TU ED IO IN CROCIERA
E fu così che quella volta non partìi solo per
andare al lavoro con la mia Band.
Ma
ricordo
come
se
fosse ora, quell'ormai lontano 1961, quando ti
conobbi durante un concerto, nel
quale mi
esibivo
con la
Band, di cui ne facevo parte.
Il contratto
mensile stava scadendo e questo doveva essere
l'ultimo servizio della stagione
sulla terra
ferma dopo di che, il nostro impresario
dall'aria truce
ma bravo come il pane, ci
aveva ingaggiati per
suonare niente di meno che, su una
bellissima
nave da crociera.
Ricordo ancora il suo nome
scritto a caratteri grandissimi dal colore
azzurro cielo, a prua
dello scafo appena dopo
l'ancora e il suo nome era Speranza. Tu ne fosti
molto
contenta,
perché sarebbe stata la prima volta
che ti saresti imbarcata su un transatlantico
di quella
stazza. I nostri bagagli erano già
pronti da ore. Premetto che, per
quell'occasione, la
Band
della quale facevo parte, ebbe un altro ingaggio
in un altra località italiana.
Io invece ricevetti
una graditissima telefonata da parte del mio
impresario truce il quale
mi
propose di andare con
il mio contrabbasso, per unirmi ad un'orchestra
da camera, la
quale
si
sarebbe dovuta esibire con
svariati concerti su questa lussuosa nave.
Ricordo quando ti
proposi di accompagnarmi in
quel bellissimo viaggio da sogno.
Ci fissammo
tutt'e due per
qualche istante negli occhi; poi
ricordo che abbracciandomi mi
dicesti: non ci
posso credere
ne
sono onorata, quando si parte? Ti dissi: fra
non molto, il
pullman è già in viaggio
per
venire prenderci e condurci al porto di Genova.
Finalmente
partimmo col maestro di
questa
simpatica e gioviale orchestra.
Il tragitto in
pullman non
fu per nulla lungo e noioso,
perché
si
rideva e si scherzava ed eravamo tutti quanti
ansiosi
d'imbarcarci.
Arrivati alla
nave ad attenderci c'erano il
capitano, il commissario di bordo e
un
sottufficiale
molto
gentile, per darci istruzioni.
Tutti gli
strumenti furono collocati e ben
ancorati in una
stanza
apposita, la quale venne
chiusa a chiave.
I passeggeri erano tanti e
tutti molto cordiali,
ci
scambiammo pure strette
di mano. Tu ed io non
vedevamo l'ora di
andare sul ponte per
vedere
salpare questo
enorme transatlantico.
Andammo
proprio in punta alla prua, vicino
all'ancora.
Osservavo il mare
e mi sembrava
un'enorme
distesa d'olio. Alle diciotto in punto il
transatlantico si
mosse, sembrava che un
intero isolato, con
5
palazzi di sei o sette piani
stesse muovendosi.
In
poco tempo fummo
in mare aperto. Vedevamo la
costa allontanarsi
sempre più, fino al punto da scomparire
dalla nostra vista. I tuoi bellissimi
capelli venivano
mossi dal vento procurato dalla
velocità
della nave. Ti fissavo ed eri
bellissima con quei
capelli al vento. Finalmente
ero riuscito
a
rendere felice la mia bambolina, portandola
con
me in questo viaggio da favola.
Entrambi, stando sempre abbracciati, guardavamo
l'orizzonte e il sole
che da lì a poco
avrebbe
smesso di
riflettere i suoi raggi indescrivibili su questo
mare d'olio, per lasciare
spazio alla romantica
luna.
In quel preciso momento, si avvicinò un
ufficiale di bordo e molto gentilmente ci chiese
se
il
viaggio fino a quel momento fosse stato di
nostro gradimento, al che rispondemmo di sì.
Fu allora che ci consigliò di entrare nei locali
sottostanti perché da quel momento in poi,
l'aria
sarebbe stata sempre più fresca e non avrebbe
giovato alla nostra salute.
