Pertanto, fratelli, bramate il profetare, e non impedite il parlare in altre lingue; ma ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine" (1 Cor. 14:37-40). Le cose sono chiare, le parole di Paolo sono dei comandi del Signore. Dunque, il profetare deve essere bramato, il parlare in altre lingue non deve essere impedito, ma tutto deve essere fatto con decoro e con ordine.

Alcune parole conclusive

Colgo l’occasione per dire alcune cose sia sul battesimo con lo Spirito Santo che sui doni spirituali. Certamente sia la dottrina del battesimo con lo Spirito Santo che quella dei doni dello Spirito Santo sono dottrine tuttora attaccate fortemente da Satana. L’avversario infatti in molti casi è riuscito a confonderle, ad annullarle in seno a molte Chiese evangeliche, cioè a chiese che dicono di attenersi al Vangelo, solo al Vangelo e non alla tradizione degli uomini come invece fa la chiesa cattolica romana. Certo, le Chiese evangeliche non insegnano la salvezza per meriti, non insegnano la transustanziazione, non insegnano l’adorazione dell’ostia, e tante altre dottrine di uomini; ma pure molte di esse insegnano cose storte sia sul battesimo con lo Spirito Santo che sui doni dello Spirito Santo. C’è chi dice come gli Avventisti che il battesimo con lo Spirito Santo si riceve quando si viene battezzati in acqua, o quando si nasce di nuovo (cioè prima di essere battezzati in acqua); per cui quando lo si riceve non ci si mette a parlare in altre lingue. Sui doni dello Spirito Santo viene detto da molti che Dio ha cessato di distribuirli con la morte degli apostoli, o magari che sono disponibili solo alcuni di essi e non tutti. In generale comunque in molte Chiese (non escluse alcune che si definiscono pentecostali) si tende a insegnare che tutte quelle manifestazioni che caratterizzarono la chiesa primitiva e che si possono leggere nel libro degli Atti e in alcune delle epistole, non sono cose che per forza di cose ci devono essere tutte anche oggi in seno alla Chiesa. L’attacco che è stato ordito e che viene rivolto contro il battesimo con lo Spirito e i doni dello Spirito Santo è qualcosa che è sotto i nostri occhi. Che faremo? Ci taceremo? Affatto, ma continueremo a smascherarlo usando la sacra Scrittura e la sapienza dataci da Dio. Noi continueremo a turare la bocca a tutti coloro che nella loro ignoranza si levano contro questa parte del consiglio di Dio; e vi esorto, o ministri del Vangelo, a fare la medesima cosa. Ma su che cosa fa leva il diavolo per tenere lontano molti credenti dal battesimo con lo Spirito Santo e dai doni dello Spirito Santo? Sulle caratteristiche peculiari sia del battesimo con lo Spirito Santo che dei doni dello Spirito Santo, e sulla mancanza di conoscenza delle Scritture, cosa questa che è molto diffusa. Facciamo degli esempi.

Il parlare in altra lingua (sia che si tratti di una sola lingua che di più lingue, in quest’ultimo caso perciò si tratta del dono della diversità delle lingue) che segue immediatamente il riempimento dello Spirito viene fatto passare per un qualcosa che si verificò solo ai giorni degli apostoli, ma per motivi straordinari. Oggi quei motivi non esistono più, per cui il parlare in altre lingue non deve seguire il riempimento con lo Spirito Santo. Conclusione? Chi parla in altre lingue, secondo che lo Spirito gli dà di esprimersi, è stato ingannato dal diavolo, è rimasto vittima di qualche forma di autosuggestione o di suggestione provocata da abili predicatori. Qualunque sia il motivo addotto da costoro, da quei credenti che parlano in lingue occorre guardarsi se non si vuole cadere vittima dello stesso inganno diabolico! Ora, noi diciamo: ammesso e non concesso che sia così, costoro ci dovrebbero spiegare come mai chi parla in altra lingua edifica se stesso. In altre parole, ci dovrebbero spiegare come sia possibile che un qualche cosa frutto della nostra immaginazione che non ha fondamento scritturale per noi oggi, un qualche cosa che è opera del diavolo riesca a edificare l’uomo interiore del credente. Da che mondo e mondo si sa che il diavolo qualunque sia l’inganno perpetrato nei confronti degli esseri umani, non cerca mai l’edificazione degli uomini ma la loro distruzione. Ora, di cose che noi credenti facendo rimaniamo edificati spiritualmente ce ne sono molte. Per esempio noi rimaniamo edificati parlando del Signore, pregando nella nostra lingua natia, cantando nella nostra lingua, trasmettendo un insegnamento sano che riguarda le cose del regno di Dio, e tante altre cose. Si può affermare che chi fa queste cose è rimasto vittima di un inganno, di qualche forma di suggestione? No. Dunque, io domando, perché mai quando un credente parla in altra lingua a Dio, mediante la lingua che gli dà lo Spirito Santo, e così facendo edifica se stesso perché questo afferma l’apostolo Paolo, il vostro primo pensiero è che si tratta di un inganno satanico? ‘Le lingue sarebbero cessate, disse Paolo’, ecco come mi si risponde. E’ vero che Paolo ha detto che esse cesseranno, ma quando sarà venuta la perfezione, e da che ne sappiamo noi essa non è ancora sopraggiunta. Il fatto è poi che lo stesso Paolo dice che le lingue servono di segno non ai credenti ma ai non credenti; dunque, noi diciamo, se di non credenti ce ne continuano ad essere, perché mai dunque le lingue dovrebbero essere già cessate? In altre parole, di non credenti non ce ne dovrebbero essere più per affermare che le lingue non servono più come segno per loro. Dunque anche il fatto che i non credenti esistono ancora, ci autorizza a dire che al presente le lingue servono di segno ai non credenti, e se servono ci devono essere, e se ci devono essere ciò vuol dire che lo Spirito Santo dà ancora di parlare in altre lingue. Vorrei far notare adesso a proposito delle lingue una contraddizione presente in seno a quelle chiese che rigettano il parlare in altra lingua per lo Spirito. Se in queste chiese si sa che un fratello parla dieci lingue straniere per averle studiate, ed è in grado di tradurre bene in italiano da quelle lingue straniere, tutti ne vanno fieri; anzi ci sono molti che si spingono a dire che quello è un ‘talento’ datogli da Dio che non tutti hanno ecc. Insomma vengono elevati ringraziamenti a Dio per avere fatto imparare a quel credente ben dieci lingue straniere e per averlo messo in mezzo a loro. Ma guarda caso, se nel loro mezzo un popolano senza istruzione (o anche un credente con degli studi) comincia a parlare in svariate lingue per lo Spirito, e magari anche ad interpretare quello che dice in altra lingua, cominciano ad essere fatti i commenti più strani, e i più scoraggianti. Nessun ringraziamento viene elevato a Dio, quello non è un ‘talento’ divino, ma frutto di un inganno satanico. Per cui occorre prendere delle precauzioni affinché anche gli altri credenti non vengano contagiati da questo falso parlar in lingue e da questa cosiddetta interpretazione delle lingue!! Cosicché ciò che è una capacità naturale, perché appresa con gli studi, è considerata un dono di Dio, mentre ciò che è soprannaturale e procede da Dio è considerato una macchinazione del diavolo! La pietra d’intoppo per costoro è dunque costituito, per quanto riguarda le lingue, dal soprannaturale, che come noi sappiamo non si può spiegare. Come uno abbia fatto ad imparare dieci lingue straniere nel corso di tanti anni è spiegabile, ma come uno abbia potuto all’improvviso mettersi a parlare in dieci lingue straniere senza averle mai imparate ed a interpretare pure, o magari anche a parlare solo una lingua straniera mai studiata e a interpretare, non è spiegabile umanamente, e questo perché si tratta di capacità che procedono dallo Spirito Santo. Opera imperscrutabile, meravigliosa, che l’uomo ha un bell’affaticarsi a spiegare senza però riuscirci. Ecco dunque il punto su cui molti cadono, il soprannaturale. Pare proprio che per costoro tutto il soprannaturale sia monopolio del diavolo, per cui tutto ciò che è soprannaturale e mette spavento o incute timore è dal diavolo. Per cui essi si guardano bene dal desiderare qualche manifestazione soprannaturale. D’altronde, le lingue sono cessate; perché mai si dovrebbero desiderare le lingue che vengono dal diavolo? Così avviene che molti credenti sono più interessati al naturale che al soprannaturale che procede da Dio. Mentre, triste a dirlo, molti figliuoli del diavolo sono più interessati al soprannaturale che procede dal diavolo che al naturale! Viene dunque da domandarsi; come è possibile che ci sono increduli che ricercano le cose soprannaturali che procedono dal diavolo, mentre ci sono tanti credenti, e ripeto tanti, che non sono minimamente interessati al soprannaturale che procede da Dio? E’ semplice la risposta; il diavolo è riuscito con la sua astuzia ad ingannare sia i primi che i secondi. E a questo va aggiunto il fatto che quei pochi credenti che sono interessati al soprannaturale perché ricercano i doni spirituali e li hanno ricevuti sono definiti ministri del diavolo da molti dei loro fratelli, o comunque che si dicono tali. E’ interessante notare però che quando i maghi, gli stregoni, o gli astrologi, o gli indovini o qualcun altro che serve il diavolo con delle capacità diaboliche si trova davanti a questi fratelli ripieni di Spirito che parlano in altra lingua o magari cacciano i demoni o impongono le mani sugli ammalati nel nome di Gesù, dico è interessante notare che nessuno di questi ministri del diavolo ardirebbe dargli la sua mano d’associazione, anzi cercano subito di allontanarsi da loro o comunque di evitarli in tutte le maniere. In altre parole questi nostri fratelli non vengono riconosciuti come ministri del diavolo da coloro che lo sono veramente. Come mai il loro parlare in altre lingue non viene reputato frutto di un inganno satanico? Se fossero tutti al servizio del diavolo, come mai questi che parlano in altre lingue perché sono stati battezzati con lo Spirito, sono fortemente temuti e tenuti in avversione dai maghi, dagli indovini, dagli astrologi, ecc. tanto che sono uno dei loro bersagli da colpire? Come si spiega tutto ciò? E’ semplice, questi nostri fratelli parlano in lingue per lo Spirito Santo e noi sappiamo che lo Spirito di Dio mette in fuga l’avversario. Quando infatti un credente prega in altra lingua, chiede a Dio per lo Spirito sempre qualcosa che annulla le opere del diavolo; quando un credente canta in lingue per lo Spirito, glorifica il Figliuolo di Dio, e siccome che al diavolo queste cose non piacciono cerca di opporsi ad esse ma invano ed è costretto a fuggire. Sì, è vero che ci sono ministri del diavolo che parlano in lingue, ma quello che dicono in lingue non è una preghiera a Dio e neppure un ringraziamento rivolto a Dio o un cantico che glorifica Cristo. E nel caso si trovassero in mezzo all’assemblea dei giusti, non potrebbero sussistere in mezzo a loro perché in mezzo ai giusti Dio ha ordinato sia presente la benedizione, in mezzo ad essi è presente Cristo Gesù che ha distrutto colui che aveva l’impero della morte, cioè il diavolo. Ecco perché coloro che parlano in lingue per potere del diavolo non possono reggere in mezzo ai santi. Come mai invece coloro che parlano in altre lingue per lo Spirito ci stanno tranquillamente in mezzo ai santi? Perché amano la fratellanza? Semplice; perché in loro c’è lo Spirito di Dio che li spinge ad amare coloro che Dio ha generato mediante la sua Parola.

Passiamo ora ai doni dello Spirito Santo di cui abbiamo visto le caratteristiche quando ne abbiamo parlato distintamente poco fa. Tralasceremo la diversità delle lingue e l’interpretazione delle lingue perché abbiamo accennato ad essi prima. Anche qui il discorso si soffermerà sull’aspetto soprannaturale di questi doni. Qualcuno predice per lo Spirito un fatto particolare che deve avvenire? E’ dal diavolo, perché Dio non fa fare più predizioni ai suoi servitori come le faceva fare ai profeti di una volta. Qualcuno rivela per lo Spirito un fatto nascosto? Anche lui è dal diavolo perché Dio oggi ha smesso di rivelare cose simili; è un medium, dicono costoro. Qualcuno vede qualche spirito maligno aggirarsi attorno a dei credenti? Ha delle allucinazioni, gli spiriti non possono apparire ai credenti; che ragione c’è di vederli? Qualcuno caccia i demoni nel nome di Gesù? Anche lui è dal diavolo, pratica qualcosa che non si può più fare dopo la morte degli apostoli. E chi fa guarigioni nel nome di Gesù? Anche lui serve il diavolo perché i doni di guarigioni hanno cessato di esistere. E chi fa segni e prodigi nel nome di Gesù? La medesima cosa. E chi profetizza nel nome del Signore? Stesso discorso. Ecco, come la pensano tanti di coloro che poi la domenica vanno al culto a cantare, a pregare, ad ascoltare la predicazione attorno a qualche passo della Scrittura. ‘Queste cose accaddero anticamente, è vero; ma oggi non c’è più bisogno di esse. Abbiamo il canone delle Scritture completo, la Bibbia è stata tradotta in centinaia di lingue, che bisogno c’è di queste cose? Le persone si convertono lo stesso; che bisogno c’è di queste manifestazioni?’ Ecco quali sono le parole che il diavolo ha messo nella bocca di costoro. Sì il diavolo, perché simili frasi non possono procedere da Dio dato che contrastano lo Spirito Santo. Anche in questo caso, è il soprannaturale, quello che non è spiegabile con la mente umana, che costituisce la pietra d’intoppo per costoro. La paura di esso; perché come già detto, oramai dopo la morte degli apostoli, il soprannaturale – per costoro - è diventato tutto monopolio del nemico. E perciò nessuno vuole diventare ministro del diavolo. Ma non solo la paura; ma in molti casi anche la vergogna. Difatti ci sono credenti che si vergognerebbero se sentissero dire alle persone del mondo che tra di loro ci sono visioni, espulsioni di demoni, guarigioni, segni e prodigi; perché tutte queste cose odorano di fanatismo, di superstizione, di esoterismo, di occultismo, tutte cose che vengono dal diavolo. E i cristiani devono dare al mondo un immagine di loro stessi non ‘strana’ ma ordinata. Insomma il mondo non deve poter dire che noi siamo mezzi o tutti pazzi, fanatici, creduloni, superstiziosi! Nessuno scherno deve esserci rivolto; noi siamo persone rispettabili che vogliono essere rispettate, ci dicono o ci fanno capire costoro. Ecco quale cristianesimo alcuni vogliono professare; un cristianesimo senza il soprannaturale. Ma io domando: il cristianesimo senza il soprannaturale che procede da Dio può essere definito ancora cristianesimo? Se colui che ha fondato il cristianesimo, fece stupire e sbigottire il mondo di allora con le sue opere potenti, e molti dissero persino che aveva il principe dei demoni nel suo corpo che lo assisteva nel cacciare i demoni; dico io, come possono i suoi discepoli definire quelle cose che fece il maestro delle cose sorpassate, che oggi non sono più retaggio dei cristiani? Abbiamo gli psichiatri, i psicologi, i medici, i chirurghi; che bisogno c’è che Dio operi miracoli e guarigioni come una volta? Che mi risulta però, chi ha gli spiriti maligni non può essere liberato da uno psichiatra o da uno psicologo. E non mi risulta neppure che chi è nato senza gambe possa camminare per qualche intervento chirurgico. Come anche non mi risulta che ci siano medicine o chirurghi che possano dare la vista ad un cieco, o l’udito ad un sordo, o la parola a chi è muto. E neppure che ci sia una cura che guarisca il cancro o il tumore. Come si fa dunque a rimanere indifferenti dinanzi ai disagi, alle sofferenze che queste anime così ridotte patiscono a motivo dei loro forti limiti fisici? Come si fa a non desiderare che essi recuperino quelle facoltà, capacità fisiche di cui sono privi? Come si fa a desiderare che rimangano in quella situazione quando sappiamo di avere un Dio Onnipotente che non è mutato? Quando sappiamo che ci furono dei ciechi, degli zoppi, dei muti, dei sordi guariti da Dio tramite Cristo e gli apostoli tanto tempo fa, e degli indemoniati liberati per l’aiuto dello Spirito Santo? E’ spontaneo dunque mettersi a desiderare i doni spirituali per un figliuolo di Dio; è spontaneo per un figliuolo di Dio voler vedere anche oggi Dio operare tramite dei suoi servitori quelle medesime opere di allora. Nulla di strano. La cosa strana semmai è non voler vedere quelle opere potenti. No, non è come dite voi che non conoscete né le Scritture e neppure la potenza di Dio, noi abbiamo bisogno di queste manifestazioni dello Spirito Santo come ne ebbero bisogno i santi antichi, né più né meno. Se voi siete membri del corpo di Cristo, dovete smettere di parlare in questa maniera folle, perché non c’è un membro del corpo che può dire ad un altro membro di non avere bisogno di lui. Ah, ma anche il diavolo fa fare opere potenti. Sì, ma i demoni non li fa espellere ma li fa venire, e le malattie non le fa sparire ma semmai le fa venire. Il diavolo fa prodigi bugiardi che ingannano? Quale è il problema? Non li faceva forse anche al tempo degli apostoli, quando ancora essi erano vivi? Simone a Samaria, prima di convertirsi, non aveva fatto stupire la gente di Samaria con le sue arti magiche? Ma che fecero i Samaritani quando credettero a Filippo? Dissero, Filippo è dal diavolo perché anche il diavolo fa segni e prodigi bugiardi? Non mi pare proprio. No, ma si lasciarono battezzare da lui. Dunque si fidarono di lui; non misero in discussione il suo ministerio. Eppure loro li avevano visti per lungo tempo i prodigi bugiardi. Ne avevano di esperienza. Ma evidentemente le opere compiute da Filippo erano di tutt’altro genere. Esse facevano rallegrare, esse erano fatte nel nome di Gesù il Nazareno; tutte cose che confermavano la veridicità di quello che annunciava Filippo, cioè la buona novella del regno di Dio. I miracoli e le guarigioni compiute da Dio confermano il Vangelo, e attirano le anime al Vangelo e fortificano i credenti; oltre che a produrre una grande gioia in chi li sperimenta o li vede fare. Tutte cose che i segni e i prodigi bugiardi del diavolo non fanno. Ciò detto, è evidente che il discorso che oggi Dio non opera più come una volta perché il diavolo fa anche lui stupire le persone, discorso per invalidare le opere potenti di Dio di oggi, non regge minimamente. E’ una menzogna generata dal diavolo. Alcuni però ammettono che Dio può guarire, ma non che Egli dia ancora i doni di guarigioni. E’ una contraddizione questa; perché se ammettiamo che Dio guarisca un credente in risposta alla sua preghiera, senza che nessuno gli imponga le mani o preghi su di lui ungendolo d’olio nel nome del Signore; non si capisce perché Dio non possa guarire qualcuno tramite le mani di un servo che ha ricevuto i doni di guarigioni. Anche qui pare proprio che costoro abbiano paura che il mondo dica di loro che sono fanatici perché alcuni fra loro sono dei ‘guaritori’. In altre parole non vogliono che si dica che tra loro ci siano una sorta di ‘santoni’ evangelici reputati una sorta di ‘mediatori terreni’ fra Dio e gli ammalati. Certamente, occorre stare attenti perché anche il diavolo si traveste da angelo di luce; la prudenza è d’obbligo per un cristiano. Non importa se si tratta del parlare in altre lingue, delle rivelazioni, delle visioni, dei sogni, dei miracoli e delle guarigioni, o degli insegnamenti rivoltici; la Scrittura deve rimanere la regola di fede suprema e tutto deve essere esaminato mediante di essa. Qualsiasi comportamento o insegnamento sia contrario al sano insegnamento della Parola di Dio, deve essere rigettato. Il disordine (quello vero e non quello apparente), la falsità, l’inganno, la suggestione e l’autosuggestione, la superstizione, sono dunque tutte cose da rigettare. Noi siamo persuasi che come non esiste il pericolo di mettersi a credere delle menzogne se si teme il Signore, si investigano diligentemente le sacre Scritture ogni giorno a riguardo di tutto ciò che si legge o si sente, e si prega del continuo; così non esiste il pericolo di cadere vittima di un inganno del diavolo se si esamina il soprannaturale alla luce della Parola di Dio, se si teme Dio e si trema nel suo cospetto, se si rimane attaccati alla sua Parola, e se si prega del continuo. Infatti, le false opere potenti, le false visioni, le false rivelazioni sono discernibili come sono discernibili i falsi insegnamenti; perché tutto ciò che è falso è tenebre e non luce, è storto e non diritto. Se dunque si può discernere il falso insegnamento da quello vero alla luce delle Scritture, non si capisce perché non si possa fare lo stesso a riguardo delle manifestazioni soprannaturali. Ed inoltre, se si può discernere la verità dalla menzogna negli insegnamenti, e la verità continua ad essere utile quantunque in questo mondo coabiti con la menzogna; similmente si possono discernere anche le vere manifestazioni soprannaturali che procedono da Dio da quelle false che procedono dal diavolo, e le vere manifestazioni continuano ad essere utili quantunque hanno luogo in mezzo a questo mondo che giace nel maligno.

 

L’ISPIRAZIONE DELLA BIBBIA

La dottrina avventista

L’ispirazione della Bibbia è concettuale. Come abbiamo visto gli Avventisti dichiarano di credere che la Scrittura è ispirata da Dio. Ma è bene precisare che cosa intendono per ispirazione. Citerò innanzi tutto delle parole della White sull’ispirazione della Bibbia, ed in seguito alcune dichiarazioni di un autorevole avventista. La White ebbe a dichiarare: ‘La Bibbia indica Dio come suo autore; tuttavia è stata scritta da mani umane; e nella varietà dello stile dei diversi libri presenta i caratteri dei singoli scrittori. Le verità rivelate sono tutte date per ispirazione di Dio’; tuttavia esse sono espresse in parole di uomini. Il Dio infinito per mezzo del suo Spirito Santo ha sparso la luce nelle menti e nei cuori dei suoi servitori. Egli ha dato sogni e visioni, simboli e figure; e coloro ai quali la verità era così rivelata hanno personalmente rivestito il pensiero di un linguaggio umano’ (Ellen G. White, Selected Messages [Messaggi Selezionati], libro I, pag. 25; in Adventus, Settembre 1987, pag. 10); e: ‘La Bibbia è scritta da uomini ispirati, ma non rappresenta il modo di pensare di Dio né il suo modo di esprimersi. Il modo di esprimersi e di pensare sono quelli dell’umanità. Dio, come scrittore, non vi è rappresentato. Gli uomini spesso diranno che una certa espressione non appartiene a Dio, ma Dio non ha messo se stesso alla prova, nella Bibbia, attraverso parole, logica, retorica. Gli scrittori della Bibbia erano gli autori di Dio, non la sua penna. Considerate questi diversi scrittori’ (ibid., pag. 21), ed anche: ‘Non le parole della Bibbia sono ispirate, ma gli uomini lo furono. L’ispirazione non agisce sulle parole dell’uomo o sulle sue espressioni ma sull’uomo stesso, che, sotto l’influenza dello Spirito Santo, è imbevuto di pensieri. Ma le parole ricevono l’impronta della mente individuale… La mente e il volere divino sono combinati con la mente e il volere umani; così le espressioni dell’uomo costituiscono la parola di Dio’ (ibid.,). Ora, per spiegare che cosa voleva dire la White con degli esempi pratici citerò una parte di un articolo di Juan Carlos Viera (Direttore del Ellen G. White Estate) apparso alcuni anni fa sul Messaggero Avventista. ‘Nella Bibbia troviamo varie occasioni in cui un profeta ha dovuto rivedere le proprie convinzioni. Gli apostoli credevano, in un primo tempo, che soltanto gli ebrei potessero essere salvati. Con una visione indirizzata a Pietro e una rivelazione speciale a Paolo lo Spirito Santo illuminò gli apostoli e, tramite loro la chiesa, affinché il Vangelo fosse diffuso in tutto il mondo. Anche i primi avventisti avevano una comprensione fortemente limitata della missione per un errore teologico mutuato dal movimento millerita: la dottrina della ‘porta chiusa’. Erano convinti che la porta della grazia fosse inaccessibile dopo il 22 ottobre 1844. Ellen G. White fece propria questa dottrina. Lo Spirito Santo modificò questa idea in Ellen G. White e, per suo tramite, in tutto il movimento. Per gli autori del Nuovo Testamento il ritorno di Gesù era imminente. Poi gli apostoli hanno ricevuto una rivelazione diversa. Per esempio in 1 Tessalonicesi 4:16,17, Paolo dà l’impressione che il ritorno del Signore avvenga durante la sua vita. Nella sua seconda lettera avverte la chiesa di non aspettare il ritorno di Gesù come se fosse imminente (cfr. 2 Tessalonicesi). Giovanni era convinto di vivere nell’ultima ora (cfr. 1 Giovanni 2:18). Dalle visioni successive capì che le cose non stavano proprio così e annunciò alla chiesa che diversi eventi - compresa una dura persecuzione – avrebbero preceduto la venuta del Signore. Tutti i credenti del movimento avventista, Ellen G. White inclusa, erano convinti che il ritorno di Gesù fosse imminente. Non dobbiamo sentirci in difficoltà di fronte all’espressione di queste aspettative (cfr. Testimonies, vol. 1, pp. 131,132) perché sono le stesse di Paolo, Pietro e Giovanni. Ancora una volta lo Spirito Santo ha dovuto correggere alcune idee e guidare la chiesa nella direzione giusta. Gli avventisti non credono nell’ispirazione verbale (l’idea che Dio detti le parole esatte con le quali il profeta si esprime). A parte i dieci comandamenti, tutti gli scritti sacri sono il risultato della cooperazione dello Spirito Santo, che ispira il profeta con una visione, un’intuizione, un consiglio o un giudizio e del profeta che usa parole, frasi, immagini o espressioni per trasmettere il più fedelmente possibile il messaggio di Dio. Dio lascia al profeta la libertà di scegliere il tipo di linguaggio con cui intende comunicare. Ellen G. White descrive il linguaggio usato dagli scrittori ispirati come ‘imperfetto’ e ‘umano’. Questo significa due cose: - Il profeta si esprime nella lingua di tutti i giorni, imparata nell’infanzia e perfezionata dagli studi, le letture, i viaggi. Non c’è niente di soprannaturale nelle parole usate per trasmettere il messaggio. – Il profeta può incorrere in errori ortografici o grammaticali e anche altre forme di imperfezioni linguistiche come il lapsus linguae (un errore di pronuncia) o un lapsus memoriae (un errore di memoria) che possono e devono essere corretti da un redattore che prepara il testo in vista della pubblicazione. Il redattore in questo caso non corregge il messaggio ispirato ma il linguaggio, che non è ispirato. Troviamo un lapsus linguae nel vangelo di Matteo quando menziona Geremia pensando a Zaccaria in merito all’episodio delle trenta monete d’argento (…) Ritroviamo lo stesso errore in Ellen G. White quando cita Paolo trascrivendo un testo di Pietro: ‘L’amore di Cristo ci costringe’ dice l’apostolo Pietro. Ecco perché l’ardente discepolo si sente spinto nella difficile opera di predicare il Vangelo (Review and Herald, 30 ottobre 1913; cfr. l’affermazione di Paolo in 2 Corinzi 5:14)….’ (Juan Carlos Viera ‘Il processo della rivelazione’ in Il Messaggero Avventista, Novembre 1996, pag. 4).

Confutazione

La sacra Scrittura essendo stata ispirata da Dio fu scritta senza nessun tipo di errore

La Bibbia è un libro unico al mondo perché è composto da scritti ispirati da Dio. Sono sessantasei i libri che la compongono e tra la stesura del primo libro, cioè la Genesi, e la stesura dell’ultimo libro, cioè l’Apocalisse, sono intercorsi circa 15 secoli, dato che la legge venne scritta da Mosè attorno al 1400 a. C. e il libro dell’Apocalisse fu scritto verso la fine del primo secolo d. C. Ora, l’ispirazione di tutti questi scritti è attestata dal fatto che assieme formano un tutt’uno ben compatto, senza nessuna contraddizione al loro interno (ci sono però delle apparenti contraddizioni). Gli autori dei libri ricoprivano diverse posizioni sociali, Salomone per esempio era un re, Amos un mandriano, Luca un medico, e così via, ma tutti furono sospinti a scrivere quello che scrissero dallo Spirito Santo. In altre parole non scrissero di loro volontà, ma per volontà di Dio. L’apostolo Pietro lo attesta questo quando dice nella sua seconda epistola: "Abbiamo pure la parola profetica, più ferma, alla quale fate bene di prestare attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga ne’ vostri cuori; sapendo prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura procede da vedute particolari; poiché non è dalla volontà dell’uomo che venne mai alcuna profezia, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo" (2 Piet. 1:19-21). Come abbiamo detto in altra occasione, anche se queste parole di Pietro si riferiscono agli scritti dell’Antico Testamento, pure esse si possono benissimo applicare agli scritti di Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Paolo, Giuda, e lo stesso Pietro, perché anche i loro scritti furono ispirati da Dio. Ma cosa vogliamo dire quando diciamo che tutti i sessantasei libri della Bibbia sono ispirati? E’ una domanda a cui noi risponderemo facendo uso delle Scritture. Il nostro discorso partirà dal presupposto che quando lo scrittore di uno dei libri ispirati scriveva era sospinto dallo Spirito Santo; sospingimento che era uguale a quello a cui veniva sottoposto un profeta o un apostolo quando parlavano con la loro bocca da parte di Dio. Si badi però a non fraintendere le cose; qui non stiamo dicendo che i profeti o gli apostoli erano perfetti e umanamente infallibili, perché le Scritture stesse non ci autorizzano né a dirlo e neppure a pensarlo perché anche loro commisero i loro errori, anche loro ebbero bisogno di chiedere perdono a Dio per i loro misfatti, anche loro ebbero bisogno che Dio operasse in loro quello che era gradito nel suo cospetto. Mosè, l’autore manuale della legge, disubbidì a Dio alle acque di Meriba e per questa sua ribellione gli fu impedito di entrare nella terra promessa assieme ad Aaronne suo fratello; Davide, l’autore manuale di molti Salmi, si rese colpevole di omicidio e di adulterio e per questo fu punito da Dio; Salomone che scrisse molti proverbi, l’Ecclesiaste e il Cantico dei cantici, verso la fine della sua vita si sviò da Dio e andò dietro agli idoli muti; l’apostolo Pietro ad Antiochia si mise a costringere i Gentili a giudaizzare e per questo fu severamente ammonito da Paolo in presenza di tutti; Paolo quando comparve davanti al Sinedrio ingiuriò il sommo sacerdote senza sapere che fosse il sommo sacerdote e per questo atto fu ripreso da coloro che erano presenti e lui riconobbe di avere sbagliato. Dunque i profeti e gli apostoli non erano dotati dell’infallibilità sia nell’agire che nel parlare, perché se così fosse stato non avrebbero commesso quegli errori. Ma questo discorso non va fatto per tutti i loro atti e per tutte le loro parole; perché spesso questi uomini agirono e parlarono sospinti dallo Spirito Santo per cui quei loro atti e quelle loro parole compiuti e pronunciate in quelle particolari circostanze erano privi di errori di qualsiasi genere. Farò degli esempi prendendo dei discorsi pronunciati da Mosè e da Paolo; passando in un secondo momento a parlare dei loro scritti. Cominciamo da Mosè. Dopo che fu sul monte Sinai e Dio gli ebbe parlato, egli tornò al campo con il viso raggiante (cosa che però lui non sapeva) talché i figliuoli d’Israele temettero d’accostarsi a lui. "Ma Mosè li chiamò, ed Aaronne e tutti i capi della raunanza tornarono a lui, e Mosè parlò loro… Dopo questo, tutti i figliuoli d’Israele si accostarono, ed egli ordinò loro tutto quello che l’Eterno gli avea detto sul monte Sinai" (Es. 34:31-32). Evidentemente Mosè riferì tutto quello che Dio gli aveva detto sul monte, assistito dallo Spirito Santo, per cui fu lo Spirito Santo a ricordargli tutto quello che gli aveva detto Dio ed a parlare tramite lui. Nelle sue parole dunque non potevano esserci errori di nessun genere; per farci capire dagli Avventisti diremo che non ci fu nessun lapsus linguae e neppure un lapsus memoriae. E di volte in cui Mosè riferì al popolo o ad Aaronne parole da parte di Dio ce ne sono molte; per cui si deve dire che Mosè anche in tutti questi casi non poté sbagliare nel parlare da parte di Dio. Lo ripeto, il motivo era perché lui parlava sospinto ed assistito dallo Spirito Santo. Veniamo ora ai suoi scritti. Come scrisse Mosè? Egli scrisse sospinto dallo Spirito Santo. Ma questo lo dicono anche gli Avventisti, qualcuno dirà? Sì, ma noi crediamo che Mosè quando scrisse non poté incorrere in nessun errore, perché durante la stesura dei suoi scritti lo Spirito Santo lo assistette, lo guidò in maniera da evitargli di compiere un qualsiasi errore. Questo avvenne sia quando lui dovette scrivere fatti e discorsi a lui conosciuti perché ne era stato testimone oculare e auricolare (per farci capire meglio, la divisione del mar Rosso e gli altri prodigi compiuti da Dio nel deserto, le parole che Dio gli rivolse in maniera udibile in svariate circostanze, il cantico che gli Israeliti cantarono dopo che Dio inabissò gli Egiziani nel mare, i loro mormorii nel deserto, ecc.), e sia quando dovette scrivere fatti e parole di cui lui non era stato testimone (esempio, la creazione dei cieli e della terra e di tutte le cose in essi, le parole che Dio pronunciò per fare la luce, il sole e la luna, l’uomo, ecc.). Non è possibile spiegare appieno questa maniera di scrivere perché si tratta di un opera compiuta da Dio tramite un individuo e trascende la nostra comprensione. Ma dato che sulla terra esistono fenomeni di scrittura da parte di ministri del diavolo, che come noi sappiamo cerca sempre di imitare le vie di Dio, fenomeni che si chiamano di scrittura automatica in cui il medium con una penna in mano scrive menzogne o sotto dettatura dello spirito maligno o sospinto da esso che si impossessa del suo corpo tanto che lui diventa una sorta di strumento passivo nelle sue mani; dico, in virtù di ciò, facendo un raffronto al contrario, possiamo dire che quando Mosè scriveva lo Spirito del Signore che era sopra lui si impossessava del suo corpo (questo termine impossessarsi non deve meravigliare perché di Gedeone è detto in una occasione che lo Spirito dell’Eterno si impossessò di lui [cfr. Giud. 6:34]), cosicché lui diventava lo strumento di cui lo Spirito si usava per fargli scrivere tutto ciò che Lui voleva preservandolo così da eventuali errori linguistici o di memoria. Gli scritti da lui redatti quindi erano perfetti? Sì, essi erano perfetti. E che sia così è attestato da Gesù, il Figlio di Dio disceso dal cielo, che citò la legge scritta da Mosè sia quando dovette rispondere al tentatore nel deserto, infatti per ben tre volte gli citò delle parole scritte nella legge di Mosè (perciò scritte manualmente da Mosè), e sia quando parlò ai Giudei. Gesù parlò della legge scritta da Mosè come di uno scritto perfetto infatti disse: "Io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto" (Matt. 5:18). Ora, come avrebbe potuto parlare così Gesù di uno scritto redatto da mano umana se non lo avesse considerato scevro di errori di qualsiasi genere? Non avrebbe potuto. Dunque le suddette parole di Gesù confermano che tutto ciò che scrisse Mosè, non importa che cosa, è senza errori, parola di Dio pura di ogni scoria. Ma non è la sola volta in cui Gesù fece capire che gli scritti di Mosè erano la parola di Dio e perciò puri da ogni imperfezione. In un occasione un certo dottor della legge si levò per metterlo alla prova, e gli disse: Maestro, che dovrò fare per eredar la vita eterna? "Ed egli gli disse: Nella legge che sta scritto? Come leggi? E colui, rispondendo, disse: Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso. E Gesù gli disse: Tu hai risposto rettamente; fa’ questo, e vivrai" (Luca 10:26-28). Si noti che Gesù gli domandò che cosa era scritto nella legge e che alla risposta del dottore della legge gli disse di fare ciò che aveva appena detto. Questa è un’altra prova di come Gesù considerava la legge di Mosè quale parola di Dio e non quale parola di un uomo. Potrei moltiplicare gli esempi citando anche le citazioni dei Salmi e del libro dei profeti fatte da Gesù per attestare che la stessa cosa vale anche per questi altri scritti, ma mi fermo qui perché ritengo che abbiate capito che se Gesù, colui che non ha conosciuto peccato, parlò in quella maniera della legge scritta dal profeta Mosè, un uomo che vi ricordo peccò a differenza di Gesù che fu tentato ma non peccò, ciò significa che lui aveva una concezione dell’ispirazione della legge che differiva notevolmente da quella che aveva la White mentre era in vita e da quella che hanno gli Avventisti. Noi siamo come Gesù, per noi la legge è santa e perciò senza errori di nessun genere, possiamo anzi dobbiamo usarla per confutare molte eresie, tra cui quelle degli Avventisti, con la certezza che davanti ad essa cadranno tutte quelle altezze che si elevano contro la conoscenza di Dio. Finché avremo un alito di vita diremo come Gesù: "Sta scritto…", ed anche: "Nella legge che sta scritto? Come leggi?", e questo perché le parole di Mosè sono parola di Dio. Il fatto che la legge sia stata scritta da un uomo come noi che aveva i suoi difetti davanti a Dio, non ci porta a dubitare minimamente di essa perché le parole di Mosè sono la parola di Dio. Gesù non dubitò di essa, Paolo neppure, e neppure gli altri apostoli. Qualsiasi discorso che tende a gettare ombra sulla legge di Mosè come su qualsiasi altro scritto ispirato da Dio non procede da Dio.

