BENVENUTI NELLA FIABA DI
STEFANO VILLA
Un orologio come amico
Quella sera, nell'alto pianoro di Ullallà,
viveva tanto tempo fa e chi lo sa perché, un
mangiatutto.
Questo grande
mangione, era bravo come il pane ma, aveva
sempre una fame da lupo. Egli, nonostante
mangiasse molto era
magro
ebbene sì,
magro come un chiodo. Era conosciuto e benvoluto
da tutti anche dagli abitanti della
boscaglia
di Ciupaciup i quali quando lo
vedevano arrivare sorridendo dicevano: "Guardate
gente
arriva Scheletrique, era
tanto
magro". E
ancora: "Andiamogli incontro presto, presto
altrimenti piegherà le
ginocchia e si affloscerà sul
duro sentiero".
Lui, udendo il loro starnazzare, aumentò
l'andatura, finché s'incontrarono. Solo allora si afflosciò
stremato
dalla fatica per aver corso
così
tanto. Orbene, arrivato dunque a
destinazione, questi suoi grandi amici
lo
condussero in una
delle numerose capanne, costruite
con
canne di bambù e intrecciate fra di loro, da un
certo
"Carabociule
Gnangu", una bravissima persona e indigeno
del posto.
La capanna distava un centinaio di metri
dalle
fresche frasche, proprio vicino
al ruscelletto "Acqua pura". Entrarono
dunque e lo fecero accomodare sopra
a una balla
di paglia mista a fieno, poi lo rimpinzarono ben bene,
con varie leccornie succulenti, cucinate con
tanto amore dalle candide mani delle brave e,
altrettanto
stupende Katia e Paola (Paoletta per gli amici),
con
l'ausilio di Sara (sua figlia) e
Matilde, le sue dolcissime bimbette. Matilde,
era piccina
e, dal momento che
aveva
confidenza con Scheletrique, pardon, con
il bravo e tanto umile
"Gigetto", giocava sempre volentieri con lui, ed
egli per lei perdeva la testa, anche per il
fatto
che, non essendo sposato, non aveva alcun
figlio. L'acqua
buona
per cucinare, andavano ad attingerla dal ruscelletto "Acqua
pura". Il nome di questo bravissimo mangione,
non
era: "Scheletrique", ma: "Gigetto Gamba". Questo strano
personaggio, oltre ad essere buono e umile di
cuore,
era pure intelligente, per cui di tanto in tanto,
costruiva bellissimi giocattoli per bambini
poveri e non, facendoli
così sorridere. In
cambio non voleva soldi ma,
solo la loro amicizia
e la otteneva anche da parte dei loro genitori
i
quali a loro volta, molto volentieri, lo
invitavano a desinare con loro, a pranzo o a
cena e a volte capitava che
fosse invitato anche per alcuni
giorni, quando aveva piacere di ultimare le
costruzioni iniziate di molti giocattoli
per poi
consegnarle ai
bambini. Insomma, Gigetto era stimatissimo
nonché benvoluto da tutti.
E venne anche
il giorno del triste addio con i "ciupaciupiani"
ossia, gli abitanti della boscaglia di "Ciupaciup".
Ebbene sì, volete
sapere il perché? Eccovi accontentati.
Dovete
sapere carissimi bimbi e genitori, che il
beneamato Gigetto, era molto in gamba anche
nella lavorazione
del
legno. E avvenne che, le mammine Katia e Paola,
sentendo che Sara e Matilde erano desiderose di
condurre
a
casa con loro il loro super amico Gigetto
(perché dicevano): "Se lo convinciamo a venire
con noi a casa
nostra,
ci costruirà senza
dubbio, qualcosa di molto bello e che potrà
essere il nostro grandissimo amico; e così fu.