Volle ancora aggiungere una cosa. Ci disse di
aver ricevuto il bollettino meteorologico, il
quale
non prometteva nulla di buono. Il meteo
annunciava burrasca e che fra poche ore
saremmo
dovuti entrare nel bel mezzo di una grande
tempesta.
Rassicurandoci ci disse di
non
allarmarci,
perché per lui non sarebbe stata la prima volta
a
dover affrontare tempeste di quel livello e
che
la nave l'avrebbe sopportata benissimo.
Lo ringraziai e gli chiesi il suo nome. Mi disse
di chiamarsi, Ettore Gorgi". Egli, stando al
centro
fra noi due, mise le sue braccia sulle nostre
spalle ed entrammo al caldo nella sala
ristorante. Scusandosi ci lasciò perché era stato chiamato
con una certa urgenza sul ponte
di comando dal
capitano, il cui nome era Severino Totti. Tu ed
io, ci sedemmo assieme ai
nostri amici
orchestrali
per desinare. I tavoli erano ben ancorati al
suolo, di modo che, se
la nave avesse ballato,
non
sarebbero andati a spasso per la sala.
Mentre
cenavamo, malgrado ci fosse molta gente, il loro
vociare era molto fievole perché
erano persone
squisite ed educate. I camerieri
indossavano
una bellissima livrea rossa con
i bottoni d'oro,
pantaloni nero avorio e scarpe di vernice,
erano sempre
pronti ad aiutare i
commensali, qualora avessero
avuto il bicchiere vuoto. Notai alla mia
sinistra
un palco già
pronto ad ospitare il gruppo che fra
non molto sarebbe salito per allietare la nostra
lauta
cena. Salirono in sei con tre stupende
ragazze, che a volte cantavano con questo gruppo
ben preparato e a volte danzavano in maniera
sublime.
Quella sera la nostra orchestra non doveva
esibirsi, perché come primo giorno, eravamo in
festa
per ordine del capitano il quale venne e si
sedette fra noi per conversare.
Ti guardai e
notai che
eri pensierosa e taciturna senza dirmi nulla.
Io che standoti accanto
avevo ormai
imparato a
conoscere nel profondo i tuoi sentimenti, paure,
angosce, ecc ecc,
avvertii il tuo
turbamento per
ciò che sarebbe dovuto accadere, non potendo
immaginare
quando e a
che ora. Il capitano
venne chiamato sul ponte di comando per prendere
delle
decisioni
importanti. Per quella sera non si
fece più vedere e lo vedemmo il giorno dopo.
Avevamo appena finito di cenare, quando i nostri
bicchieri si spostarono sui tavoli, come
pure i
candelabri e tutte le altre vettovaglie. La sala
andava su e giù, da destra a sinistra
oltre
che longitudinalmente, anche trasversalmente.
Tu, stringendoti sempre più forte a
me, mi
dicesti: ho tanta paura. Dal canto mio non potei
fare
nulla per rincuorarti perché,
ne avevo anch'io
moltissima. In tutte le mie tournée sulle navi
da
crociera, questa fu la
peggior tempesta venutasi
a trovare sulla mia rotta.
Questo enorme transatlantico dall'aspetto
possente, sicuro e invulnerabile, era diventato
all'improvviso ingovernabile. Dagli oblò si
vedevano delle onde gigantesche che, a parer
mio,
superavano di gran lunga i 15 metri di altezza.
Il rollio dei motori, che poche ore prima
accompagnavano questo viaggio da sogno, non si
udiva
più. Andavamo ormai alla deriva in balìa di
questi flutti...i motori erano spenti. La
gente
urlava
e
cadeva a terra come se fosse stata ubriaca,
aggrappandosi alla prima cosa
che fosse capitata
loro
sotto mano. Altri invece cadevano sul vomito di
persone le quali
soffrivano il mal di mare;
sembrava di vivere un incubo. Passammo così
tutta la notte in
questo stato di terrore. Le
luci si
spegnevano e si riaccendevano dopo pochi
istanti.