Passiamo adesso all’apostolo Paolo che è l’apostolo che ha scritto di più in fatto di epistole. Innanzi tutto diciamo che quando Paolo parlava sospinto dallo Spirito Santo, non era lui che parlava ma lo Spirito di Dio, questo sia quando predicava agli increduli (come all’areopago di Atene), sia quando dava ai santi un insegnamento tratto dalle Scritture, e sia quando esortava i santi a condursi in maniera degna del Signore. Anche quando lui parlava ricordando fatti avvenutigli come nel discorso agli anziani di Efeso o nel caso della testimonianza della sua conversione resa davanti a Giudei in Gerusalemme (quando fu arrestato) o di quella resa a Cesarea davanti al re Agrippa, le sue parole erano veraci senza nessun errore. Dunque possiamo dire che quando lo Spirito parlava tramite lui, le sue parole erano prive di errori di ogni genere, come nel caso di Mosè. Vediamo ora di parlare dell’ispirazione delle sue epistole. Possiamo mettere l’ispirazione delle sue epistole sullo stesso piano di quella della legge di Mosè? Certamente, perché lo stesso Spirito che mosse Mosè a scrivere, mosse a scrivere pure Paolo. Tanto è vero che Pietro nella sua seconda epistola chiama le epistole di Paolo Scritture infatti dice: "E ritenete che la pazienza del Signor nostro è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo ve l’ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue epistole, parlando in esse di questi argomenti; nelle quali epistole sono alcune cose difficili a capire, che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come anche le altre Scritture, a loro propria perdizione" (2 Piet. 3:15-16). Non ci sono dunque sbagli di nessun genere nelle sue epistole. Che dire allora delle affermazioni degli Avventisti secondo cui Paolo nei suoi scritti ha dovuto rivedere le sue convinzioni a riguardo del ritorno del Signore? Esse sono false. Vediamo perché. L’apostolo Paolo nella seconda epistola ai Tessalonicesi dice: "Or, fratelli, circa la venuta del Signor nostro Gesù Cristo e il nostro adunamento con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto travolgere la mente, né turbare sia da ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche epistola data come nostra, quasi che il giorno del Signore fosse imminente. Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio" (2 Tess. 2:1-4). Per gli Avventisti queste parole di Paolo correggono queste altre sue parole scritte sempre ai Tessalonicesi nella precedente epistola: "Perché il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insiem con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore" (1 Tess. 4:16-17). Ma ciò è falso perché poco prima di queste ultime parole di Paolo da me citate, Paolo dice ai santi di Tessalonica: "Questo vi diciamo per parola del Signore…." (1 Tess. 4:15). Se dunque Paolo nella sua seconda epistola avesse rivisto la sua posizione precedente ciò significherebbe che la Parola del Signore nel corso del tempo era cambiata. Quella di Paolo non era una opinione personale, come lo può essere per esempio una convinzione personale a riguardo di un cibo o di un giorno, ma la parola di Dio. Per cui egli quando scrisse nella sua prima epistola ai Tessalonicesi: "Poi noi viventi che saremo rimasti verrem insiem con loro rapiti sulle nuvole" non dimostrò affatto di credere che il giorno del Signore fosse imminente perché quelle parole le disse per ordine di Dio. Paolo anche quando scrisse queste parole sapeva benissimo che quel giorno non sarebbe venuto se prima non fosse venuta l’apostasia e non fosse manifestato l’uomo del peccato, difatti quando poi riprenderà i Tessalonicesi per essersi lasciati travolgere la mente quasi che il giorno del Signore fosse imminente e gli dice che cosa deve succedere prima di quel giorno, gli dice: "Non vi ricordate che quand’ero ancora presso di voi io vi dicevo queste cose?" (2 Tess. 2:5). Si noti che Paolo aveva già detto quelle medesime cose quando era stato presso di loro. Dunque per l’apostolo Paolo il ritorno del Signore non fu mai imminente perché lui insegnò sempre ai credenti che prima di quel giorno doveva verificarsi l’apostasia e manifestarsi l’uomo del peccato. (Un discorso simile va fatto anche per Giovanni, perché anche lui non ritenne mai che il giorno del Signore fosse imminente, quantunque nella sua prima epistola disse che era l’ultima ora). Dire poi che lo stesso errore escatologico fu fatto dalla White vuol dire mettere gli scritti della White allo stesso livello di quelli di Paolo, ma soprattutto abbassare, se non annullare, l’ispirazione degli scritti di Paolo. Ancora una volta gli Avventisti danno prova di voler difendere a tutti i costi gli errori della White, anche a costo di attribuire i suoi errori anche agli apostoli o ai profeti antichi. Questo è grave, molto grave. Io ho letto gli scritti della White, ho letto diverse cose da lei dette sul ritorno del Signore, ma in nessun caso si possono mettere sullo stesso livello delle parole di Paolo. Nel Gran conflitto per esempio quando la White parla del ritorno del Signore dice un sacco di cose storte, mescola abilmente la menzogna con la verità, dando l’impressione di essere ispirata da Dio, quando invece molte sue parole sono frutto della sua feconda immaginazione. Di tutt’altro genere sono invece le parole di Paolo sul ritorno del Signore, esse sono tutte vere, non c’è in esse nessuna idea personale di Paolo, nessuna cosa storta, nessuna contraddizione.

Vediamo adesso di confutare il cosiddetto lapsus linguae di Matteo a proposito della seguente citazione: "Allora s’adempì quel che fu detto dal profeta Geremia: E presero i trenta sicli d’argento, prezzo di colui ch’era stato messo a prezzo, messo a prezzo dai figliuoli d’Israele; e li dettero per il campo del vasaio, come me l’avea ordinato il Signore" (Matt. 27:9-10). Ora, l’attribuzione delle parole a Geremia anziché a Zaccaria per gli Avventisti è un errore compiuto da Matteo. Se è così, occorre dire che lo Spirito Santo non preservò Matteo dal commettere questo errore, per cui cadrebbe il nostro discorso fatto sin a questo momento. Noi riteniamo che Matteo non abbia fatto nessun errore, perché se ha detto che Geremia disse quelle parole, il profeta le disse. Il fatto che nel libro del profeta Geremia queste parole non ci sono scritte non deve per nulla preoccupare, perché il profeta le disse ma non le scrisse . Anche in questo caso dunque il paragone fatto dagli Avventisti tra il cosiddetto lapsus linguae di Matteo e l’errore della White nell’attribuire a Pietro alcune parole di Paolo scritte ai Corinzi è sbagliato perché nel caso delle parole di Matteo non si tratta di un errore mentre nel caso della White si tratta di un vero e proprio errore. Cosicché possiamo dire che Matteo fu ispirato nello scrivere, mentre la White non lo fu (e non solo per questo suo lapsus linguae ma anche perché scrisse tante menzogne).

 

LA PREDESTINAZIONE

La dottrina avventista

Dio non ha predestinato alcuni alla salvezza ed altri alla perdizione. Nel Dizionario di dottrine bibliche alla voce ‘predestinazione’ leggiamo: ‘Con predestinazione si intende abitualmente riferirsi al fatto che la salvezza dell’uomo o, per converso, la sua perdizione, dipendano da una decisione divina preesistente all’uomo stesso. (…). Che tale concetto sia presente nel testo biblico è un fatto incontestabile affermato con chiarezza in Rom. 8:29 ed Ef 1:5 anche se la predestinazione viene sempre messa in relazione alla salvezza e mai alla perdizione degli uomini, fatto significativo che incoraggia a sostenere la prospettiva illustrata più avanti. Il problema nasce quando si cerca di comprendere quali siano gli elementi che determinano la decisione divina di salvare o perdere. (…) Anche se l’uso che stiamo per fare del termine predestinazione non è attestato nelle Scritture – lo è però il concetto – si potrebbe dire che, sul piano ideale della volontà di Dio, tutti gli uomini sono predestinati alla salvezza. Infatti ‘la grazia di Dio’ è portatrice di salvezza per ‘tutti gli uomini’ (Tito 2:11). Non tutti però la ricevono e di conseguenza la volontà di Dio rimane efficace solo nei confronti dei credenti. Così, se sul piano della volontà ideale di Dio, tutti sono predestinati alla salvezza, su quello della realtà concreta, predestinati sono soltanto i credenti ed è in questa accezione che si ritrova il termine nel NT’ (Dizionario di dottrine bibliche, pag. 304,305). In altre parole per gli Avventisti tutti gli uomini furono creati per lo stesso destino, cioè la salvezza; il fatto però che non tutti nella pratica hanno lo stesso destino è dovuto al fatto che alcuni accettano la salvezza ed altri la rigettano. Dio sapeva che alcuni avrebbero accettato la salvezza e che altri l’avrebbero rifiutata, ma non predestinò i primi ad accettarla e i secondi a rifiutarla. Lui preconobbe tutto ciò ma non predestinò tutto ciò e quindi non fece in modo che ciò avvenisse. Lui insomma non c’entra niente in questo; è l’uomo che sceglie o non sceglie di essere salvato perché egli è libero e Dio non interferisce nelle sue scelte. Questo concetto è espresso in Questions on Doctrine in questi termini: ‘L’uomo è libero di scegliere o di rigettare l’offerta della salvezza tramite Cristo; noi non crediamo che Dio abbia predeterminato che alcuni uomini saranno salvati ed altri perduti’ (Questions on Doctrine, pag. 23).

Confutazione

Dio ha predestinato alcuni alla gloria ed altri alla perdizione

L’apostolo Paolo dice ai Romani: "Perché quelli che Egli ha preconosciuti, li ha pure predestinati ad esser conformi all’immagine del suo Figliuolo, ond’egli sia il primogenito fra molti fratelli; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati" (Rom. 8:29-30). Ora, secondo l’apostolo solo quelli che Dio ha preconosciuti sono stati predestinati ad ottenere la giustificazione. Ma che significa che Dio ha preconosciuto e predestinato alcuni ad essere giustificati? Significa forse semplicemente che Dio sapeva che costoro si sarebbero ravveduti e avrebbero creduto in Cristo e sarebbero stati così giustificati? Ma se fosse così che senso avrebbe parlare di predestinazione nei loro confronti? Non è forse vero che il verbo predestinare, come dice da se stesso, significa ‘stabilire in precedenza’? Facciamo un esempio. Se io decido di comprare un certo campo con lo scopo di destinare una precisa parte di esso, mettiamo caso un decimo, alla costruzione di una casa; ed una altra parte, i nove decimi, alla coltivazione di agrumi, non ho forse deciso il destino di quel campo in anticipo? E quando dopo averlo comprato metto in atto il mio proposito non si può forse dire che quel campo era stato da me predestinato ad essere usato in quella maniera? Certo che si può dire. Dunque se Dio ci ha predestinati ad essere giustificati significa che tra tutti gli uomini da lui creati sulla terra egli, ancora prima che noi lo conoscessimo cioè ancora prima che credessimo, aveva decretato di indurci a credere nel suo Figliuolo Gesù Cristo. Ci fece forza e ci vinse, ci persuase e noi ci lasciammo persuadere; senza sapere assolutamente nulla del suo decreto divino nei nostri confronti. Ma forse tu dirai: Ma sono io che mi sono ravveduto e creduto in Gesù, la scelta è stata la mia non di Dio? Vorrei allora domandarti: chi ti ha dato il ravvedimento? Non è forse stato Dio secondo che è scritto: "Iddio dunque ha dato il ravvedimento anche ai Gentili affinché abbiano vita" (Atti 11:18)? E chi ti ha dato la fede? Non è forse stato Dio perché Paolo la chiama "il dono di Dio" (Ef. 2:8) e dice che ciò non vien da noi? Che hai dunque che non l’hai ricevuto da Dio? Niente, dunque se ti sei ravveduto ed hai creduto è perché Dio ha voluto darti il ravvedimento e la fede. Lui ti aveva preordinato a vita eterna, per questo tu credesti; nella stessa maniera dei credenti di Antiochia di Pisidia secondo che è scritto: "E tutti coloro che erano preordinati alla vita eterna, credettero" (Atti 13:48 nuova Diod.). Ma forse adesso dirai: ma sono io che ho voluto andare a Gesù. Sei andato a Gesù perché hai voluto andare a Gesù, è vero questo; ma è altresì vero che sei andato a Gesù perché Dio ha voluto attirarti a Cristo senza che tu sapessi nulla. Non hai mai letto queste parole di Gesù: "Niuno può venire a me se non che il Padre, il quale mi ha mandato, lo attiri" (Giov. 6:44), e: "Niuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre" (Giov. 6:65)? Nota bene come per ben due volte Gesù disse "se non". Dunque ti ribadisco che tu non avresti giammai potuto andare a Gesù SE NON ti fosse stato dato dal Padre di andare a Cristo. Mi dirai a questo punto: ma allora anche chi non si ravvede e non crede in Gesù, va in perdizione in seguito ad un decreto di Dio nei suoi confronti? Sì, proprio così. Tu allora mi dirai: ma ciò è un ingiustizia, tu fai passare Dio per un Dio ingiusto, senza pietà, che si prende gioco delle sue creature? Ascolta quello che dice la Scrittura e vedrai che non è così come tu dici. L’apostolo Paolo per spiegare come mai solo un residuo del popolo d’Israele ha accettato la salvezza mentre la maggior parte dei Giudei l’hanno rigettata, parla della nascita di Esaù e Giacobbe. Egli dice che "prima che fossero nati e che avessero fatto alcun che di bene o di male, affinché rimanesse fermo il proponimento dell’elezione di Dio, che dipende non dalle opere ma dalla volontà di colui che chiama, le fu detto [a Rebecca]: Il maggiore servirà al minore; secondo che è scritto: Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù" (Rom. 9:11-13). L’esempio preso da Paolo mostra che Dio scelse Giacobbe e rigettò Esaù ancora prima che nascessero e facessero alcunché di bene o di male. Il loro destino era stato già segnato da Dio prima che nascessero. Dopo che nacquero naturalmente le cose andarono come Dio aveva predetto; perché il maggiore diventò servitore del minore. Ma perché le cose andarono in quella maniera? Semplicemente perché Esaù vendette la sua primogenitura a Giacobbe, e quest’ultimo con l’inganno si appropriò della benedizione che spettava a Esaù? Ovvero le cose andarono in quella maniera perché Esaù e Giacobbe decisero di agire in quella maniera (comportamento sbagliato da ambedue le parti) e basta? Sì i due fratelli si comportarono in quella maniera, ma dietro tutto ciò c’era la mano di Dio che dirigeva tutte le cose affinché le parole dette a Rebecca si adempissero. Fu ingiusto Dio ad agire in quella maniera nei confronti di Esaù e Giacobbe? Così non sia; non è forse vero che lui fa tutto quello che vuole in cielo, in terra e negli abissi (cfr. Sal. 135:6), e che è irreprensibile quando esprime un giudizio di qualsiasi genere esso sia (cfr. Sal 51:4)? L’apostolo Paolo prevedendo che qualcuno sarebbe stato trascinato a dire che Dio è ingiusto difende l’operare di Dio dicendo: "Che diremo dunque? V’è forse ingiustizia in Dio? Così non sia. Poiché Egli dice a Mosè: Io avrò mercé di chi avrò mercé, e avrò compassione di chi avrò compassione. Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. Poiché la Scrittura dice a Faraone: Appunto per questo io t’ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza, e perché il mio nome sia pubblicato per tutta la terra. Così dunque Egli fa misericordia a chi vuole, e indura chi vuole" (Rom. 9:14-18). Le parole dell’apostolo sono chiare, molto chiare; e sicuramente questa grande chiarezza disturba non pochi. Si noti che Paolo prende l’esempio di Faraone per attestare che Dio indura chi vuole. Indura chi vuole? Sì proprio così, Dio indura chi vuole. Ma l’esempio di Faraone non è il solo esempio di indurimento prodotto da Dio che troviamo scritto nella Scrittura. Al tempo di Gesù quasi tutti i Giudei furono induriti da Dio affinché non credessero in Gesù. Ecco cosa dice Giovanni: "E sebbene avesse fatto tanti miracoli in loro presenza, pure non credevano in lui; affinché s’adempisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto a quel che ci è stato predicato? E a chi è stato rivelato il braccio del Signore? Perciò non potevano credere, per la ragione detta ancora da Isaia: Egli ha accecato gli occhi loro e ha indurato i loro cuori, affinché non veggano con gli occhi, e non intendano col cuore, e non si convertano, e io non li sani" (Giov. 12:37-40). Perché non credettero quei Giudei in Gesù? Perché non potevano credere. Il motivo è chiaro, perché Dio indurò i loro cuori e accecò i loro occhi. In altre parole, perché non fu loro dato di credere in Gesù, di andare a Gesù. Si dovevano adempiere le parole del profeta Isaia e quindi non potevano credere. E di chi erano le parole del profeta? Di Dio. Dunque Dio aveva deciso di non far credere la maggior parte dei Giudei. Gesù sapeva questo, infatti è per questo che egli parlava alle turbe in parabole. Egli un giorno disse ai suoi discepoli che gli domandarono perché parlasse alle turbe in parabole: "Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli; ma a loro non è dato" (Matt. 13:11). Nonostante ciò però, Gesù pianse su Gerusalemme perché lo aveva rigettato e disse che essi non avevano voluto convertirsi. Ecco le sue parole: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!" (Matt. 23:37). Non avete voluto, disse Gesù. Eppure egli sapeva che non avevano voluto perché Dio aveva indurato i loro cuori e accecato i loro occhi. Questo a dimostrazione che la volontà che l’uomo impiega nel rigettare l’Evangelo gli viene addebitata anche se il suo rigetto rientra nel volere di Dio. Questo rigetto da parte dei Giudei fu necessario affinché Cristo morisse per i nostri peccati, cioè il fatto che i Giudei perseguitarono Gesù e lo appiccarono per mezzo dei Gentili alla croce fu qualcosa che Dio aveva innanzi determinato che avvenisse per il nostro bene. Pietro infatti disse ai Giudei: "Uomini israeliti, udite queste parole: Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra voi mediante opere potenti e prodigî e segni che Dio fece per mezzo di lui fra voi, come voi stessi ben sapete, quest’uomo, allorché vi fu dato nelle mani, per il determinato consiglio e per la prescienza di Dio, voi, per man d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo risuscitò, avendo sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile ch’egli fosse da essa ritenuto" (Atti 2:22-24). Si notino molto bene le parole "per il determinato consiglio di Dio e per la prescienza di Dio". Evidentemente i Giudei non sapevano che così agendo avrebbero adempiuto le parole dei profeti perché Cristo sarebbe morto per gli ingiusti, eppure Dio si usò della loro malvagità, della loro incredulità per far sì che Gesù morisse per i nostri peccati. Non bisogna dunque riconoscere che Dio è savio, e si usa di persone indurite da lui stesso per adempiere i suoi disegni? Sì, proprio così. E non bisogna pure riconoscere che Dio indurendo i cuori degli uomini trae gloria per il suo nome? Sì, infatti sia nel caso di Faraone, citato prima, e sia nel caso dei Giudei che crocifissero Gesù, Dio ha tratto somma gloria. Faraone infatti fu prima da lui umiliato grandemente con segni e prodigi di ogni genere e poi fatto sommergere dalle acque del Mar rosso assieme al suo esercito; al che gli Israeliti si misero a esaltare Dio per la sua grandezza (cfr. Es. 15:1-19). Gesù fu da Dio risorto il terzo giorno per la gioia dei suoi discepoli e di tutti coloro che nel corso dei secoli avrebbero creduto in lui, risurrezione da cui Dio trasse somma lode allora (cfr. Luca 24:53) e ne continua a trarre adesso.

Dopo aver detto che Dio fa misericordia a chi vuole e indura chi vuole, Paolo dice: "Tu allora mi dirai: Perché si lagna Egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà? Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa formata dirà essa a colui che la formò: Perché mi facesti così? Il vasaio non ha egli potestà sull’argilla, da trarre dalla stessa massa un vaso per uso nobile, e un altro per uso ignobile? E che v’è mai da replicare se Dio, volendo mostrare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con molta longanimità de’ vasi d’ira preparati per la perdizione, e se, per far conoscere le ricchezze della sua gloria verso de’ vasi di misericordia che avea già innanzi preparati per la gloria, li ha anche chiamati (parlo di noi) non soltanto di fra i Giudei ma anche di fra i Gentili?" (Rom. 9:19-24). Ancora una volta le parole di Paolo sono chiare. Dio è sovrano e ha decretato di trarre dalla massa degli uomini alcuni per la gloria ed altri per la perdizione. Chi siamo noi da potergli replicare?

 

ISRAELE

La dottrina avventista

Dio ha rigettato Israele. Questo popolo non può rivendicare la possessione della Palestina basandosi sulle promesse bibliche. In Questions on Doctrine si legge: ‘L’esistenza del moderno stato d’Israele non è una valida evidenza che i Giudei, come nazione, devono adempiere ancora le profezie del regno in Palestina, come il governo britannico sopra quella terra non era una prova dell’interpretazione Anglo-Israele, che pretende che gli Anglo-Sassoni e i popoli collegati sono il ‘vero Israele’ e quindi gli eredi del regno divinamente promesso. (…) noi crediamo che lo stato d’Israele non può rivendicare la proprietà della terra di Palestina basandosi su promesse Bibliche’ (Questions on Doctrine, pag. 235). In altre parole, Dio ha rigettato i Giudei come nazione, per gli Avventisti, ed essi non devono ancora adempiere delle profezie bibliche. ‘L’insegnamento che i Giudei come nazione non sono più il popolo eletto di Dio, e che la chiesa Cristiana sia ora l’erede delle promesse è, noi crediamo, una dottrina scritturale sana…’ (ibid., pag. 242-243). Tra le cose dunque che non possono far parte di adempimenti di promesse bibliche ci sono sia il ritorno di molti Giudei sul suolo della Palestina, ritorno che cominciò alla fine del secolo scorso e che sta tuttora continuando, e la nascita dello Stato Israele avvenuta nel 1948, e tra le cose che si devono adempiere su quella terra non c’è affatto la ricostruzione del tempio. Samuele Bacchiocchi afferma per esempio che la realizzazione totale delle profezie che riguardano la restaurazione d’Israele ‘va ricercata non in una restaurazione politica degli ebrei in Palestina, ma nel raduno universale di tutti i credenti nella nuova terra’ (Samuele Bacchiocchi, La speranza dell’avvento, pag. 171), e che queste profezie ‘non offrono alcun indizio o alcuna allusione alla restaurazione degli ebrei in Palestina nel nostro secolo quale preludio agli eventi finali della storia della terra’ (Samuele Bacchiocchi, op. cit., pag. 172), ed ancora: ‘Le considerazioni fatte sono sufficienti a mostrare che la ricostruzione del tempio di Gerusalemme sia un altro segno errato dello scenario finale dei dispensazionalisti, che non ha fondamento biblico’ (ibid., pag. 183).

Confutazione

Dio non ha rigettato Israele come nazione, quantunque la maggior parte degli Israeliti non accetti Gesù come il Messia promesso; ed il tempio distrutto nel 70 d. C. sarà ricostruito

Si rimane meravigliati nel sentire parlare gli Avventisti a riguardo di Israele nella maniera vista sopra, perché ciò mostra che essi non conoscono le Scritture. Ciò che essi dicono è falso e lo dimostreremo subito. Ora, come voi sapete Gesù fu rigettato dal popolo d’Israele, e difatti furono proprio i Giudei, i discendenti di Abrahamo secondo la carne, a condannarlo a morte e a darlo in mano a Ponzio Pilato affinché fosse crocifisso. La ragione che addussero fu che egli meritava la morte perché si era fatto Figliuolo di Dio. Tutto ciò non fu altro che l’adempimento di queste parole proferite dallo Spirito per mezzo di Davide: "Perché hanno fremuto le genti, e hanno i popoli divisate cose vane? I re della terra si son fatti avanti, e i principi si son raunati assieme contro al Signore, e contro al suo Unto" (Atti 4:25-26). I popoli a cui il salmista fa riferimento sono i Gentili e il popolo d’Israele, e i re e i principi sono Erode, che al tempo governava sulla Galilea, e Ponzio Pilato che era governatore della Giudea, i quali nell’occasione diventarono amici. Dunque Gesù, il Messia promesso da Dio per mezzo dei suoi santi profeti, fu rigettato da Israele. Ma non proprio da tutto Israele, difatti un residuo di Israeliti accettarono Gesù come il Messia di Dio. Ora, per quanto riguarda la posizione odierna del popolo dei Giudei nei confronti di Gesù dobbiamo dire che essa a distanza di più di millenovecento anni dalla venuta di Cristo Gesù non è cambiata, perché ancora oggi solo un rimanente dei Giudei che sono nel mondo accettano Gesù come il Messia; la stragrande maggioranza di essi invece rigetta Gesù come il Messia. Ci sono degli ebrei ortodossi che si rifiutano persino di pronunciare il nome di Gesù di Nazareth, tanto è la loro avversione verso il suo nome. Si badi bene però che il fatto che la maggior parte dei Giudei rigetti Gesù non significa che la parola di Dio sia caduta a terra; Paolo dice infatti: "Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; perché non tutti i discendenti da Israele sono Israele; né per il fatto che son progenie d’Abramo, son tutti figliuoli d’Abramo; anzi: In Isacco ti sarà nominata una progenie. Cioè, non i figliuoli della carne sono figliuoli di Dio: ma i figliuoli della promessa son considerati come progenie. Poiché questa è una parola di promessa: In questa stagione io verrò, e Sara avrà un figliuolo. Non solo; ma anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand’ebbe concepito da uno stesso uomo, vale a dire Isacco nostro padre, due gemelli; poiché, prima che fossero nati e che avessero fatto alcun che di bene o di male, affinché rimanesse fermo il proponimento dell’elezione di Dio, che dipende non dalle opere ma dalla volontà di colui che chiama, le fu detto: Il maggiore servirà al minore; secondo che è scritto: Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù. Che diremo dunque? V’è forse ingiustizia in Dio? Così non sia. Poiché Egli dice a Mosè: Io avrò mercé di chi avrò mercé, e avrò compassione di chi avrò compassione. Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. Poiché la Scrittura dice a Faraone: Appunto per questo io t’ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza, e perché il mio nome sia pubblicato per tutta la terra. Così dunque Egli fa misericordia a chi vuole, e indura chi vuole" (Rom. 9:6-18). Questo discorso di Paolo spiega come l’accettazione di Cristo da parte di un piccolo numero di Giudei e il suo rigetto da parte della maggioranza di essi siano cose che dipendano da Dio perché Egli fa misericordia a chi vuole e indura chi vuole. In altre parole, il motivo di questa situazione che si è venuta a creare nel mezzo del popolo dei Giudei è da ricercarsi nel proponimento dell’elezione di Dio che dipende non dalle opere ma dalla volontà di Colui che chiama. Ecco dunque perché la maggior parte dei Giudei rigetta Cristo, e solo un piccolo numero lo accetta, perché Dio ha indurato i primi e fatto grazia ai secondi, quantunque siano tutti discendenti di Abramo e di Isacco. Ma d’altronde, spiega Paolo, il fatto di essere discendenti di Abramo non significa per forza di cose essere figli di Abramo. Perché? Perché Abraamo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla libera, ma il figlio della promessa era Isacco e non Ismaele. Dio aveva infatti prestabilito di concludere il suo patto con Isacco, il figlio della libera, e non con Ismaele, il figlio della schiava. Dopo che nacquero Ismaele e Isacco, Dio disse ad Abramo: "E’ in Isacco che ti sarà nominata una progenie". Ismaele era certamente progenie di Abramo, ma non fu costituito erede assieme ad Isacco; Dio lo benedisse, ma non concluse il suo patto con lui. Con Isacco avvenne una cosa simile, infatti sua moglie Rebecca partorì due figli gemelli generati da Isacco, ma Dio ancora prima che nascessero scelse Giacobbe, il minore; e rigettò Esaù, il maggiore, perché disse a Rebecca che il maggiore avrebbe servito il minore. E difatti Dio fece il suo patto con Giacobbe e non con Esaù. Tutto ciò, come dice Paolo, affinché rimanesse fermo il proponimento dell’elezione di Dio. Evidentemente qualcuno potrebbe pensare che questo modo di agire sia ingiusto, quindi che Dio sia ingiusto, ma ciò va negato categoricamente perché Dio disse a Mosè: "Farò grazia a chi vorrò far grazia; e avrò pietà di chi vorrò aver pietà" (Es. 33:19). Questo modo di comportarsi di Dio verso Israele era stato predetto da Dio in questa maniera: "Quand’anche il numero dei figliuoli d’Israele fosse come la rena del mare, solo il rimanente sarà salvato" (Rom. 9:27), ed anche: "Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un seme, saremmo divenuti come Sodoma e Gomorra" (Rom. 9:29). Questo residuo d’Israele dunque costituisce il residuo eletto secondo la grazia, residuo che assieme a tutti quei Gentili che hanno accettato Cristo, costituiscono la Chiesa di Dio, cioè l’assemblea dei riscattati, dei chiamati fuori da questo presente secolo malvagio. Questo perché in Cristo il muro di separazione è stato abolito, e Lui con la sua morte, dei due popoli ne ha fatto uno solo. E gli altri Giudei, cioè i disubbidienti? Essi sono stati indurati secondo che fu detto da Mosè: "Iddio ha dato loro uno spirito di stordimento, degli occhi per non vedere e degli orecchi per non udire, fino a questo giorno" (Rom. 11:8). Questo indurimento prodotto in loro da Dio, indurimento che li ha fatti cadere (o intoppare nella Parola), si è reso necessario per muovere Israele a gelosia e farlo indignare. Difatti tramite la loro caduta la salvezza è giunta ai Gentili, ed essi vedendo che i Gentili sono stati messi in grado di partecipare alla radice ed alla grassezza del loro ulivo, sono mossi a gelosia ed indignati contro di loro. Tutte cose che Dio disse avrebbe fatto verso Israele sin dai tempi di Mosè: "Io li moverò a gelosia con gente che non è un popolo, li irriterò con una nazione stolta" (Deut. 32:21). Il motivo? Per punire Israele a motivo del suo comportamento ribelle e caparbio tenuto nel deserto. Dio infatti poco prima disse: "Essi m’han mosso a gelosia con ciò che non è Dio, m’hanno irritato coi loro idoli vani" (Deut. 32:21). Questo ci ricorda che Dio è un vendicatore, e quanto vera sia la sua parola: "Come hai fatto, così ti sarà fatto" (Abdia 15). Dunque, possiamo dire che l’indurimento dei Giudei non è altro che l’adempimento della promessa di vendetta fatta da Dio a Mosè nei confronti del suo popolo ribelle, perché indurando molti di essi Dio ha fatto giungere la salvezza ai Gentili provocando i Giudei a gelosia verso di loro. Le cose sono strettamente collegate dunque. Ma il piano di Dio prevede che l’induramento parziale che si è prodotto in Israele un giorno cesserà. Ecco cosa ci dice Paolo: "Perché, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi; che cioè, un induramento parziale s’è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili; e così tutto Israele sarà salvato, secondo che è scritto: Il liberatore verrà da Sion; Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quand’io torrò via i loro peccati. Per quanto concerne l’Evangelo, essi sono nemici per via di voi; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati per via dei loro padri; perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. Poiché, siccome voi siete stati in passato disubbidienti a Dio ma ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, così anch’essi sono stati ora disubbidienti, onde, per la misericordia a voi usata, ottengano essi pure misericordia" (Rom. 11:25-31). Ora, come potete vedere Paolo ci dice qualcosa affinché non siamo presuntuosi. Questo qualcosa è che in Israele si è prodotto un induramento parziale che durerà fino alla pienezza dei Gentili. Allora tutto Israele sarà salvato perché Dio allontanerà da Giacobbe l’empietà e torrà via i loro peccati. Che qui Paolo parli di tutto il popolo d’Israele (cioè i Giudei secondo la carne) è evidente dal fatto che poco prima parla dell’induramento parziale che si è prodotto in Israele. Non si può quindi dire che quando Paolo dice che "tutto Israele sarà salvato" si riferisca alla Chiesa di Dio, come affermano invece gli Avventisti dicendo: ‘Il residuo (o rimanente) d’Israele salvato, più il residuo dei gentili salvati, uniti formeranno tutto Israele’ (Scuola del sabato, 2/90, pag. 198). E’ chiaro però che quando tutto Israele sarà salvato, esso entrerà a far parte della Chiesa di Dio, perché Cristo dei due popoli ne ha fatto uno solo, e in Lui non c’è né Giudeo e né Greco. Paolo spiega il perché Dio un giorno salverà tutto Israele; perché essi se da un lato sono nemici per quanto concerne l’Evangelo, dall’altro sono amati per via dei loro padri perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. Dio dunque non ha rigettato Israele come nazione; non lo respinse né nel deserto quando si ribellò ai suoi comandamenti, né dopo che entrò nel paese di Canaan e si mescolò con le nazioni prostituendosi dietro agli idoli muti, e neppure (dopo che il regno si divise in due regni) quando il popolo si abbandonò ad ogni iniquità al tempo dei profeti. I profeti furono oltraggiati, uccisi, ma Dio anche dopo che punì severamente Israele mandandolo in cattività ebbe pietà del suo popolo facendogli trovare compassione presso i popoli che lo dominavano e facendoli tornare sul suolo dato in eredità ai loro padri. Mi riferisco al ritorno dalla cattività adempiutosi ai giorni di Ciro, re di Persia, ritorno che portò i reduci a ricostruire il tempio (cfr. Esd. Cap. 1-6); in seguito, sotto il re Artaserse I Longimano (465-424 a. C.), furono ricostruite pure le mura (sotto la direzione di Nehemia). Gesù venne centinaia di anni dopo la ricostruzione delle mura, ma fu rigettato e ucciso dai Giudei così come lo erano stati prima di lui molti profeti di Dio. La vendetta di Dio anche in questo caso non si fece attendere molto; nel 70 d.C. infatti Dio mandò contro Gerusalemme l’esercito romano capeggiato da Tito e per mezzo di esso fece uccidere centinaia di migliaia di Giudei, e distruggere il tempio di Gerusalemme, e fece menare in cattività molti Giudei. Grande ira e distretta si abbatté sul popolo dei Giudei in quell’anno. Sicuramente molti in quei tempi pensarono che Dio aveva rigettato Israele come nazione; non c’è dubbio; perché ogni qual volta Dio ha esercitato i suoi giudizi contro questo popolo le nazioni hanno detto che Dio ha rigettato il suo popolo. E non solo a quei tempi ma anche nei secoli successivi, quando i Giudei si trovavano dispersi per il mondo senza una patria terrena. Oggetto di derisione per tutti, senza una patria, senza uno stato che li rappresentasse si trovavano un po’ da per tutto. Ma ecco che nella seconda metà del secolo scorso cominciò a farsi strada tra una parte degli Ebrei l’idea che era giunta l’ora di tornare sul suolo dato in eredità ai padri. Alcuni accolsero l’idea con molto entusiasmo, altri erano scettici, ed altri ancora si opposero violentemente a questo ritorno nella terra dei padri. Pian piano il numero di coloro che credettero nello stabilimento di un futuro Stato d’Israele sul suolo dei padri crebbe, fino a che con Teodoro Herzl fu fondato, nel 1897, il movimento sionista che aveva come scopo dichiarato la fondazione dello Stato d’Israele. Sotto la spinta di questo movimento ebraico si ebbero diverse ondate migratorie che portarono nello spazio di circa cinquanta anni mezzo milione circa di Ebrei in Palestina. Nel 1948, dopo una serie di avvenimenti che sarebbe troppo lungo raccontare in questa occasione, fu fondato lo Stato d’Israele.