Sara
era la figlia di
Paola, invece Matilde la nipotina e fu proprio
lei a prendere per mano Gigetto e dirgli: "Ciao,
ora
ti porto dalla mia
mammina e le dirò che desidero tanto, che tu
venga con noi a casa … vedrai, la mia mammina
è dolce e dirà di
sì". Quando arrivarono, Matilde fece la
richiesta alla sua mammina ed ella felicissima
di avere
assieme a loro il
grande Archimede del posto, le rispose: "Bene
piccola mia, ora però, ringraziamo
dell'ospitalità
e salutiamo i nostri
amici ciupaciupiani". Detto ciò, la gentilissima
Katia disse: "Potrei essere onorata di avere in
auto con me Gigetto?
Così
parleremo un po' su
cosa intenderà costruire quando sarà a casa
tua". La risposta di
Paola fu: "Dal canto
mio va bene". Intervenne la piccola Matilde
dicendo: "Mammina cara, posso unirmi anch'io
assieme a loro?
Dimmi di sì ti prego lasciami andare con loro e
ti prometto che sarò sempre buona
come desideri
tu". In cuor suo la
mamma Paoletta, lo sapeva ancor prima che la
bimba glielo domandasse, quindi s'inginocchiò
di fronte,
l'accarezzò poi dopo averle dato un materno
bacino, sorridendo le disse: "Sai Matilde tu sei
già buona
e non c'era bisogno
di dirmi che lo avresti fatto; comunque vai pure
con Katia e il tuo Gigetto".
Ella si gettò in grembo
alla mammina e, dopo averle inumidito il visino
di baci, schizzò via andando a
prendere
posto in auto
accanto alla simpatica Katia. Quando Paoletta fu
pronta, mise in moto il motore, inserì la prima
marcia e partì
assieme a Sara (sua figlia) per raggiungere la
loro città dal nome: "Fate pin là". Katia (che
aveva
già il motore
acceso), inserì pure lei la marcia e partì.
Durante il viaggio iniziò a piovere, ella
dovette azionare il
tergicristallo ma
s'accorse che non funzionava bene, quindi appena
poté, si fermò e scese dall'auto per capire sé
avesse potuto
risolvere il problema, togliendo un po' di
porcheria che si era appiccicata sulla gomma.
Appena
scesa però, passò un
auto e involontariamente, le schizzò un pochino
di fango addosso. Ella, non
aspettandosi
quell'acqua e
terriccio addosso, diventò assai triste e disse:
"Ma tu guarda quel maleducato; non poteva andare
più piano ed evitare
così quella pozzanghera? Uffa, ora sono pure
bagnata e, non ho un ricambio”.
Katia indossava una bella
camicetta scollata, di color blu mare quindi,
molto scuro (come quello della divisa della
marina
inglese) e un bel paio di calzoni a coscia di
color giallo canarino sottili e, molto
attillati. Ai piedi (dato che
faceva caldo),
calzava un'elegante paio d'infradito di cuoio,
per cui la simpatica nonché bellissima signora,
era
bagnata dalla testa
ai piedi.
Per fortuna che a forza di
grattare il gommino del tergicristallo, riuscì
ad eliminare
l'incrostazione
senza danneggiarlo. Nel
mentre che finiva di pulire per benino tutto il
tergicristallo, la pioggia
continuava
a cadere incessantemente dal plumbeo cielo, non
risparmiando l'esile e bel corpicino di Katia.
Finito ciò, ella (che già era bagnata come un
pulcino e, intirizzita dal freddo), aveva il
problema di salire in auto
senza
inzuppare il sedile di acqua piovana. I bei
calzoni gialli, erano stati confezionati sì con
molta cura, ma con
una
stoffa talmente sottile, che in questo caso
(bagnati d'acqua) erano diventati quasi
trasparenti, per cui Katia
si
sentiva un po' imbarazzata. A questo punto,
entrò in scena il buon Gigetto, il quale con
molta discrezione, le
domandò:
"Perdona Katia se m'intrometto". E lei subito:
"Sì Gigetto dimmi pure".
