FIABE DI STEFANO VILLA

   SAPER SOFFRIRE        

         In una notte tormentata e in pieno inverno, il signor Schmit destatosi all'improvviso perché sentendo
         degli strani rumori nel suo tugurio, scese dal letto facendo un terribile capitombolo a testa in giù.
         Stette in terra all'incirca trenta attimi, dopodiché dovette prendere una drastica decisione, si rizzò in
         piedi ma ricadde di nuovo a terra e poi, incominciò ad imprecare così forte che tutto tremava come se
         fosse in atto un terremoto. Ma dal momento che non riusciva a mettersi in piedi, a stento e a carponi,
         riuscì ad avvicinarsi ad un tavolino tarlato sul quale poggiava in modo pericoloso una lucerna che non
         appena Schmit
decise di prenderla gli cadde in testa facendogli venire un bel bernoccolo e in più un
         gran male. Quando finalmente il gran dolore andò via via scemando, riuscì ad accendere quello che
         rimase della lucerna schiacciata. Con molta calma, si infilò un paio di pantofole di diverso colore che
         facevano ribrezzo e venire il voltastomaco anche solo a guardarle. Si domandò: "Caro Schmit cosa c'è
         che ti tormenta così tanto?" Il suo spirito interiore rispose: "C'è che nulla va bene, mi tutto va storto,
         odo delle voci provenienti dall'aldilà e vedo tutto che si sposta e subito dopo si riordina ecco cosa c'è,
         dammi una mano o son morto.
 All'istante, si spense la lucerna e il buio fu totale.
       
 Dopo più di un attimo, innanzi a se, apparve una luce potentissima e misteriosa mai vista sul suolo
       
 terrestre. Al centro di essa vi era una bellissima fanciulla, dalla lunga chioma nera e occhi castani,
       
 come non si poteva neppure immaginare. Davanti a questa dolce visone egli perse i sensi (e svenne)
         ma lei con un tocco di magia lo risvegliò. Ripresosi totalmente, fissando la dolce creatura domandò:
         "E, tu, tu chi sei e da dove spunti?" Lei sorrise senza dir nulla, poi dopo tre attimi ancora col sorriso
         sulle labbra gli rispose: "Mi chiamo Agata e provengo dal pianeta Lumen de Lumen e sono deceduta
         trenta trilioni di attimi or sono ed è inutile che ti spieghi
 perché sei ancora umano e non lo capiresti.
       
 Dunque se mi vuoi, sarò la tua  fatina turca e rimarrò al tuo fianco per sempre.
        
La bella fatina indossava una corta gonna di color turchese che le arrivava un po' più su del ginocchio
       
 e la tinta delle calze di un bel color panna ed erano di seta purissima. I suoi piccoli piedini calzavano
       
 scarpette di una pelle molto morbida di color testa di moro. La camicetta era confezionata da chissà
        
quale bravo sarto, era tutta bordata di pizzo bianco e aveva una infinità di piegoline, la giacca molto
      
  leggera, era anch'essa di color turchese. Il suo dolce visino sembrava quello d'un angelo venuto dal
         paradiso. Sul suo capo poggiava uno stupendo
diadema in oro e pietre preziose e il suo bel corpicino,
     
   emanava un gradevolissimo profumo di rosa.
        
Quand'ebbe finito di squadrarla dalla testa ai piedi Schmit si vergognò di sé stesso e le disse: "Sei...
       
 bellissima sai, non ho mai visto delle ragazze più belle di te; ma dimmi che sto sognando perché tutto
         questo mi sembra surreale".
         E ancora: "Mi vedi in che stato sono e dove
vivo? Sono pure un poveraccio e un buono a nulla e per
         sbarcare il lunario faccio l'accattone
quindi non avrei da darti in cambio proprio nulla e mi rammarico.
         La fatina, dopo essersi seduta al suo fianco gli prese la mano emanando da essa un gradevole tepore
         portandosela dolcemente al seno, poi con molta calma gli rispose: "Mio carissimo Schmit, quando mi
         hai vista non ti sei domandato perché questa signorina è qui assieme a me?" Io sono qui perché sei
         buono, gentile e soffri molto, non è vero?"
         Ormai
Schmit non trattenendo più le lacrime,singhiozzando le rispose: "Mia dolce fatina si è vero che
         soffro e facendo vita eremitica, ho imparato cosa significhi "saper soffrire".
         Giorno dopo
giorno, la mia solitudine opprimendomi m'induceva a commettere le cose più blasfeme e
         non avendo più le forze necessarie per reagire, mi lasciai andare, non curandomi più di me stesso, ed
         ecco che sei arrivata
tu ed ora, ho tanta paura di perderti... non te ne andare. Mia dolce fatina dimmi
       
 che questo non è un sogno ma la pura realtà. Anche la fatina aveva un cuore che batteva e a questo
        
punto, si commosse tantissimo pure lei e … pianse... pianse molto.
  