Ora, a questo punto vorremmo domandare agli Avventisti; come fate ad affermare che questo ritorno di molti Giudei sul suolo che Dio diede ai loro padri, e che la fondazione dello Stato d’Israele dopo più di ben diciotto secoli non proceda da Dio? Come fate a dire simili cose quando basta leggere un po’ l’Antico Testamento per rendersi conto quante volte Dio è tornato ad avere pietà del suo popolo anche dopo che questo gli era stato ribelle? Basti pensare per esempio alla ribellione di Israele nel deserto; Israele non osservò la legge di Dio nel deserto, ripetutamente la trasgredì e fu giudicato da Dio, e quando Dio gli comandò di prendere possesso della terra di Canaan esso non ebbe fiducia in Dio e Dio a motivo della loro incredulità li punì non facendoli entrare nella terra promessa. Eppure vi fece entrare la generazione successiva perché egli è fedele e mantiene le sue promesse. Non è forse scritto che se siamo infedeli egli rimane fedele? Perché questo non è valido verso i Giudei, il popolo che Dio ha preconosciuto? Dio non ha riguardi personali, vero? Se quando noi, noi suo popolo, quando ci rendiamo infedeli possiamo sempre contare sulla fedeltà di Dio, perché i Giudei nonostante le loro infedeltà, benché abbiano rigettato Cristo, non debbano anche loro contare sulla fedeltà di Dio? Certo, qui si tratterebbe per adesso solo di un ritorno da parte di molti Giudei nella terra data ad Abrahamo, di un ristabilimento dello Stato d’Israele, ma ciò rimane sempre una dimostrazione della fedeltà di Dio. Se prima molti potevano dire ai Giudei: voi siete un popolo senza patria, non siete rappresentati da nessun Stato sulla terra, ora questo non può più essere loro detto. Perché loro hanno uno Stato che li rappresenta; ed anche se sono cittadini di un’altra nazione possono sempre ritornare in questo Stato e diventare cittadini di Israele. Certamente per i nemici di Israele, e per nemici non bisogna intendere solo gli Arabi, la fondazione dello Stato d’Israele è stata una umiliazione. Ma d’altronde si sa; Dio ha umiliato Israele quando questo si è innalzato contro di lui, ma ha altresì umiliato i suoi nemici e questo perché egli è giusto. Per tutti coloro che si innalzano arriva il tempo dell’abbassamento; per chi apre la bocca e sparla arriva il momento in cui Dio gli chiude la bocca. E dopo molti secoli durante i quali i nemici di questo popolo hanno aperto la bocca ripetutamente contro di esso ritenendolo non più una nazione, per Dio giunse il tempo di chiudergli la bocca ristabilendo lo Stato d’Israele sul suolo dato in eredità ad Abramo e alla sua progenie. Dunque noi riconosciamo nel ritorno di una parte dei Giudei sul suolo di Israele un opera compiuta da Dio. E come si potrebbe dire che ciò non è avvenuto per volere di Dio quando sappiamo che neppure un passero cade a terra senza il volere di Dio? Quando sappiamo che il cuore del re nella mano del Signore è come un corso d’acqua che lui volge dove gli piace? Ma vediamo ora di vedere quali sono le Scritture che si sono adempiute con questo rientro dei Giudei e la fondazione dello Stato d’Israele nel 1948? Isaia disse: "Poiché l’Eterno avrà pietà di Giacobbe, sceglierà ancora Israele, e li ristabilirà sul loro suolo..." (Is. 14:1). Geremia disse: "Ecco, io li riconduco dal paese del settentrione, e li raccolgo dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e quella in doglie di parto: una gran moltitudine, che ritorna qua" (Ger. 31:8). Ed Ezechiele disse: "Perciò, dì alla casa d’Israele: Così parla il Signore, l’Eterno: Io agisco così, non per cagion di voi, o casa d’Israele, ma per amore del nome mio santo, che voi avete profanato fra le nazioni dove siete andati... Io vi trarrò di fra le nazioni, vi radunerò da tutti i paesi, e vi ricondurrò nel vostro paese...", ed ancora: "Ecco, io prenderò i figliuoli d’Israele di fra le nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese; e farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d’Israele..." (Ez. 36:22,24; 37:21-22). Zaccaria disse: "Io li farò tornare dal paese d’Egitto, e li raccoglierò dall’Assiria;..." (Zacc. 10:10). Queste non sono che alcune delle Scritture che hanno predetto il ritorno degli Ebrei nella loro terra. Gli Avventisti dunque alla luce di tutte queste Scritture errano grandemente nel non ritenere che il ritorno degli Ebrei sia l’adempimento delle Scritture.

Per quanto riguarda il tempio che fu distrutto nel 70 d. C. occorre dire che in base a delle Scritture presenti nel Nuovo Testamento dovrebbe essere ricostruito prima del ritorno in gloria di Cristo. Le Scritture sono le seguenti: "Or, fratelli, circa la venuta del Signor nostro Gesù Cristo e il nostro adunamento con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto travolgere la mente, né turbare sia da ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche epistola data come nostra, quasi che il giorno del Signore fosse imminente. Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio" (2 Tess. 2:1-4); "Poi mi fu data una canna simile a una verga; e mi fu detto: Lèvati e misura il tempio di Dio e l’altare e novera quelli che vi adorano; ma tralascia il cortile che è fuori del tempio, e non lo misurare, perché esso è stato dato ai Gentili, e questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi" (Ap. 11:1-2) (si tenga presente che quando Giovanni ebbe questa visione il tempio di Gerusalemme era stato già distrutto). Come potete vedere in questi due passi si parla di un tempio che non può non essere quello terreno di Gerusalemme. Si badi però che la ricostruzione di questo tempio, quantunque dovrà adempiersi prima del ritorno di Cristo, non annullerà il fatto che con la venuta di Cristo tutti coloro che sono stati salvati sono entrati a far parte dell’edificio spirituale che ha da servire di dimora a Dio per lo Spirito, cioè del suo tempio; e che il tempio terreno rimane sempre una figura delle cose celesti. In altre parole per noi credenti, anche quando sarà ricostruito il tempio a Gerusalemme, il tempio di Dio continuerà ad essere la Chiesa di Dio ed il tempio terreno continuerà ad essere ombra delle cose celesti. Certamente per i Giudei secondo la carne la sua ricostruzione avrà un grande significato, ma per noi non avrà lo stesso significato. E certamente, una volta che il tempio sarà ricostruito e sapendo che in quel tempio si sederà l’uomo del peccato dicendo di essere Dio, noi non potremo non riconoscere che la venuta dell’empio sarà ancora più vicina come pure naturalmente la venuta di Cristo che distruggerà l’empio col soffio della sua bocca e con l’apparizione della sua venuta (2 Tess. 2:8). Adesso come adesso, la ricostruzione del tempio nel posto dove si trovava quando fu distrutto pare impossibile, perché come voi sapete nel sito del tempio ora c’è una moschea araba la cui rimozione da parte del governo Israeliano scatenerebbe una guerra dei paesi arabi contro Israele. Comunque questo non costituisce un problema per Dio, perché Lui quello che ha detto lo farà avvenire a suo tempo e nei modi da lui stabiliti. Ma desiderano i Giudei ricostruire il tempio? Sì, infatti nel cuore di molti Giudei c’è il desiderio di vederlo ricostruito al posto dove era prima di essere distrutto. Ricordo che alcuni anni fa un fratello mi disse che aveva avuta notizia che la ricostruzione del tempio a Gerusalemme era imminente; essendo perplesso a riguardo volli telefonare all’ambasciata Israeliana qui a Roma per domandare se la cosa fosse vera; la prima risposta fu: ‘Magari fosse vero!’, e poi mi fu smentita la notizia. Comunque, ci sono dei gruppi di Ebrei ortodossi estremisti che sono pronti persino a fare saltare in aria la moschea araba per ricostruire il tempio. Gruppi però che non hanno il favore di molti Giudei perché la distruzione della moschea araba significherebbe una guerra di portata senza precedenti contro Israele. Guerra però che non impaurisce questi gruppi che ritengono che nel caso scoppiasse questa guerra il Messia verrà e combatterà per loro!

 

L’UFFICIO DI VESCOVO

La dottrina avventista

La donna nella Chiesa può ricoprire l’ufficio di vescovo. Dal 1989 in seno alla Chiesa Avventista la donna può essere eletta anche anziano e non solo diaconessa. ‘Il voto preso dalla Conferenza Generale prevede la possibilità, dietro approvazione delle Divisioni e poi delle Unioni e Federazioni locali, di consacrare le donne come anziano di chiesa’ (Il Messaggero Avventista, Febbraio 1990, pag. 25). Dora Pellegrini, presidentessa dell’Associazione Italiana mogli di pastori avventisti, a proposito di questa decisione ha affermato: ‘A me sembra che con questa decisione la Chiesa voglia dire alle donne: ‘Non tiratevi indietro se il Signore vi ha dato dei talenti particolari. Non accontentatevi di essere solo figlie, ma siate madri in Israele’. Nelle famiglie comuni le madri svolgono un compito dirigenziale e sono delle ‘sorveglianti’, delle ‘custodi’ che si occupano costantemente dello sviluppo psicofisico della propria famiglia. Se la stessa cura e dedizione offriranno alla Chiesa, che è la famiglia di Dio, questa non potrà che esserne arricchita’ (ibid., pag. 25-26).

Confutazione

La Scrittura insegna che l’ufficio di vescovo può essere ricoperto solo da uomini

L’apostolo Paolo dice a Timoteo come deve essere il vescovo e gli dice che tra le altre cose deve essere "atto ad insegnare" (1 Tim. 3:2), quindi in grado di insegnare la dottrina di Dio perché gli anziani sono preposti anche per insegnare. Ma lo stesso apostolo dice anche a Timoteo: "La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare autorità sul marito, ma stia in silenzio" (1 Tim. 2:11-12). Va da sé quindi che dato che alla donna Paolo non permette di insegnare, non le permette neppure di candidarsi all’ufficio di anziano nella Chiesa. Gli Avventisti invece dato che ritengono il divieto di insegnare relativo alla donna, dato da Paolo nella sua prima epistola a Timoteo, un ordine avente un’applicazione locale e solo per quel tempo (essi dicono infatti: ‘Un altro esempio di consigli con applicazione locale per quel tempo è il secondo passo, nel quale Paolo dice che alle donne non è consentito di insegnare e le invita a imparare in silenzio…’ [Scuola del sabato, 1/86, pag. 91]), di conseguenza permettono alla donna di accedere all’ufficio di vescovo. Essi dunque ancora una volta hanno annullato la Scrittura. Questa loro presa di posizione nei confronti di questo ordine di Paolo ha come fondamento la dottrina dei limiti dell’ispirazione della Scrittura, a cui ho accennato quando ho citato la spiegazione che dà Rolando Rizzo al permesso di bere vino e bevande alcoliche presente nella legge di Mosè, per cui anche l’apostolo Paolo non era obbligato a sorpassare i suoi tempi. Applicando le parole di Rizzo (sui limiti dell’ispirazione) a Paolo essi dicono: ‘L’autore ispirato era un uomo del suo tempo, quando parlava, non in tutto era chiamato da Dio a superare il suo tempo (…) sia perché non era necessario, sia perché non era opportuno’ (Rolando Rizzo, Stretti sentieri di libertà, pag. 44). Mentre non è affatto così, perché il divieto per la donna di insegnare è tuttora valido perché Parola di Dio anche per i nostri giorni. Chi lo infrange, permettendo alla donna di insegnare, va incontro a conseguenze funeste perché rimarrà sedotto, e gli Avventisti sono un esempio eloquente. Infatti i pionieri avventisti che permisero a Ellen White di insegnare, furono da lei sedotti a riguardo di molte cose, e non solo loro ma anche gli Avventisti di oggi sono rimasti sedotti dalla White perché questa donna, benché morta, continua a parlare per mezzo dei suoi numerosi scritti da loro pubblicati e diffusi per il mondo.

Diciamo adesso qualcosa a riguardo dell’ufficio di diacono. Per l’ufficio di diacono le cose sono diverse perché la Scrittura parla di una diaconessa, cioè Febe che era diaconessa della Chiesa di Cencrea (cfr. Rom. 16:1-2). Quindi la donna può, se ha i requisiti necessari, essere eletta diaconessa in una Chiesa dopo essere stata messa alla prova. E questo non contrasta con l’insegnamento dell’apostolo perché se si leggono i requisiti che devono avere coloro che vogliono diventare diaconi si noterà che tra di essi non c’è quello di "atto ad insegnare": e questo perché il diacono, come dice anche la parola, deve svolgere un opera di assistenza e non un opera di ammaestramento nella Chiesa.

 

IL DIVORZIO

La dottrina avventista

A motivo di fornicazione è lecito alla parte innocente di passare a nuove nozze. Ellen G. White affermò a proposito del legame matrimoniale che ‘nel sermone sul monte Gesù dice chiaramente che il legame del matrimonio è indissolubile, eccezion fatta del caso d’infedeltà di uno dei due coniugi al voto matrimoniale’ (Ellen G. White, Con Gesù sul monte delle beatitudini, Firenze 1964, pag. 74), ed ancora che ‘c’è un solo peccato, l’adulterio, che può porre il marito o la moglie in una posizione che permetta loro di essere liberi dal vincolo matrimoniale davanti a Dio’ (Ellen G. White, The Adventist Home [La Casa Avventista], pag. 344; citato da Ellen G. White, Momenti di luce, Firenze 1975, pag. 51). Nel Manuale di Chiesa, a proposito del divorzio, si legge: ‘Sebbene le Scritture permettano il divorzio in caso di ‘infedeltà al voto coniugale’, seri sforzi dovranno essere fatti da parte dei coniugi interessati in vista della riconciliazione, l’innocente essendo esortato a perdonare il colpevole e quest’ultimo a emendare la propria condotta in modo che l’unione matrimoniale possa essere mantenuta. Se la riconciliazione non viene realizzata, l’innocente ha il diritto biblico di chiedere il divorzio e anche di contrarre un nuovo matrimonio’ (Manuale di Chiesa, pag. 260-261).

Confutazione

La Scrittura ammette di mandare via la propria moglie in caso di fornicazione, ma non di passare a nuove nozze

Gesù disse: "Fu detto: Chiunque ripudia sua moglie, le dia l’atto del divorzio. Ma io vi dico: Chiunque manda via la moglie, salvo che per cagion di fornicazione, la fa essere adultera; e chiunque sposa colei ch’è mandata via, commette adulterio" (Matt. 5:31-32), ed anche: "Chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio" (Luca 16:18). Ciò significa che all’uomo è lecito mandare via la moglie solo se questa le è infedele, ma dopo averla mandata via a cagione di fornicazione egli non ha il diritto di risposarsi perché in tale caso egli commetterebbe adulterio. Notate infatti che Gesù ha detto che chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra commette adulterio. La stessa cosa vale per la donna, cioè se il marito le è infedele; ella ha il diritto di separarsi da lui ma non quello di passare ad un altro uomo. Paolo dice: "E se mai si separa, rimanga senza maritarsi o si riconcilî col marito" (1 Cor. 7:11), perché "la donna maritata è per la legge legata al marito mentre egli vive… ond’è che se mentre vive il marito ella passa ad un altro uomo, sarà chiamata adultera…" (Rom. 7:2,3).

Per riassumere dunque l’insegnamento della Scrittura a proposito del divorzio, la Scrittura dice che il legame matrimoniale non si scioglie neppure a motivo dell’infedeltà di uno dei coniugi. In questo caso, a secondo di chi commette adulterio, il marito può mandare via la moglie e la moglie separarsi dal marito (naturalmente se i due si riconciliano subito dopo il fatto non avverrà nessuna separazione di fatto); ma nessuno può risposarsi mentre l’altro coniuge ancora vive. Solo se sopraggiunge la morte del coniuge l’altro può risposarsi lecitamente senza rendersi colpevole di adulterio. Gli Avventisti dunque permettendo, in caso di fornicazione, un nuovo matrimonio al coniuge tradito non fanno altro che incoraggiare il coniuge tradito a commettere adulterio. Essi dunque insegnano a trasgredire il settimo comandamento divino. Questa è una evidente manifestazione di ipocrisia da parte loro perché proprio loro che mettono così tanta enfasi sui dieci comandamenti (ed in particolare sul quarto) sfacciatamente permettono la trasgressione del settimo comandamento che dice: "Non commettere adulterio" (Es. 20:14). Proprio loro che dicono di essere la progenie della donna che osserva i comandamenti di Dio, proprio loro che dicono di essere il rimanente della progenie suscitato da Dio per riparare le brecce, proprio loro che tanto attaccano il papato a motivo della domenica, proprio loro, dico, hanno annullato il comandamento di Dio che dice di non commettere adulterio. O Avventisti vi condannate da voi stessi, con le vostre parole. Almeno i cristiani che si radunano la domenica per offrire il culto a Dio ed in quel giorno si riposano, fanno tutto questo per il Signore e non disonorano il nome di Dio, ma chi commette adulterio perché passa a nuove nozze mentre il suo coniuge è ancora in vita non fa questo per il Signore e non onora Dio con la sua condotta ma lo fa biasimare.

 

IL VELO

La dottrina avventista

Il consiglio sul velo per la donna aveva un’applicazione locale e temporanea. Sulla rivista avventista Scuola del Sabato si legge: ‘Nell’interpretare la Scrittura talvolta è difficile separare quello che ha un’applicazione locale e temporanea da quanto invece ha un’applicazione permanente e universale. Per esempio nel primo passo (1 Corinzi 11:3) Paolo esorta le donne a non pregare col capo scoperto (1 Corinzi 11:5). Questo consiglio ha una ovvia applicazione locale e temporanea’ (Scuola del sabato, 1/86. pag. 91).

Confutazione

La donna deve pregare o profetizzare con il capo coperto

Paolo dice ai Corinzi: "Ma io voglio che sappiate che il capo d’ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, fa disonore al suo capo; ma ogni donna che prega o profetizza senz’avere il capo coperto da un velo, fa disonore al suo capo, perché è lo stesso che se fosse rasa. Perché se la donna non si mette il velo, si faccia anche tagliare i capelli! Ma se è cosa vergognosa per una donna il farsi tagliare i capelli o radere il capo, si metta un velo. Poiché, quanto all’uomo, egli non deve velarsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell’uomo; perché l’uomo non viene dalla donna, ma la donna dall’uomo; e l’uomo non fu creato a motivo della donna, ma la donna a motivo dell’uomo. Perciò la donna deve, a motivo degli angeli, aver sul capo un segno dell’autorità da cui dipende. D’altronde, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna. Poiché, siccome la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo esiste per mezzo della donna, e ogni cosa è da Dio. Giudicatene voi stessi: E’ egli conveniente che una donna preghi Iddio senz’esser velata? La natura stessa non v’insegna ella che se l’uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore? Mentre se una donna porta la chioma, ciò è per lei un onore; perché la chioma le è data a guisa di velo. Se poi ad alcuno piace d’esser contenzioso, noi non abbiamo tale usanza; e neppur le chiese di Dio" (1 Cor. 11:3-16).

Innanzi tutto diciamo che le parole di Paolo sul velo non sono un consiglio come dicono invece gli Avventisti. Paolo dice infatti: "La donna deve, a motivo degli angeli, aver sul capo un segno dell’autorità da cui dipende". Quel "deve" non suggerisce affatto l’idea del consiglio. Paolo da un consiglio quando dice sempre ai Corinzi: "E qui vi do un consiglio; il che conviene a voi i quali fin dall’anno passato avete per i primi cominciato non solo a fare ma anche a volere: Portate ora a compimento anche il fare; onde, come ci fu la prontezza del volere, così ci sia anche il compiere secondo i vostri mezzi" (2 Cor. 8:10-11), ma certamente non quando parla del velo.

Veniamo ora alla questione dell’applicazione locale e temporanea relativa al velo. Anch’essa non emerge affatto da un’attenta lettura di tutto il contesto. Infatti, si legge nelle parole di Paolo che la donna deve avere sul capo un segno dell’autorità da cui dipende, cioè il velo, "a motivo degli angeli". Ora, diciamo noi, gli angeli di Dio osservavano solo i santi di Corinto, o osservavano anche quelli di Efeso, o quelli di Tessalonica, e di tutti gli altri posti di quel tempo? Riteniamo che la risposta sia che gli angeli osservavano tutti i santi dovunque essi si trovassero. Per cui il velo le sorelle se lo dovevano mettere quando pregavano o quando profetizzavano anche a Efeso, Tessalonica, e in tutti gli altri posti, perché anche negli altri posti dovevano mostrare agli angeli di Dio un segno dell’autorità da cui dipendevano. E che sia così è confermato dal fatto che Paolo dice a riguardo del velo che le chiese di Dio (quindi non solo quella di Corinto) non avevano l’usanza di far pregare la donna a capo scoperto. Ma c’è un’altra domanda che vogliamo fare: gli angeli di Dio con la morte di Paolo o degli altri apostoli, hanno smesso di osservare le chiese di Dio? La risposta è no, dunque la donna deve ancora velarsi il capo a motivo degli angeli, sia quando prega o quando profetizza (dentro o fuori il locale di culto). E se non lo fa? La Scrittura dice che ella "fa disonore al suo capo", cioè l’uomo perché Paolo dice che il capo della donna è l’uomo. A conferma che l’ordine del velo per la donna quando questa prega o profetizza non ha affatto un’ovvia applicazione locale e temporanea, voglio farvi notare un altro ordine trasmesso da Paolo sempre nel medesimo contesto in cui parla del velo della donna. E’ l’ordine di non velarsi il capo per l’uomo secondo che è scritto: "Quanto all’uomo, egli non deve velarsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio", la cui trasgressione disonora sempre qualcuno; in questo caso però viene disonorato Cristo Gesù perché Paolo dice che "ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, fa disonore al suo capo", che è Cristo. Perché quest’ordine dato per l’uomo conferma che l’ordine sul velo per la donna non può essere solo per quel posto e per quel tempo? Perché ancora oggi gli uomini che hanno creduto, quando si devono mettere a pregare, se hanno il capo coperto da un cappello, sentono la necessità di scoprirsi il capo, e se invece hanno il capo scoperto non sentono la necessità di coprirselo. Perché questo? Perché avvertono dentro di loro che se si mettessero a pregare con il capo coperto disonorerebbero il Signore il che conferma pienamente ciò che Paolo dice ai Corinzi. E nel caso pregassero o profetizzassero con il capo coperto, di certo la coscienza li riprenderebbe subito. Voglio raccontare a tale proposito quello che mi è successo una volta. Durante il servizio militare (io feci il servizio militare quando ancora ero un bambino in Cristo e non intendevo che noi credenti in ubbidienza al Vangelo non dobbiamo imparare la guerra) io portavo molto spesso in caserma il berretto che mi era stato dato; berretto che mi studiavo sempre di togliere quando dovevo mettermi a pregare prima di mangiare in mensa. In un’occasione però, forse preso dalla fretta o perché ero soprappensiero, mi dimenticai di togliermelo e mi misi lo stesso a pregare. Ma dopo che pregai, dato che mi accorsi che non avevo tolto il cappello come facevo sempre, sentii la mia coscienza riprendermi perché io sapevo che in base alle parole della Scrittura avevo disonorato Cristo. Confessai dunque il mio peccato al Signore proponendomi di non cadere più nello stesso errore. Se dunque noi uomini pregando o profetizzando a capo coperto disonoriamo Cristo, dobbiamo astenerci dal pregare o profetizzare a capo coperto. Vi ricordo che Cristo è degno di ogni onore essendo il Signore dei signori, e il Re dei re, capo supremo della Chiesa, e che perciò non gli va tolto alcun onore. Forse qualche uomo credente riterrà che alla fin fine disonorare Cristo non è poi così grave; per cui voglio ricordare a costui che Gesù disse ai Giudei: "Chi non onora il Figliuolo non onora il Padre…" (Giov. 5:23). In un’altra occasione, precisamente quando i Giudei lo ingiuriarono dicendo: "Non diciam noi bene che sei un Samaritano e che hai un demonio?" (Giov. 8:48), Gesù disse loro: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio, e voi mi disonorate" (Giov. 8:49). Quel "voi mi disonorate" detto dopo quell’ingiuria sta ad indicare che anche gli uomini che ingiuriano Cristo lo disonorano. Se dunque Gesù riprese i Giudei per averlo disonorato, di certo riprenderà anche i suoi discepoli se lo disonoreranno pregando o profetizzando a capo coperto. Se quindi l’ordine rivolto all’uomo di non pregare o profetizzare a capo coperto, è tuttora valido, deve essere tuttora valido anche quello rivolto alla donna di pregare o profetizzare a capo coperto per non disonorare l’uomo.

Vi esorto dunque nel Signore o donne a velarvi il capo quando pregate o profetizzate. Non siate contenziose o figliuole di Sion.

 

IL CONTROLLO DELLE NASCITE

La dottrina avventista

E’ lecito impedire il concepimento. Ellen G. White affermò: ‘Vi sono genitori che, senza considerare se sono in grado o non di assicurare il benessere a una famiglia numerosa, riempiono letteralmente la loro casa di piccoli esseri abbandonati a se stessi, che dipendono interamente dai genitori per le cure e l’educazione necessarie… Si tratta di una colpa crudele, non solo nei confronti della madre, ma anche verso i bambini e verso la società’ (Ellen G. White, The Adventist Home, pag. 162; citazione presa dall’articolo di J. R. Spangler ‘Gli Avventisti e il controllo delle nascite’ apparso sul Messaggero Avventista del giugno 1974, pag. 63) ed ancora: ‘Prima di incrementare la famiglia, i genitori dovrebbero considerare seriamente se il mettere al mondo dei figli sarà motivo di glorificazione di Dio o di disonore. Loro primo impegno dovrebbe essere quello di glorificare Dio con la loro unione fin dal principio e per tutti gli anni della loro vita coniugale. Dovrebbero considerare con cura quale condizioni possono prevedere per i loro figli. Non hanno alcun diritto di mettere al mondo dei figli che costituiranno un peso per gli altri. Sono in una situazione economica che consenta loro di provvedere alla famiglia, senza che questa diventi un peso per gli altri? Se no, commettono un crimine mettendo al mondo dei bambini che soffriranno per mancanza di cure adeguate, di cibo, di vestiario’ (Ellen G. White, Messages to Young People [Messaggi ai Giovani], pag. 462; citazione tratta da op. cit., pag. 63). A proposito di questa posizione della White a favore del controllo delle nascite si legge in un numero del Messaggero Avventista: ‘Il concetto di procreazione responsabile e di pianificazione intelligente della famiglia, che va rafforzandosi sempre più nella società moderna, fu chiaramente e incisivamente espresso da E. G. White in un’epoca in cui il mondo conosceva poco o niente di tutto questo. Un’ignoranza completa regnava, e in parte esiste tuttora, tra i cristiani circa le loro responsabilità nella pianificazione della famiglia, mentre noi avventisti siamo in possesso di preziose dichiarazioni e consigli dello Spirito di Profezia che hanno precorso i tempi. Coloro che hanno un po’ di dimestichezza con l’inglese, leggano in The Adventist Home i capitoli XVIII, pp. 121-128 e XXIV, pp. 162-166; in Messages to Young People, cap. 156, pp. 462-463. E. G. White sostiene dunque la necessità di una famiglia programmata, ossia limitata alle possibilità fisiche, economiche, psichico-mentali e spirituali dei genitori’ (Nino Bulzis ‘Gli Avventisti e il controllo delle nascite’, in Il Messaggero Avventista, luglio 1969, pag. 6).

Confutazione

Dio disse: Crescete e moltiplicate

E’ scritto chiaramente che Dio disse al principio della creazione all’uomo e alla donna: "Crescete e moltiplicate e riempite la terra..." (Gen. 1:28). Quindi, ogni tentativo umano di porre un ostacolo alla moltiplicazione è peccato. Non importa se questo tentativo è naturale o artificiale, esso si oppone alla volontà di Dio per la coppia umana di procreare. Non ci vengano a dire gli Avventisti che temono di mettere al mondo tanti figli perché temono di non potergli dare un futuro, perché chi confida in Dio non ha di questi timori perché crede fermamente che Dio si prenderà cura di tutti i figli che gli darà proteggendoli e non facendogli mancare nulla. Se neppure un passero è dimenticato dinanzi a Dio, come farà Dio a dimenticarsi dei figli che ha dato ad una coppia che lo teme? Se Dio provvede il pasto al corvo per i suoi piccini, se caccia la preda per la leonessa, quanto più provvederà da mangiare ai suoi figliuoli che confidano in lui! Quindi non ci sono scuse dinanzi a Dio. Ed inoltre ricordiamo che Paolo ha detto a Timoteo che la donna "sarà salvata partorendo figliuoli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia" (1 Tim. 2:15), confermando che è il volere di Dio che la donna partorisca figli. Quanti ne vuole Dio naturalmente e non quanti ne decide di avere assieme a suo marito. Nei Salmi è scritto: "Ecco, i figliuoli sono un’eredità che viene dall’Eterno; il frutto del seno materno è un premio. Quali le frecce in man d’un prode, tali sono i figliuoli della giovinezza. Beati coloro che ne hanno il turcasso pieno! Non saranno confusi quando parleranno coi loro nemici alla porta" (Sal. 127:3-5). Quindi o donne, abbiate figli; non rifiutatevi di essere visitate da Dio per non attirarvi un giudizio di Dio su di voi. E parimente voi mariti, non impedite il concepimento, per non essere puniti da Dio per la vostra ribellione. Infine alcune parole sulle parole elogiative di Nino Bulzis nei confronti delle parole di Ellen G. White. Le dichiarazioni sul controllo delle nascite della White non sono preziose e non sono neppure dei consigli dati per lo Spirito; e tutto ciò perché, come abbiamo visto, quelle parole si oppongono alla volontà di Dio, si oppongono alla Parola di Dio. Le dichiarazioni preziose sono quelle presenti nella Scrittura che esortano a moltiplicare, ad avere figli, che elogiano coloro che hanno molti figli. E si badi bene che la Scrittura se da un lato esorta ed incoraggia ad avere figli, dall’altro esorta ed incoraggia i genitori ad avere fede in Dio. E voi sapete che chiunque crede in lui non sarà svergognato. Per cui chi mostrerà di avere fede che Dio supplirà a tutti quei bisogni che una famiglia numerosa crea, sarà onorato da Dio. Egli non sarà lasciato a se stesso da Dio, egli non sarà abbandonato da Dio e reso confuso, perché Dio si prenderà cura di tutti i figli che verranno al mondo supplendo ai loro bisogni secondo le sue ricchezze e con gloria in Cristo Gesù. E’ una questione di fede dunque; al bando tutti quei discorsi vani che scaturiscono dalla mancanza di fede in Dio. Come se il nostro Dio non fosse in grado nei nostri tempi di supplire ai bisogni di una famiglia numerosa! Ma si sono dimenticati gli Avventisti che Dio si prese cura dei figliuoli d’Israele nel deserto non facendogli mancare nulla per ben quaranta anni? E si badi bene che nel deserto solo di maschi atti alla guerra ce ne erano più di seicentomila? Quello dunque che dovete fare non è preoccuparvi per il futuro e ‘pianificare’ la famiglia, ma avere fede in Dio "gettando su lui ogni vostra sollecitudine perch’Egli ha cura di voi" (1 Piet. 5:7), lasciando che sia Dio a regolare le nascite perché Lui è savio oltre che potente.

 

Il SERVIZIO MILITARE E LA GUERRA; E L’USO DELLA FORZA IN DIFESA DI SE STESSI E DEI DEBOLI E DEGLI INDIFESI

La dottrina avventista

Il servizio di leva armato e l’arruolamento nell’esercito in caso di guerra sono scoraggiati ma non vietati; il ricorso all’uso della forza contro i nemici in certi casi è consentito. Rolando Rizzo nel suo libro Serrate le fila, serrate le fila…, libro che lui ha scritto in risposta ai duri giudizi che quelli del Movimento della Riforma (gruppo avventista di origine tedesca che si separò dalla Chiesa Avventista nel 1918) lanciano contro la Chiesa Avventista del 7° giorno, arrivando a definirla Babilonia, spiega qual è la posizione avventista sul servizio militare, sulla guerra, sull’uso diretto della forza da parte del cristiano, e su quello indiretto (sollecitato dal cristiano) da parte dello Stato.