Allora egli
le disse: "Se guardi
nel baule, scommetto
che troverai senz'altro qualcosa che possa
fungere come ripiego". Ottima idea, rispose lei
e continuò:
"Avresti voglia di scendere e ficcare il naso
assieme a me?" Certo carissima; sarà un piacere
starti
vicino e cercare
qualcosa che senza dubbio, troveremo. Appena le
fu accanto, Esclamò:
"Oh, meno male che
il
portellone ci ripara
da questo diluvio! Adesso fammi dare un'occhiata
a questi indumenti". Ed ella: "guarda pure
sai? Questi
indumenti me li regalò mio zio, prima di partire
per l'America dicendomi che un giorno mi
sarebbero
venuti comodi". E fu
proprio così,
perché rovistando
qua e là senza buttare tutto per aria, trovò una
bellissima
gabbana mai
indossata. Quando Katia la vide gli domandò:
"E questo che
cos'è, un paletot?".
Egli le rispose: "No,
questa si chiama gabbana, sai? Veniva usata
specialmente in passato, dai nostri antenati
quando il freddo era
pungente". Guarda, guarda quant'è bella ed è
perfino imbottita con una calda pelliccia
e ha
pure un bel
cappuccio
provala, così
nessuno ti potrà guardare e, finalmente con
addosso questa larga gabbana,
potrai sfilarti
comodamente i pantaloni che sono inzuppati
d'acqua e anche la camicetta sai? Sino a casa,
potrai
condurre l'auto
vestita cosi ossia, sembrerai una ricca signora
d'altri tempi e, lasciami dire che a me piaci
tanto".
Lei parlò così: "Va
bene se lo dici tu ti credo". Si sfilò quindi i
calzoni e la camicetta che
consegnò a Matilde
e le:
disse: "Per cortesia Matilde tieni, cerca una
busta e metti dentro questa camicetta e i
calzoni, Grazie". La bimba
la fissò per qualche
momento, poi le disse: "Katia, sai che vestita
così mi piaci proprio tanto? Indossa sovente la
gabbana perché ti
dona molto". Va bene ti ringrazio però ora,
saliamo a bordo e partiamo per "Fate pin là"
su..
coraggio". Fate pin là, era la città nativa e
dove vivevano la bellissima Katia assieme a
Paola (Paoletta per gli
amici), naturalmente in
case diverse ma, vicinissime fra loro. Questa
ridente città era ubicata al di là del grande
lago "Girar di notte" per cui il viaggio era
ancora lungo.
Ormai Katia poteva guidare senza
alcun problema perché
parte del corpo era completamente all'asciutto
tranne
i piedi. Fece perciò così: si tolse gl'infradito i quali erano zeppi d'acqua per cui
quando premeva sull'acceleratore
e sulla
frizione, si udiva il famoso "cic ciac" tipico
di quando qualcuno ha i piedi sudati. Asciugò
perciò i medesimi
con diversi fazzolettini poi,
si ricordò che sotto il sedile, teneva sempre un
bel paio di scarpe color testa di moro
col
tacco basso e quindi, uno alla volta, inserì i
suoi piedini dentro quelle asciutte e comode
scarpine. Mentre si
accingeva ad avviare il
motore, ecco che sul lato opposto della
carreggiata avanzava ad un'andatura ragionevole
un'auto identica a quella di Paoletta. Matilde
vedendo quell'auto, a
gran voce esclamo: "Su quella macchina c'è
la mia nonnina e la
mia mammina, u’ che bello!".
Quell'auto si fermò proprio accanto e, alla
guida, c'era proprio
la bellissima Paola, la
quale domandò: "Ciao Katia, non vedendovi
arrivare, mi sono preoccupata e sono tornata
indietro; spero nulla di grave". Poi, vedendo
com'era vestita, le domandò nuovamente: "Hai
cambiato l'abito?