Si
sentiva della gente che gemeva, altra
invece che
pregava invocando Dio.
Fu una notte
da
dimenticare.
Di tanto in tanto si presentava il commissario
di bordo dicendoci di stare
tranquilli perché i
nostri
strumenti non avevano subìto alcun danno. Mentre
lo osservavo,
intuivo che pure lui doveva
avere una grande paura, pur essendo un
energumeno.
Arrivarono altri sottufficiali
invitandoci a
salire ai piani superiori dove, secondo il
capitano,
saremmo stati più al sicuro. I
comparti e la
stiva erano completamente allagati e dato che
i
motori avevano smesso di funzionare avevano
anche smesso di produrre energia per le
pompe di
sentina, le quali non potevano pompare l'acqua
dalla stiva per farla defluire in
mare. Un'onda
gigantesca anomala venendo a sbattere sul
fianco destro della nave, aveva
aperto una falla
non indifferente. Solo nel tardo pomeriggio del
giorno dopo, riuscirono ad
intervenire i
soccorsi.
Qualche scialuppa fu inghiottita dalla
furia della
tempesta finalmente
placatasi. I soccorritori
lavorarono parecchie ore per ripristinare il
tutto e a
far sì che la
crociera potesse proseguire il
viaggio fino al porto più vicino.
Arrivati al porto più vicino ad
attenderci
c'era un'altra bellissima nave, della stessa
compagnia,
pronta a salpare facendo
rotta verso le isole
Seychelles, Awaji, Thainlandia, Caraibi e
Indonesia.
Fummo felici quando sapemmo che
l'equipaggio, (compresi gli inservienti e pure
il
gruppo
che aveva il compito di allietare con le loro
musiche i nostri lauti pasti) era il medesimo.
Ci
imbarcammo su questa nave gemella. Di tanto
in tanto, volgendo il mio sguardo verso di
te
vedevo un viso d'angelo e non sapevo cosa dire.
Nonostante la brutta avventura passata
sul
transatlantico Speranza, le tue bellissime
labbra sensuali avevano ripreso a sorridere.
Scuotendo
il capo e non sapendo cosa dire ci fissammo
negli occhi e molto lentamente, ci
avvicinammo e
abbracciandoci dolcemente ci demmo un caloroso
bacio.
Avevamo di nuovo
riacquistato la
fiducia e la voglia di navigare.
In quel
frangente, scorsi un ragazzo che si
avvicinava e
dimenava
il braccio destro per
salutarci. Questo
simpatico e bel giovane salito
a bordo con noi
era niente
meno che il capo
cuoco, il quale al momento
della nostra brutta
avventura, si trovava in vacanza
nelle isole
circostanti.
Venuto a sapere quello
che era accaduto, si mise subito in contatto con
la
compagnia,
chiedendo se avesse potuto in qualche
modo rendersi utile. La compagnia (molto
seria), gli
rispose dicendo: signor Fabio appena
può si imbarchi sulla Plein Soleil
perché il
capo cuoco
del transatlantico Speranza è
deceduto a causa del mare in tempesta.
Ricordo che dapprima guardò te e poi volgendo lo
sguardo verso me, mi domandò: posso
sapere chi è questa sua deliziosa compagna?
Risposi: è la mia vera amica e dolce fatina,
dal cuore
grandissimo e incapace di fare soffrire chi le
sta accanto.
Al che questo espertissimo chef, mi
disse: per quanto riguarda colazioni, pranzi e
cene, ci
penserò personalmente. Alle 18.45
arrivò il capitano e dopo aver dato una bella
stretta
di mano al maestro e a tutti noi
professori
d'orchestra, volle sapere se eravamo in
forma
per eseguire il concerto d'apertura per il
prosieguo di questa stupenda crociera.
Interpellò
il maestro che gli rispose: con molto
piacere
signor capitano. Ci mettemmo subito all'opera
e
facemmo una piccola ma seria prova.