      Dopo non alcuni attimi cadde in un sonno profondo addormentandosi saporitamente sulla spalla di
       
 Schmit. Lui in quel preciso istante, ricevette dei poteri magici, ma solo a scopo benefico e quindi, non
       
 abusò minimamente della bella fatina, ma stette lì buono al suo fianco come se volesse proteggerla
       
 dalle insidie della notte, accarezzandole di tanto in tanto, le morbide labbra e la vellutata pelle delle
       
 sue guance fino a che pure lui crollò dal sonno e s'addormentò.
 
       Al suo risveglio, si accorse di non essere più nella sua bicocca, ma in una fastosa reggia, ben vestito
       
 e con un lussuoso frac ed erudito a festeggiare le nozze con la sua bellissima fatina turca Agata, sul
       
 fantastico pianeta Lumen de Lumen. Naturalmente tutti coloro che lo abitavano, erano dei personaggi
       
 molto buoni, pii e mai avrebbero osato danneggiare il proprio prossimo perché ciascuno di essi, aveva
       
 un compito ben preciso assegnatogli direttamente dal capo supremo e immortale che è il buon Dio.
        
Schmit grazie all'aiuto ricevuto dalla sua dolcissima fatina turca Agata si rammentò di quando era un
       
 accattone per cui decise d'impegnarsi molto scendendo da Lumen de Lumen sulla madre terra per poi
       
 consolare i derelitti e gli accattoni che gli ricordavano il suo passato.
         A questo punto la fiaba è terminata e l'autore, si augura con queste semplici parole, di aver toccato la
       
 parte più recondita dell'umanità affinché non si odino, ma diano un aiuto a chi ne avesse bisogno.
       
 Anche la dolcissima fatina turca Agata è d'accordo su quanto dice l'autore.
        
L'autore Stefano villa ringrazia di cuore il buon Dio per avergli dato l'ispirazione affinché portasse a
       
 compimento "Saper soffrire".
         La dolcissima fatina turca Agata, per la collaborazione (Agata Francavilla operatrice Sky)
  
      Correttrice di bozze (Lella).

  

LA PICCOLA ESTER

        Ciao mia grandissima amica, come stai? Il mio nome è Etienne, sai? Rimembro quel caldo pomeriggio
      
 estivo del mese di luglio. Il caldo era opprimente e tu piangevi, perché faticavi a
respirare. Sai Ester?
      
 Ti osservavo dall'interno del tuo ego, senza che te ne accorgessi. Decidesti dunque, di interrompere il
      
 tuo cammino, perché la tua stanchezza era tale che le forze, poco a poco ti abbandonarono. Tu, sì sì,
      
 dico a te Ester volgendo il capo verso nord in quell'istante tu adocchiasti un anziano albero non molto
       
alto con tanto verde attorno, ad una distanza pari
a quella d'un bimbo che tira un calcio al pallone.
      
 Vi erano pure molti uccellini, i quali con
il loro canto, rendevano il paesaggio meraviglioso e con tanta
      
 bella musica all'intorno. Osservando l'albero, dicesti: "O!!! Ciao albero bello, qual è il tuo nome?"
      
 L'albero le rispose: "Il mio nome è Pruno e il tuo? Ella gli rispose: "Il mio è Ester … ti piace?" Tanto le
      
 rispose Pruno …
ma dimmi; perché piangi, cos'è che ti sta affliggendo?" Ester, gli domandò: "Mi puoi
      
 ospitare per qualche istante sotto le tue fronde? Perché come vedi sono ancora piccina e fragile.
       
Il mio papà, è tanto buono e mi ha detto: "Sì Ester esci pure a giocare con i tuoi amichetti però torna
      
 presto e non ti stancare. Sai, amico Pruno? Ho disobbedito al mio buon papà, ed ora, sono tanto tanto
      
 stanca; dammi tu una mano se puoi, a ritrovare le forze per tornare a casa presto dal mio papà.
      
 Udito ciò il bell'albero, si commosse e disse alla piccina: "Ester vieni qui, mangia un po' dei miei frutti
      
 poi siedi, appoggia la tua schiena e la testa sulla mia corteccia dopodiché, chiudi gli occhietti e riposa,
      
 vedrai che quando ti sveglierai, avrai ritrovato le forze per ritornare a casa dal tuo papà il quale non
      
 s'accorgerà di nulla. Andò proprio come aveva detto il Pruno (l'albero bello), perché quando Ester (la
      
 bella bimbetta) si appisolò, fece calare su di essa, un suo ramo (il più bello), e le sue fresche frasche,
      
 avvolsero pian piano la dolcissima fanciulla, trasudando tante goccioline di fresca rugiada e dal dolce
      
 profumo di prugna.

       
Ester, ringraziò di cuore il suo nuovo amico Pruno e dopo averlo abbracciato gli diede tanti bacini sul
      
 suo tronco e gli disse: "Ora corro a casa, ma domani aspettami perché tornerò da te per starti accanto
      
 e tenerti compagnia".
       
Detto ciò, ringraziò anche Etienne e gli disse: "Ti prego Etienne, rimani sempre nel mio cuoricino e...
        grazie … grazie per tutto ciò che fai per me". Saltellando come un cerbiatto, la bimba si avviò di corsa
      
 a casa dal suo papà, che come le anticipò Pruno, non si accorse di nulla.

                
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