Che cosa ne hai fatto
della camicetta, per caso sentivi troppo freddo
e hai indossato questo bel paletot? Katia,
dopo
averle spiegato per filo e per segno tutto ciò
che le era accaduto, le domandò: "Paola mia
cara, adesso hai
capito il perché non ti ho più
seguita e perché indosso questa bellissima
gabbana? Sai? Ho dovuto sfilarmi anche
gl'infradito e calzare
queste belle scarpe; detto ciò sfilandosene
una, gliela fece vedere. La risposta fu: "Sì
Katia,
il tuo discorso, è stato conciso ed ora
ho capito perfettamente".
Katia, desiderosa di
far rientro il più presto possibile nella sua
umile casa con vista lago, ad una ventina di
metri
dal grande lago "Girar di notte" per cui
lontano dai rumori cittadini di "Fate pin là",
disse alla sua inseparabile
amica Paoletta: "Ora
se mettiamo in moto i nostri bolidi, potrai
andare a girare l'auto, mentre io ti aspetterò,
dopodiché ti seguirò". Con molto piacere Katia;
vado e torno rispose Paola. Katia, non fece in
tempo a spalmarsi
un po' di lucida labbra che
Paola era già lì pronta per partire. Dal momento
che il viaggio era ancora molto lungo
optarono
per traghettare con le proprie auto, fino
al di là del lago. Furono fortunate perché
quando arrivarono
all'imbarcadero, era appena
arrivato il Gran soleil, un bellissimo traghetto
molto grande, in grado di trasportare
persone
veicoli ed era dotato pure di un salone
ristorante. Furono doppiamente fortunate, perché
in quel preciso
istante, il capitano stava
proprio scendendo dal ponte di comando e..., quando
vide due così belle ragazze, non
esitò a
presentarsi dicendo di chiamarsi Ugo Trombin e
invitare a desinare al suo tavolo sia Katia,
Paola e Sara,
la figlioletta Matilde ed il
bravissimo Gigetto. La cena, era squisitissima
per cui stettero ancora un po' a parlare
col
primo ufficiale Ugo Trombin, poi arrivò il
momento di ringraziare e salutare perché il capitano,
dovette salire
con un bell'ascensore
cilindrico in spesso cristallo color acqua
marina sul ponte di comando e dare le
disposizioni
per l'attracco al molo numero due.
Una volta attraccato il "Gran soleil", le due
amiche salirono a bordo delle loro
automobili
con i loro rispettivi passeggeri, avviarono i
motori e attesero con pazienza l'ok dal
personale di bordo
per scendere dal traghetto.
Era ormai notte quando le nostre simpatiche
amiche e Gigetto, arrivarono alle loro
accoglienti case a pochi passi l'una
dall'altra. Dapprima corsero immediatamente in
casa di Paola, la quale disse
a Katia: "Ora
andrò a prenderti quel completino azzurro che a
te piace tanto, sai? Era da tempo che
desideravo
regalartelo, ed ora è
giunto il momento".
E ancora: "Poi, vai pure in quella camera lì di
fronte, e mettiti a tuo
agio … se lo desideri,
puoi farti anche la doccia". E così fu. Ci volle
il suo tempo, ma quando uscì disse: "Eccomi
ragazzi … vi piaccio?" Tutti nel guardarla,
rimasero sbalorditi e le dissero: "Accipicchia
quanto sei bella". Gigetto
chiuse la bocca che
era spalancata dalla meraviglia dopodiché le
disse: "Sai mia carissima Katia, ti manca solo
la
bacchetta magica e il cappello lungo a cono e
poi assomigli alla fatina turchina … sei
bellissima, sento che mi sto
innamorando di te".
Essa tutta contenta per aver ricevuto un simile
complimento, gli si avvicinò e, dopo avergli
dato un bel bacino, gli disse:
"Grazie infinite
Gigetto … nnn chissà; forse emm farò un
pensierino". Dal momento
che pioveva ancora
forte, Paola
insistette perché
pernottassero tutti quanti da lei e disse: "Sapete ragazzi? Ho
desiderato tanto questo
momento; sin da quando eravamo dai nostri
simpaticissimi amici
ciupaciupiani … il posto
non manca e poi ci
terremo compagnia". Disse ancora: "Non ho idea
di che ore possano essere, perché in questa
casa non c'è un
orologio comunque sia, avrei un pochino di fame,
lo desiderate uno o due toast prima di andare
a fare la nanna?"