Gli strumenti erano intonatissimi e malgrado
l'accaduto, i nostri umori sembravano sereni.
Rammento che non mettemmo in bocca nulla, a
parte un succo di frutta, anche perché il
concerto sarebbe dovuto iniziare alle ore 21. In
apertura eseguimmo un concerto allegro
di
Mozart numero 525 dal titolo Eine kleine seguito
dall'aria sulla quarta corda
di Bach ecc.
Ebbe un gran successo e tu mi guardavi
commossa. Non dicesti nulla, anche perché, erano
i
tuoi bellissimi occhi a trasmettermi qualcosa.
Dal canto mio, non potei far altro se non
avvicinare
le mie indegne labbra per baciarti, (con
tenerezza e tanto rispetto).
Il capitano,
che era presente, si avvicinò
a me (sapendo che tanti anni prima
desideravo
entrare
in
marina), invitandomi (se l'avessi
desiderato) a salire sul ponte di comando per
ammirare
un tramonto indimenticabile.
Disse
inoltre: mi raccomando, l'invito è rivolto
anche
alla sua
preziosa compagna di viaggio.
Fu così
che prendemmo un mega ascensore
per salire su ai
piani più alti e
a raggiungere il
bellissimo ponte
di comando.
Vi erano sul ponte
molti ufficiali,
i
quali indossavano una divisa impeccabile e un
cappello
altrettanto impeccabile.
Volgendo lo sguardo verso destra, mi accorsi che
a guardarci c'era
un piccolo uomo dall'aspetto
insignificante. Timidamente si avvicinò a noi,
strinse prima di
tutto la mano a te e poi in un
secondo tempo pure a me. Si presentò dicendo che
pure lui
era stato nel gran salone da concerti
dove aveva ammirato la nostra professionalità.
Poi ci
disse che era lì per caso e disse inoltre
che
era l'ammiraglio Stefano Mancini.
Non sapevo
cosa dire e nemmeno tu, so solo che avrei voluto
sprofondare dalla vergogna,
per aver pensato ad
un uomo piccolo e insignificante.
Ci scambiammo reciprocamente gli
auguri perché
quando mi presentai, gli dissi che pure io mi
chiamavo Stefano e proprio in
quel giorno
ricorreva la festività del nostro
onomastico.
Molto
confidenzialmente c'invitò al
suo tavolo
(sempre sul ponte di comando), per farci
servire
una
tazza di the con pasticcini.
Con molto piacere
ci sedemmo a dialogare proprio
di fronte
all'ultimo
cristallo situato sulla
destra dell'espertissimo timoniere.
Innanzi a noi
si presentava un mare
che
infondeva non
più terrore ma quiete e
tanta pace; anche il cielo era terso e senza
nubi
all'orizzonte.
Il sole era ormai rossiccio e
sembrava salutarci
per dirci: arrivederci a
domani.
Stemmo ancora un poco lì, per vedere arrivare la
luna, poi
prendemmo l'ascensore per
scendere
ai piani sottostanti, dove avremmo potuto
sederci a
tavola per cenare. Il gruppo
che era
pagato
per allietare i nostri pasti era bravissimo, mi
riconobbero e mi chiesero: se
ti fa piacere,
vieni sul palco e suona assieme a noi.
Al che
risposi: ringrazio di cuore, ma voi non avete
bisogno
di me e poi ho molta fame.
Erano ormai le ore
0.30, quando decidemmo di andare a riposare
nella nostra suite. Per
raggiungerla, fu
un'impresa non da poco, poiché avevamo perso
entrambi
l'orientamento.
E' pur vero che questo
transatlantico era molto simile al
Speranza, però dato
che era stato
costruito di recente,
qualcosa cambiava all'interno.
C'erano dei
corridoi
dappertutto, a destra e a sinistra. Ad
un certo punto incontrammo un
inserviente molto
gentile il quale ci diede una mano dicendo:
proseguite questo corridoio
poi più o meno a
metà,
sulla vostra destra vi accorgerete che c'è una
statua raffigurante la
madonna; fermatevi lì
perché
la suite 213 che è proprio alla vostra sinistra.