Per quanto riguarda la posizione avventista sul servizio militare, nel libro viene citato Calvin B. Rock, vice presidente della Conferenza Generale, che dice tra le altre cose: ‘La Chiesa Avventista del 7° Giorno desidera che i suoi membri partecipino ad attività che salvano la vita, non che la sopprimono. Di conseguenza, noi speriamo che coloro che entrano nell’esercito assumeranno dei compiti da ‘non combattenti’. La nostra posizione, tuttavia, non richiede alcuna forma di censura verso coloro che scelgono di portare le armi. La chiesa non applica il comandamento ‘Non uccidere’ (letteralmente tradotto ‘Non commettere omicidio’) alla pena di morte, all’autodifesa e alla difesa del proprio paese, almeno non nella stessa maniera in cui lo applica ad atti commessi per ira, concupiscenza, gelosia, vendetta, ecc. … Abbiamo diversi membri che lavorano nella polizia; alcuni sono guardie giurate, altri lavorano nell’FBI o in altre agenzie federali di questo tipo. La maggioranza porta armi, ma non è soggetta alla disciplina ecclesiastica secondo il nostro Manuale di Chiesa, né lo sono i soldati che scelgono di portare le armi. Nondimeno, poiché crediamo che ci siano abbastanza persone nell’esercito addestrate a togliere la vita, e poiché crediamo che imparare a uccidere sia nocivo al rispetto per la vita e alla crescita spirituale, noi decisamente incoraggiamo i nostri giovani a scegliere dei ruoli di non combattenti’ (Citato da Rolando Rizzo, Serrate le fila, serrate le fila… Ai fratelli del Movimento di Riforma, pag. 28). Il Rizzo, parlando dell’attitudine del cristiano verso l’esercito, dopo avere dimostrato la necessità che uno Stato ha dell’esercito e che dall’esistenza dell’esercito, come anche della polizia, dipende il vivere tranquillo e quieto anche dei credenti, perché sia l’esercito che la polizia hanno tra gli scopi quello di difendere la popolazione, passa a esaminare la questione se sia lecito per un cristiano entrare nell’esercito per compiervi un servizio armato. Egli allora espone i principali problemi a cui andrebbe incontro un cristiano entrando nell’esercito a fare un servizio armato e dopo di ciò dice: ‘Per questa serie di problemi reali, credo che storicamente la chiesa abbia scelto la posizione di ‘Non combattente’, lasciando alla coscienza individuale la decisione ultima’ (ibid., pag. 53), precisando che la White ‘critica molto severamente gli sbandieratori a priori dell’obiezione di coscienza radicale al servizio militare..’ (ibid., pag. 54). Il risultato di questa posizione è che la stragrande maggioranza dei giovani avventisti compiono scelte di ‘Non combattente’ o di Servizio Civile dove questo è possibile. In Italia, tra il 90 e il 95% dei giovani avventisti opta per il Servizio Civile. Bisogna dunque dire che gli Avventisti non incoraggiano i giovani a fare il servizio militare in un ruolo combattente ma bensì a farlo in un ruolo non combattente. Questa posizione si chiama obiezione di coscienza non radicale perché non si oppone del tutto all’entrata nell’esercito da parte di un credente né in tempo di pace e né in tempo di guerra.

Per quanto riguarda l’uso personale della forza da parte del cristiano Rolando Rizzo nel commentare le parole di Gesù: "Voi avete udito che fu detto: Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Ma io vi dico:…." (Matt. 5:43), per dimostrare che Gesù ‘non contrappone una presunta nuova legge dell’amore a una vecchia legge che da esso prescindesse’ (Rolando Rizzo, op. cit., pag. 35), afferma che Gesù ‘cita solo nella prima parte l’Antico Testamento. Sull’odio per i nemici, fa forse riferimento a qualche rabbino illustre, o a convinzioni popolari assai diffuse, ma non alla legge che non prevedeva l’odio per i nemici, ma l’amore operante..’ (ibid., pag. 35) . Poco prima infatti il Rizzo cita il seguente passaggio della legge: "Se incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, non mancare di ricondurglielo. Se vedi l’asino di colui che t’odia steso a terra sotto il carico, guardati bene dall’abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo" (Es. 23:4-5), per dire che già nella legge era previsto l’amore verso i propri nemici (si tenga presente che queste medesime cose le dicono attualmente anche tanti Giudei disubbidienti per dimostrare che Gesù non ha portato nulla di nuovo al Giudaismo anche per quanto riguarda l’amore verso i propri nemici). Questo amore verso i propri nemici predicato da Cristo non significa però che è da escludersi ogni ricorso alla forza per difendere gli innocenti. A sostegno di ciò viene citato l’esempio di Abramo il quale quando sentì che Lot era stato preso come prigioniero da alcuni re, armò trecentodiciotto dei suoi più fidati servitori e inseguì i re, li sconfisse e portò via dalle loro mani Lot (cfr. Gen. 14:10-16). E poi il Rizzo dice: ‘Io credo che, nelle stesse condizioni di Abramo, un uomo che facesse oggi quello che lui ha fatto, non potrebbe essere giudicato da nessun comitato di chiesa come responsabile di tradimento del sermone sulla montagna. Credo inoltre che ogni madre o padre riformista, sensibile ai diritti dei deboli, che ami i propri figli, agirebbe come Abramo il giorno che fosse costretto a scegliere tra l’uso della forza per proteggere e l’inerzia. (…) Credo proprio che se si ama veramente, esistono dei momenti in cui, per amore, debba essere necessario l’uso della forza’ (Rolando Rizzo, op. cit., pag. 36). Dopo di ciò il Rizzo cita una sua esperienza personale in cui ha ritenuto necessario usare la forza; la trascrivo: ‘Uscivo dal portone dell’Unione in Lungotevere Michelangelo, a Roma: avevo con me una borsa piena di libri. A pochi metri di distanza una signora terrorizzata piangeva e urlava, strattonata e minacciata da due giovani tossicodipendenti, una ragazza e un ragazzo, che le chiedevano del denaro tra la paura e l’inazione dei passanti. Il mio dovere di cristiano era quello di amare i due giovani, ma anche quello di amare la signora. Come amarli tutti? Pregai silenziosamente e rapidamente, quindi invitai i giovani a mollare la presa; ne ricevetti minacce. In quel momento credetti utile urlare, strattonare per un braccio la ragazza che mollò la presa, poi alzare la pesante borsa minacciosa contro l’altro che lasciò immediatamente la mano della signora… la quale ne approfittò per scappare; i due mi minacciarono un po’, poi fuggirono via. Certamente col mio gesto, ho privilegiato nell’amore la vittima. Ho agito come Abramo. Potevo fare di meglio? Potevo risolvere quel problema senza minacciare violenza? Forse’ (ibid., pag. 36-37). Si noti come a conclusione del suo racconto, il Rizzo non ritiene che quella fosse l’unica via da scegliere; in altre parole come egli stesso non sia convinto di avere agito nella maniera migliore. Allora le parole di Gesù di non contrastare il malvagio? Rizzo è chiaro: ‘Noi non crediamo che Gesù chieda al cristiano di ‘non contrastare il malvagio’ sino al punto di lasciare alla sua discrezione il diritto alla vita o quella dei propri simili. (…) E l’uso della forza da parte del cristiano? Non può che essere un fatto estremo; ma gli estremi esistono sino a quando saremo quaggiù’ (ibid., pag. 38).

Veniamo ora all’uso della forza (sollecitato dal cristiano) da parte dello Stato in difesa dei diritti del cristiano. Sempre Rizzo afferma: ‘.. il messaggio di Cristo inteso a fare dei cristiani degli operatori di pace, se visto alla luce dell’intera Rivelazione e di un minimo di buon senso, non nega a questi il diritto, ma talvolta il dovere estremo, di usare la forza per difendere i propri diritti o quelli di quanti è chiamato a proteggere’ (ibid., pag. 40). In altre parole ad un cristiano è lecito ricorrere alla forza dello Stato per far valere i propri diritti contro i propri nemici. Ed a sostegno di questa tesi viene preso l’apostolo Paolo che dopo essere definito ‘il più illustre interprete di Cristo’, viene detto che ‘ricorse anche lui in extremis a richiedere l’uso della forza armata per salvare la propria vita e il proprio ministero. Infatti, quando seppe che gli ebrei erano determinati a ucciderlo, utilizzando la propria cittadinanza romana, disse a Festo che lo voleva inviare a Gerusalemme: Io mi appello a Cesare’ (ibid., pag. 44. cfr. Atti 25:11). Questo, Rizzo lo dice perché ritiene che ‘sollecitando gli altri a usare la forza per noi, usiamo anche noi quella forza’ (ibid., pag. 44). Paolo dunque usò anche lui la forza dello Stato contro i suoi nemici. Il Rizzo poi racconta un fatto a sua conoscenza per dimostrare come alcuni pur non usando la forza direttamente la usano indirettamente. Lui dice: ‘… una studentessa di teologia lavorò durante l’estate in una famiglia di religione ebraica ortodossa. In quella casa, dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato, nessuno accendeva la luce; chiedevano però a lei di farlo. Avere la luce prevedeva un gesto che a loro ripugnava compiere, perché per loro avrebbe significato trasgredire la legge di Mosè. La logica vorrebbe che se quel gesto fosse stato ripugnante sarebbe stato meglio rinunciare alla luce; ma quella famiglia aveva trovato la soluzione: avere le mani pulite facendo compiere quel gesto ad altri. Spesso in perfetta buona fede ragioniamo allo stesso modo quando proclamiamo ai quattro venti che è antievangelico ‘Contrastare il malvagio’ addirittura con le armi, ma che poi, quando ci si imbatte veramente in un malvagio che abbia sfasciato la nostra macchina e non ne voglia rispondere; che ci abbia venduto una casa che non vuole più darci; che ci abbia pagato con un assegno a vuoto; che abbia tentato di violentare i nostri figli; che non ci voglia pagar più lo stipendio pattuito…, allora chiediamo alla magistratura che usi la forza per far rispettare la legge, pensando così di essere perfettamente non violenti. In realtà, quando sollecitiamo che si usi la forza per noi, noi usiamo quella forza. Il mandante ha, penalmente, maggiore responsabilità del killer’ (ibid., pag. 44-45).

Confutazione

Beati coloro che s’adoperano alla pace perché essi saran chiamati figliuoli di Dio; beati i perseguitati per cagion di giustizia perché di loro è il regno dei cieli

Nella mia confutazione che mi accingo a fare parlerò innanzi tutto della posizione che deve avere il cristiano nei confronti del servizio militare e della chiamata alle armi in caso di guerra, e poi dell’uso della forza diretto e indiretto da parte del cristiano contro la violenza o i soprusi fatti contro lui o terzi.

Il servizio militare in tempo di pace e la chiamata alla guerra. Noi cristiani non siamo contro l’esistenza dell’esercito nello Stato; perché? Perché l’esercito serve a frenare le ambizioni di qualche nazione circonvicina, cioè impedisce che la nazione subisca una invasione da parte di stranieri. Per fare degli esempi; è evidente che dopo la seconda guerra mondiale se la Russia e i suoi alleati non avessero visto sul suolo europeo, compreso il suolo italiano, i soldati americani di certo avrebbero invaso l’Occidente assoggettandoselo. Ma proprio per la presenza delle truppe americane in Europa, gli Stati che facevano parte del patto di Varsavia non si permisero di invadere l’Europa. I rischi di una sconfitta per opera dell’esercito americano che possedeva pure la bomba atomica, li fece rimanere oltre la cortina. Anche l’esercito dello Stato d’Israele, che è uno dei più potenti sulla terra anche perché possiede armi atomiche, contribuisce a scoraggiare un eventuale attacco da parte degli Arabi. Non che gli Arabi non sarebbero capaci di sfidare lo Stato d’Israele, dichiarandogli guerra anche se questo ha la bomba atomica; ma solo che la forza di questo esercito (e non solo la sua esistenza) è tale da sconsigliargli un eventuale attacco. Certamente se lo Stato d’Israele decidesse di privarsi dell’esercito gli Arabi ne approfitterebbero subito per togliere di mezzo Israele una volta per tutte. (Riteniamo comunque che anche in questo caso la nazione d’Israele non potrebbe essere cancellata da sotto il cielo perché Dio è il suo scudo). Per quanto riguarda l’Italia, se non ci fosse l’esercito in questa nazione o non ci fossero degli eserciti che sarebbero pronti a intervenire nel caso l’Italia venisse invasa o attaccata da una nazione che non fa parte della NATO, allora credo che l’Italia sarebbe terra di conquista da parte di molti eserciti stranieri come lo fu nell’antichità quando non esisteva la nazione Italia ma solo un agglomerato di stati e staterelli sparsi su tutta la penisola; in altre parole l’Italia se la spartirebbero le nazioni. Con questo non si vuol dire che in quel tempo le cose non andarono in quella maniera per decreto di Dio, ma solo che ora essendo le circostanze diverse la situazione in Italia e in Europa è diversa da quei tempi e certe cose non sono realizzabili per svariati motivi, naturalmente perché Dio sta guidando il corso di questa nazione in questa maniera. Anzi Dio guida il corso delle nazioni di tutti i continenti in questa maniera; Lui controlla il mondo intero.

Ma l’esercito di una nazione non serve solo a difendere la propria nazione ma anche per andare a punire altre nazioni. Di esempi biblici comprovanti ciò ce ne sono parecchi. Uno di questi è quello dell’esercito dei Caldei usato da Dio per punire il regno di Giuda a motivo della sua malvagità. Ecco quello che si legge nel libro di Geremia: "Dal tredicesimo anno di Giosia, figliuolo di Amon, re di Giuda, fino ad oggi, son già ventitré anni che la parola dell’Eterno m’è stata rivolta, e che io v’ho parlato del continuo, fin dal mattino, ma voi non avete dato ascolto. L’Eterno vi ha pure mandato tutti i suoi servitori, i profeti; ve li ha mandati del continuo fin dal mattino, ma voi non avete ubbidito, né avete porto l’orecchio per ascoltare. Essi hanno detto: ‘Convertasi ciascun di voi dalla sua cattiva via e dalla malvagità delle sue azioni, e voi abiterete di secolo in secolo sul suolo che l’Eterno ha dato a voi e ai vostri padri; e non andate dietro ad altri dèi per servirli e per prostrarvi dinanzi a loro; non mi provocate con l’opera delle vostre mani, e io non vi farò male alcuno’. Ma voi non mi avete dato ascolto, dice l’Eterno, per provocarmi, a vostro danno, con l’opera delle vostre mani. Perciò, così dice l’Eterno degli eserciti: Giacché non avete dato ascolto alle mie parole, ecco, io manderò a prendere tutte le nazioni del settentrione, dice l’Eterno, e manderò a chiamare Nebucadnetsar re di Babilonia, mio servitore, e le farò venire contro questo paese e contro i suoi abitanti, e contro tutte le nazioni che gli stanno d’intorno, e li voterò allo sterminio e li abbandonerò alla desolazione, alla derisione, a una solitudine perpetua. E farò cessare fra loro i gridi di gioia e i gridi d’esultanza, il canto dello sposo e il canto della sposa, il rumore della macina, e la luce della lampada. E tutto questo paese sarà ridotto in una solitudine e in una desolazione, e queste nazioni serviranno il re di Babilonia per settant’anni" (Ger. 25:3-11). Notate come Dio chiamò il re Nebucadnetsar "mio servitore" e come Egli disse che lo avrebbe fatto venire contro il paese di Giuda perché questo non aveva voluto dare ascolto a Dio. Ma non solo contro il regno di Giuda ma anche contro i regni circonvicini. Dunque è innegabile che fu Dio a chiamare il terribile esercito dei Caldei contro il paese di Giuda e i regni attorno ad esso per distruggerli. Nessuno s’inganni dicendo o pensando che con la venuta di Cristo, Dio ha smesso di agire in questa maniera con i regni della terra, perché ciò non è affatto vero. Citerò infatti adesso due esempi tratti dal Nuovo Testamento; uno concerne un fatto già avvenuto e l’altro un fatto che deve ancora avvenire. Il fatto avvenuto è quello della distruzione di Gerusalemme e dell’uccisione di molti suoi abitanti per mano dell’esercito romano (tutte cose avvenute nell’anno 70); distruzione predetta da Gesù in questi termini: "Quando vedrete Gerusalemme circondata d’eserciti, sappiate allora che la sua desolazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea, fuggano a’ monti; e quelli che sono nella città, se ne partano; e quelli che sono per la campagna, non entrino in lei. Perché quelli son giorni di vendetta, affinché tutte le cose che sono scritte, siano adempite. Guai alle donne che saranno incinte, e a quelle che allatteranno in que’ giorni! Perché vi sarà gran distretta nel paese ed ira su questo popolo. E cadranno sotto il taglio della spada, e saran menati in cattività fra tutte le genti; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi de’ Gentili siano compiuti" (Luca 21:20-24), ed ancora: "Oh se tu pure avessi conosciuto in questo giorno quel ch’è per la tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi. Poiché verranno su te de’ giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, e ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; e atterreranno te e i tuoi figliuoli dentro di te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata" (Luca 19:42-44). Il fatto che invece deve ancora adempiersi è scritto nell’Apocalisse in questi termini: "E le dieci corna che hai vedute sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia, per un’ora. Costoro hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia. Costoro guerreggeranno contro l’Agnello, e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signor dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e fedeli. Poi mi disse: Le acque che hai vedute e sulle quali siede la meretrice, son popoli e moltitudini e nazioni e lingue. E le dieci corna che hai vedute e la bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco. Poiché Iddio ha messo in cuor loro di eseguire il suo disegno e di avere un medesimo pensiero e di dare il loro regno alla bestia finché le parole di Dio siano adempite. E la donna che hai veduta è la gran città che impera sui re della terra" (Ap. 17:12-18). Vorrei farvi notare che Dio metterà in cuore a dieci re di avere un medesimo pensiero e di dare la loro potenza alla bestia, ed assieme odieranno la grande città che impera sui re di tutta la terra e la distruggeranno col fuoco. Dunque fino alla fine dei tempi Dio userà degli eserciti armati per punire i ribelli, gli arroganti.

Mi preme inoltre dire che quando Dio fa venire un esercito contro una città o una nazione per infliggergli i castighi da lui decretati nella sua giustizia, Egli poi punisce la verga della sua ira per tutto il male che ha fatto. In relazione agli esempi appena citati vi ricordo che Dio disse tramite Geremia contro l’esercito dei Caldei le seguenti cose: "Forbite le saette, imbracciate gli scudi! L’Eterno ha eccitato lo spirito dei re dei Medi, perché il suo disegno contro Babilonia è di distruggerla; poiché questa è la vendetta dell’Eterno, la vendetta del suo tempio" (Ger. 51:11) ed ancora: "O Babilonia, tu sei stata per me un martello, uno strumento di guerra; con te ho schiacciato le nazioni, con te ho distrutto i regni; con te ho schiacciato cavalli e cavalieri, con te ho schiacciato i carri e chi vi stava sopra; con te ho schiacciato uomini e donne, con te ho schiacciato vecchi e bambini, con te ho schiacciato giovani e fanciulle; con te ho schiacciato i pastori e i lor greggi, con te ho schiacciato i lavoratori e i lor buoi aggiogati; con te ho schiacciato governatori e magistrati. Ma, sotto gli occhi vostri, io renderò a Babilonia e a tutti gli abitanti della Caldea tutto il male che han fatto a Sion, dice l’Eterno" (Ger. 51:20-24). E questo avvenne nel 536 a.C. quando l’esercito persiano sconfisse i Caldei, e Babilonia fu distrutta. Per quanto riguarda il potente impero romano che aveva distrutto Gerusalemme, la città del grande Re, esso fu punito da Dio tramite gli eserciti barbari provenienti dal nord Europa. La storia ci dice che la penisola italiana fu invasa a più riprese da orde di barbari che seminarono distruzione e morte dovunque giunsero. Persino Roma a più riprese fu saccheggiata duramente dai barbari. Come hai fatto così ti sarà fatto, dice Dio; e questo si adempì pure nei confronti dell’impero romano. Per quanto riguarda poi le dieci corna che sono dieci re, e la bestia, che assieme eseguiranno il giudizio di Dio contro la grande città, essi saranno puniti da Cristo al suo ritorno infatti la Scrittura ci dice: "E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per muover guerra a colui che cavalcava il cavallo e all’esercito suo. E la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che avea fatto i miracoli davanti a lei, coi quali aveva sedotto quelli che aveano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Ambedue furon gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. E il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che cavalcava il cavallo; e tutti gli uccelli si satollarono delle loro carni" (Ap. 19:19-21). Questo modo di agire di Dio mostra come Egli sia giusto e qualunque forma di male compiuta dall’uomo non rimarrà impunita, neppure il male che un esercito compie contro una nazione o contro una città per decreto di Dio.

Veniamo adesso alla posizione del cristiano nei confronti del servizio militare e dell’esercito. A che cosa serve il servizio militare? Il servizio militare serve a preparare i cittadini di uno Stato ad affrontare un eventuale guerra che potrebbe scoppiare tra la nazione di cui fanno parte ed un’altra nazione, ma anche a difendere la popolazione nel caso qualcuno insorgesse dall’interno per sovvertire la nazione. In Italia il servizio militare è sì obbligatorio per un certo tempo, ma esiste pure la possibilità di compiere il servizio civile al suo posto. Esistono Stati però dove il servizio militare è obbligatorio ma non esiste il servizio civile al suo posto, per cui chi rifiuta di fare il servizio di leva viene punito. In altri Stati ancora, siccome che l’esercito è fatto di soli professionisti (in Italia i professionisti ossia i militari di carriera sono affiancati dai militari di leva), il servizio militare non è richiesto a tutti perché è volontario.

Ma vediamo ora di spiegare in che cosa consiste il servizio militare e come si svolge in questa nazione; questo lo faccio sia per i giovani che ancora non lo hanno fatto al fine di fargli capire a che cosa si va incontro nel farlo da credente, e sia per coloro che non lo hanno fatto per obiezione di coscienza al fine di fargli capire che essi hanno fatto bene a scegliere il servizio civile al posto di quello militare. Ecco per sommi capi come si svolge il periodo di leva in questa nazione. Ne parlerò in base alla mia esperienza personale, dato che a suo tempo (quando ero già un figliuolo di Dio) l’ho fatto (anche se a malincuore e sperimentando i suoi frutti amari). Dopo avere fatto il CAR in una delle caserme CAR sparse sul territorio nazionale (il CAR è un centro addestramento reclute e nel gergo militare fare il CAR significa ricevere l’addestramento di recluta che generalmente dura circa 4 settimane), la recluta diventa soldato col giuramento che è una cerimonia militare in cui dopo alcune esibizioni militari la recluta giura fedeltà allo Stato. Dopo il giuramento il soldato viene mandato in una delle tante caserme operative sul territorio nazionale (caserme che appartengono ai diversi corpi armati dell’esercito, cioè agli alpini, alla fanteria, ai granatieri, ai bersaglieri, ecc., per cui gli alpini andranno in caserme per gli alpini, i fanti andranno in caserme della fanteria, e così via). Si chiamano caserme operative perché è in queste caserme che si fa il ‘reale’ servizio militare. Alla caserma del CAR si impara a salutare militarmente, a presentarsi ai superiori, a sparare, a lanciare le bombe a mano, a fare la guardia, ed altre cose; mentre nelle caserme operative dove si viene mandati si impara e si adempie il ruolo che l’autorità statale ha deciso di far fare al soldato. In altre parole se uno è autista, prima farà il corso per prendere la patente militare e poi guiderà i camion militari, le jeep, ecc.; se uno è servente al pezzo prima dovrà fare un corso anche lui e dopo il relativo corso si dovrà occupare della manutenzione degli obici assieme ad altri serventi al pezzo (questo compito è molto duro); se uno è centralinista sarà impiegato in un centralino di qualche caserma; se uno è artificiere, prima andrà a fare il corso di artificiere e poi farà l’artificiere nella caserma assegnatagli; i ruoli sono tanti e svariati. Le caserme operative fanno anche i campi che sono delle esercitazioni militari che durano alcuni giorni fatte lontano dalla caserma.

Naturalmente non tutti coloro che arrivano alla caserma CAR verranno assegnati ad altre caserme, e questo perché anche in questa caserma c’è bisogno di nuovi soldati dato che c’è sempre qualche scaglione che si congeda e vengono a crearsi delle necessità nei vari settori della caserma. In altre parole una parte di coloro che arrivano alla caserma CAR vi rimarranno per tutto il corso del servizio militare anche dopo il giuramento; chi come caporale istruttore, chi come cuoco, chi come elettricista, chi come furiere (chi sta in ufficio), chi come magazziniere, chi come autista, chi come artificiere, ecc. Il numero è molto piccolo confronto a coloro che invece partono alla fine del mese, e coloro che ne fanno parte si considerano ‘fortunati’ perché non devono cambiare ambiente, e poi perché il servizio di leva in un centro CAR è meno faticoso che in una caserma operativa. Io fui tra coloro per esempio che rimasero nella caserma CAR (quella di Orvieto del terzo battaglione dei granatieri) dopo l’addestramento e il giuramento. Vi rimasi non per raccomandazione umana (come nel caso di alcuni che pur essendo stati assegnati ad altre caserme fecero di tutto per rimanere in quella caserma) ma perché il Ministero mi aveva assegnato il ruolo di caporale istruttore da adempiere proprio in quella caserma. Caserma che aveva la rinomanza di essere un ‘hotel’ tanto vi si stava bene.

Come ho detto, io dovetti fare il caporale istruttore; ma in che cosa consiste questo compito? Consiste nell’addestrare le reclute che arrivano alla caserma CAR (insegnargli a marciare, a salutare, a sparare, a conoscere le armi per pulirle e smontarle, ecc.,); naturalmente non tutte dato che sono centinaia e centinaia (nella caserma di Orvieto le ondate mensili di reclute si aggiravano sul migliaio), ma solo quelle della propria camerata o squadra. La camerata è una grande camera in cui c’è un certo numero di reclute (la squadra), sorvegliate da due caporali di cui uno è sempre più anziano dell’altro quanto a servizio da caporale. I caporali (o il caporale; questo se l’anziano caporale è in attesa di ricevere il giovane assistente) dormono nello stesso camerone con le reclute, per cui si trovano notte e giorno con le loro reclute. Avviene così che tra le reclute e i propri caporali si stabilisce un legame di amicizia. La camerata è parte della compagnia della caserma; la compagnia è un piano o una ‘divisione’ della caserma. Per esempio nella mia caserma c’erano quattro compagnie, comandate da altrettanti capitani. Ognuna di queste compagnie era suddivisa in una decina circa di camerate o squadre di reclute a capo delle quali c’erano due caporali o solo un caporale per il motivo detto poco fa. Ora, io per diventare caporale istruttore dovetti fare un corso di due mesi circa nella medesima caserma CAR. Dopo di che venni ‘promosso’ al grado di caporale istruttore e fui aggregato ad un caporale anziano nella direzione di una specifica squadra della prima compagnia. Come caporale istruttore io dovevo in massima parte insegnare alle reclute a marciare, prima senza e poi con il fucile (e questo lo facevo con un notevole dispendio di voce), e poi ad assumere rettamente le posizioni di riposo e di attenti, prima senza e poi con il fucile in mano, durante lo schieramento. Questo in vista soprattutto del giuramento che avveniva dopo circa quattro settimane; evento questo a cui assistevano migliaia di persone (i parenti e amici delle reclute) e che avveniva nel piazzale della caserma tranne quando era solenne perché in questo caso aveva luogo allo stadio (per esempio il giuramento del mio scaglione fu solenne ed ebbe luogo allo stadio di Orvieto) alla presenza di alte autorità militari. Oltre a questo però dovevo pure insegnare alle reclute a sparare, e così quando poi la compagnia veniva portata al poligono (il luogo dove si compivano le sparatorie di esercitazione) io dovevo andare con tutti gli altri miei colleghi caporali e mettermi al fianco della recluta per assisterlo e controllarlo mentre sparava con il fucile contro le sagome. Un’altra cosa che come caporale istruttore dovevo fare era quella di montare come capoposto durante la guardia che durava ventiquattrore. La guardia in una caserma è obbligatoria per tutti i soldati (anche per quelli che lavorano in ufficio, in cucina, in magazzino, ecc.). Era il servizio più faticoso anche perché si dormiva ben poco durante la notte anche da capoposto e per altri motivi. Io come caporale montavo assieme ad un altro caporale semplice, ed assieme a noi c’era un caporale maggiore (un grado in più) che aveva delle mansioni diverse dalle nostre. Sopra il caporale maggiore c’era il tenente e sopra il tenente il capitano della guardia. Il compito di noi caporali semplici era quello di portare ogni due ore il cambio ad ogni guardia appostata al suo posto. Nella nostra caserma c’erano una decina circa di postazioni occupate da delle guardie, e ogni due ore io e il mio collega caporale ci alternavamo per fare il giro della caserma a portare le nuove guardie al loro posto. Durante la notte per alcune ore rimanevo solo a comandare le guardie per circa quattro ore, il tempo in cui il mio collega caporale dormiva (il tenente e il capitano dormivano regolarmente, il primo in caserma e il secondo solitamente andava a casa). Questi erano i miei compiti principali da adempiere come caporale istruttore (tralascio di parlare degli altri compiti perché ci vorrebbe troppo tempo a spiegarli).

Ora, è evidente che stando così le cose io ho dovuto stare notte e giorno a contatto con gente del mondo, ma non in un ambiente di civili ma di militari il che è molto diverso da un normale ambiente di lavoro. Come ho già detto io ho adempiuto il servizio militare da credente, ma l’ho fatto a malincuore; devo dire che non ero felice di fare il servizio militare, anche se pensavo che adempiendolo avrei adempiuto il mio dovere di cittadino italiano. L’unica cosa che mi faceva felice era il fatto che potevo evangelizzare tante persone. Sia quando ero recluta che quando poi divenni caporale istruttore annunciai l’Evangelo a tanti giovani. Evangelizzai la maggior parte dei giovani da caporale perché nella mia posizione mi trovavo in contatto quotidianamente con le mie reclute ma anche con tante altre di altre squadre che mi dovevano portare rispetto a motivo del mio grado. Ho annunciato l’Evangelo di giorno e di notte, in camerata e ai bagni; in caserma e fuori; di buon cuore e per forza. Sì, questo mi ha riempito di gioia, tante volte si radunavano attorno a me tante reclute per sentirmi parlare del Vangelo! Alcune volte facevo persino mettere sull’attenti le mie reclute per poi annunciargli l’Evangelo mentre si trovavano immobili! Nessuno pensi però che anche da caporale le mie reclute non mi abbiano deriso e oltraggiato a motivo della mia fede in Cristo. Io agli occhi loro ero strano sotto tutti i punti di vista; nessun altro caporale annunciava l’Evangelo in caserma. Ma a me non importava nulla; anzi ero felice di essere oltraggiato a motivo di Cristo. Comunque c’erano coloro che mi rispettavano e che gradivano spesso sentirmi parlare dell’amore di Cristo. Io la sera quando quasi tutti si precipitavano ad uscire fuori dalla caserma, mi mettevo sulla mia branda a leggere la Bibbia o ad ascoltare delle audio cassette di musica cristiana. Molte volte mi vedevano leggere la Bibbia quando uscivano e mi rivedevano a leggere la Bibbia quando rientravano. Non uscivo con i miei colleghi caporali perché non gradivo la loro compagnia; mi oltraggiavano per la mia fede, bestemmiavano e usavano un parlare oltremodo volgare e non volevo stare con loro. Bastava già il tempo che passavo in caserma con loro; la sera o la domenica che avevo del tempo libero dovevo cercare nuove forze per cui era indispensabile che io mi appartassi per leggere le Scritture e pregare. Non avevo tempo da spendere inutilmente con loro. I miei colleghi caporali mi hanno deriso e schernito in ogni maniera; ero un continuo oggetto di scherno per alcuni. Ma ripeto io ero felice di essere reputato degno di scherno da parte loro a motivo di Cristo. Quante volte ho pensato in quei giorni agli oltraggi che i Giudei lanciarono contro Gesù, o a quello che subirono gli apostoli!

Ma Dio fu con me; Egli mi rese fermo e mi fortificò affinché guerreggiassi la buona guerra senza paura di niente e di nessuno. In una particolare circostanza Dio mi riempì di coraggio per rispondere al mio capitano che non voleva che io annunciassi l’Evangelo nella sua compagnia. Era successo infatti che immediatamente dopo avere preso i gradi di caporale ero stato assegnato alla prima compagnia. Ma siccome che al capitano di questa compagnia era stato riferito che io predicavo l’Evangelo, il capitano, il giorno che io e altri miei due colleghi caporali appena promossi ci presentammo nel suo ufficio, dopo avere congedato i miei due colleghi volle parlarmi da solo. Egli mi intimò chiaramente che io non dovevo parlare del Vangelo nella sua compagnia, perché ciò non era da lui gradito. Al che io gli risposi che quello che lui mi diceva di fare (cioè di non annunciare l’Evangelo) era stato intimato anche agli apostoli, e che io gli rispondevo come risposero gli apostoli e cioè che dovevo ubbidire a Dio anziché agli uomini. Per cui gli dissi, che io gli avrei disubbidito per ubbidire a Dio. Quando sentì quelle parole non insistette e mi lasciò andare. La mia gioia fu grande perché Dio mi aveva dato la risposta giusta al momento giusto. E mantenni la parola.

Ho raccontato queste opposizioni ricevute per farvi capire come quando si evangelizza anche durante il servizio militare, non importa se si ha un grado, l’opposizione la si incontra lo stesso. Non può esser altrimenti; perché tutto il mondo giace nel maligno. Naturalmente non è l’opposizione che si riceve durante il servizio militare che deve scoraggiare il credente dal farlo; perché l’opposizione a motivo del Vangelo si riceve dovunque in questo mondo, non importa in che posto di lavoro ci troviamo o in che paese ci troviamo.

Vediamo dunque i motivi che devono spingere il giovane credente a rifiutare di fare il servizio di leva e ad andare in guerra in caso di chiamata alle armi.

Il servizio militare è una scuola di guerra; si impara a maneggiare le armi, ad usarle anche se solo contro sagome. E le armi di questo mondo non si addicono in mano a chi fa professione di fede in Cristo. Le armi infatti quando usate contro delle persone feriscono, uccidono, portano distruzione e lutto e noi non siamo chiamati a fare del male al nostro prossimo, neppure a chi si permettesse di invadere o attaccare la nostra nazione. E qui mi preme fare un discorso sul cosiddetto patriottismo nazionale sbandierato da tanti cristiani. Il patriota è chi con le armi in pugno si oppone al nemico invasore; egli rischia la vita per respingere un invasione o un attacco nemico.

Possiamo noi rischiare la nostra vita uccidendo e ferendo uomini di un’altra nazione per amore della nostra nazione, cioè per difendere i suoi confini e la sua popolazione? Non mi pare proprio; difatti Paolo dice che "l’amore non fa male alcuno al prossimo" (Rom. 13:10). Non importa se questo prossimo è un nostro amico o un nostro nemico, l’amore di Cristo che è in noi ci spinge a fargli solo del bene e mai del male.

Il nostro combattimento non è contro sangue e carne ma contro i principati, le potestà, i dominatori di questo mondo di tenebre e le forze spirituali della malvagità che si trovano nei luoghi celesti. E contro questi nostri nemici si devono usare delle armi spirituali (cfr. Ef. 6:10-20).

Sì, dunque all’uso delle armi ma a quelle che ci ha fornito Dio per combattere la buona guerra, ma non a quello delle armi fornite dallo Stato per combattere altri esseri umani.