Tutti gradirono quella proposta e quasi
all'unisono risposero: "Sì sì Paoletta; grazie,
dopodiché
andremo a nanna". E
così fu.
La prima ad
accomiatarsi fu Katia, la quale domandò a
Gigetto: "Orsù tu dormirai al mio fianco questa
notte?"
Ed inoltre:
"Sai? Sono alquanto
stanca e mi sentirei tanto sola, ma con te
accanto andrò in capo al mondo".
Ebbene sì, arrivo immediatamente rispose lui.
Orbene miei carissimi bambini, volete sapere ciò
che tramò quella
notte magica il
signor Gigetto? Lo so che dentro voi direte sì
sì racconta, scrittore ignoto, perché siamo qui
ad
aspettare il proseguo di
questa fiaba fantastica, sennò non riusciremo a
dormire". Ora l'ignoto compositore, vi
racconterà molte
cose. Ecco, il signor Gigetto, quella notte la
trascorse pressoché insonne, pensando quand'egli
era molto giovane e
doveva ingegnarsi per fabbricare i giocattoli
che gli sarebbero serviti poi, per giocare anche
assieme ad altri
bimbi poveri come lui perché i loro genitori
essendo poverini anch'essi, non avevano
i soldi per
acquistarglieli e
quindi andava nel laboratorio del suo papà e
prendeva in prestito gli utensili che gli
sarebbero
serviti. Dunque,
pian pianino senza svegliare Katia, accese
l'abat-jour, scese dal letto
e, dopo essersi
vestito,
uscì dalla camera e
si diresse verso l'uscita ma, ancor prima di
raggiungere indi aprire il portoncino
d'ingresso,
dovette bloccarsi
proprio lì dove si trovava, perché sentì che
qualcuno gli aveva appoggiato la mano sulla
spalla
destra. Allorché
spaventato non poco, ad alta voce domandò:
"Ohibò, chi è? Chi va là? Parla dunque dimmi chi
sei". Alle sue
spalle udì un leggero: "Sst, poi a bassissima
voce sentì: non urlare altrimenti svegli Paola,
Sara e
Matilde; sono la tua
Katia non aver paura". Ripresosi dal gran
spavento, Gigetto a
bassa voce, disse a
Katia: "Mi
hai fatto andare il
cuore in gola, ma ora sento che fra non molto mi
passerà".
E lei: "Donde stai andando
a quest'ora di notte? A proposito, chissà che
ore saranno? Non abbiamo neppure un
orologio solo quelli
delle nostre auto; andiamo a vedere?" La
risposta fu: "Sì sì; ti accompagno poi, ti dirò
dove
stavo andando, ah!