Ci bloccammo
ed entrammo, chiusa la porta ci
sedemmo su quel bel lettone, facendoci tante
coccole.
Non smettevo di baciare e accarezzare i
tuoi begli occhioni scuri. Le tue
magnifiche pupille
erano dilatatissime a causa
della scarsa
luce. La notte fu bellissima, ricordo che
accendesti
il televisore per guardare un
programma da
te preferito. Ogni tanto, ci scambiavamo frasi
dolci e prendendoci per mano, ce le sussurravamo
affettuosamente.
Trascorremmo così
quasi tutta
la notte facendoci del bene.
Di tanto in tanto,
per rilassarci, andavamo in veranda sedendoci
sul grande divano posto
davanti al finestrone,
per
ammirare la luna piena e tutto ciò che la
circondava.
Passammo una bellissima notte, contemplando
tutto ciò che il Signore aveva creato.
Quando mi
svegliai, il mio braccio era appoggiato
dolcemente attorno al tuo collo e i tuoi
bellissimi capelli
d'oro coprivano parte della mano e più di metà
del mio braccio destro.
Non mi mossi per non
svegliarti; i miei occhi fissavano il tuo
dolcissimo visino e tutto il
resto. A dir poco
eri stupenda;
mi sembrava di abbracciare un angelo.
La suite era ben riscaldata e con molti fiori, i
più belli erano di colore giallo, vi erano pure
molte
orchidee mandate da Fabio (il capo cuoco),
accompagnate da un biglietto con su
scritto che,
al
prossimo approdo, si sarebbero dovuti imbarcare
Franca e Lino (i genitori di
Fabio), ne fummo
lusingati. Per augurarci il buon giorno, ci
accarezzammo teneramente e
baciandoci con
passione.
Il mare era sempre calmissimo e la giornata
incominciò come
desideravamo. Sentimmo squillare
il telefono, rispondesti tu e dall'altra parte
del cavo una
voce gentile ti chiese se
avesse
potuto mandare un cameriere per servirci la
colazione.
La voce era quella di Fabio ed erano
le
ore 9, tu rispondesti: va bene mandalo pure.
Facemmo appena in tempo ad indossare qualcosa
di decente, che sentimmo bussare alla
porta,
rispondesti: sì avanti, entri pure. Dopo aver
dato
una bella mancia a questo gentil
signore lo
congedammo dicendogli: molte grazie e ci sedemmo
per rimpinguarci.
Il mio strumento e tutto l'occorrente per
ripassare le parti del concerto pomeridiano
erano
con
me nella nostra bellissima suite. Ci facemmo una
doccia, la quale ci rilassò molto....
dopo di
che,
accordai lo strumento e incominciai a ripassare
musiche di Vivaldi, Grieg, il
concerto grosso
di
Handel e la trota di Schubert, (l'unico
quintetto che scrisse per violino,
pianoforte,
viola,
violoncello e contrabbasso). Tu non eri
seduta al mio fianco, ma bensì di
fronte per
ascoltare il
mio ripasso musicale.
Ti guardai non appena ebbi
finito di aver ripassato le quattro stagioni di
Vivaldi.
Essendo
un pochino stanco, decisi
quindi di sedermi per qualche istante accanto
alla mia
bambolina. Non appena
seduto, ti guardai e notai che i tuoi
occhi erano lucidi.
Ti lasciai
sfogare
senza dire nulla. Fissavo il tuo bel volto
bagnato dalle calde lacrime. Ti accarezzai
come
per
asciugarle, ma tu mi dicesti: ti prego amore
mio, lascia che si asciughino da se,
la tua
grande
sensibilità mi ha commosso e fatto piangere. Sai
mia dolce bambolina, le tue
belle manine,
mentre mi accarezzavi, erano bollenti e bagnate
dalla tua sudorazione la
quale emanava un
profumo pari a quello che comprai appena ci
imbarcammo sulla Plein
Soleil. La marca di
questo
profumo era ed è tutt'ora Chanel N.5, che a te
piaceva tanto.