Dunque il servizio militare dato che prepara ad offendere fisicamente le persone è da rigettare. Ora, io ho già detto di aver fatto il servizio militare e di avere usato le armi. E’ vero che a quel tempo io pensavo e dicevo che non ci fosse nulla di male nel compiere quel servizio armato, che le armi che si era chiamati a maneggiare non le usavamo per uccidere o ferire nessuno (e questo lo dicevo anche a taluni che mi facevano notare la contraddizione tra il mio messaggio d’amore che portavo loro e il servizio militare che svolgevo), rimane il fatto però che dentro di me quando si trattava di usare le armi avvertivo un turbamento. Questo è il motivo per cui odiavo insegnare a sparare o andare al poligono con le reclute. Perché il solo pensiero di mettermi a sparare creava in me un non piccolo disagio spirituale. A quel tempo io ribattevo ai Testimoni di Geova che incontravo che il servizio militare lo si fa in ubbidienza alle autorità come dice Paolo, per cui le armi si usano in quel periodo in ubbidienza alle autorità di questa nazione, per cui non c’era contraddizione in questo mio modo di agire. Ricordo che una volta nella mia compagnia, mentre mi preparavo a montare di guardia e avevo il fucile sulla mia branda, stavo evangelizzando due Testimoni di Geova che erano venuti in caserma alla chiamata ma si rifiutavano di indossare l’uniforme e quindi di fare il servizio militare. E ad un certo punto presi il mio fucile e glielo mostrai per fargli capire che non c’era nulla di male nell’imbracciarlo. Come dire insomma; ma perché avete così paura di prendere in mano un fucile? Dico tutto questo per farvi capire come io ragionavo in quel tempo, quantunque fossi un credente. Ma perché ragionavo in quella maniera? Perché nell’ambiente in cui ero cresciuto non si parlava di obiezione di coscienza al servizio militare; il servizio militare era visto come un qualcosa da fare per amore della patria, e in ubbidienza delle autorità. Ed ancora oggi questo è quello che viene insegnato o fatto capire nella maggior parte delle Chiese evangeliche. Giovane come ero dunque assimilai questo modo di considerare il servizio militare. D’altronde un neo convertito segue i consigli o gli esempi di coloro che sono più anziani di lui nella fede perché li ritiene maturi avendo nelle vie del Signore molta più esperienza di lui. Ma come ho potuto riscontrare personalmente nella mia vita "non quelli di lunga età son sapienti, né i vecchi sono quelli che comprendono il giusto" (Giob. 32:9); e questo non solo a riguardo del servizio militare. Non dico questo per giustificare in qualche modo il mio comportamento sbagliato, ma solo per far capire quanto influiscono su un giovane le convinzioni del proprio pastore o quelle dei propri genitori, anche nel caso esse siano contrarie all’insegnamento di Cristo. Certo è vero che non si può imporre con la forza ad un credente di non fare il servizio militare, ma si può e si deve ammaestrarlo in ogni sapienza avvertendolo dei pericoli che ci sono nel farlo e dei motivi per cui non si addice di farlo ad un figlio di Dio. Ma oggi questo ammaestramento e questo avvertimento non esiste nella maggior parte dei casi; chi rivolge un simile ammaestramento o un tale avvertimento ai giovani viene considerato una sorta di eretico, una sorta di fanatico che vive fuori dal mondo.

Devo dire che gli Avventisti almeno hanno il pregio che parlano del servizio militare in maniera tale da non incoraggiare i giovani a farlo (almeno in un servizio combattente), e difatti molti giovani Avventisti scelgono il Servizio Civile, ma in seno alle Chiese Evangeliche nella stragrande maggioranza dei casi non viene neppure fatto questo. Come se scoraggiare i giovani dal fare il servizio militare fosse un peccato. Magari i giovani vengono incoraggiati ad andare al mare a prendersi l’abbronzatura, a mettersi mezzi nudi, a guardare la televisione, ad avere rapporti carnali prematrimoniali, o a dire bugie in certi casi, ma non vengono affatto incoraggiati a scegliere il Servizio Civile al posto di quello militare. E di contraddizioni simili ce ne sono un’enormità. Che volete? Oggi, l’obiezione di coscienza radicale è fortemente scoraggiata perché i figliuoli di Dio devono essere dei cittadini leali, dei patrioti! Sì e poi proprio questi cittadini leali ed esemplari sono sleali e di cattivo esempio rispetto al Vangelo; sono dei tiepidi.

Ho incontrato dei credenti che sono pronti a impugnare le armi per difendere la propria nazione, ma che non sono pronti a difendere il Vangelo dagli attacchi dei cianciatori e degli impostori che scorrazzano in mezzo alle chiese. Sono pronti a levarsi contro gli abitanti di un’altra nazione e a dare la propria vita per un ideale umano, ma non sono affatto disposti a levarsi in favore della verità a costo di essere derisi o di morire per essa. Che contraddizione! Essi non hanno vergogna di impugnare le armi carnali contro i nemici di un’altra nazione terrena, ma hanno vergogna a combattere per l’Evangelo contro i tanti suoi nemici per turargli la bocca a costo della vita. Ecco a quale vergognoso spettacolo si assiste in mezzo al popolo di Dio oggi.

Sappiano però tutti i contenziosi che, come disse Gesù, coloro che prendono la spada periscono pure per la spada (cfr. Matt. 26:52) (si ricordino a questo proposito come il riformatore Zwingli trovò la morte proprio durante una battaglia contro i suoi nemici, i cattolici romani); ma coloro che prenderanno la spada dello Spirito per distruggere i vani ragionamenti e le altezze che si elevano contro la conoscenza di Dio saranno onorati da Dio e non subiranno nessuna sconfitta e quand’anche fossero messi a morte per avere difeso il Vangelo troveranno la loro vita.

Fino ad ora ho parlato dell’entrare nell’esercito come militare di leva in tempo di pace, ma nel caso della chiamata alle armi in tempo di guerra come ci si deve comportare? Ritengo che la risposta sia implicita nel discorso appena fatto; il credente si deve rifiutare di andare in guerra ad uccidere altri suoi consimili. E qui vorrei fare una precisazione; non importa se si tratterà di partire per andare a uccidere i soldati di un’altra nazione che ha attaccato la nostra nazione o si tratterà di partire per andare in guerra contro la popolazione di una nazione che non ha affatto attaccato la nostra (come per esempio nel caso di Hitler che mandò l’esercito tedesco contro nazioni che non avevano minimamente aggredito la nazione tedesca; o come nel caso di Mussolini che mandò l’esercito italiano a colonizzare parte dell’Africa senza che quelle popolazioni avessero aggredito la nazione Italia), il credente deve rifiutare di entrare nell’esercito per andare ad ammazzare dei suoi consimili. Nell’esercito egli non ci deve entrare neppure da non combattente per non rendersi partecipi dei suoi crimini. Infatti è male anche collaborare con coloro che hanno le armi in mano per ammazzare le persone e portare distruzione. Quale punizione lo aspetta? Solitamente la fucilazione e quindi la perdita della vita.

Voglio a tale proposito trascrivere alcuni passi di alcune lettere scritte tra il 1942 e il 1943 da un giovane credente di nome Antonio, alla sua giovane fidanzata e a sua mamma, prima di essere fucilato dai nazisti per essersi rifiutato di partecipare alla guerra. Alla sua fidanzata, Antonio scriveva: ‘Mio caro tesoro… Vorrei darti notizie migliori e il mio cuore desidera dirti parole affettuose… Ma noi dobbiamo mettere il nostro futuro nelle mani di Dio e accettare quanto lui disporrà… Quando riceverai queste righe, non sarò più tra i viventi… Sì, per me non esisteva nessun’altra via… Se non si avvererà la nostra speranza di essere uniti qui abbiamo però la più magnifica certezza di rivederci presso il Signore e di non essere separati mai più… Voglio ringraziare il Signore con tutto il cuore per la sua grande bontà, per la sua grazia e misericordia; come mi ha aiutato col suo amore fin qui, sono certo che mi darà la forza necessaria per l’ultimo grave passo… Avremmo potuto sposarci … Ma sarebbe stata una felicità amara, non donata da Dio, senza la vera benedizione e la pace del Signore … Una felicità senza valore … Perciò dobbiamo attendere finché il Signore ci unirà per sempre … Addio, mio tesoro, rimani consolata e allegra. Ti bacia con profondo affetto il tuo Antonio’ (Citato da Rolando Rizzo, op. cit., pag. 11-12). In una lettera scritta alla madre il giorno stesso che sarebbe stato fucilato scrisse: ‘Mia cara e amatissima madre, ti prego di non disperarti quando riceverai questi miei ultimi saluti di addio. Sii forte e confortata … I tuoi sforzi circa la domanda di grazia saranno inutili, perché anche se avessero successo, sarebbe troppo tardi, essendo oggi il mio ultimo giorno … Ah, cara mamma! Quanto volentieri avrei voluto risparmiarti questo tremendo e profondo dolore, ma non posso agire diversamente: devo rimanere fedele alla mia coscienza…’, ed alla fidanzata: ‘Mia tanto amata Ester, mio caro tesoro, quanto volentieri avrei voluto rivedere ancora una volta il tuo caro viso … Nella Bibbia, tra le ultime pagine, si trova la tua immagine e quella della mia cara mamma. Ho voluto così avervi sempre accanto a me … Caro tesoro, so che sarai colpita duramente … Oh, quanto volentieri avrei vissuto ancora … Ma per me non esisteva altra via, perché è impossibile, secondo la mia convinzione di fede, rendermi partecipe alla guerra … Spero di non avere vissuto invano. Il tuo Antonio che ti ama profondamente sino alla fine. Addio, mio tesoro, arrivederci’ (citato da ibid., pag. 12).

Queste commoventi parole fanno capire chiaramente come alcuni credenti sono disposti a perdere la propria vita pur di non partecipare alla guerra.

Anche nella recente guerra svoltasi nell’ex Iugoslavia abbiamo sentito che ci sono stati dei giovani credenti che per essersi rifiutati di andare in guerra sono stati fucilati.

Che sia questo il nostro sentimento, fratelli. Che Dio ci dia la forza nel caso fossimo chiamati alla guerra, di rifiutare di arruolarci anche a costo della vita.

L’uso della forza diretta e indiretta contro i propri nemici. Le autorità che esistono sono ordinate da Dio, e tra queste autorità ci sono pure coloro che svolgono le loro funzioni anche armate nella polizia, nei carabinieri, nella guardia di finanza, ecc. Non solo i magistrati dunque sono ministri di Dio, ma anche i membri di questi corpi armati. Perché l’esistenza di tutte queste autorità è necessaria in una nazione? Per mantenere l’ordine, per evitare che regni l’anarchia, per evitare che ognuno faccia quello che gli pare e piace a danno dei più deboli. Dunque, questi corpi armati, come pure i magistrati sono di spavento alle opere malvagie. I malfattori al solo pensiero di doversi imbattere in un poliziotto, o in un carabiniere sono presi dalla paura; al solo sentire la sirena della loro macchina, anche se in quel momento essi non stanno compiendo qualche delitto, sono presi dalla paura. Dopo avere commesso il delitto sono presi dalla paura di essere arrestati, processati e gettati giustamente in prigione ad espiare le loro colpe. Non c’è che dire, le armi in mano ai poliziotti o ai carabinieri, mettono paura al malfattore perché egli sa che l’autorità ha il diritto e il dovere di usarle contro di lui nel caso il loro uso sia necessario e se lui malfattore rimane ucciso l’autorità avrà le mani ‘pulite’ mentre lui passerà per colui che aveva torto perché si è opposto all’autorità con le armi in pugno. Nel caso invece per le sue mani rimanesse ucciso un poliziotto o un carabiniere il malfattore si renderebbe colpevole di resistenza armata allo Stato e di attentato allo Stato.

Certo, qui non stiamo dicendo che le autorità siano irreprensibili, che tutto funzioni al meglio nel loro mezzo, perché sappiamo che non è così. Di casi in cui vengono scoperti poliziotti o carabinieri amici di malfattori, o in cui vengono scoperti dei giudici corrotti che a pagamento hanno assolto i malfattori o di magistrati che per denaro insabbiano delle inchieste ce ne sono: però occorre dire che tutti questi scandali non annullano minimamente la necessità delle autorità in una nazione. E’ vero che le autorità usano la violenza (bastonate, pistolettate, ecc.) talvolta per far rispettare la legge (in altre parole rendono male per male), ma d’altronde come potrebbe il malvagio imparare a rispettare la legge se non venisse percosso fisicamente, o come potrebbe arrendersi se non avesse la paura di rimanere ferito o ucciso per mezzo delle pistole? E’ vero che i malvagi quando vengono giudicati colpevoli vengono puniti con la prigione (o con pene pecuniarie in certi casi); ma anche questo è necessario innanzi tutto per infondere nel condannato il rispetto della legge dello Stato (colla speranza che una volta espiata o mentre espia la pena detentiva decida di smettere di fare il male) e poi per servire d’esempio a coloro che vorrebbero seguire o già seguono le orme dei malfattori, affinché sappiano a cosa vanno incontro nel caso si mettessero a compiere quei delitti o a cosa andranno incontro se verranno arrestati. Ora, siccome che in una nazione di gente che cerca il male altrui in svariate maniere non ne mancano, e siccome che in ogni nazione esistono dei cristiani, è evidente che dal servizio armato che compiono le autorità il cristiano ne riceve benefici anche se lui non li chiama in suo soccorso. Facciamo alcuni esempi. Se un credente si trova circondato da alcuni ladri, e all’improvviso costoro vedono avvicinarsi una pattuglia della polizia, essi presi dalla paura lasceranno di molestare il credente. Se il credente cammina di notte per una strada dove sono presenti dei poliziotti o dei carabinieri, di certo si sentirà protetto dalla loro presenza e se in quella strada è presente un ladro questi si sentirà impedito di aggredirlo. A proposito di questo esempio non è a caso che in diverse circostanze Dio per impedire a dei malfattori di aggredire dei suoi figliuoli o delle sue figliuole che si trovavano in posti isolati da soli, per cui esposti al pericolo, ha mandato degli angeli che sono apparsi ai malfattori vestiti da uomini armati. Le armi dunque mettono paura ai malfattori; al giusto no, ma al malvagio sì. Per fare ora un esempio biblico di come le autorità armate possano essere di aiuto persino a dei credenti salvandoli da dei seri pericoli, citerò quello che accadde a Paolo a Gerusalemme. Era accaduto che Paolo al ritorno dal suo terzo viaggio missionario era stato pregato da Giacomo e da altri fratelli di compiere alcuni riti giudaici per dimostrare alle migliaia di Giudei che avevano creduto in Cristo che lui si comportava da osservatore della legge. Luca dice che: "Allora Paolo, il giorno seguente, prese seco quegli uomini, e dopo essersi con loro purificato, entrò nel tempio, annunziando di voler compiere i giorni della purificazione, fino alla presentazione dell’offerta per ciascun di loro. Or come i sette giorni eran presso che compiuti, i Giudei dell’Asia, vedutolo nel tempio, sollevarono tutta la moltitudine, e gli misero le mani addosso, gridando: Uomini Israeliti, venite al soccorso; questo è l’uomo che va predicando a tutti e da per tutto contro il popolo, contro la legge, e contro questo luogo; e oltre a ciò, ha menato anche de’ Greci nel tempio, e ha profanato questo santo luogo. Infatti, aveano veduto prima Trofimo d’Efeso in città con Paolo, e pensavano ch’egli l’avesse menato nel tempio. Tutta la città fu commossa, e si fece un concorso di popolo; e preso Paolo, lo trassero fuori del tempio; e subito le porte furon serrate. Or com’essi cercavano d’ucciderlo, arrivò su al tribuno della coorte la voce che tutta Gerusalemme era sossopra. Ed egli immediatamente prese con sé de’ soldati e de’ centurioni, e corse giù ai Giudei, i quali, veduto il tribuno e i soldati, cessarono di batter Paolo. Allora il tribuno, accostatosi, lo prese, e comandò che fosse legato con due catene; poi domandò chi egli fosse, e che cosa avesse fatto. E nella folla gli uni gridavano una cosa, e gli altri un’altra; onde, non potendo saper nulla di certo a cagion del tumulto, comandò ch’egli fosse menato nella fortezza. Quando Paolo arrivò alla gradinata dovette, per la violenza della folla, esser portato dai soldati, perché il popolo in gran folla lo seguiva, gridando: Toglilo di mezzo!" (Atti 21:26-36). Notate che quei Giudei stavano per uccidere Paolo, ma alla vista del tribuno, dei centurioni e dei soldati smisero di percuoterlo e dunque l’apostolo evitò di essere ucciso in quell’occasione. Non che Paolo avrebbe perduto alcunché dalla sua morte, perché per lui la morte era guadagno; ma certo la sua vita non ebbe termine in quell’occasione. Dio si usò di persone armate per liberare il suo servo Paolo dalle mani di quegli omicidi.

Abbiamo visto dunque come sia la polizia, i carabinieri, ecc., siano necessari in una nazione, necessari per vivere una vita tranquilla e quieta. Questo è un dato di fatto; disconoscere quanto appena detto significherebbe chiudersi gli occhi davanti alla realtà e turarsi gli orecchi per non sentire la Parola di Dio. Per amore della verità dobbiamo quindi dire che Dio si usa delle forze dell’ordine come la polizia e i carabinieri, per mantenere una tranquillità relativa in una nazione spaventando i malfattori ed evitando che questi abbiano a regnare incontrastati in questa nostra società. In effetti se con la polizia e i carabinieri, la guardia di finanza, ecc., i malvagi sono frenati ma non impediti del tutto di agire malvagiamente contro il prossimo, che succederebbe se non ci fossero? Non potremmo neppure uscire per strada senza rischiare di essere percossi o derubati ad ogni angolo di strada. In altre parole saremmo tutti in balia dei predoni e degli assassini, dei sodomiti ecc. Le cose sarebbero molto peggio di quanto siano adesso. Grazie a Dio dunque per queste autorità che esistono in questa nazione perché per mezzo di esse noi possiamo godere una vita tranquilla e quieta e godiamo una certa protezione per mezzo di esse. Non bisogna però pensare che le autorità armate stabilite da Dio servano solo a salvare da morte qualcuno dei servi di Dio, perché ci sono casi in cui esse servono per mettere a morte dei servi di Dio, sempre per volere di Dio naturalmente. L’esempio biblico che attesta ciò in maniera inequivocabile è quello della morte di Gesù che noi sappiamo fu necessaria affinché noi fossimo salvati dai nostri peccati perché lui doveva morire per i nostri peccati. Ora, chi uccise il Signore Gesù? La Scrittura dice che furono i Giudei, però essi non furono gli esecutori materiali bensì coloro che decretarono la sua morte e lo dettero in mano ai Gentili affinché lo crocifiggessero. Gli esecutori materiali furono i Gentili. Pilato, governatore della Giudea, quando vide che non riusciva a persuadere le turbe che Gesù era innocente, "sentenziò che fosse fatto quello che domandavano. E liberò colui che era stato messo in prigione per sedizione ed omicidio, e che essi aveano richiesto; ma abbandonò Gesù alla loro volontà" (Luca 23:24-25). I soldati romani poi condottolo al luogo del supplizio lo crocifissero, e mentre lui era appeso alla croce un soldato gli forò con una lancia il costato. Nella storia della chiesa di Dio ce ne sono molti di esempi di autorità armate mosse da Dio contro il suo popolo per perseguitarlo anche a morte (al fine di purificarlo, perché Dio ama il suo popolo). Niente di cui meravigliarsi sapendo che i Giudei e i Gentili si adunarono contro l’Unto di Dio per il determinato consiglio di Dio per fare tutte le cose da lui decretate innanzi (cfr. Atti 4:27-28). Naturalmente anche nel caso delle persecuzioni a morte subite dai discepoli di Cristo per decreto divino, da esse ne è scaturito del bene. Perché Dio ha sempre convertito il male ordito contro i suoi servi in bene. In altre parole quand’anche le autorità con le loro armi colpirebbero ingiustamente il popolo di Dio infliggendogli delle dure sofferenze e finanche la morte a taluni, Dio convertirà tutte quelle ingiustizie in bene. L’esempio dei nostri antichi fratelli di Gerusalemme e della Giudea, e poi quello dei nostri fratelli perseguitati a morte dagli imperatori romani, ed ancora quello dei nostri fratelli perseguitati e messi a morte dal tribunale dell’inquisizione alcuni secoli fa in Europa, ed infine quello di tutti quei nostri fratelli che in tempi recenti hanno dovuto patire carcere, percosse, e finanche la morte in alcune nazioni di questo mondo, ce lo dimostrano chiaramente. La chiesa sotto i colpi della persecuzione si è sempre fortificata e stretta intorno a Cristo, ed ha moltiplicato.

Dopo avere fatto questa doverosa premessa passiamo a parlare di quale deve essere la nostra reazione nei confronti dei nostri nemici quando siamo da essi calunniati, perseguitati e malmenati. Noi discepoli di Cristo abbiamo molti nemici, siamo circondati da nemici. Viviamo infatti in un mondo fortemente ostile al Vangelo e a coloro che lo proclamano e lo mettono in pratica; questa ostilità è dovuta al fatto che il mondo intero giace nel maligno che è padre della menzogna e omicida. Questo essere malvagio odia sia la verità che noi che l’abbiamo conosciuta. (E non solo coloro che hanno conosciuto la verità, cioè noi; ma anche coloro che giacciono nelle tenebre, sotto la sua potestà, cioè i suoi figliuoli). Questo odio del mondo verso noi che si manifesta nella persecuzione fu predetto da Gesù in svariate maniere. Egli disse infatti che se hanno perseguitato lui perseguiteranno anche noi, che saremmo stati odiati da tutte le genti a cagione del suo nome, che saremmo stati gettati in tribolazione e ci avrebbero uccisi. Egli ha detto che i nemici di un suo discepolo saranno quelli stessi di casa sua, perché lui non è venuto a mettere pace sulla terra ma divisione e spada. Anzi ha detto che questa inimicizia in alcuni casi sarebbe sfociata nella morte dei suoi discepoli. Ascoltate quello che ebbe a dire il Signore Gesù: "E il fratello darà il fratello alla morte, e il padre il figliuolo; e i figliuoli si leveranno contro i genitori e li faranno morire" (Mar. 13:12). Quando dunque veniamo odiati e perseguitati dalla gente di questo mondo non ci dobbiamo meravigliare, quasi che ci avvenisse qualcosa di strano. Non ci avviene proprio niente di strano ma solamente quello che il Signore disse ci sarebbe accaduto a motivo del suo nome. Coloro che invece si meravigliano a motivo delle persecuzioni e delle tribolazioni che patiscono a motivo della Parola finiscono con lo scandalizzarsi e tirarsi indietro a loro perdizione. Dunque, quando la gente del mondo ci oltraggia mentendo contro di noi, quando ci deride a motivo del Vangelo o ci percuote o ci fa torti di ogni genere, o ci caccia via da un paese o da una nazione perché ritenuti persone non gradite, una sorta di spazzatura vivente, o quando ci mette in prigione come se avessimo fatto l’opera dei malfattori a motivo del Vangelo, o quando alcuni di noi vengono messi a morte a motivo del Vangelo, noi non dobbiamo né meravigliarci e né scandalizzarci, perché Gesù lo ha detto quello che ci sarebbe avvenuto a motivo del suo nome. E qui vorrei che notaste che tutto il male che ci piomba o ci potrebbe piombare addosso da un momento all’altro è il frutto dell’odio che gli uomini nutrono verso il nome di Gesù. E’ a cagione del nome di Cristo che è invocato su di noi, che noi invochiamo e che noi amiamo, che veniamo odiati. Gesù lo ha detto chiaramente: "Sarete odiati da tutti a cagion del mio nome" (Luca 21:17). Eppure il nome di Gesù è un nome buono, non solo ha un significato eccellente infatti significa ‘Yahweh salva’ ma ha anche un effetto glorioso nella vita di coloro che credono in esso infatti per mezzo della fede in questo nome si ottiene la remissione dei peccati, la vita eterna. Eppure questo nome glorioso che è al di sopra di ogni altro nome, questo nome che è il solo nome dato agli uomini per il quale noi abbiamo ad essere salvati, è odiato dagli uomini che sono sotto la potestà del diavolo. E per uomini sotto la potestà del diavolo non occorre solo intendere i maghi, gli omicidi, gli adulteri, gli ubriachi, ma anche tutti coloro che appaiono o si definiscono cristiani ma nella realtà sono ancora morti nei loro falli e nelle loro trasgressioni. Per cui tra costoro ci sono anche molti sedicenti cristiani. Basta considerare quello che fece il famigerato tribunale dell’Inquisizione istituito dalla chiesa cattolica romana, che si definisce la sola ed unica vera chiesa, contro tanti nostri fratelli, per capire come l’odio talvolta proviene anche da uomini che hanno fama di essere cristiani. "Chi non ama rimane nella morte" (1 Giov. 3:14), dice Giovanni. Dunque nessuno si lasci ingannare dall’apparenza perché chi odia è dal diavolo come lo era Caino che uccise il suo fratello.

Ora, come ho già detto, questo odio del mondo si manifesta in svariate maniere verso di noi. E’ un odio ingiusto, senza ragione, perché noi non cerchiamo il male delle persone; se cercassimo il loro male allora sarebbe comprensibile questo odio, ma dato che cerchiamo solo il loro bene questo odio non ha ragion d’essere se non per il fatto che questa gente chiama male il bene che noi vogliamo per loro, e bene il male che essi fanno a loro stessi (divertimenti, piaceri, ecc.). In altre parole, se noi fossimo gente che ammazza le persone per sacrificarle a Dio, se noi compissimo riti che sono contrari al buon costume, se noi ci approfittassimo della gente per sedurla e estorcergli del denaro, se praticassimo l’usura, se facessimo queste cose, dico, allora l’odio della gente sarebbe comprensibile ma allora in questo caso noi soffriremmo facendo il male e non il bene, per cui non ne avremmo nessuna grazia e nessun vanto. Dice Pietro infatti: "Che vanto c’è se, peccando ed essendo malmenati, voi sopportate pazientemente?" (1 Piet. 2:20). Ma dato che l’odio che gli uomini hanno verso di noi dipende dal fatto che le loro menti sono accecate dal diavolo che riesce a fargli vedere in noi della gente molto pericolosa e dannosa alla società, il loro odio è ingiusto per cui anche le persecuzioni che noi subiamo sono ingiuste. Furono forse giuste le persecuzioni che subì Gesù Cristo? No, perché lui fece solo del bene e disse solo la verità alle persone. Eppure lo accusarono di bestemmia, di essere un mangiatore e un ubriacone un amico dei pubblicani e dei peccatori, di dire alla gente di non pagare i tributi a Cesare e di avere il diavolo in corpo! Se hanno detto tutte queste cose false contro il Giusto, il Padron di casa, non diranno altrettanto cose false contro i giusti che sono i membri di casa sua? E non solo Gesù fu accusato ingiustamente ma fu anche arrestato e condannato a morte ingiustamente. I capi sacerdoti lo mandarono ad arrestare mentre si trovava nel Getsemani, gli mandarono contro una turba con bastoni e spade come se dovessero andare ad arrestare un ladrone nascosto in una spelonca. Poi lo menarono davanti al Sinedrio che sentenziò contro di lui la pena di morte perché lui disse di essere il Figlio di Dio. Per loro Gesù aveva bestemmiato e la legge di Mosè prevedeva la morte per i bestemmiatori. Ma siccome che non volevano ucciderlo con le loro mani lo diedero in mano al Governatore romano il quale per far piacere al popolo sentenziò che Gesù fosse crocifisso. Ma prima di essere crocifisso Gesù fu schernito, percosso, sputato, e flagellato. Ma gli scherni proseguirono anche dopo che fu crocifisso infatti mentre Gesù si trovava appeso al legno molti lo ingiuriarono e si fecero beffe di lui. Ora, queste sono le ingiurie, le persecuzioni e le violenze che subì Gesù; ma come reagì Gesù ad esse? Usò la sua forza forse per far valere dei suoi diritti? O forse ricorse alla forza dello Stato di allora per difendersi? Da quello che ci dice la Parola di Dio egli non ricorse a nessun tipo di forza contro i suoi nemici per salvare la propria vita. Nel Getsemani quando Pietro vide quello che era successo, cioè che Gesù era stato preso, sfoderò la spada per percuotere il servo del sommo sacerdote e gli spiccò l’orecchio destro. Ma Gesù lo rimproverò infatti gli disse di rimettere la spada al suo posto perché quelli che prendono la spada periscono per la spada. E poi gli fece intender che se lui avesse cercato di essere liberato dall’avvenuto arresto, facendosi mandare dal Padre in quell’istante più di dodici legioni di angeli, le Scritture che dicevano che le cose dovevano andare così non si sarebbero potute adempiere. Era giunta l’ora dei suoi nemici e la potestà delle tenebre. Gesù dunque diede l’esempio di cosa significa non contrastare il malvagio. Lo aveva predicato, ma in quel giardino diede un eloquente esempio pratico. Alcuni dicono che le parole che Gesù disse a Pietro non intendono stabilire una norma valida per ogni situazione perché noi non siamo chiamati ad essere Cristo e a viverne il suo ruolo. Per cui il cristiano, che è membro dello Stato, che non ha la stessa missione espiatoria del Cristo, non può essere biasimato se in casi estremi usa la forza per impedire la violenza su se stesso o sugli altri. Ma questo discorso è un abile sofisma escogitato per annullare il puro pacifismo predicato e praticato da Gesù sulla terra. Sì è vero che il ruolo di Cristo è unico e noi non siamo chiamati ad offrire noi stessi per i peccati altrui; su questo siamo d’accordo. Ma di certo non è vero che l’esempio di Gesù non vale per ogni cristiano in ogni tempo e luogo. Pietro dice infatti che Cristo ha patito per noi lasciandoci un esempio onde seguiamo le sue orme e spiega in che cosa consiste questo esempio dicendo che lui "oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; che, soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva nelle mani di Colui che giudica giustamente" (1 Piet. 2:23). Certo, queste parole Pietro le rivolse ai cristiani che erano a quel tempo schiavi. Difatti poco prima di dire: "Poiché anche Cristo ha patito per voi, lasciandovi un esempio, onde seguiate le sue orme…" (1 Piet. 2:21), egli dice: "Domestici, siate con ogni timore soggetti ai vostri padroni; non solo ai buoni e moderati, ma anche a quelli che son difficili. Poiché questo è accettevole: se alcuno, per motivo di coscienza davanti a Dio, sopporta afflizioni, patendo ingiustamente. Infatti, che vanto c’è se, peccando ed essendo malmenati, voi sopportate pazientemente? Ma se facendo il bene, eppur patendo, voi sopportate pazientemente, questa è cosa grata a Dio. Perché a questo siete stati chiamati…" (1 Piet. 2:18-21). Ma che significa questo? Che queste norme comportamentali non sono applicabili a chi patisce a motivo del Vangelo da parte dei suoi concittadini o da parte di autorità difficili? Affatto; tanto è vero che lo stesso esempio lasciato da Cristo sul comportamento da tenere quando si ricevono delle persecuzioni non è un esempio di qualcuno che era un servo sottoposto ad un padrone difficile. E’ l’esempio di un ‘leale cittadino’ di uno Stato di allora che fu perseguitato dai suoi concittadini e dalle autorità di allora. Dunque le parole di Pietro, anche se in quel contesto epistolare sono rivolte a degli schiavi, sono rivolte a tutti i cristiani in ogni luogo, non importa in che ruolo sociale si trovano. L’esempio di Gesù dunque ci insegna che a violenza non dobbiamo rispondere con violenza, a torti non dobbiamo rispondere con torti, a male non dobbiamo rispondere con male.

Forse qualcuno dirà che ciò è impossibile in questa società moderna. Noi non siamo di questo avviso perché se fosse così la Scrittura ci direbbe di fare qualche cosa di impossibile. Con questo però non vogliamo dire che ciò sia facile perché tenere questo atteggiamento non fa parte della nostra natura umana dato che per natura noi siamo portati a reagire malamente quando subiamo dei torti; ma con la grazia di Dio che è con noi possiamo farcela.

E con il nostro discorso non vogliamo dire neppure che noi non siamo assetati di giustizia; come potremmo non essere assetati di giustizia quando Cristo ha dichiarato beati gli affamati e assetati di giustizia perché saranno saziati? Noi ci rimettiamo nelle mani di Colui che giudica giustamente, la nostra causa sta davanti a lui; e lui ci farà giustizia nei tempi e nei modi da lui stabiliti. Chi fa torto riceverà la retribuzione del torto che avrà fatto, dice Paolo; questo è qualcosa che noi dobbiamo sempre tenere presente quando riceviamo dei torti di qualsiasi genere sia da parte di altri credenti che nel loro orgoglio non si pentono e persistono nel farci del male, e sia nel caso di non credenti che non conoscono Dio. Il nostro Dio è l’Iddio delle retribuzioni e non manca di rendere a ciascuno ciò che è dovuto; noi sopportiamo pazientemente i torti e le violenze, lasciando a Lui di farci giustizia e la farà.

Voglio raccontare ora un fatto accadutomi mentre svolgevo proprio il militare per confermarvi quanto vi ho appena detto. Una notte d’estate (era il periodo in cui il capitano della mia compagnia aveva preso dei giorni liberi per cui non era in caserma), a mia insaputa, alcuni miei colleghi caporali decisero di farmi un dispetto; a loro non piacevo affatto a motivo della mia fede. Mentre dormivo mi fu lanciato un secchio d’acqua addosso. Mi svegliai all’improvviso tutto bagnato, in mezzo ad un materasso tutto bagnato. Quando mi svegliai riuscii a sentire solo i passi di almeno due uomini che correvano per non farsi vedere. Non avevo dunque visto chi era stato a farmi quel cattivo scherzo, che vi assicuro in piena notte è una delle cose più spiacevoli che possano accadere ad una persona. Mi alzai dal letto piuttosto arrabbiato, in mezzo al silenzio della notte; non mi misi a gridare, ma in silenzio andai ad asciugarmi e a cambiarmi e poi andai a ricoricarmi in un’altra branda che era vuota. Prima di andare a letto però chiesi a Dio di mostrarmi chi era stato a lanciarmi il secchio. Mi fu mostrato in quella notte in sogno uno dei miei colleghi caporali, a cui avevo già parlato del Vangelo, il quale con uno spazzolone asciugava l’acqua nei pressi della mia branda. Quando mi svegliai la mattina sapevo con certezza chi era stato. Ma non è che io mi vendicai in qualche maniera; non volli neppure fare le mie rimostranze al sostituto del capitano o ad un altro superiore in grado di punire il colpevole. Sì perché questi atti sotto il militare sono punibili. Rimisi ogni cosa nelle mani di Dio. Dopo qualche giorno, dopo che ero uscito dalla mensa, incontrai proprio questo collega che avevo visto in sogno zoppicare tanto, faceva veramente fatica a camminare; pareva uno zoppo. Mi avvicinai a lui e gli chiesi cosa gli fosse accaduto. Mi rispose che mentre si trovava in bagno (mentre giocava con altri caporali con l’acqua) era caduto rovinosamente battendo il ginocchio e rimanendo contuso. Gli misi la mano sulla spalla e gli dissi: ‘Ringrazia Dio che non ti sei rotto la testa’! Quando fui in disparte da solo riflettendo sull’accaduto riconobbi che Dio mi aveva fatto giustizia. A Lui sia la gloria in eterno. Amen.