Per cortesia guarda se nel portaoggetti c'è una
torcia". Katia, guardò l'ora e disse a Gigetto:
"Sono
circa le due e la torcia è qua eccola … ora per
favore, mi puoi dire dove hai intenzione di
andare come
un'ombra furtiva in
piena notte?" Sì tesoruccio mio, dammi la manina
e vedrai. Accanto
al garage c'era un'altra
costruzione in
mattoni e assai più grande del garage,
egli allora disse a
Katia: "Adesso, vorrei vedere all'interno
e
controllare se c'è qualcosa che possa servire al
caso mio; speriamo ci sia la corrente elettrica
e l'interruttore
per la luce, altrimenti
userò la tua torcia per guardare". Questa casa
in mattoni, era dotata di una porta chiusa
all'esterno da un
chiavistello. Orbene miei carissimi bimbetti,
volete sapere cosa
fece il nostro
Gigetto? Pensò
bene di sfilarlo
dagli appositi anelli, mediante la maniglia e
aprir così la porta. Dopo un leggero cigolio, il
nostro
eroe, riuscì ad
aprire la porta la quale si era incurvata
parecchio, stando giorno e notte alle
intemperie; estive e
invernali. Dio fece
sì che la fortuna fosse dalla sua parte, infatti
nella mano sinistra (aveva in modo da non farle
male) quella della
sua dolcissima Katia
ma, la mano destra,
era libera di toccare nel muro per sentire se ci
fosse
stato un
interruttore a forza d'insistere grazie al cielo
lo trovò. A bassissima voce esclamò: "Eureka,
l'ho trovato
Katia!!! Ora
proverò a vedere se si accende qualche
lampadina". Okay, disse compiaciuta la dolce
bambolina. E
ancora: "Adesso
conterò sino a tre e, al mio via, vedrai che si
accenderà qualche lampadina coraggio uno - due -
tre - viaaa e il locale
s'illuminò. Lei facendo un piccolissimo salto
abbracciò
Gigetto, dopodiché
gli domandò: "Hai
visto? Devi sempre
aver fede nella tua Katia".
Bambini,
non immaginereste mai e poi mai quello che c'era
dentro quella costruzione … ebbene, ora
soddisferò
la
vostra curiosità. Il nostro beneamato Gigetto,
osservando attentamente ogni cosa, vide che in
una cassa di
legno
tipo un cubo di 40 di altezza x 40 larghezza e
40 di lunghezza, c'erano diverse ruote e ruotine
piroettanti
cioè
che ruotavano su se stesse, allora ne scelse
quattro e domandò alla sua bella: "Per cortesia
Katia, potresti
appoggiarle
sopra quel bancone da lavoro proprio lì di
fronte?" La risposta fu: "Certo tesoruccio mio
dalle pure a
me".
E poi: "Ecco fatto". Guardando sempre qua e là,
l'occhio del il baldo giovine si posò su
un'intelaiatura in
noce
lunga e stretta, appoggiata con molta cura al
muro, dove doveva tener bloccato un vetro di
Boemia assai
pregiato.
Guardando poi in fondo nell'angolo
destro, notò che
ritto in piedi, c'era una scocca sempre in noce
alta
più o meno un metro
e ottanta centimetri. Meravigliato alquanto, a
bassissima voce
esclamò: "Oh Katia
guarda;
guarda cos'ho
trovato!". Ella gli andò vicino poi, dopo aver
osservato con attenzione e, non capendo che cosa
potesse
essere e a che cosa servisse, con molta calma e
sincerità, gli domandò: "Sai Gigetto? Perdona la
mia
ignoranza ma, in tutta franchezza, non riesco
proprio a capire che cosa sia e per di più, a
cosa possa servire
questo strano
coso". Poi facendo una smorfia, come se fosse
disgustata, gli disse: "Tesoruccio mio sai,
questo
coso,
m'incute terrore … sembra una bara e mi fa venir
i brividi … oh, per carità di Dio; robe da
matti!". Gigetto
(che ben
sapeva cosa fosse),
disse alla sua
adorata Katia: "Vedi mio piccolo grande amore?
Questo coso come tu
lo chiami,
non è una bara ma bensì, la struttura portante
in pregiato noce italiano, di un bellissimo e
costoso
orologio a
colonna. Adesso però, non ci rimane che trovare
il suo pendolo con relativo orologio e la sua
chiave a
T, per dargli
la sua carica quotidiana". A questo punto, la
dolcissima Katia ebbe le idee ben più chiare di
prima
anzi dirò di
più; chiarissimissime per cui, ce la mise tutta
per aiutare Gigetto e fece in questo modo.
Mentre lui
cercava
disperatamente a destra, lei cercava
tranquillamente a sinistra, e fu proprio la sua
astuzia femminile,
abbinata alla
grande curiosità e al proverbio che dice: "Chi
cerca trova". (Ci mancò poco che svenisse dalla
gran
gioia) perché
ben adagiata sopra a molta morbida paglia e,
dentro una cassetta in legno, trovò tutto quello
che
sarebbe
servito per montare l'orologio a colonna,
compresa la chiave a T, in acciaio
inossidabile.