Una breve parentesi.
Ora mentre sto scrivendo,
raccontandovi questa
(per me)
meravigliosa
avventura da favola
sembra che dai miei pori stia
uscendo un profumo dolcissimo il cui nome è
Chanel N.5.
Adesso, dopo essermi sciacquato
queste indegne mani, posso risedermi nuovamente,
per
continuare a romanzare questa nostra
crociera. Ormai dal tuo bel visino, non
scaturiva più
alcuna lacrima, ma dalle tue belle labbra udii
queste parole: non solo io ma anche tu riesci
a
rendere felice la tua bambolina, non mi merito
tutto questo da te.
La
prova d'orchestra fu
fissata
dal maestro intorno alle ore 11.
Ci preparammo e scendemmo, mi aiutasti a portare
l'attrezzatura nel salone da concerti.
Il
pavimento era di legno pregiatissimo e le pareti
erano tappezzate da più artigiani molto
bravi,
non parliamo poi dei lampadari enormi i quali
erano sospesi (non so in che modo)
sulle nostre
teste. La prova generale non soddisfece per
nulla il maestro e ne tantomeno
noi professori
di
orchestra. Eravamo delusi per com'era andata questa
bruttissima prova.
Ricordo che andai a
pranzare senza avere appetito, (infatti non
toccai cibo) aspettai solo
che fosse la mia
bimba ad
aver finito di pranzare.
Dopo essermi congedato
da tutti i commensali, mi venne una gran voglia
di appartarmi
andando nel salone dei concerti per
rimanere solo con me stesso
e meditare sul
mio fiasco.
Fui pervaso da una grande
depressione e non volevo vedere nessuno. Mi
chiedesti: ti do
molto fastidio se vengo assieme a te? Ti
risposi: se lo desideri seguimi. Prendendoci per
mano, scendemmo in salone e ci sedemmo tutt'e
due l'uno in braccio all'altra.
Volendo confortarmi dicesti: suvvia mio
sbinfero non t'abbattere in questa maniera,
vedrai
che
con il mio aiuto e la tua grande forza di
volontà, riuscirai pure questa volta a fare un
figurone,
ma non solo tu, anche tutti i tuoi compagni; se
me lo consenti andrò vicino e
parlerò loro
perché
riacquistino la volontà e la fiducia in loro stessi.
Dopo essere rimasti in
silenzio per non so
quanto
tempo, sentimmo un brontolio provenire
dall'angolo più buio
della sala. Fu in quel
momento che
capimmo di non essere i soli in quel luogo
divenuto
ormai per noi ostile. Da quell'angolo
la voce
che udivamo, era quella del maestro Bruno
Bellis
il quale, sedutosi sul pavimento e mettendosi
le mani fra i capelli (parlando ad alta
voce con
se stesso), con disgusto si mise a pronunciare
queste parole: maledetto il giorno
in cui
accettai questo incarico e firmai il contratto.
Nessun
componente di questa orchestra
osava
avvicinarsi a lui per confortarlo anche solo per
dirgli: ci
scusi maestro siamo tutti
quanti addolorati, ma
vedrà che per quell'ora fatidica saremo in forma
per iniziare.
Lui, scuotendo il capo, esitò per
qualche istante prima di pronunciare testuali
parole:
mi
avete deluso profondamente, non avrei mai
immaginato che sarei caduto così in basso,
fidandomi
ciecamente di gentaglia come voi. Per quanto mi
riguarda, neppure un calzolaio
vi prenderebbe
come garzoni. Disse ancora a me: scusami
Stefano so che tu e tutti voi con
tutte le
vostre forze date il massimo di voi stessi, però, oggi da voi
pretendo cento volte di
più. Aggiunse inoltre:
potresti per cortesia farmi parlare con la tua
stupenda amicona?
Risposi: sì maestro.