Dunque fratelli non ricorriamo alla forza nostra o di qualcun altro per difenderci o farci giustizia, lasciamo che sia Dio a farci giustizia. Ricordatevi che chi scava una fossa vi cadrà dentro, e che la pietra torna addosso a chi la rotola.

Abbiate piena fiducia nella giustizia divina; ci sono alcuni che hanno piena fiducia nella giustizia umana e noi sappiamo che i magistrati sono persone fallibili, non dovremmo noi avere molto più fiducia nella giustizia del giudice di tutta la terra a cui nulla sfugge di quello che viene fatto o detto sotto il sole?

Risposte alle obiezioni più frequenti fatte da coloro che non sostengono un totale rifiuto da parte del cristiano dell’uso della forza sia per difendere se stessi che gli altri

1) La legge di Mosè non prevedeva l’odio verso i propri nemici ma l’amore verso di essi; sì essa permetteva l’uso della forza contro i nemici ma solamente in difesa di se stessi e dei deboli. Siccome quindi che Cristo non ha abolito la legge, Egli non è venuto a portare una presunta nuova legge dell’amore che escluda totalmente l’uso della forza contro i nostri nemici.

Per sostenere queste cose occorrerebbe dimostrare innanzi tutto che la legge di Mosè non prevedeva l’odio verso i nemici (per cui Cristo quando disse che fu detto odia il tuo nemico non si riferì alla legge ma a un detto popolare), e in secondo luogo che Cristo durante la sua vita fece uso della forza per difendersi quando la sua vita fu in pericolo o per punire i malfattori come prevedeva la legge di Mosè. E’ possibile fare ciò? Assolutamente no. Cominciamo dalla legge di Mosè. Viene detto che la legge di Mosè non prevedeva l’odio verso i propri nemici ma l’amore operante verso di essi, per cui Cristo non ha portato sostanzialmente una nuova legge. Ora, domandiamo, un familiare credente che all’improvviso si svia dalla fede e dalla verità per andare dietro agl’idoli muti e ci incita ad abbandonare la via santa è un nemico? Ritengo di sì, non vi pare? Bene, ecco cosa ordina la legge di Mosè di fare a questo nostro familiare: "Se il tuo fratello, figliuolo di tua madre, o il tuo figliuolo o la tua figliuola o la moglie che riposa sul tuo seno o l’amico che ti è come un altro te stesso t’inciterà in segreto, dicendo: ‘Andiamo, serviamo ad altri dèi’: dèi che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuti, dèi de’ popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani, da una estremità all’altra della terra, tu non acconsentire, non gli dar retta; l’occhio tuo non abbia pietà per lui; non lo risparmiare, non lo ricettare; anzi uccidilo senz’altro; la tua mano sia la prima a levarsi su lui, per metterlo a morte; poi venga la mano di tutto il popolo; lapidalo, e muoia, perché ha cercato di spingerti lungi dall’Eterno, dall’Iddio tuo, che ti trasse dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. E tutto Israele l’udrà e temerà e non commetterà più nel mezzo di te una simile azione malvagia" (Deut. 13:6-11). Ora, diciamo noi, se Dio ha comandato nella legge non solo di non dare retta all’incitamento del familiare sviato, ma di levarsi contro di esso per prima e di ucciderlo, di non avere nessuna pietà verso di esso, come si può dire che la legge non ha detto di odiare il proprio nemico? O forse si può dimostrare che l’atto di levarsi contro il proprio familiare sviato e di ucciderlo sia una prova di amore verso di lui? Dunque quando Gesù ha detto voi avete udito che fu detto "odia il tuo nemico" si riferiva alla legge, tanto è vero che Davide diceva a Dio basandosi sulla legge di Mosè: "O Eterno, non odio io quelli che t’odiano? E non aborro io quelli che si levano contro di te? Io li odio di un odio perfetto; li tengo per miei nemici" (Sal. 139:21-22). Ecco perché Davide pregava per la morte dei suoi nemici dicendo: "Li colga una ruina improvvisa. Spandi l’ira tua su loro. Sian ridotti al silenzio nel soggiorno de’ morti" (Sal. 35:8; 69:24; 31:17). Ma veniamo a noi che ora siamo sotto la grazia. Come ci dobbiamo comportare in quella eventualità prospettata dalla legge, cioè nel caso un nostro fratello, un nostro figlio o nostra moglie lasci la via di Dio per andare dietro agli idoli (quelli della chiesa cattolica romana per esempio) e ci incita a fare lo stesso? La Parola di Dio ci comanda di non fare loro alcun male. Per esempio Paolo dice a Timoteo sul comportamento che deve tenere il servitore di Dio nei confronti di chi si è sviato dalla verità (nella speranza che Dio gli dia il ravvedimento): "Or il servitore del Signore non deve contendere, ma dev’essere mite inverso tutti, atto ad insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli che contraddicono, se mai avvenga che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità; in guisa che, tornati in sé, escano dal laccio del diavolo, che li avea presi prigionieri perché facessero la sua volontà" (2 Tim. 2:24-26). E Giacomo a proposito di chi si svia dalla verità lascia intendere che egli può essere convertito infatti dice: "Fratelli miei, se qualcuno fra voi si svia dalla verità e uno lo converte, sappia colui che chi converte un peccatore dall’error della sua via salverà l’anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati" (Giac. 5:19-20). Come potete vedere, fratelli, sotto la grazia verso chi si svia dalla verità non bisogna comportarsi come dice la legge di Mosè levandoci e uccidendo lo sviato, ma pazientando correggendolo con dolcezza se mai avvenga che Dio gli conceda il ravvedimento ed esca dal laccio del diavolo. Naturalmente questo atteggiamento non è altro che l’adempimento delle parole di Gesù di amare i nostri nemici e di pregare per quelli che ci perseguitano. Ma veniamo ad un altro esempio che mostra come ci sia differenza tra la legge di Mosè e quella di Cristo a riguardo del comportamento da tener nei confronti dei nostri nemici. La legge di Mosè dice: "Darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione" (Es. 21:24-25). E’ chiara la cosa dunque, secondo la legge se uno ci percuote sulla faccia e ci rompe un dente o ci rompe la mascella noi dobbiamo rispondergli percuotendolo sulla faccia per rompergli il dente e la mascella. Come ci ha fatto, così noi dobbiamo fargli. Che cosa è se non l’odio verso il nostro percotitore che ci deve spingere a rispondergli come merita secondo la legge di Mosè? Certamente non può essere dell’amore verso il nemico che ci spingerebbe a fare al nostro nemico quello che ci ha fatto a noi. Dunque ancora una volta vediamo come la legge di Mosè prevede l’odio verso il proprio nemico. Ma che ha detto Gesù di fare in caso veniamo percossi sulla faccia? Egli da detto: "Ma io vi dico: Non contrastate al malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra…" (Matt. 5:39). Quel: "Ma io vi dico" segue queste sue parole: "Voi avete udito che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente" (Matt. 5:38), e fa chiaramente intendere che c’è una differenza tra la legge di Mosè e la legge di Cristo. Si noti che Gesù ha detto che in caso veniamo percossi sulla guancia destra dobbiamo porgere l’altra; e non percuotere il nostro avversario sulla guancia destra. Qui c’è una netta differenza con quello che disse Mosè. Cristo è superiore a Mosè.

Vediamo ora se secondo la Scrittura ci fu un uso della forza da parte di Cristo sia per difendere se stesso che per fare giustizia nella società. Gesù dopo che ebbe predicato nella sinagoga di Nazaret fu cacciato fuori della città e condotto fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la città per essere precipitato giù dal monte. Momenti difficili dunque per lui perché i suoi nemici stavano per ucciderlo. Come reagì? Luca dice che "Passando in mezzo a loro, se ne andò" (Luca 4:30). In un’altra occasione, dopo che Gesù disse ai Giudei: "Prima che Abramo fosse nato, io sono", i Giudei "presero delle pietre per tirargliele" (Giov. 8:59). Gesù quindi stava per essere lapidato; un altro pericolo di morte dunque per lui. Come reagì? Giovanni dice: "Ma Gesù si nascose ed uscì dal tempio" (Giov. 8:59). Come si può vedere Gesù in questi casi non fece ricorso all’uso della forza contro i suoi nemici. E come abbiamo già dimostrato egli non contrastò i suoi nemici neppure quando poi fu arrestato, flagellato, condannato, e messo sulla croce. Fino alla fine subì torti di ogni genere. Lui si avviò allo scannatoio come un agnello muto, un docile agnello. Egli sapeva però che il terzo giorno dopo la sua morte sarebbe risuscitato; per cui davanti a lui era posta la gioia della risurrezione. Qualcuno però ritiene che Gesù usò la forza fisica contro i suoi nemici in una occasione, e cioè quando scacciò dal tempio coloro che vendevano e compravano. Ho letto e riletto l’episodio e devo dire che se è vero che la Scrittura dice che egli "cacciò fuori tutti quelli che quivi vendevano e compravano" (Matt. 21:12), è altresì vero che la stessa Scrittura non afferma che egli mise le mani addosso ai venditori e ai compratori, strattonandoli e spingendoli o percuotendoli con qualche bastone. Si può scacciare una persona da un luogo anche sgridandolo e non necessariamente percuotendola o spingendola con le mani o con i piedi fuori dal luogo; per cui riteniamo che Gesù li abbia cacciati in quella maniera a quei Giudei. Rimane poi da vedere se Gesù fece ricorso alla forza sia diretta o indiretta tramite le autorità per difendere gli oppressi, i perseguitati, i maltrattati. Anche in questo caso nella storia di Gesù di Nazaret così come la troviamo scritta da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, non si intravede un ricorso a qualche forma di forza da parte di Gesù per difendere i deboli e gli oppressi che di certo c’erano anche allora. Dalle parole di Gesù i perseguitati a motivo di giustizia, quelli che facevano cordoglio a motivo dei torti subiti erano considerati beati; come avrebbe potuto mettersi a difenderli con la sua forza o tramite quella dello Stato per fare loro giustizia? Anche coloro che subivano oltraggi di ogni genere a motivo del suo nome erano da lui dichiarati beati. Dunque Gesù non fece ricorso a nessun tipo di forza fisica per difendere i deboli, i miti, i perseguitati. E come avrebbe potuto fare una simile cosa lui che era il Principe della pace? Lui che aveva detto di amare i nemici e di pregare per quelli che ci perseguitano? Gesù fu coerente, e questa sua coerenza ci deve servire d’esempio a noi che essendo suoi discepoli siamo figli della pace. Certo, non è facile seguire l’esempio di Gesù ma neppure impossibile.

2) L’apostolo Paolo ricorse alla forza dello Stato per salvare la propria vita.

Vediamo qual è la circostanza della vita di Paolo che viene additata per sostenere che Paolo ricorse alla forza dello Stato per salvare la propria vita. L’apostolo Paolo mentre era a Gerusalemme nel tempio fu preso da dei Giudei che cominciarono a batterlo con l’intento di ucciderlo. Ma siccome che giunse al tribuno la voce che tutta Gerusalemme era sottosopra, costui prese con sé dei soldati e dei centurioni e corse verso i Giudei i quali veduto il tribuno e i soldati smisero di battere Paolo. Il tribuno comandò che Paolo fosse legato con due catene, e portato dentro la fortezza, ma poco prima che fosse introdotto nella fortezza Paolo chiese al tribuno la cortesia di fargli dire qualche cosa ai Giudei. Il tribuno glielo permise, e così Paolo parlò ai Giudei. Egli raccontò loro come si era convertito a Cristo dopo avere perseguitato a morte coloro che invocavano il nome di Cristo. Dopo averlo sentito parlare per un po’, i Giudei alzarono la voce contro di lui chiedendo che fosse tolto di mezzo. Il tribuno allora lo menò dentro la fortezza per inquisirlo mediante flagelli per sapere perché i Giudei gridavano così contro di lui. Ma mentre Paolo era legato con delle cinghie, egli chiese se fosse lecito flagellare un cittadino romano senza che questi fosse stato condannato. Il centurione quando sentì dire che Paolo era un cittadino romano andò dal tribuno a riferirgli che Paolo era cittadino romano. Il tribuno allora dopo che ebbe saputo da Paolo che egli era un cittadino romano ebbe paura perché secondo la legge romana egli non avrebbe dovuto agire in quella maniera. Dopo di ciò il tribuno convocò il Sinedrio per sapere con certezza di cosa era accusato Paolo dai Giudei. Il tribuno così seppe che Paolo non era accusato per cose degne di morte ma per cose intorno alla religione. In quel tempo era governatore Felice. I Giudei allora fecero un complotto contro Paolo per ucciderlo, ma questo complotto venne a conoscenza del tribuno che decise di mandare Paolo dal governatore Felice a Cesarea scortato da dei soldati armati. A Cesarea Paolo fu accusato dai Giudei davanti al governatore, ma Paolo si difese con efficacia dalle loro accuse. Intanto Paolo era custodito in prigione. A Felice successe Festo il quale salito a Gerusalemme fu pregato dai capi sacerdoti e dai principali dei Giudei di fare in modo di far scendere Paolo a Gerusalemme e loro per via avrebbero fatto in modo di ucciderlo. Ma Festo disse loro che Paolo era custodito a Cesarea e che se c’era qualcuno fra loro che voleva scendere a Cesarea per accusarlo venisse pure a accusare Paolo. Allora alcuni Giudei scesero a Cesarea e si misero ad accusare Paolo davanti a Festo. A questo punto Luca dice: "Ma Festo, volendo far cosa grata ai Giudei, disse a Paolo: Vuoi tu salire a Gerusalemme ed esser quivi giudicato davanti a me intorno a queste cose? Ma Paolo rispose: Io sto qui dinanzi al tribunale di Cesare, ove debbo esser giudicato; io non ho fatto torto alcuno ai Giudei, come anche tu sai molto bene. Se dunque sono colpevole e ho commesso cosa degna di morte, non ricuso di morire; ma se nelle cose delle quali costoro mi accusano non c’è nulla di vero, nessuno mi può consegnare per favore nelle loro mani. Io mi appello a Cesare. Allora Festo, dopo aver conferito col consiglio, rispose: Tu ti sei appellato a Cesare; a Cesare andrai" (Atti 25:9-12). Ora, secondo alcuni Paolo appellandosi a Cesare ricorse alla forza dello stato romano. Vorrei far presente però che Paolo non si appellò a Cesare perché aveva paura di morire per mano dei Giudei. Di pericoli di morte nel corso del suo apostolato ne aveva corsi molti, e mai si era messo a tremare dinanzi alla morte perché lui riteneva il morire un guadagno. Paolo era pronto a morire per Cristo tanto è vero che se torniamo un po’ indietro nel racconto di Luca troveremo che ancora prima di scendere a Gerusalemme era successo che mentre era a casa di Filippo, il profeta Agabo era sceso e aveva predetto che Paolo sarebbe stato arrestato a Gerusalemme e messo nelle mani dei Gentili. Dice Luca: "Eravamo quivi da molti giorni, quando scese dalla Giudea un certo profeta, di nome Agabo, il quale, venuto da noi, prese la cintura di Paolo, se ne legò i piedi e le mani, e disse: Questo dice lo Spirito Santo: Così legheranno i Giudei a Gerusalemme l’uomo di cui è questa cintura, e lo metteranno nelle mani dei Gentili. Quando udimmo queste cose, tanto noi che quei del luogo lo pregavamo di non salire a Gerusalemme. Paolo allora rispose: Che fate voi, piangendo e spezzandomi il cuore? Poiché io son pronto non solo ad esser legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signor Gesù. E non lasciandosi egli persuadere, ci acquetammo, dicendo: Sia fatta la volontà del Signore" (Atti 21:10-14). Si presti attenzione alla risposta di Paolo. Ma ancora prima di arrivare a casa di Filippo in Cesarea, Paolo aveva dichiarato di essere disposto a morire per Cristo quando disse agli anziani di Efeso: "Ma io non fo alcun conto della vita, quasi mi fosse cara, pur di compiere il mio corso e il ministerio che ho ricevuto dal Signor Gesù, che è di testimoniare dell’Evangelo della grazia di Dio" (Atti 20:24). Ma allora Paolo perché si appellò a Cesare? Semplice, perché in una visione avuta prima di comparire davanti a Festo (esattamente la notte dopo che era comparso davanti al Sinedrio a Gerusalemme) il Signore gli era apparso e gli aveva detto: "Sta’ di buon cuore, perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma" (Atti 23:11). Dunque Paolo sapeva che Dio lo chiamava a testimoniare di Cristo anche a Roma. Non deve sorprendere dunque sentirlo appellarsi a Cesare. E poi non si dimentichi che l’appello di Paolo a Cesare non fu altro che la risposta alla domanda di Festo che gli aveva chiesto se lui fosse disposto a salire a Gerusalemme con lui per essere ivi giudicato. E Paolo sapeva che c’erano dei Giudei che per via sarebbero stati pronti ad ucciderlo. Se lui avesse risposto di sì si sarebbe esposto alle insidie dei Giudei di sua spontanea volontà; perché farlo quando aveva la possibilità di appellarsi a Cesare? Io avrei fatto la medesima cosa; Paolo ne aveva il diritto e si valse di questo diritto. E poi davanti al tribunale di Cesarea Paolo era sul banco degli imputati e non sul banco degli accusatori. E poi Paolo con la sua risposta non reagì con il male ai Giudei che lo perseguitavano; cioè quella risposta che lui diede a Festo non andò a danno dei Giudei. Se Paolo avesse risposto in maniera tale da far sì che i Giudei fossero puniti tramite la sua testimonianza allora si potrebbe affermare che lui ricorse alla forza dello Stato per punire i Giudei disubbidienti ma nel caso specifico raccontato da Luca non si intravede questa cosa. Qualcosa doveva pur rispondere Paolo dinanzi alle accuse; doveva pur difendersi in qualche maniera. Vorrei fare notare inoltre che quando poi Paolo comparve davanti al re Agrippa, quindi davanti ad un autorità superiore, dopo che il re Agrippa ebbe ascoltato la difesa di Paolo disse a Festo: "Quest’uomo poteva esser liberato, se non si fosse appellato a Cesare" (Atti 26:32). Il che lascia intendere che in effetti Paolo appellandosi a Cesare non aveva affrettato la sua scarcerazione ma l’aveva ritardata. Dunque la risposta di Paolo è da collegarsi al fatto che Dio gli aveva predetto che sarebbe dovuto comparire dinanzi a Cesare a Roma. Una risposta avveduta dunque che lui pronunciò per lo Spirito.

3) Giovanni Battista disse a quei soldati cosa dovevano fare: "Non fate estorsioni, né opprimete alcuno con false denunzie, e contentatevi della vostra paga" (Luca 3:14), ma non gli disse che dovevano lasciare l’esercito.

E’ vero che questa fu la risposta di Giovanni Battista ma occorre tenere presente innanzi tutto che Gesù disse che "la legge ed i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunziata la buona novella del regno di Dio, ed ognuno v’entra a forza" (Luca 16:16), e che "il minimo nel regno de’ cieli è maggiore di lui" (Matt. 11:11). Gesù è superiore a Giovanni Battista, e il minimo dei suoi discepoli pure. Dunque le parole di Giovanni vanno considerate alla luce di queste due dichiarazioni del Signore Gesù.

4) Il centurione che chiese a Gesù di guarire il suo servitore fu elogiato da Gesù per la sua fede e non fu esortato ad abbandonare la sua posizione militare; e il centurione Cornelio evangelizzato da Pietro era un uomo che temeva Dio e non fu esortato ad abbandonare l’esercito dopo la sua conversione.

Siamo d’accordo nel senso che anche noi riconosciamo che una simile esortazione rivolta a questi due centurioni non è trascritta. Però non ci sentiamo di escludere che questi uomini abbiano in seguito abbandonato il loro mestiere perché ritenuto incompatibile con la fede e perché li spingeva ad usare violenza contro le persone. Ma mettiamo il caso che questi due credenti siano rimasti nella loro posizione di centurioni romani. Viene da domandarsi: come si saranno sentiti interiormente dopo avere fatto flagellare qualche malfattore, o magari dopo aver comandato a dei soldati di crocifiggere dei malfattori? Avevano anche loro una coscienza? Se sì, questa coscienza avrà pur detto loro qualche cosa. Se lo Spirito Santo era in loro come reagiva lo Spirito Santo in loro quando comandavano di fare quegli atti? Io ho già raccontato che quando durante il servizio militare mi trovai a maneggiare delle armi, provavo un profondo senso di infelicità dentro di me. Mi sentivo trafitto interiormente; e si badi che non ho usato le armi contro nessuno. Figuriamoci se le avessi usate contro qualcuno realmente ferendolo o uccidendolo! Mi sarei certamente sentito morire. Mi è stato detto di un mio zio credente che ha fatto il carabiniere in Sicilia per molti anni che molte volte incitato a sparare contro dei malfattori si è rifiutato di farlo preso dall’angoscia del cuore. Si buttava in ginocchio davanti a Dio a implorarlo affinché non lo facesse sparare! E’ da capire; ma d’altronde lui aveva deciso di fare il carabiniere. Quando poi è andato in pensione per lui è stata la liberazione! Quante parole si possono dire con la bocca! Rimane il fatto però che la coscienza ci riprenderà se noi credenti agiremo contro la Parola di Dio. Mi ricordo che una volta durante il servizio militare in piena notte una guardia mi chiamò suonando l’allarme. Non sapevo cosa era successo; corsi a svegliare alcune guardie e gli dissi di prender il loro fucile. Corremmo alla postazione di guardia, e mi fu detto dalla guardia allarmata che c’era qualcuno che dal boschetto antistante lanciava delle pietre contro di lui. Che feci? Gridai contro lo sconosciuto qualche parola, e per impaurirlo misi il colpo in canna per fargli sentire il rumore del caricamento del fucile. Devo confessare però che avvertii subito che quantunque stessi cercando di tutelare la caserma e la guardia, avevo agito in maniera non cristiana. Sono cose che si sperimentano a livello di coscienza per cui se non si provano non si possono spiegare. Come desideravo che il militare finisse il più presto possibile, come avrei voluto non trovarmi a fare quel servizio! Ma ormai dovevo terminarlo. E quando lo terminai sentii una grande liberazione e una grande pace. Molti credenti quando parlano di fare ricorso alla violenza non importa se da un credente nell’esercito, nella polizia, tra i carabinieri, non si rendono conto di cosa prova un anima che ama il Signore nel momento in cui è chiamato a bastonare o a ferire o a uccidere una creatura umana. Sembra che parlino di bastonare o di ferire o di uccidere un cane randagio che ci aggredisce. No, l’uomo non è un animale (anche se agisce da animale alcune volte); è una creatura fatta all’immagine di Dio.

 

LA POLITICA

La dottrina avventista

E’ lecito sia andare a votare che candidarsi a qualche carica politica. In un articolo apparso sul Messaggero Avventista, dal titolo ‘Gli Avventisti e la politica’ dopo che viene detto: ‘Credo che sia capitato a molti di porsi questa domanda: E’ possibile per un avventista occuparsi di politica?’, vengono dette tra le altre cose queste: ‘Poiché, secondo l’insegnamento della Bibbia, il cristiano deve essere osservante delle leggi dello Stato, e poiché l’esercitare il diritto di voto non contrasta coi comandamenti di Dio, risulta chiaramente che per un credente, cittadino italiano, non vi è solo il diritto ma anche IL DOVERE DI VOTARE’ (Gianfranco Rossi ‘Gli Avventisti e la politica’, in Il Messaggero Avventista, n° 4, 1974, pag. 39), ed ancora: ‘Se per ‘occuparsi di politica’ s’intende ‘rendersi conto dei problemi politici, vagliare le soluzioni proposte dai vari partiti, avere una certa conoscenza di almeno alcuni degli uomini che si presentano come candidati alle elezioni’, per poter votare con cognizione di causa, è evidente che la risposta non può essere che positiva. Sì, un avventista può occuparsi di politica’ (ibid., pag. 40). Ma che dire del partecipare direttamente alla vita politica assumendo cariche elettive? Può un Avventista fare anche questo tipo di politica? Certo, infatti nel numero seguente del periodico dopo che viene formulata la seguente domanda: ‘Può un avventista occuparsi direttamente di politica, cioè può servire la società nel campo politico accettando di assumere cariche elettive?’ vengono citate le seguenti parole di Ellen White: ‘Cari giovani, qual è lo scopo, la ragion d’essere della vostra vita? Aspirate voi ad avere una buona istruzione perché grazie ad essa potrete farvi un nome e assicurarvi una buona posizione nel mondo? Le vostre ambizioni segrete vi inducono a sperare di toccare un giorno le alte cime della grandezza intellettuale, di prendere posto nelle assemblee esecutive e legislative e di collaborare alla stesura di leggi che reggeranno il vostro paese? Tali aspirazioni non sono affatto da condannarsi (Fundamentals of Christian Education, p. 82)’ (Gianfranco Rossi ‘Gli Avventisti e la politica’, in Il Messaggero Avventista, n° 5, 1974, pag. 51) . La risposta dunque che viene data anche in questo è affermativa; a sostegno vengono citati gli esempi di Giuseppe e di Daniele.

Confutazione

Un discepolo di Cristo deve essere apolitico

Un discepolo di Cristo, cioè chi si è messo al seguito di Gesù e segue le sue orme, non si deve interessare di politica. Questo significa che non deve dare il voto a nessun candidato o partito politico (può recarsi alle urne però se ritiene necessario farlo per annullar la sua scheda elettorale), come anche non deve candidarsi a cariche politiche nella nazione in cui Dio lo ha posto.

Dopo aver detto ciò vogliamo dire su quali Scritture noi credenti ci appoggiamo per sostenere che non ci si deve immischiare in nessuna maniera in cose politiche, in altre parole che noi credenti siamo chiamati ad essere apolitici (il termine apolitico significa che la persona non si interessa di politica).

Gesù un giorno disse al Padre dei suoi discepoli: "Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo" (Giov. 17:16). Con queste parole Gesù ha chiaramente fatto capire che noi suoi discepoli non facciamo più parte di questo sistema di cose come lui nei giorni della sua carne non era parte di esso. Badate, nella stessa maniera: la differenza è che Gesù veniva dal cielo mentre noi veniamo dalla terra. La politica è di questo mondo: il credente no. Chi fa politica ha l’animo alle cose di questo mondo, il credente invece ha l’animo alle cose del cielo di cui è cittadino. Sono cose opposte tra di loro che non si possono conciliare in nessun modo.

Sempre Gesù ebbe a dire: "Il mio regno non è di questo mondo" (Giov. 18:36) e questo lo dimostrò ampiamente, tanto è vero che quando un giorno seppe che stavano per venire a rapirlo per farlo re si ritirò sul monte tutto solo (cfr. Giov. 6:15). Con questo suo gesto dimostrò di non volersi per nulla mischiare in questioni politiche. Eppure di problemi tra la popolazione in Israele ce ne erano molti anche ai giorni di Gesù; certamente c’erano i disoccupati, gli oppressi, i malati, ecc.; Gesù avrebbe potuto accettare di essere eletto loro re e mettersi a risolvere i problemi della società. E Gesù di sapienza ne aveva molta, certamente la sua sapienza sarebbe valsa molto messa al servizio della società di allora. Ma come abbiamo visto, egli rifiutò di essere eletto re da quelle migliaia di Ebrei. Non è chiaro l’atteggiamento che dobbiamo tenere in questo mondo riguardo alla politica? In questo caso a riguardo del volersi candidare a cariche pubbliche per risolvere i problemi della società. Alcuni credenti aspirano a governare in questo mondo, ma si sono dimenticati che i santi regneranno con Cristo sulla terra quando egli tornerà. Avranno così tanto tempo per governare nel nuovo mondo a venire (il regno millenario); perché affaccendarsi per volere mettersi a governare sulla terra adesso? Ah, quanti soldi, quanto tempo, quante energie, che potrebbero essere utilizzati per compiere opere buone a favore dei bisognosi e della predicazione dell’Evangelo ed invece vengono sprecate in questa maniera, facendo politica, candidandosi, facendo propaganda per l’uno o per l’altro! Questa è una vergogna, uno scandalo, un peccato che Dio non lascia impunito.

Infine voglio dire questo. Tanti credenti parlano più delle elezioni politiche che delle elezioni degli anziani e dei diaconi che sono prescritte chiaramente dalla Scrittura e che concernono il governo della chiesa. Ah, se mostrassero lo stesso interesse verso questo tipo di elezioni; le cose andrebbero meglio nelle chiese, perché eleggerebbero alla carica di anziani e di diaconi uomini irreprensibili e santi. Ma che cosa avviene invece? Avviene che da un lato dicono di volere il buon governo nella nazione, ma dall’altro non vogliono il buon governo nella chiesa. E difatti eleggono alla carica di anziano e di diacono proprio coloro che non hanno i requisiti necessari per essere eletti tali, coloro che assecondano i loro desideri carnali. Non c’è spazio per gli uomini santi e giusti. E poi costoro ci vengono a parlare di andare a votare per chi garantisce la nostra libertà religiosa? No, non è la libertà religiosa che vogliono salvaguardare costoro, ma piuttosto la libertà di poter fare quello che vogliono, cioè la libertà secondo la carne. Le elezioni di uomini carnali e arroganti alla carica di anziano e di diacono nelle loro chiese confermano che questa è la libertà che essi vogliono mantenere.

Le insidie che si nascondono dietro il fare politica

Il mondo giace tutto quanto nel maligno; esso è ostile a Cristo e alla sua parola. Il mondo si oppose a Cristo e alla sua predicazione quando egli fu sulla terra, e questa opposizione culminò nella sua crocifissione. E il mondo continua ad essere ostile a Cristo e alle sue parole, anche se egli è in cielo alla destra della Maestà; il motivo è perché il mondo giace tutto quanto nel maligno. Tutto quanto; si notino bene queste parole. Dunque tutto ciò che fa parte di questo sistema di cose è immerso in colui che è nemico di Dio. E’ la politica parte di questo mondo? Sì, quindi giace anch’essa nel maligno. Con questo non si vuol dire che essa non sia necessaria in una nazione; assolutamente, perché in ogni nazione c’è bisogno delle autorità. Ci vuole insomma qualcuno che comandi in una nazione, che ci siano delle leggi che mettano paura ai malfattori, che regolino gli affari pubblici, ecc. Ecco perché Dio costituisce le autorità in ogni nazione. Ma quello che vogliamo dire è questo; dato che la politica fa parte di questo sistema di cose ostile a Cristo lasciamo fare la politica a coloro che fanno parte di questo mondo e non immischiamoci in essa: tutto qui. Forse qualcuno riterrà che questa posizione sia una posizione che mostri indifferenza totale verso l’andamento delle cose in una nazione. Ma ciò è solo una apparenza, perché non ci si deve mai dimenticare che se da un lato il credente non è di questo mondo egli deve pregare per le autorità di questo mondo. Che dice infatti l’apostolo Paolo a Timoteo? Egli dice: "Io esorto dunque, prima d’ogni altra cosa, che si facciano supplicazioni, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo menare una vita tranquilla e quieta, in ogni pietà e onestà. Questo è buono e accettevole nel cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità" (1 Tim. 2:1-4). E noi sappiamo che la supplicazione del giusto può fare molto, se fatta con efficacia. Vengono innalzate preghiere a pro delle autorità durante le riunioni di culto, della domenica o infrasettimanali? Vengono esortati i credenti a pregare a casa loro anche per le autorità di questa nazione? Raramente, diciamo quasi mai, perché questa è la triste realtà. Dunque se c’è qualcosa su cui i conduttori devono insistere è questa; devono ordinare ed esortare che si facciano preghiere per tutte le autorità di questa nazione affinché Dio dia loro la sapienza necessaria per governare bene, le protegga, li salvi ecc. Invece molti parlano di dare il voto a quello o a quell’altro politico. Ma non è dando il voto a quello anziché all’altro che si adempie la volontà di Dio ma pregando per le autorità. Quello che non si deve fare, viene dunque fatto, mentre quello che si deve fare viene trascurato. Vediamo adesso di parlare dei pericoli che si nascondono dietro il fare politica.

Innanzi tutto, c’è sempre il pericolo di dare il voto a qualcuno che mentre da un lato è a favore della libertà di culto dall’altro è a favore di tante altre cose storte. E noi non possiamo dare il nostro voto a persone che, quantunque siano ordinate da Dio o lo saranno in futuro, vogliono fare delle cose che vanno contro la Parola di Dio. Facciamo degli esempi pratici: poniamo il caso che un candidato politico ad una determinata carica dica in tempo di elezioni: ‘Io sono per la libertà di culto per ogni confessione religiosa ma sono anche per la libertà sessuale per cui farò del mio meglio per abolire qualsiasi discriminazione sociale nei confronti degli omosessuali e dei transessuali e delle prostitute. Inoltre voglio impegnarmi a creare molti posti di lavoro per i giovani diplomati e laureati’. Che faremo? Gli daremo il voto solo perché è in favore della libertà di culto e vuole creare dei posti di lavoro per i giovani? E poi noi diciamo: dato che la libertà religiosa che un partito politico concede non la estende solo ai Cristiani ma anche alla Chiesa cattolica romana, ai Testimoni di Geova, ai Mormoni, ai Musulmani, ai Buddisti, e a tanti altri figli del diavolo noi ci domandiamo come si farebbe a dare il voto a qualcuno che nello stesso tempo sarebbe a favore che i Cattolici innalzino i loro idoli piccoli e grandi per le strade, per le piazze e sulle montagne e in tanti altri posti e che facciano processioni per le strade con la scorta della polizia; che i Testimoni di Geova vadano attorno a seminare menzogne, che i Mormoni vadano a proclamare le rivelazioni menzognere del loro profeta Joseph Smith, che i Mussulmani proclamino le menzogne di Maometto, i Buddisti quelle di Buddha e così via? Per amore di giustizia non ci si dovrebbe dunque astenere dal dare il voto a questo candidato politico quantunque sia a favore della nostra libertà di culto? E di questi esempi se ne potrebbero fare tanti e tanti altri. Basti pensare che molti di coloro a cui tanti credenti danno il voto, pensando di salvaguardare la loro libertà di culto, sono in favore del divorzio, dell’aborto, e di tante altre pratiche contrarie alla Parola di Dio per capire quanto sia folle il loro comportamento. Perché in questa maniera essi da un lato salvaguardano questa cosiddetta libertà di culto e dall’altra incoraggiano delle cose abominevoli nel cospetto di Dio, perché di fatto è come se dicessero a quel candidato politico: ‘Sono d’accordo con te anche in queste cose’.

C’è sempre in agguato il pericolo che in una discussione con uno del mondo, il credente palesando la sua posizione politica si attiri la sua inimicizia perché questo è del partito opposto o di un partito che per qualche ragione no va d’accordo con quello o per tanti altri motivi. E poi c’è sempre in agguato il pericolo che due fratelli in Cristo che hanno dato il voto a due partiti antagonisti su molte cose, ma ambedue a favore della libertà di culto, si scontrino su questioni politiche. In realtà questo è quello che avviene. E non è forse grave il danno? Si vengono a creare attriti con persone del mondo o con dei credenti stessi per questioni politiche. Qualcuno dirà: ‘Ma il voto è segreto!’ Sì, a parole; ma non avete mai letto che non v’è nulla "di segreto che non abbia a sapersi ed a farsi palese" (Luca 8:17)? Per quanto tempo pensate di potere tenere nascosta la vostra posizione politica; per sempre? Vi illudete; prima o poi manifesterete davanti agli altri il vostro segreto. ed allora constaterete da voi stessi quante acerbe e sterili discussioni si potrebbero evitare.