Gigetto, si
commosse molto quando seppe che
la
sua tenerissima
Katia, trovò al posto suo e prima di lui, tutti
i
pezzi per montare quel
bellissimo orologio a colonna e non fu per nulla
invidioso. Lei allora, si avvicinò molto a
lui, lo abbracciò e
dopo avergli
dato un bacino, con voce sommessa gli disse:"Tu
hai per me un ingegno fulgido".
E lui: "Niente
affatto sei tu mia adorata Katia ad avere un
ingegno fulgido, luminoso e, penetrante". La
curiosità
della stella del
mattino
fu tale, che dopo
avergli appoggiato le affusolate dita della sua
tiepida mano sulla spalla
sinistra,
molto garbatamente gli domandò: "Vorrei vederti
iniziare a montare l'orologio questa notte e
semmai,
aiutarti vuoi amoruccio mio? Dimmi di sì ti
prego, poi andremo a fare finalmente la nanna".
Ebbene sì; iniziamo
subito. Disse
Gigetto; e così avvenne. Appoggiarono quindi la
struttura portante, cercando di non farla
strisciare
per non
rovinarla, sul bancone da lavoro. Una volta lì,
Gigetto (all'occorrenza), chiedeva a Katia (in
questo caso,
la sua
fedelissima assistente) di passargli le viti, il
cacciavite a stella, viti a brugola con la
rispettiva chiave e...
altre cose
ancora.
Ad un bel
momento, concentrati com'erano, non
s'accorsero che purtroppo
il tempo trascorreva assai veloce e
non sapendo che ore
fossero, Katia la dolce domandò scusa e schizzò
via come una scheggia a vedere l'ora nella
sua auto. In quel
preciso istante, l'orologio segnava le cinque e
tre quarti. Quando rientrò in laboratorio, vide
che Gigetto si stava
stropicciando gli occhi, perciò preoccupata gli
domandò: "Cos’hai amor mio? Sono quasi le
sei, hai forse
sonno?" Egli rispose: "Sì Katia, ora spegnerò la
luce, poi usciremo, chiuderò la porta e andremo
a
fare la nanna,
intanto il più è fatto". Quando si destarono dal
grande sonno, si guardarono senza dirsi molto,
poi
dopo qualche attimo,
si abbracciarono e si diedero il bacio del
buongiorno, dopodiché Katia disse: "Accipicchia,
il mio telefonino
deve essermi caduto dalla tasca quando quel
pisquano mi ha fatto la doccia e così non so che
ore sono adesso
invece sarò obbligata ad andare a controllare
quello della macchina uffa. Appena avremo tempo
andremo a "Fate pin
là" ad acquistarne uno. Detto ciò, uscì per
andare nella stanza da bagno a farsi bella, ma
appena uscita, venne
bloccata dalla dolcissima Paoletta la quale
domandò: "Bonjour mademoiselle Katia, sono
appena arrivata
dalla mia auto e ho visto che l'orologio,
segnava le dodici e venticinque. Avrei potuto
vedere
l'ora anche sul mio
cellulare ma senza dubbio, devo averlo
dimenticato dai nostri amici ciupaciupiani,
andrò poi
a Fate pin là, ad
acquistarne uno". Katia le disse: "Allora
Gigetto ed io ci uniremo a te, anch'io ho
intenzione di
acquistarne uno,
così faremo un viaggio solo". Benissimo rispose
Paoletta, e continuò dicendole: "Ora va pure a
farti bella
dopodiché chiama il tuo Gigetto e venite a
tavola perché Matilde, Sara ed io, abbiamo
cucinato tante
cose succulente,
anche una bella e buona torta e tanti
gustosissimi pasticcini". Quand'ebbero finito di
desinare,
Paola e Sara
rassettarono poi andarono a farsi una
pennichella, Matilde invece andò in camera sua a
guardarsi
dei programmi per
ragazzi in tv. Katia e Gigetto rimasero soli
soletti, quindi si guardarono intensamente negli
occhi e capirono che
anche per loro era giunto il momento di uscire
di casa per andare in laboratorio e apportare
le ultime modifiche
al loro amico orologio a colonna. Appena usciti,
Katia aperse la portiera della sua auto per
controllare l'ora;
l'orologio segnava le quindici e diciassette.