Il
silenzio attorno a noi era tombale; sentivamo
solo che ti sussurrava
qualche frase
all'orecchio,
senza percepire nulla se non: ci penso io signor
maestro.
Arrivasti da me e ti sedesti al mio
fianco. Mi mettesti dolcemente il braccio
destro attorno
al collo e mi dicesti: lo sai
perché
oggi il vostro maestro è inquieto? Risposi: non
posso
saperlo, dimmelo tu, visto che ha voluto
parlare proprio con te. Mi fissasti con i tuoi
begli
occhioni e dopo pochi istanti,
incominciasti
col dirmi: Il maestro dice che se pretende da
voi il cento per cento, è per un valido motivo.
Gli
aveva telefonato qualche ora prima il capitano
dicendogli che al prossimo
approdo si
sarebbe
dovuto imbarcare su questa nave
niente meno che
Giovanni Leone con tutto il suo
seguito. A
quel tempo questo signore molto importante,
aveva la carica di presidente della
repubblica
Italiana.
Tu, molto gentile, mi dicesti di
parlare con le spalle dell'orchestra, (le
spalle
sono:
il primo violino della sezione dei violini, poi
viene la spalla della sezione dei
secondi
violini,
dopodiché c'è la spalla della sezione delle
viole e poi arriva la spalla della
sezione dei
violoncelli
e per finire non rimane che la spalla della
sezione dei contrabbassi,
in questo
caso io).
Come mi
consigliasti, andai subito a riferire quello che
mi avevi appena
detto.
Ricordo che facemmo una
prova bellissima.
Ad ascoltare la prova c'èra solo l'ammiraglio
Stefano Mancini, poiché il capitano e gli
ufficiali di
bordo, erano tutti impegnati per la
manovra
d’attracco.
Il concerto ebbe un grande successo
e il
presidente, alzatosi dalla poltrona
presidenziale,
venne verso di noi per
congratularsi.
Era ormai sera dopo aver cenato tu ed io
decidemmo
di coprirci bene, (poiché all'esterno
il
freddo era tagliente), per andare ad appoggiarci
al
pulpito della nave a contemplare
la luna,
che
si rifletteva su questo
specchio di mare. Dopo
essere saliti sul ponte di comando, per chiedere
il
permesso al capitano il quale ci diede
l'ok,
scendemmo e andammo decisi ad appoggiarci al
pulpito di quella prua ove andammo,
quando
salpammo con il transatlantico Speranza e poi
con
il Plein Soleil.
Ti fissavo: eri bellissima anche se i tuoi
lunghi capelli non erano più sciolti ma raccolti
a
coda di
cavallo. Appoggiando le tue braccia sul pulpito,
mi sussurrasti: non mi sembra
vero
questo si
che
è un viaggio da sogno, non finirò mai di
ringraziarti per avermi portata
con
te, ti amo
davvero
tanto credimi.
Dopo poco tempo udimmo uno
scricchiolio, poi una
chiusura di porta.
Ci
voltammo
e vedemmo il presidente in persona, con una parte
del suo
seguito venuti
pure loro per ammirare
questa bella sera stellata. Sembrava quasi che
la
luna ci dicesse:
toccatemi, sono vicinissima
a
voi.
Era buffo il presidente Leone, ma molto
simpatico, indossava un pastrano ben imbottito e
per riparare le mani dal freddo aveva due
guantoni da sci. A coprire il suo capo, ci
pensava
un
bel cappuccio rosso con un pon pon
bianco.
Sembrava che a bordo fosse arrivato babbo
natale.
Ci scambiammo molti salamelecchi,
poi ci
congedammo augurandoci la buona notte.
Lui e
la
sua
scorta andarono a riposare nella suite numero
214, adiacente alla nostra, noi
invece
nella
suite
numero 213.
Entrati che fummo, ci spogliammo
degli abiti pesanti e ci mettemmo in libertà.
Tu
non indossavi nulla se non un mini perizoma.