E poi c’è anche il pericolo in tempo di elezioni di mettersi a seguire i frequenti dibattiti politici sia televisivi che radiofonici, o di andare ai comizi di questo o quell’altro candidato, come anche quello di mettersi a comprare giornali e riviste che parlano delle differenti posizioni politiche, tutte cose che rubano del tempo prezioso e del denaro ai credenti.

Questi pericoli appena analizzati non si possono evitare se si decide di andare a votare per qualcuno; mentre si possono evitare solo non votando per nessuno.

Vediamo adesso di dire qualche cosa sul mettersi a fare direttamente politica da parte di un credente. Certamente un credente se si vuole candidare ad una alta carica in questa nazione deve prima aderire ad un partito, e noi sappiamo che non esiste un partito che in tutto e per tutto sia a favore dei comandamenti di Cristo e degli apostoli. Per fare solo alcuni esempi; quasi tutti i partiti sono a favore o del divorzio, o dell’aborto, o dell’omosessualità, o di tutte queste cose assieme; e tutti i partiti sono a favore delle concupiscenze mondane come cinema, teatro, discoteche, locali notturni, ecc. Dunque se egli volesse aderire ad un partito politico dovrebbe pur sempre favorire qualche comportamento che non piace a Dio. Ciò significherebbe corrompersi; non essere fedele alla Parola di Dio.

Inoltre egli dovrebbe cominciare a cercare appoggi, cioè voti e denaro per poter fare politica. E questo lo porterebbe ad agire disonestamente perché dovrebbe andare in giro per le Chiese a proporre ai credenti di votarlo e di sostenerlo materialmente per poter raggiungere quel posto a cui lui ambisce. Un po’ come fece in America alcuni anni fa Pat Robertson, predicatore evangelico, quando decise di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti.

Egli perderebbe di vista il fatto che il regno di Dio non è di questo mondo perché verrebbe assorbito completamente da questa ricerca di voti e di denaro. E poi rimarrebbe il fatto che anche se trovasse un certo numero di sostenitori e del denaro rimarrebbe sempre da vedere se sarà eletto. L’esempio di Pat Robertson mostra che anche dopo enormi sforzi fatti in una nazione dove il numero degli Evangelici è di milioni gli forzi risultarono vani perché egli non poté diventare presidente degli Stati Uniti. E quand’anche lo fosse diventato non avrebbe potuto attenersi ai comandamenti di Dio perché sarebbe stato costretto ad infrangerli ripetutamente. Stando così le cose è evidente che la politica rovinerebbe un credente spiritualmente perché egli si metterebbe a camminare secondo la carne.

Alcuni ritengono che un credente possa ambire ad alte cariche in uno Stato perché nella Bibbia questo lo dimostra l’esempio di Giuseppe e di Daniele; il primo diventò governatore d’Egitto, il secondo divenne il comandante della provincia di Babilonia e molto influente alla corte del re. Ma costoro probabilmente la storia di Giuseppe e di Daniele o non l’hanno mai letta o se l’hanno letta non hanno capito proprio nulla dalla lettura, perché in tutti e due casi si parla di uomini integri nelle loro vie che diventarono quello che diventarono per un intervento particolare di Dio nella loro vita. Essi non si candidarono a quella alta carica, anzi non ci pensavano minimamente di diventare un giorno così influenti; non furono da loro fatte campagne elettorali per farsi eleggere. E quando furono in quella carica non scesero a nessun compromesso perché continuarono a temere Dio e ad osservare i comandamenti di Dio. Dunque è fuori di luogo citare gli esempi di questi uomini per sostenere che sia lecito per un credente candidarsi a cariche politiche in una nazione.

 

IL GIURAMENTO

La dottrina avventista

E’ lecito giurare. Ellen G. White, commentando le parole di Gesù a proposito del giuramento, afferma: ‘Il Salvatore non volle con questo proibire il giuramento giudiziario nel quale Dio è invocato solennemente come testimone per sanzionare che ciò che si è detto è verità. Egli stesso, portato, davanti al Sinedrio, non rifiutò di prestar giuramento. (…) Se c’è qualcuno che può proprio giurare, costui è il cristiano. Egli vive continuamente alla presenza di Dio, e sa che i suoi pensieri sono come un libro aperto davanti a Colui al quale dobbiamo rendere conto. Quando il cristiano è chiamato a giurare, è naturale ch’egli chiami come testimone Dio, il quale sa che le sue dichiarazioni sono vere’ (Ellen G. White, Con Gesù sul monte delle beatitudini, pag. 77,78).

Confutazione

Il discepolo di Cristo non deve giurare

No, non è affatto così come dice Ellen White, perché noi, essendo sotto la legge di Cristo e non più sotto quella di Mosè, siamo chiamati a non prestare alcuna sorta di giuramento in nessuna circostanza. Gesù ha detto infatti: "Avete udito pure che fu detto agli antichi: Non ispergiurare, ma attieni al Signore i tuoi giuramenti. Ma io vi dico: Del tutto non giurate, né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurar neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi fare un solo capello bianco o nero. Ma sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no; poiché il di più vien dal maligno" (Matt. 5:33-37). Come potete vedere Gesù Cristo ha vietato di giurare; quindi il precetto della White che permette il giuramento è un precetto d’uomini che volta le spalle alla verità che è in Cristo Gesù. Il motivo per cui noi non dobbiamo giurare con nessun giuramento? Ce lo dice Giacomo: "Affinché non cadiate sotto giudicio" (Giac. 5:12). Noi Cristiani siamo chiamati a dire la verità in ogni circostanza; sappiamo che Dio aborrisce la menzogna e che egli punisce il falso testimonio sia che dica la falsa testimonianza dopo avere giurato sia che la dica senza fare alcun giuramento, e questo ci incute timore.

 

I CENTOQUARANTAQUATTROMILA

La dottrina avventista

I 144.000 sono l’ultima generazione di credenti. Sulla rivista Scuola del Sabato a proposito dei centoquarantaquattromila uomini di cui si parla nel libro dell’Apocalisse si legge quanto segue: ‘Apocalisse 7:1-8 rivela che coloro che saranno in vita quando Gesù ritornerà, quelli che potranno ‘reggere in piè’ saranno i 144.000. Questo numero è simbolico in quanto contenuto in una profezia che distintamente simbolica. (…) Le dodici tribù rappresentano l’ultima generazione dei credenti fedeli che sono entrati spiritualmente nell’esperienza della giustificazione per fede in Gesù Cristo. Le tribù letterali non esistono più ed è inconcepibile pensare che solo 144.000 ebrei sarebbero in grado di ‘reggere in piè’ alla seconda venuta di Gesù’ (Scuola del sabato, 2/89, pag. 53). Il fatto che questi 144.000 siano vergini viene spiegato così: ‘Qui i santi sono chiamati ‘vergini’ perché o si sono tenuti lontani da Babilonia o non hanno più nessun rapporto con essa. Essi hanno rifiutato ogni rapporto con Babilonia e con le sue figlie quando queste sono diventate agenti di Satana, nel suo sforzo finale per sradicare i santi’ (ibid., pag. 57).

Confutazione

I 144.000 sono Ebrei di nascita che non si sono contaminati con donne

Giovanni dice: "Dopo questo, io vidi quattro angeli che stavano in piè ai quattro canti della terra, ritenendo i quattro venti della terra affinché non soffiasse vento alcuno sulla terra, né sopra il mare, né sopra alcun albero. E vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il suggello dell’Iddio vivente; ed egli gridò con gran voce ai quattro angeli ai quali era dato di danneggiare la terra e il mare, dicendo: Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché abbiam segnato in fronte col suggello i servitori dell’Iddio nostro. E udii il numero dei segnati: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele:

Della tribù di Giuda dodicimila segnati,

della tribù di Ruben dodicimila,

della tribù di Gad dodicimila,

della tribù di Aser dodicimila,

della tribù di Neftali dodicimila,

della tribù di Manasse dodicimila,

della tribù di Simeone dodicimila,

della tribù di Levi dodicimila,

della tribù di Issacar dodicimila,

della tribù di Zabulon dodicimila,

della tribù di Giuseppe dodicimila,

della tribù di Beniamino dodicimila segnati" (Ap. 7:1-8).

Più avanti Giovanni dice di avere visto l’Agnello in piedi sul monte Sion, e che con lui c’erano appunto questi centoquarantaquattromila servitori di Dio che avevano il suo nome e quello del Padre suo scritto sulle loro fronti; essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti alle quattro creature viventi ed agli anziani e nessuno poteva imparare il cantico all’infuori di quei centoquarantaquattromila segnati. Poi l’apostolo dice di essi: "Essi son quelli che non si sono contaminati con donne, poiché son vergini. Essi son quelli che seguono l’Agnello dovunque vada. Essi sono stati riscattati di fra gli uomini per esser primizie a Dio ed all’Agnello. E nella bocca loro non é stata trovata menzogna: sono irreprensibili" (Ap. 14:4-5. Diodati nell’ultima parte del verso 5 ha messo "...sono irreprensibili davanti al trono di Dio").

Come si può ben vedere la prima volta che Giovanni menziona i 144.000 fa capire che erano ancora sulla terra perché dice che l’angelo che saliva dal sol levante gridò ai quattro angeli posti ai quattro canti della terra di non danneggiare la terrà, né il mare, né gli alberi finché non avessero segnato col suggello in fronte i 144.000 servitori di Dio. Si può confrontare questo segnare in fronte con quello descritto in Ezechiele per capire che gli uomini da segnare erano ancora sulla terra quando l’angelo gridò. "..l’Eterno chiamò l’uomo vestito di lino, che aveva il corno da scrivano alla cintura, e gli disse: ‘Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e fa’ un segno sulla fronte degli uomini che sospirano e gemono per tutte le abominazioni che si commettono in mezzo di lei’. E agli altri disse, in modo ch’io intesi: ‘Passate per la città dietro a lui, e colpite; il vostro occhio non risparmi alcuno, e siate senza pietà; uccidete, sterminate vecchi, giovani, vergini, bambini e donne, ma non vi avvicinate ad alcuno che porti il segno; e cominciate dal mio santuario" (Ez. 9:3-6). Per quanto riguarda la seconda volta in cui Giovanni parla dei 144.000 viene detto che furono da lui visti sul monte Sion con l’Agnello. E noi sappiamo che il monte Sion è sulla terra; ma pure si può dire che essi erano in cielo con il Signore perché è scritto che seguono l’Agnello dovunque egli vada, e poi perché viene detto che sono stati riscattati dalla terra, il che fa intendere che non fossero più sulla terra.

Dopo avere detto ciò passiamo a descrivere i 144.000. Ora, innanzi tutto bisogna dire che tutti costoro sono degli uomini che quanto alla carne sono Giudei di nascita infatti é scritto chiaramente che per ogni tribù d’Israele ve ne sono dodicimila. In altre parole tra questi uomini non ci sono Gentili di nascita e il numero loro non è simbolico.

Quindi l’interpretazione degli Avventisti secondo la quale le dodici tribù rappresentano l’ultima generazione dei credenti (sia Giudei che Gentili) è falsa perché è smentita dalla Parola di Dio. Poi bisogna dire che essi non hanno conosciuto donna difatti é scritto che sono vergini e che in bocca loro non si é trovata menzogna. Dire dunque che essi sono i credenti che possiedono la ‘verginità spirituale’ non è in armonia con le parole di Giovanni che parla di una verginità fisica.

 

I DUE TESTIMONI DELL’APOCALISSE

La dottrina avventista

I due testimoni sono l’Antico e il Nuovo Testamento. Nel libro dell’Apocalisse al capitolo 11 si parla dei due testimoni del Signore che profeteranno per milleduecentosessanta giorni. Che cosa dicono gli Avventisti di essi? Chi sono per loro? Daremo la risposta citando alcune parole tratte dal libro Dal flauto dolce ai timpani: cose chiare di Daniele e dell’Apocalisse. ‘Questi due testimoni che profetizzano, che parlano da parte del Signore sono l’Antico e il Nuovo Testamento, sono la Legge e la profezia, ‘la Parola vivente di Dio’ come già avevano interpretato S. Agostino e Gerolamo… Questi due testimoni sono rivestiti di sacco perché la loro opera viene svolta nel lutto, nel cordoglio, nella persecuzione, nel dolore e nell’amarezza. La loro luce deve risplendere nel territorio dei latini quando i papi, i re, i concili, i vescovi che detenevano il potere, erano uniti per proibire la lettura della Bibbia, pena durissimi castighi (…) La specificazione cronologica 1260 giorni o 42 mesi e un tempo dei tempi e la metà di un tempo, sono coniati sullo schema di Daniele 7:25 e 12:7 e delimitano quel periodo di durissima tribolazione che identifica l’epoca del predominio dell’anticristo rappresentato storicamente dal potere temporale dei papi. Questo periodo di 1260 giorni costituisce il tempo dell’apostasia ed è indicato nella Scrittura ben sette volte in Daniele e in Apocalisse. (…) Alla fine dei 1260 giorni, dopo l’inizio del potere temporale del Vescovo di Roma, l’evento più importante che interviene è la rivoluzione Francese. Vari fatti si sono verificati nel lasso di tempo che è intercorso fra i suoi primi moti e gli eventi che si sono succeduti con Napoleone Bonaparte.(…) Il nuovo calendario rivoluzionario (con la settimana di 10 giorni) che rompe con la tradizione cristiana è votato il 5 agosto 1793… Il 7 novembre l’ateismo è ufficialmente proclamato... Il 10 novembre il culto della Ragione (la sua dea, viene rappresentata sotto l’immagine di una attrice dell’Opera) è inaugurato e osannato alla Convenzione e a Nôtre-Dame… Il 30 brumaio del II anno della repubblica (20 novembre 1793), la Convenzione abolisce ogni forma di culto; e tutto viene fatto con bande, canti e danze. Il Cristianesimo è abolito. I due testimoni vengono uccisi sulla piazza dello Stato di Francia. Con l’aggiunta del periodo di tre anni e mezzo arriviamo al 20 maggio 1797. In quel mese si nomina una commissione che prepari una nuova legge sui culti. Camille Jordan proclamò la restaurazione dei culti a nome del Corpo Legislativo il 17 giugno 1797. Erano passati tre anni, sei mesi e ventotto giorni. La parola di Dio ha avuto il suo compimento anche su se stessa. (…) in seguito alla Rivoluzione Francese, la diffusione del testo delle Sacre Scritture ha conosciuto una vera ‘risurrezione’ sì da diventare ormai da anni il best-seller numero uno’ (Dal flauto dolce ai timpani, a cura di Rolando Rizzo, pag. 195, 196, 198). Si noti come ancora una volta a dei giorni trascritti nella Scrittura viene applicata la ‘regola’ di un anno per giorno. Questa volta però la data di partenza dei 1260 giorni non è il 457 a. C. ma bensì il 533 d.C., anno che secondo gli Avventisti segnò l’inizio della supremazia papale con la promulgazione del decreto di Giustiniano che ordinava il primato del vescovo di Roma. In questo periodo di 1260 giorni l’Antico e il Nuovo Testamento avrebbero profetizzato, poi alla fine di questi giorni sarebbero stati ‘uccisi’ in Francia (nel 1793) con un decreto della Convenzione che aboliva ogni forma di culto, e dopo circa tre anni e mezzo vengono ‘risuscitati’ tramite un decreto che sanciva la restaurazione dei culti.

Confutazione

I due testimoni dell’Apocalisse sono due profeti che devono fare la loro comparsa poco prima del ritorno di Cristo

Io ritengo che la miglior maniera per confutare questa interpretazione avventista sui due testimoni sia trascrivere per intero il brano dell’Apocalisse dove si parla di essi. Ecco cosa dice Giovanni: "Poi mi fu data una canna simile a una verga; e mi fu detto: Lèvati e misura il tempio di Dio e l’altare e novera quelli che vi adorano; ma tralascia il cortile che è fuori del tempio, e non lo misurare, perché esso è stato dato ai Gentili, e questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi. E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio. Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signor della terra. E se alcuno li vuole offendere, esce dalla lor bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa maniera. Essi hanno il potere di chiudere il cielo onde non cada pioggia durante i giorni della loro profezia; e hanno potestà sulle acque di convertirle in sangue, potestà di percuotere la terra di qualunque piaga, quante volte vorranno. E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso moverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso. E gli uomini dei varî popoli e tribù e lingue e nazioni vedranno i loro corpi morti per tre giorni e mezzo, e non lasceranno che i loro corpi morti siano posti in un sepolcro. E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati gli abitanti della terra. E in capo ai tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in piè e grande spavento cadde su quelli che li videro. Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua. Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro. E in quell’ora si fece un gran terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila persone furono uccise nel terremoto; e il rimanente fu spaventato e dette gloria all’Iddio del cielo" (Ap. 11:1-13). Io ritengo che le parole di Giovanni sono così chiare che non hanno bisogno di nessuna spiegazione particolare. Come potete vedere nelle sue parole non si intravedono minimamente gli eventi proclamati dagli Avventisti. Basti solo considerare che Giovanni dice che questi due testimoni giaceranno morti sulla piazza della gran città, dove anche il loro Signore è stato crocifisso, vale a dire Gerusalemme, per comprendere come tutto quello che dicono gli Avventisti è campato in aria, dato che per loro i due testimoni vengono ‘uccisi’ sulla piazza dello Stato di Francia.

Un’osservazione mi pare doverosa a questo punto. Nell’ascoltare gli Avventisti proclamare simili assurdità pare di ascoltare i seguaci di Nostradamus che vedono nelle parole di questo impostore la predizione di eventi di ogni genere; dall’ascesa al potere di Hitler, alla caduta del muro di Berlino e così via. Certo, c’è una grandissima differenza tra Giovanni e Nostradamus perché il primo era un servitore di Dio che scrisse le parole dell’Apocalisse per ordine di Dio, mentre Nostradamus parlò di suo senno pretendendo di predire il futuro osservando la posizione degli astri; ma riteniamo che gli Avventisti nel ‘vedere’ in quei due testimoni l’Antico e il Nuovo Testamento e quello che fecero e subirono l’Antico e il Nuovo Testamento ed il resto delle cose prima citate, agiscono in una maniera molto simile ai seguaci di Nostradamus, perché pretendono di dimostrare che Giovanni con quelle parole abbia preannunciato quegli eventi storici quando così non è perché le parole di Giovanni si devono adempiere ancora, e si adempiranno alla lettera.

 

LA MENZOGNA

La dottrina avventista

In certi casi mentire è un obbligo. Giovanni Leonardi, professore al Seminario Teologico dell’Istituto Avventista di Firenze, ha scritto: ‘Il cristiano non mente, ma se in casi straordinari la bugia rappresenta l’unica possibilità di salvare l’innocente dall’ingiustizia, allora credo che sia non solo lecito ma doveroso dirla perché il Signore ha dato la sua legge non per far morire ma per far vivere, non per tutelare l’ingiusto ma il giusto’ (Giovanni Leonardi ‘La legge nella prospettiva avventista’, in Adventus n° 1, anno 1988, pag. 63-64). Ci troviamo davanti ad un insegnamento che assomiglia a quello della chiesa cattolica romana sulla bugia. Vi ricordo quello che dicono i Cattolici sulla menzogna: ‘In molti casi, basterà il silenzio o la frase evasiva allo scopo di salvare il segreto, di eludere una minaccia, di essere cortesi. Ma tante altre volte il silenzio o la frase evasiva sono proprio tali da tradire quegli scopi. Non si può allora né tacere né evadere; bisogna dire qualcosa; d’altronde il proprio pensiero non può dirsi senza pericolo. E’ lecita in simili circostanze la risposta falsa? Con la grande maggioranza degli uomini sani, i dottori cattolici rispondono di sì’ (Enciclopedia Cattolica, vol. 8, 703). Dunque Leonardi per i Cattolici romani insegnando in quella maniera sulla bugia fa parte di quella maggioranza di uomini sani.

Confutazione

Mentire è peccato in ogni caso

L’apostolo Paolo dice agli Efesini: "Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri" (Ef. 4:25). L’apostolo è chiaro e non lascia dubbi a riguardo della menzogna; essa è cosa da bandire. Qualcuno domanderà: ‘Ma è da bandire sempre o ci sono circostanze in cui essa è ammessa?’ Rispondo dicendo che la Scrittura non parla di eccezioni in cui è lecito mentire. In qualsiasi circostanza e per qualsiasi ragione la menzogna è da aborrire. Il credente dunque non deve mentire neppure quando con la menzogna recherebbe un favore a qualcuno. Forse qualcuno adesso farà notare che la meretrice Rahab mentì quando gli fu chiesto di far uscire da casa sua le due spie mandate a Gerico da Giosuè, eppure ella è noverata tra coloro che per la loro fede piacquero a Dio, e Giacomo dice che ella fu giustificata anche per le sue opere. Sì, Rahab ebbe fede in Dio e non perì per la sua fede, ma rimane il fatto che quando rispose agli uomini mandati dal re di Gerico ella disse una menzogna perché disse loro che i suoi ospiti erano andati via e lei non sapeva dove fossero andati, quando invece ella li aveva nascosti (cfr. Gios. 2:1-23.).

Ora voglio raccontare un fatto accadutomi durante il servizio militare in cui mi fu raccomandato di mentire per coprire un errore sia mio che di un altro e scampare così alla punizione del capitano. Le cose andarono così; io ed un altro commilitone stavamo compiendo un servizio di caserma che durava circa 24 ore. Ambedue compimmo però un infrazione nel servizio, infrazione che poteva costare l’annullamento delle licenze che erano ormai pronte sia per me che per lui per quel fine settimana. Il mio commilitone cercò di riparare il tutto dicendo al capitano della compagnia una menzogna, per lui dunque noi ci trovavamo virtualmente fuori dai guai. Gli amici del mio commilitone mi pregarono dunque di confermare al capitano che le cose erano andate come aveva detto lui, il che non era affatto vero. Il loro tono era minaccioso, anche perché c’era di mezzo il permesso di andare a casa del mio commilitone. Quando però il capitano la mattina durante l’adunata davanti a tutti gli altri miei colleghi caporali volle domandarmi se le cose erano andate così come gli era stato riferito, io gli risposi con ogni franchezza di no, preferendo dire la verità e subire la giusta punizione che meritavo per la mia negligenza. Al che lui prese la mia licenza e il permesso del mio commilitone e li stracciò. Questo scatenò l’ira del mio commilitone che era un non credente e dei suoi amici, il cui sguardo verso di me diventò cagnesco. Già non gli piacevo a motivo della mia fede, ma ciò accrebbe notevolmente la loro avversità nei miei confronti.

Un ultima cosa. Nel caso che dire la verità significasse tradire il nostro prossimo bisognerà fare di tutto per non rispondere (anche se venissimo minacciati di carcere e di morte nel caso ci rifiutassimo di rispondere). L’esempio classico è quello in cui le autorità ricercassero un nostro fratello per carcerarlo o per metterlo a morte a motivo della sua fede, e ci chiederebbero dove si trova per poterlo arrestare. E’ meglio farsi carcerare o morire e salvare l’innocente che tradirlo dicendo dove si trova nascosto.

 

I FIGLIUOLI DI DIO CHE SI ACCOPPIARONO CON LE FIGLIE DEGLI UOMINI

La dottrina avventista

Erano anch’essi discendenti di Adamo. Ellen G. White scrisse: ‘I due gruppi rimasero a lungo separati. I discendenti, a partire dal luogo del loro primo insediamento, si espansero e occuparono pianure e valli che i figli di Seth avevano abitato; e quest’ultimi, per evitare di essere condizionati dai discendenti di Caino, si rifugiarono sulle montagne dove stabilirono la loro dimora. Finché tale separazione esistette, i discendenti di Seth conservarono tutta la purezza dell’adorazione di Dio; ma col passare del tempo un po’ alla volta si unirono con gli abitanti delle valli, e ciò provocò in loro conseguenze molto negative. ‘I figliuoli di Dio videro che le figliuole degli uomini erano belle’. I figli di Seth, attratti dalla bellezza delle figlie dei discendenti di Caino offesero il Signore imparentandosi con loro. Molti adoratori di Dio si fecero sedurre dal peccato, così allettante e sempre presente davanti a loro, tanto da perdere quel carattere santo che solo loro avevano. Unendosi con i depravati ne condivisero lo spirito e l’atteggiamento, dimenticarono il settimo comandamento ‘e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte’ (Ellen G. White, Conquistatori di pace, pag. 55). La White viene confermata da Gianluigi Lippolis in questi termini: ‘Il capitolo VI della Genesi ci fa sapere che in quei tempi l’umanità si era enormemente moltiplicata, e che, a causa della crescente malvagità degli uomini ‘l’Eterno disse: Lo spirito mio con contenderà per sempre con l’uomo; poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni saranno quindi centovent’anni’ (Genesi 6:3). Che cosa aveva indotto Dio a prendere questa decisione? L’umanità si era enormemente moltiplicata e si erano formate due categorie di persone. La prima comprendeva ‘i figliuoli di Dio’, la seconda ‘i figliuoli degli uomini’. I primi avevano conservato la fede di Abele e di Enoc, gli altri seguivano le orme di Caino, perfetta immagine dell’empio. Queste due categorie, forse numericamente uguali, si moltiplicarono fra di loro per mezzo di connubi carnali. Agli occhi di Dio ogni simile unione non può che avere effetti disastrosi, conseguenze funeste’ (Gianluigi Lippolis ‘Al tempo del diluvio’ in Il Messaggero Avventista, Gennaio 1967, pag. 4).

Confutazione

I figliuoli di Dio di Genesi 6:2 sono angeli

La Scrittura insegna che degli angeli di Dio, chiamati figli di Dio nella Genesi, si accoppiarono con le figlie degli uomini secondo che è scritto: "Or quando gli uomini cominciarono a moltiplicare sulla faccia della terra e furon loro nate delle figliuole, avvenne che i figliuoli di Dio videro che le figliuole degli uomini erano belle, e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte" (Gen. 6:1-2), e che da questa loro illecita relazione nacquero i potenti secondo che è scritto: "i figliuoli di Dio si accostarono alle figliuole degli uomini, e queste fecero loro de’ figliuoli. Essi sono gli uomini potenti..." (Gen. 6:4). Qualcuno forse dirà: ‘Come si fa a stabilire che i figli di Dio di cui si parla in questi passi siano degli angeli di Dio?’ In base a queste parole che Dio disse a Giobbe: "Su che furon poggiate le sue fondamenta, o chi ne pose la pietra angolare quando le stelle del mattino cantavan tutte assieme e tutti i figli di Dio davan in gridi di giubilo?" (Giob. 38:6-7). E’ evidente che quando Dio stabilì la terra ancora l’uomo non esisteva; esistevano però gli angeli di Dio che furono creati prima dell’uomo. Ecco perché è detto che i figli di Dio davan in gridi di giubilo quando Dio poneva la pietra angolare su cui poggiò il globo terrestre. Ma ci sono delle altre Scritture che confermano che quei figli di Dio erano angeli, e sono queste. L’apostolo Pietro dice che "Dio non risparmiò gli angeli che aveano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi per esservi custoditi pel giudizio" (2 Piet. 2:4), e Giuda dice che Dio "ha serbato in catene eterne, nelle tenebre, per il giudicio del gran giorno, gli angeli che non serbarono la loro dignità primiera" (Giuda 6) e più avanti dice che Sodoma e Gomorra e le città circonvicine si abbandonarono "alla fornicazione nella stessa maniera di costoro" (Giuda 7), cioè di quegli angeli ribelli. Per quanto riguarda la fine che fecero quegli angeli nelle Scritture appena citate viene detto chiaramente: essi furono inabissati, e serbati in catene eterne, nelle tenebre, per il giorno del giudizio. Il luogo dove furono rinchiusi è chiamato Tartaro, ed è un luogo sotterraneo. Stando così le cose i figliuoli di Dio di Genesi 6:2 non possono essere dei discendenti di Adamo, come dicono gli Avventisti.

 

LA PREDICAZIONE DI CRISTO AGLI SPIRITI RITENUTI IN CARCERE

La dottrina avventista

Cristo predicò tramite Noè agli antidiluviani. L’apostolo Pietro dice nella sua prima epistola: "Poiché anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, egli giusto per gl’ingiusti, per condurci a Dio; essendo stato messo a morte, quanto alla carne, ma vivificato quanto allo spirito; e in esso andò anche a predicare agli spiriti ritenuti in carcere, i quali un tempo furon ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, ai giorni di Noè, mentre si preparava l’arca..." (1 Piet. 3:18-20). Gli Avventisti spiegano queste parole in questa maniera. ‘Noi crediamo perciò che ai giorni di Noè, e per mezzo di Noè stesso, chiamato dall’apostolo ‘predicatore di giustizia’, lo spirito di Gesù Cristo proclamò i giudizi di Dio che stavano per colpire quegli uomini la cui malvagità era grande sulla terra (…) i giudizi di Dio furono proclamati agli antidiluviani da Noè, ma in Noè era lo spirito di Cristo che parlava, e Pietro dice chiaramente che ciò avveniva ‘mentre si preparava l’arca’. La predicazione di Noè non avvenne nel carcere, il soggiorno dei morti, che la Scrittura chiama anche il ‘luogo del perpetuo oblio’, ma sulla terra, mentre il patriarca lavorava alla preparazione dell’arca’ (G. L. Lippolis ‘Predicazione di Cristo ai morti?’, in Il Messaggero Avventista, Agosto 1967, pag. 9).

Confutazione

Cristo quando morì scese nell’Ades a predicare

Evidentemente non ci si può aspettare che gli Avventisti credano che quando Gesù morì andò nello spirito a predicare a degli spiriti ritenuti in un carcere sotterraneo, e questo perché essi negano categoricamente che l’uomo abbia un’anima che dopo morto continua a vivere. Come vedemmo a suo tempo, anche i Testimoni di Geova negano che Cristo tra la sua morte e la sua risurrezione andò a predicare agli spiriti ritenuti in carcere. La spiegazione però che danno gli Avventisti a quelle parole di Pietro è differente da quella che gli danno i Testimoni di Geova; difatti come abbiamo visto gli Avventisti ritengono che questa predicazione di Cristo di cui parla Pietro, fu compiuta dallo spirito di Cristo per mezzo di Noè ai giorni di Noè. Ma una tale spiegazione è falsa per i seguenti motivi.

Innanzi tutto perché la predicazione nello spirito compiuta da Cristo, di cui parla Pietro, è citata dopo che viene detto: "Essendo stato messo a morte, quanto alla carne, ma vivificato quanto allo spirito" (1 Piet. 3:18), per cui è logico ritenere che si tratti di una predicazione compiuta da Cristo senza il corpo dopo che spirò sulla croce. D’altronde lo stesso Pietro poco dopo dice: "Per questo è stato annunziato l’Evangelo anche ai morti" (1 Piet. 4:6), per cui non si può pensare che questa predicazione è quella fatta da Noè perché il patriarca predicò a persone vive fisicamente.

In secondo luogo perché la predicazione compiuta da Cristo fu rivolta a degli spiriti ritenuti in carcere, per cui non a esseri umani viventi sulla terra. Questo luogo chiamato carcere, che indica un luogo invisibile sotto terra, è menzionato anche da Isaia in queste parole: "In quel giorno, l’Eterno punirà nei luoghi eccelsi l’esercito di lassù, e giù sulla terra, i re della terra; saranno raunati assieme, come si fa de’ prigionieri nel carcere sotterra; saranno rinchiusi nella prigione, e dopo gran numero di giorni saranno puniti" (Is. 24:21-22). Anche l’apostolo Paolo conferma che Gesù nello spirito andò in un luogo sottoterra quando dice: "Salito in alto, egli ha menato in cattività un gran numero di prigioni ed ha fatto dei doni agli uomini. Or questo è salito che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra?" (Ef. 4:8-9).

In terzo luogo perché Pietro poco dopo dice che "è stato annunziato l’Evangelo anche ai morti" (1 Piet. 4:6), e dato che ai giorni di Noè l’Evangelo ancora non era stato rivelato è impensabile che il patriarca predicò ai suoi contemporanei il Vangelo.

Ma allora, qualcuno dirà, voi credete che esista una seconda opportunità di salvezza dopo morti? Affatto, perché la Scrittura dice che è stabilito che l’uomo muoia una volta dopo di che viene il giudizio (cfr. Ebr. 9:27). Ma nello stesso tempo crediamo che quella di cui parla Pietro fu una reale predicazione fatta da Cristo nello spirito a degli spiriti ritenuti nel carcere sotterraneo, spiriti che al tempo di Noè erano stati ribelli. Anche se non comprendiamo appieno le parole di Pietro, non abbiamo il diritto di storcere il loro chiaro significato.

 

L’ESISTENZA DI ALTRI MONDI ABITATI

La dottrina avventista

Ci sono altri mondi abitati come la terra. Sulla rivista Scuola del Sabato si legge: ‘La terra è solo una minuscola parte della creazione di Dio. (…) L’autore dell’epistola agli Ebrei afferma che Egli ha creato i mondi. Che questi altri mondi siano abitati non è specificato nella Scrittura, ma è implicito nel raduno dei figliuoli di Dio ricordato in Giobbe 1:6, e nel concetto biblico di rivendicare il governo e la giustizia di Dio davanti all’universo mediante il giudizio. E’ difficile credere che il nostro sia il solo pianeta abitato nel grande universo di Dio. Perfino gli scienziati evoluzionisti non escludono che in altri pianeti esista una vita intelligente’ (Scuola del Sabato, 2/88, pag. 59). A proposito di questi figliuoli di Dio comparsi davanti a Dio, e citati nel libro di Giobbe, più avanti nella rivista si legge che ‘erano i rappresentanti di altri mondi abitati. Satana apparve come rappresentante ‘usurpatore’ del pianeta terra’ (ibid., pag. 75). Anche questa dottrina avventista si basa su delle dichiarazioni della White. Ella disse per esempio: ‘Il nostro piccolo mondo contaminato dal peccato, unica macchia nella gloriosa creazione divina, sarà onorato su tutti gli altri mondi dell’universo’ (Ellen G. White, La speranza dell’uomo, pag. 12), e: ‘I mondi che non hanno conosciuto il peccato e gli angeli osservavano con grande interesse la conclusione del conflitto" (Ellen White, op. cit., pag. 494).