Guardavo il tuo morbido seno senza nulla
e, non
sapendo che cosa dire, ti proposi di andare a
riposare su quel divano enorme, dove
trascorremmo quella notte bellissima
contemplando la
luna.
Ammirai le tue minuscole
tettine e senza farle alcun male le accarezzai
dolcemente.
Stavano perfettamente nel palmo delle mie mani e
non dicesti nulla. Ti accarezzai
tutte le
parti intime; ne eri contentissima e
provavi quel piacere che solo pochi uomini sanno
dare
alla loro amata, senza farle del male.
Mi
accontentavo di accarezzare quell'involucro
stupendo che avvolgeva l'incastellatura,
senza
la quale, non saresti potuta ne stare in piedi
ne
tantomeno seduta. Ogni tanto, dato
che non
avevamo sonno, facevamo una pausa per
ammirarci e riprendere le energie
per
poi
continuare. Trascorremmo così quasi tutta la
notte
amandoci senza fare altro. Altra
piccola
parentesi
(amore non vuol dire solo sesso, anche perché
dopo aver fatto sesso, per
qualche ora tu non
hai più voglia di lei desideri solo rilassarti),
fare
sesso è un'arte che va
rispettata.
I grandi pittori, per
dipingere i loro nudi, avevano per
modelle delle ragazze
anche bellissime, senza fare sesso con loro.
Adesso rientro nel
tema.
A
svegliarci
furono i
genitori di Fabio, Franca e Lino che
con molta discrezione, ci servirono la
colazione.
Trascorremmo così questa bella giornata di S.
Silvestro, provando con l'orchestra per
il
concerto di capodanno. Continuammo così questo
indimenticabile viaggio circumnavigando
l'arcipelago indonesiano. Ricordo
che il capitano mi fece chiamare d'urgenza da
Ettore (il
sottufficiale), per comunicarmi
che il mio
impresario
dall'aspetto truce,
ma bravo come il
pane e molto sensibile, (ora
posso dire
il suo cognome). Questo
omone che sembrava un
boss, si chiamava Rigato e
risiedeva a Verona. Questa è la verità
sacrosanta. Non appena
riuscimmo a varcare il
ponte di comando, il capitano
mi diede la bella
notizia, dicendomi:
professore si metta subito
in contatto col suo manager
per informazioni che la
riguardano.
Mi fece telefonare con il suo
apparecchio personale.
Parlai
con il signor Rigato il
quale, complimentandosi per la mia grande
professionalità, mi
consigliava
(se ne fossi stato
contento), a non sbarcare terminata questa
crociera, perché
avrebbe rinnovato
il mio contratto, per dare
nuovamente la mia prestazione con questa
espertissima orchestra.
Aggiunse inoltre: lo so
professor Villa che lei non viaggia da solo,
ma
accompagnato da colei che
oltre a volerle un bene
dell'anima, le fa da mamma dandole
pure consigli
utilissimi; a proposito
potrei sapere il suo nome?
Risposi: certamente signor
Rigato il suo nome è
Liliana però io la
chiamo Lili. Volle ancora
aggiungere alcune cose e
disse: non mi deluda
godetevi queste
crociere da sogno, lei ha un
talento invidiabile.
Tengo a precisare che la
suite dove alloggiate, è sempre a
vostra disposizione.
Studi
sempre come ha fatto finora e vedrà che non se
ne pentirà, grazie a lei, a tutti i suoi
colleghi,
condividerò
volentieri i miei proventi.
Ci congedammo scambiandoci gli
auguri per
un felice anno
nuovo. Rimasi molto colpito e contento per
quello che il signor Rigato
mi
aveva appena comunicato
e capii
che quando sarebbe terminata questa
indimenticabile
vacanza di lavoro, avrei
avuto solo il tempo, (naturalmente con la mia
dolce bambolina),
appena
avessimo attraccato nel
porto di Genova, di prendere un taxi e farci
accompagnare
nella nostra
città, per dare un saluto
ai famigliari e amici, per poi salpare
nuovamente
verso altre isole.
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