Confutazione

Il pianeta terra è il solo ad essere abitato da esseri umani

Come si può ben vedere gli Avventisti insegnano come i Mormoni che Dio abbia creato altri pianeti su cui abitano delle persone come noi (quantunque tra Avventisti e Mormoni permangono delle differenze su questo soggetto). Quello dunque che ho detto nel caso dei Mormoni lo ribadisco anche in quest’occasione. La Scrittura non insegna affatto simili cose. Il solo pianeta abitato da esseri umani che Dio ha creato è la terra e non ce ne sono altri. E su questo Dio ha posto l’uomo e su questo Dio ha mandato il suo Figliuolo per essere la propiziazione dei nostri peccati ed è su questo pianeta che Cristo tornerà con gloria e potenza. Ma questo nostro pianeta non durerà in eterno ma un giorno sarà annichilito assieme al presente cielo; ma Dio creerà nuovi cieli e nuova terra nei quali abiterà la giustizia e in essi noi credenti glorificati, cioè con un corpo glorioso e immortale, vivremo per l’eternità. Il fatto di identificare i figliuoli di Dio di cui si parla in Giobbe con gli abitanti di altri pianeti è un errore perché essi sono gli angeli di Dio. Di questi figliuoli di Dio una parte furono ribelli a Dio (al tempo di Noè) perché lasciarono la loro dignità primiera e commisero fornicazione con le figlie degli uomini (cfr. Gen. 6:1-4; Giob.1:6; 2:1; 38:7; 2 Piet. 2:4; Giuda 6-7). Come spiegare allora le parole agli Ebrei secondo cui Dio creò i mondi? Si può dire che il fatto che Dio abbia creato diversi pianeti non significa automaticamente che tutti siano abitati come lo è la terra. Dunque è vero che oltre la terra furono creati da Dio altri pianeti, ma solo questo è abitato. Si tenga presente che nel libro di Giobbe in tutte le parole che Dio rivolse a Giobbe per ammonirlo, nelle quali sono menzionate molte cose create da Dio, dico in tutte queste parole non c’è il benché minimo accenno ad altri pianeti abitati da lui creati. Facciamo poi notare che dato che gli altri mondi sono definiti dagli Avventisti non macchiati dal peccato, verrebbe da domandarsi come mai Satana non sia andato a tentare e a far cadere nel peccato anche gli abitanti degli altri pianeti. Se infatti è vero che lui prima di diventare l’avversario era presso Dio in cielo ed era a conoscenza che Dio aveva creato altri mondi abitati, e se dopo che fu espulso dal cielo tentò Eva e la fece cader in peccato, e poi poté presentarsi davanti a Dio ai giorni di Giobbe, come mai il nemico di Dio non è andato a tentare e far cadere nel peccato gli abitanti degli altri pianeti?

 

LA FESTA DI NATALE

La dottrina avventista

Il natale si può festeggiare. Ellen G. White a proposito della festa di natale disse: ‘[Il Signore] ha voluto tener segreto il giorno preciso della nascita del Cristo in modo che non fosse quel giorno a ricevere l’adorazione che deve essere rivolta al Cristo come Redentore del mondo… [Ma] siccome il 25 dicembre è dedicato alla commemorazione della nascita di Cristo, siccome i bambini è bene siano istruiti con il precetto e con l’esempio che quello fu proprio un giorno di felicità e di gioia, voi andreste incontro a gravi difficoltà nel passare oltre quel giorno senza prestargli nessuna attenzione. Esso può essere invece utilizzato per ottimi fini’ (citato da Rolando Rizzo, Stretti sentieri di libertà, pag. 127).

Confutazione

Storia del natale

Vediamo innanzi tutto come è nata questa festa. Originariamente la Chiesa non celebrava la nascita di Gesù. Col passare del tempo, tuttavia, i Cristiani d’Egitto cominciarono a considerare il 6 Gennaio come data della natività. L’usanza di celebrare la nascita di Gesù in quel giorno si andò diffondendo in tutto l’Oriente e risulta come data per acquisita all’inizio del IV secolo. Più o meno nella stessa epoca, la Chiesa d’Occidente, che non aveva mai riconosciuto il 6 Gennaio come il giorno della natività, assunse come data celebrativa il 25 Dicembre. Essa fu successivamente adottata anche dalla chiesa d’Oriente. Le ragioni che spinsero molti vescovi a spostare la festa di natale dal 6 Gennaio al 25 Dicembre furono le seguenti: in quel giorno secondo una consuetudine pagana del tempo veniva celebrato ‘il dio sole’, o meglio la nascita del sole al quale si accendevano dei fuochi in segno di festa, e siccome molti che si erano convertiti al Cristianesimo prendevano pure loro parte a questa festa perché identificavano il sole con Gesù Cristo perché in Malachia egli é chiamato "il sole della giustizia" (Mal. 4:2), quando essi si resero conto che gli stessi Cristiani avevano una certa inclinazione per questa festa, tennero consiglio e deliberarono che la natività di Cristo fosse solennizzata in quel giorno e la festa dell’epifania il 6 Gennaio.

La festa di natale non va celebrata perché sotto la grazia noi non siamo chiamati a celebrare delle feste; oltre tutto la festa di natale non solo si fonda su una data di nascita di Gesù inventata ma è pure di origine pagana

Certamente la nascita di Gesù Cristo rappresenta uno dei più grandi avvenimenti della storia dell’umanità, questo é fuori di dubbio; però bisogna dire che di essa nella Scrittura non è menzionata né il giorno e né l’ora. Ma il fatto é che non solo non c’é scritto né il giorno e né l’ora in cui nacque, ma sia Matteo che Marco che Luca e Giovanni non danno sufficienti indizi per stabilire esattamente neppure il mese in cui egli nacque. Noi sappiamo che Gesù Cristo nacque sotto l’impero di Cesare Augusto perché Luca dice che fu Cesare Augusto a emanare il decreto secondo il quale si doveva fare il censimento di tutto l’impero (Giuseppe si trovava a Betleem con Maria quando ella partorì perché vi era andato a farsi registrare [cfr. Luca 2:1-5]); sappiamo anche che quando nacque Gesù regnava sulla Giudea Erode detto il grande (cfr. Matt. 2:1); sappiamo anche che nella stessa contrada dove nacque Gesù nella notte in cui egli venne al mondo vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano la guardia al loro gregge e che ad essi apparve un angelo del Signore per annunciare loro che in quel giorno era nato nella città di Davide un Salvatore, che era Cristo il Signore (cfr. Luca 2:8-14). Ma per ciò che concerne la data della sua nascita la Scrittura tace.

Ora, ci deve pure essere una ragione per cui Dio non abbia, per mezzo del suo Spirito, sospinto nessuno a scrivere la data della nascita di Gesù Cristo; noi non vogliamo dire il motivo perché non lo conosciamo però vogliamo fare alcune considerazioni su di essa.

Ÿ Essa di certo era conosciuta sia da Giuseppe che da Maria, che dai fratelli e dalle sorelle di Gesù; essa era di certo pure registrata all’anagrafe del tempo. Giacomo era il fratello del Signore ed era in grande considerazione nella Chiesa primitiva, e pur sapendo la data di nascita del Signore che secondo la carne era suo fratello maggiore non ritenne opportuno solennizzare il giorno della nascita di Gesù.

Ÿ Nella Scrittura vi sono scritte tante date che si riferiscono sia a feste giudaiche che ad avvenimenti particolari avvenuti nella storia del popolo d’Israele; ne ricordiamo alcune:

Ø la Pasqua secondo la legge doveva essere celebrata il quattordicesimo giorno del mese di Abib perché fu in quel giorno che il Signore trasse dall’Egitto il popolo d’Israele dopo una schiavitù secolare (cfr. Es. 12:1-14);

Ø la festa della Pentecoste o delle primizie doveva essere celebrata sette settimane dopo la festa degli azzimi quindi il terzo giorno del terzo mese che corrispondeva al giorno in cui Dio scese in mezzo al fuoco sul monte Sinai e pronunziò il decalogo (cfr. Deut. 16:9-12; Es. 19:16).

Ø la festa delle Capanne doveva essere celebrata il quindicesimo giorno del settimo mese per ricordare che gli Israeliti avevano dimorato in tende durante il loro pellegrinaggio nel deserto (cfr. Deut. 16:13-15; Lev. 23:34);

Ø la festa delle Espiazioni doveva essere celebrata il decimo giorno del settimo mese; in quel giorno il sacerdote compiva l’espiazione dei suoi peccati e di quelli di tutto il popolo (cfr. Lev. 16:1-34);

Ø il settimo giorno del quinto mese del diciannovesimo anno di Nebucadnetsar, re di Babilonia, fu il giorno in cui Nebuzaradan, capitano della guardia del corpo, al servizio del re di Babilonia, giunse a Gerusalemme ed arse la casa dell’Eterno e la casa del re, e diede alle fiamme tutte le case di Gerusalemme (cfr. 2 Re 25:8,9);

Ø il terzo giorno del mese di Adar del sesto anno del regno di Dario fu il giorno in cui la ricostruzione del tempio a Gerusalemme fu portata a termine (Esd. 6:15);

Ø il quinto giorno del quarto mese del quinto anno della cattività del re Joiakin la Parola dell’Eterno fu espressamente rivolta al sacerdote Ezechiele, figliuolo di Buzi, nel paese dei Caldei presso al fiume Kebar (cfr. Ez. 1:1-3); nel libro del profeta Ezechiele vi sono scritte molte altre date che si riferiscono ai giorni in cui Dio rivelò la sua parola al profeta.

Queste sono alcune delle date scritte nella Parola di Dio; parrà strano, eppure fra le tante date registrate non c’é quella della nascita del Salvatore, ma questo non ci preoccupa e neppure ci turba perché sappiamo che "l’Eterno ha fatto ogni cosa per uno scopo" (Prov. 16:4), quindi siamo sicuri che anche questa volontaria omissione di questa data non é a caso.

Ma come noi ben sappiamo, quello su cui tace la Parola di Dio è sempre fonte di speculazione per molti; e così, ecco che per le ragioni prima esposte gli uomini hanno pensato di prendere un giorno, nel quale poi veniva festeggiato il sole, per farlo diventare il giorno della nascita di Cristo. Riteniamo che non sia stato giusto da parte degli antichi prendere a proprio piacimento un giorno qualsiasi del calendario e affermare che in esso era nato Gesù, perché così essi hanno fatto credere la menzogna a moltitudini di persone.

Ancora oggi molti sono convinti che Gesù sia nato il 25 Dicembre il che non può essere dimostrato in nessuna maniera! Badate che con questo non intendiamo dire che sia sbagliato ricordarsi della nascita di Gesù e di tutto quello che la Scrittura dice a riguardo; affatto, ma riteniamo che il ricordo di quel giorno non deve portare nessuno di noi ad inventarsi la data della natività di Gesù.

Vogliamo ora replicare alle parole della White facendo notare le seguenti cose. Lei dice che il Signore ha voluto tenere segreto il giorno preciso della nascita del Cristo’; bene, dunque nessuno ha il diritto di inventarsi questa data. Lei dice che è bene che i bambini in quel giorno siano ammaestrati con il precetto e l’esempio che quello fu un giorno di felicità, ma questo si può fare tutti i giorni e non c’è bisogno di aspettare il 25 dicembre per farlo. Ella dice che si andrebbe incontro a gravi difficoltà nell’ignorare quel giorno; ma le difficoltà, di qualsiasi genere esse siano, si possono risolvere con la sapienza dataci da Dio. I bambini devono imparare sin da piccoli che il 25 dicembre è una data della nascita di Gesù inventata, e devono capire che la sua origine è pagana. Se i genitori invece pur sapendo tutto ciò accondiscendono a festeggiare il natale, di certo essi non danno il retto esempio ai loro figli perché dimostrano in questo di conformarsi a questo mondo.

Un’osservazione doverosa va infine fatta; si rimane meravigliati nel sentire dire alla White, a lei che tanto si è scagliata contro il manomesso quarto comandamento della chiesa cattolica romana che dice: ‘Ricordati di santificare le feste’ (tra le cui feste c’è anche il natale), che il 25 dicembre si può commemorare la nascita di Gesù. A questo punto vorremmo domandare agli Avventisti: come fate ad osservare un giorno, sia pure in onore di Cristo, che affonda le sue radici nel paganesimo e che la chiesa cattolica romana ha tra le sue feste da santificare al pari della domenica, e poi condannare la stessa chiesa cattolica romana perché dice di santificare la domenica, in onore di Cristo, al posto del sabato? Come mai l’osservanza della domenica, che per voi affonda le sue radici nel paganesimo e difatti fate notare che in inglese la domenica è chiamata Sunday (giorno del sole), è da voi proibita, mentre l’osservanza del giorno del natale che è risaputo è una data di nascita di Gesù inventata ed affonda le sue radici nel paganesimo, è permessa? Probabilmente voi direte che nel primo caso si tratta di un giorno che ha soppiantato il sabato, mentre nel secondo di un giorno che non ha soppiantato nessun altro giorno. Al che io vi dico: ma rimane il fatto che la festa di natale è una festa inventata, un giorno della natività di Gesù che non è vero (per cui si potrebbe sempre dire che la vera data di nascita di Gesù fu sostituita con una data falsa). Almeno c’è la certezza che Gesù è risorto il primo giorno della settimana, cioè la domenica (anche se questo non significa che a motivo di ciò quel giorno fu santificato da Dio e da Lui ordinato di osservare), motivo addotto da coloro che hanno riguardo alla domenica per spiegare il loro riguardo verso questo giorno particolare, ma riguardo la nascita di Gesù non esiste nessuno sulla faccia della terra che sappia quando è avvenuta. Dunque voi siete caduti nell’ennesima contraddizione nel seguire ciecamente le parole di Ellen G. White.

 

 

NOTE

 

[1] Nel Dizionario di dottrine bibliche ciò è confermato in questi termini: ‘L’uomo rigenerato riceve lo Spirito Santo all’atto del battesimo e il suo corpo diventa il tempio dello Spirito Santo’ (pag. 386).

 

[2] Gli Avventisti usano parole dure nei confronti del movimento pentecostale. Un esempio di ciò lo abbiamo in queste parole di Adelio Pellegrini che commentando il passo dell’Apocalisse: "E operava grandi segni, fino a far scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini’ (Ap. 13:13), che vi ricordo si riferisce alla bestia che sale dalla terra, dice tra le altre cose: ‘Riteniamo però che sia più corretto e in armonia con tutto il contesto del capitolo, comprendere la realizzazione di questo versetto in ambito religioso. Ci sembra che esista un fenomeno che va di pari passo con la manifestazione di benessere del papato: il neo pentecostalismo, che si esprime con il presunto battesimo dello Spirito, il dono di parlare in lingue, di compiere guarigioni, e così via. Il fenomeno carismatico o pentecostale, sorto in campo evangelico all’inizio del secolo, aveva suscitato forti reazioni. Nel 1963 questo fenomeno si era esteso in più di quaranta chiese protestanti e nel 1967 è entrato anche nella Chiesa Cattolica (…). Pensiamo che si tratti di un fenomeno che realizzi anche quanto annunciato da Gesù in Matteo 24:24. Il segno distintivo di questo fenomeno è il dono delle lingue. Giovanni dice che ‘faceva scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini’. Il fuoco dal cielo è una espressione favorita dai pentecostali e dai neo pentecostali per indicare il battesimo dello Spirito Santo. Il Battista, annunciando l’opera del Cristo, diceva: ‘Vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco’; infatti, la discesa dello Spirito Santo si manifestò alla Pentecoste con ‘delle lingue di fuoco’. Il fenomeno che investì gli apostoli e permise loro di farsi comprendere da quanti erano presenti a Gerusalemme, non ha nulla a che veder con questa nuova manifestazione dello Spirito’ (citato da Dal flauto dolce ai timpani, a cura di Rolando Rizzo, Trento 1994, pag. 182-183). Naturalmente anche dietro queste folli affermazioni c’è la White con i suoi cosiddetti consigli ispirati. Ecco alcune sue parole citate sul Messaggero Avventista: ‘Alcuni di loro hanno ciò che chiamano dei doni e dicono di averli ricevuti dal Signore. Essi pronunciano delle parole incomprensibili che chiamano lingua straniera, ma che è straniera non soltanto per gli uomini ma anche per il Signore. Doni simili sono di origine umana e di ispirazione satanica. (…) Non lasciamoci sedurre da queste contraffazioni dei doni dello Spirito. Siamo molto prudenti’ (Yvan Roullet, ‘Il dono delle lingue’, in Il Messaggero Avventista, n° 2, 1970, pag.7). Che diremo? E’ vero che ci sono delle contraffazioni del battesimo con lo Spirito Santo e dei doni dello Spirito Santo in mezzo al movimento pentecostale, ma questo non deve portare nessuno a rigettare tutto ciò che va sotto il nome di manifestazione dello Spirito, perché in mezzo a questo movimento ci sono dei veri battesimi con lo Spirito Santo e dei veri doni dello Spirito Santo. Chi parla contro di essi, come fanno stoltamente anche gli Avventisti, sappia che Gesù ha detto: "ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello avvenire" (Matt. 12:32).

 

[3] Nel Dizionario di dottrine bibliche viene affermato lo stesso concetto in maniera diversa: ‘E’ dunque lecito distinguere due forme di battesimo dello Spirito nel NT: l’una eccezionale, straordinaria, inconsueta, mirata a conferire agli uomini investiti da Gesù Cristo di un mandato speciale – l’evangelizzazione del mondo – la potenza necessaria per eseguirlo; l’altra ordinaria, comune, ripetibile, necessaria per suggellare il fatto nuovo della rinascita spirituale in Cristo testimoniata attraverso il battesimo (…) Giova ribadire che nel NT il battesimo di Spirito disgiunto dal battesimo d’acqua risulta essere un evento assolutamente eccezionale…’ (pag. 388).

 

[4] Questo gli Avventisti lo affermano basandosi sulle seguenti parole dette da Ellen White: ‘In futuro noi avremo delle speciali prove (segni) dell’influsso dello Spirito di Dio, specialmente nei momenti in cui i nostri nemici si accaniranno contro di noi. Verrà il tempo che vedremo delle cose strane, ma in che modo? Saranno simili ad alcune delle esperienze fatte dai discepoli una volta ricevuto lo Spirito Santo dopo l’ascensione di Gesù? Io non posso dirlo’ (Mns 15, 1908, pubblicato in Review and Herald, 17 agosto 1972; citato da Arthur White, I pionieri avventisti ed Ellen White di fronte al problema carismatico, Firenze 1985, pag. 108). Ella non poteva dirlo perché nella sua vita non aveva sperimentato il battesimo con lo Spirito Santo con l’evidenza del parlare in altra lingua (come lo avevano sperimentato gli apostoli e i discepoli del Signore il giorno della Pentecoste), altrimenti non avrebbe detto una simile cosa. Che la White non avesse sperimentato il battesimo con lo Spirito è confermato dalle seguenti parole di Arthur White: ‘Ella ripetutamente parlò di essere abbondantemente impregnata di Spirito, però non abbiamo notizia che abbia mai parlato in una lingua sconosciuta o in altra lingua che non fosse quella inglese’ (Arthur White, op. cit., pag. 119). E’ vero che la White parlò diverse volte del bisogno del battesimo con lo Spirito Santo, ma mai collegò il parlare in altre lingue a questo battesimo. Come dice Arthur White: ‘L’indice degli scritti di Ellen White contiene 31 riferimenti specifici al battesimo dello Spirito Santo. In nessuno di questi casi ella collega l’estatico parlare in lingue col battesimo in questione, né storicamente, né profeticamente’ (ibid., pag. 120). La conclusione inevitabile a cui giungono quindi gli Avventisti è che il parlare in altra lingua non è il segno attestante l’avvenuta ricezione del battesimo con lo Spirito Santo. L’autorità delle parole della White dunque ancora una volta viene posta sopra quella degli Scritti sacri. Questa è una ulteriore conferma di come per gli Avventisti le Scritture non ‘costituiscono lo standard per mezzo di cui tutti gli altri scritti devono essere giudicati’ e che essi non giudicano quello che ha detto la White mediante la Parola di Dio.

 

[5] Nel libro La speranza dell’uomo la White conferma ciò dicendo: ‘Fu loro [ai discepoli] promessa una nuova effusione di Spirito. Dovendo predicare tra le altre nazioni, i discepoli avrebbero ricevuto la capacità di parlare in altre lingue. Sebbene gli apostoli e gli altri discepoli fossero uomini senza istruzione, per l’effusione dello Spirito che avvenne nel giorno della Pentecoste, appresero a parlare un linguaggio puro, semplice e corretto, sia che si esprimessero nel proprio idioma, sia in una lingua straniera’ (La speranza dell’uomo, pag. 586).

 

[6] ‘Il parlare una lingua originata dallo Spirito per esprimere attraverso labbra umane le meraviglie del cielo’ (ibid., pag. 202).

 

[7] Solo che i Corinzi sotto l’influsso di costumi pagani si erano dati ad una forma di parlare in lingue propria della mistica pagana per cui Paolo fu costretto a scrivergli allo scopo ‘di eliminare molto caritatevolmente e a poco a poco le abitudini pagane della chiesa di Corinto di un certo parlare in lingua proprio del glossario degli adoratori di idoli’ (Jean Zurcher in op. cit., pag. 42).

 

[8] Faccio presente a riguardo della guarigione una contraddizione non piccola nell’agire degli Avventisti; molti Avventisti infatti ricorrono a pratiche e tecniche del New Age, come per esempio l’omeopatia e l’agopuntura, per ottenere la guarigione da alcune malattie.

In merito all’omeopatia va detto quanto segue. L’omeopatia (‘affezione uguale’ o ‘simile’) è un tipo di medicina alternativa fondata da Samuel Hahnemann (1755-1843), un dottore tedesco che credeva tra le altre cose nella reincarnazione e nell’avvento dell’Era dell’Acquario. Secondo l’omeopatia ‘le malattie degli uomini non provengono da una sostanza o umore, ossia da una materia di malattia, ma che esse sono soltanto alterazioni spirituali (dinamiche) della forza di tipo spirituale (Forza Vitale, Principio Vitale) che vivifica il corpo degli uomini ... La guarigione può avvenire soltanto per reazione della Forza Vitale al medicamento appropriatamente scelto’ (Samuel Hahnemann, Organon, Prefazione). In altre parole l’omeopatia vede l’uomo come un’espressione individuale dell’energia universale: perché esisterebbe una forza vitale essenziale eterna che, vibrando, crea delle onde e l’uomo sarebbe una di queste onde riflesse che riflette la natura divina della forza vitale. E la malattia sarebbe un’espressione della debolezza della forza vitale. Il medicamento quindi è teso a curare la forza vitale cioè a rafforzarla per metterla in grado di espellere il male dal corpo. Si legge nell’Enciclopedia Medica Italiana infatti: ‘... i medicamenti non agiscono materialmente, ma per le forze immateriali dinamiche in essi presenti e capaci di risvegliare le forze vitali dell’organismo. (...) dato che la guarigione non è la materia, ma la forza misteriosa che si estrinseca dal farmaco, bisognerà far di tutto perché questa energia residua si manifesti; e ciò si otterrà, oltreché col ridurre la materia ai minimi termini, anche coll’imprimere a essa un determinato numero di scuotimenti’ (Enciclopedia Medica Italiana, Firenze 1983, Vol. 10, 1643). Ricordiamo che il medicamento omeopatico consiste in piccole dosi di un rimedio che in pazienti sani produrrebbe i sintomi del male da curare nel paziente malato. Questo perché secondo l’omeopatia vale il principio similia similibus curantur (simile cura simile).

A riguardo dell’agopuntura va detto quanto segue. L’agopuntura è un metodo di cura delle malattie che ha avuto origine in Cina migliaia di anni fa. Oggi è molto diffuso anche in Europa; secondo alcune stime infatti sarebbero alcune migliaia i medici che in Europa fanno uso dell’agopuntura per curare gli ammalati. Ma per parlare di questa così decantata arte di guarire cinese, occorre prima parlare di quello che viene insegnato a riguardo della struttura umana da parte di coloro che insegnano l’agopuntura; insomma bisogna spiegare su che cosa si fonda l’agopuntura. Secondo quello che è insegnato sull’agopuntura, il vento solare ed altre forze centripete che vengono dal cielo entrano in relazione con la forza centrifuga proveniente dalla terra. Il corpo umano sarebbe formato appunto dalla collisione di queste due forze. Questa collisione produce delle spirali che formano i due lobi del cervello ed i più importanti organi vitali; queste spirali arrivano al centro e poi si espandono verso l’esterno, producendo le gambe, le braccia, le orecchie, il naso, gli occhi, ecc. Gli esperti di agopuntura spiegano questo concetto anche in questa maniera: queste due forze principali chiamate il Ki del Cielo e il Ki della Terra (la parola ‘Ki’ indica della energia elettromagnetica) dopo la collisione producono un ‘fantasma elettromagnetico’ (una specie di uomo interno magnetico). Quindi l’uomo assorbe dell’energia elettromagnetica dall’atmosfera attorno a lui, e questa energia lo carica come ‘una batteria’. Questa energia è ricevuta dal corpo umano mediante dei piccoli punti (punti d’agopuntura) sparsi su tutta la superficie del corpo umano; essi sono delle piccole bocche formate a spirale che si trovano sotto la superficie della pelle e sono collegate tra loro da sottilissimi canali di flusso (meridiani). Di questi punti ce ne sarebbero sul corpo umano circa 365 collegati tra loro da 14 meridiani. L’energia scorre in maniera omogenea sulla superficie del corpo, a meno che non si mangi male; in questo caso i punti terminali si bloccano, l’energia elettromagnetica stagna presso i punti, e si cominciano ad avvertire dei dolori qua e là soprattutto su questi punti. Bisogna quindi sbloccare questi punti otturati affinché l’energia ritorni a scorrere regolarmente e i dolori scompaiano; e in che maniera? Tramite degli aghi: viene inserito un ago nel punto adatto ed al momento giusto e nel modo corretto, che provoca una specie di minuscola esplosione che libera l’energia bloccata in quel punto. Oltre all’uso di aghi ci sono altri due metodi usati per ‘sbloccare’ l’energia nei punti. Quello che consiste in uno stimolo effettuato mediante pressione delle dita (da cui il nome di agopressione o massaggio Shiatzu) sui punti d’agopuntura. E quello chiamato Moxa: moxa è una pianta le cui foglie mediante una particolare manipolazione vengono rese simili ad una spugna, secca e morbida. Questo materiale viene confezionato a forma di cono e posto sul punto da trattare e quindi bruciato stimolando il punto d’agopuntura.

E’ dunque veramente contraddittorio dire da parte degli Avventisti che non si può più adottare il metodo di lavoro di Cristo, e poi andare a rifugiarsi in pratiche di medicina alternativa che affondano le loro radici nell’occultismo e nell’esoterismo.

 

[9] Come abbiamo visto Juan Carlos Viera afferma anche che gli apostoli commisero un altro errore, e cioè quello di pensare che la salvezza fosse riservata solo agli Ebrei, che commise anche la White nell’accettare la dottrina della ‘porta chiusa’. Ora, è vero che Pietro e quelli della circoncisione erano stati restii ad evangelizzare i Gentili perché li avevano chiamati immondi e contaminati infatti Pietro a casa di Cornelio disse che Dio gli aveva mostrato che egli non doveva "chiamare alcun uomo immondo o contaminato" (Atti 10:28). Ma dire che questa loro passata errata convinzione sia un po’ come quella della ‘porta chiusa’ della White vuol dire ingannare le persone, perché la dottrina della ‘porta chiusa’ sostenuta dalla White per alcuni anni dopo la grande delusione, secondo le stesse parole della White le fu confermata da Dio mediante una visione. Dunque Dio avrebbe prima detto alla White che la dottrina della porta chiusa era giusta (cioè che dal 22 ottobre 1844 non c’era più possibilità di salvezza per coloro che avevano rigettato quella data), e poi invece le avrebbe fatto capire mediante un’altra rivelazione che la dottrina della porta chiusa era sbagliata. Può Dio agire in questa maniera? No. Dunque l’errore della White (quando di errore gli Avventisti parlano) non si può in nessuna maniera paragonare all’errore compiuto inizialmente dagli apostoli sull’estensione dell’evangelizzazione, perché la White sosteneva quell’errore con una ‘visione’ mentre gli apostoli non sostennero mai il loro errore con una rivelazione di Dio perché Dio aveva sempre detto il contrario, e cioè che la salvezza sarebbe stata estesa ai Gentili, sia anticamente tramite i profeti e sia dopo tramite il suo Figliuolo. E non poteva dunque ‘rivelargli’ il contrario perché Egli non rinnega se stesso. La realtà è che la White ebbe una falsa visione sulla ‘porta chiusa’, cioè rimase sedotta dal diavolo e sedusse altri e ritenne di poter sostenere quell’eresia con una rivelazione di Dio. Dunque il suo agire fu un agire disonesto, il tipico agire di colui che dice: ‘Dio ha detto…’ quando Dio non ha parlato, e lo si vuol far passare da parte degli Avventisti come uno sbaglio simile a quello fatto dagli apostoli inizialmente. Attenzione dunque quando gli Avventisti parlano dell’errore teologico della porta chiusa accettato dalla White, perché non si trattò di un errore simile a quello che commisero inizialmente gli apostoli.

 

[10] Un po’ insomma come sempre nel caso di Matteo quando dice che Giuseppe il marito di Maria venne ad abitare in Nazaret "affinché si adempiesse quello ch’era stato detto dai profeti, ch’egli sarebbe chiamato Nazareno" (Matt. 2:23), perché qui si parla di profeti che fecero questa predizione. Ma leggendo il libro dei profeti risulta impossibile stabilire dove questa specifica predizione è fatta. I profeti comunque la fecero; Matteo non disse questo di suo ma perché sospinto dallo Spirito Santo. Un altro esempio simile, tratto però da un discorso di Paolo, è quello della citazione delle parole di Gesù: "Più felice cosa è il dare che il ricevere" (Atti 20:35), difatti queste parole anche se non sono scritte né da Matteo, né da Marco, né da Luca né da Giovanni, noi crediamo che Gesù le disse.

 

[11] Il Concilio Annuale della Conferenza Generale discusse e votò la questione il 5 e il 9 ottobre 1989. A proposito delle decisioni della Conferenza Generale, che è il massimo organo della Chiesa Avventista, la White affermò: ‘… quando viene espresso un giudizio dalla Conferenza Generale, che è la più alta autorità che Dio abbia sulla terra, l’indipendenza e i giudizi privati non debbono essere più mantenuti, ma abbandonati’ (Manuale di Chiesa, pag. 37). Quel ‘è la più alta autorità che Dio abbia sulla terra’ è senza ombra di dubbio una affermazione falsa, affermazione che rivaleggia quanto ad arroganza con quella dei Cattolici romani a proposito del loro capo, definito anche lui la più alta autorità che Dio abbia sulla terra essendo niente di meno denominato il Vicario di Cristo. Stando così le cose se a quella Conferenza qualcuno prima della votazione non era d’accordo a far ricoprire l’ufficio di anziano anche alla donna, dopo il voto favorevole della Conferenza doveva abbandonare il suo giudizio privato sfavorevole anche se esso era pienamente in accordo con la Parola di Dio. Evidentemente la White che tanto parlava contro il papato accusandolo di avere mutato il quarto comandamento, con quelle sue parole non fece altro che innalzare contro Dio un altro potere, quello della Conferenza Generale della Chiesa Avventista, anche questo infatti ritiene di poter mutare le leggi di Dio (in questo caso, il divieto per la donna di insegnare e di essere eletta come anziano) come il papato. Al papato di Roma dunque se ne contrappone un altro sulla terra; quello Avventista che ha la sua sede in America. Giudicate da voi stessi fratelli quello che dico.

 

[12] I motivi addotti sono essenzialmente tre. 1) L’atteggiamento deviante assunto dalla chiesa sul problema del servizio militare all’epoca della prima guerra mondiale e confermato da prese di posizioni successive. Era accaduto che quando scoppiò la prima guerra mondiale, i dirigenti della chiesa avventista della Germania scrissero ai leaders del loro paese presentando la disponibilità delle chiese nel consigliare ai giovani in servizio di leva l’uso delle armi in difesa della patria, anche di sabato (oggi però gli Avventisti del 7° giorno riconoscono che quei dirigenti tedeschi sbagliarono nell’agire in quella maniera). 2) Il possibilismo della chiesa sull’alimentazione carnea. 3) L’incoerenza in rapporto agli standards (trucco, abbigliamento, ecc.).

 

[13] Per quanto riguarda la posizione della White a riguardo della guerra gli Avventisti del 7° giorno sostengono che lei non insegnò l’obiezione di coscienza radicale per cui un cristiano in caso di guerra dovrebbe, se chiamato, arruolarsi nell’esercito per non disubbidire alle autorità statali. Rolando Rizzo cita a sostegno di questa posizione della White una lettera scritta dal figlio W.C. White che fu, per sua designazione, il suo segretario particolare. W.C. White riporta nella lettera un colloquio avuto con sua madre in relazione alla guerra del 1915-1918, mentre lei si trovava sul letto di malattia. La White chiese a suo figlio: Il nostro popolo è in qualche maniera coinvolto dalla guerra? Sì - rispose W.C. White - centinaia sono stati costretti a entrare nell’esercito e alcuni sono stati uccisi mentre altri vivono situazioni di pericolo… Alcuni nostri fratelli in America e in Europa ritengono che quanti tra i nostri fratelli sono stati costretti a entrare nell’esercito avrebbero fatto male a sottomettersi al servizio militare. Loro pensano che sarebbe stato meglio per loro rifiutare di portare le armi, anche se sapevano che come risultato di questo rifiuto sarebbero stati fucilati’. Io non penso che dovrebbero farlo – rispose Ellen White – penso che devono compiere il loro dovere finché dura questo mondo’ (Arthur White, Ellen G. White, Review and Herald, 1992, vol. VI, pag. 427; citato da Rolando Rizzo, op. cit., pag. 92).

 

[14] Questo discorso parte dal presupposto che per gli Avventisti ‘Gesù perfeziona la legge e i profeti ma non li abolisce, poiché non esiste abisso tra l’Antico e il Nuovo Testamento ma solo completamento’ (Rolando Rizzo, op. cit., pag. 34).

 

[15] Nell’articolo viene citato l’esempio dell’Avventista Jerry L. Pettis che dal 1966 era deputato al Congresso degli Stati Uniti d’America.

 

[16] Anche Isacco e Giacobbe mentirono in due particolari circostanze.

Di Isacco è scritto: "E Isacco dimorò in Gherar. E quando la gente del luogo gli faceva delle domande intorno alla sua moglie, egli rispondeva: ‘E’ mia sorella’; perché avea paura di dire: ‘E’ mia moglie’. ‘Non vorrei’, egli pensava, ‘che la gente del luogo avesse ad uccidermi, a motivo di Rebecca’. Poiché ella era di bell’aspetto. Ora, prolungandosi quivi il suo soggiorno, avvenne che Abimelec, re de’ Filistei, mentre guardava dalla finestra, vide Isacco che scherzava con Rebecca sua moglie. E Abimelec chiamò Isacco, e gli disse: ‘Certo, costei è tua moglie; come mai dunque hai detto: E’ mia sorella?’ E Isacco rispose: ‘Perché dicevo: Non vorrei esser messo a morte a motivo di lei’. E Abimelec: ‘Che cos’è questo che ci hai fatto? Poco è mancato che qualcuno del popolo si giacesse con tua moglie, e tu ci avresti tirato addosso una gran colpa’. E Abimelec diede quest’ordine a tutto il popolo: ‘Chiunque toccherà quest’uomo o sua moglie sia messo a morte" (Gen. 26:6-11).

Di Giacobbe, che è annoverato anch’egli tra coloro che piacquero a Dio per la loro fede, viene detto che mentì a suo padre Isacco dicendogli di essere Esaù per appropriarsi della benedizione del primogenito (cfr. Gen. 27:1-40).

Possiamo giustificare le loro menzogne? Assolutamente no. La menzogna è menzogna, non importa da chi viene usata e quale sia la circostanza in cui viene detta.

 

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