Gigetto entrò prima di
Katia, seguito immediatamente da lei. Come il
nostro amico disse circa dieci ore prima:
"Andiamo
a fare la nanna intanto il più è fatto". Ora
prestate molta attenzione miei carissimi bambini
e bambine
perché qualcosa di
molto bello e unico al mondo accadde in quel
laboratorio. Dunque, Gigetto notando con molto
piacere che la sua
dolcissima partner era già al suo fianco, le
disse: "Adesso siamo nella fase più complessa,
se
qualcosa dovesse andare storto, addio al mio
sogno di gloria e sarei deriso da tutti i
bambini e
dai loro genitori.
Facciamo un
attimo di silenzio e invochiamo lo Spirito Santo
perché discenda su di noi e illumini le nostre
menti
su ciò che
desidero che accada. Inginocchiamoci dunque e
preghiamo così: "Gesù Buono, pensa a quanti
bimbi
poverini
(oltre ad aver poco da mangiare, non hanno
neppure un piccolo giocattolo per giocare). Ti
supplico mio
buon
Gesù mio, infondi nel cuoricino del tuo indegno
servo Gigetto, tanta fede quanto basta per veder
realizzato
questo sogno,
non per vana gloria ma per gioire con chi
apprezzerà questa mia e altre fantastiche opere!
Amen.
Anche Katia,
chiudendo gli occhi e, a mani giunte rispose:
"Amen". Fatta la preghiera, tenendosi per mano
si
alzarono.
Gigetto disse a
Katia: "Ora per piacere, passami quel piccolo
cacciavite … ecco, proprio quello grazie
poi, avrei
bisogno di quella chiave a brugola con
l'estremità verniciata in giallo sì sì, proprio
quella; grazie mille,
sei una
bravissima assistente, sei proprio un angelo".
Dopo un po', Disse: "Ecco fatto; monto solo le
sue ruotine
piroettanti,
dopodiché avrei finito". Quando le ruotine
furono montate domandò di nuovo alla sua Katia:
"Adesso
mi aiuteresti
a mettere dritto in piedi questo bellissimo
orologio? Così con l'apposita chiave a T, gli
darò la carica
e vedremo se
funziona". La risposta fu: "Con piacere amore …
sai? Sono molto curiosa".
Orbene, piano piano
e senza farlo
strisciare per non rovinare la parte posteriore, riuscirono
ad appoggiare quella
meraviglia
sul pavimento. A questo punto dopo avergli dato
la carica Gigetto diede un leggero tocco con la
mano
destra al
pendolo e questo si mosse. Domandò nuovamente a
Katia: "Avresti voglia di andare a vedere che
ore
sono nella
tua auto?" Certo, vado e torno rispose lei.
Quando tornò, disse che erano le ore sedici e
trentadue
minuti. Grazie
adesso metterò al loro posto le lancette, però
un minuto più avanti, per via del tempo
trascorso
dall'auto sin
qui e poi gli monterò l'antina vetrata. Adesso,
mie simpaticissime amichette e amichetti, state
bene
attenti
perché appena Gigetto terminò di piazzare
l'antina, in quel laboratorio, successe
una cosa molto,
molto
singolare e
per chi non era presente, sarà difficile che
riesca a credere anche solo la metà.
Dunque, tutto
avvenne nel più profondo silenzio. Ad un tratto
si udì una voce cacofonica cioè, un suono un po'
sgradevole,
ma via via che parlava diventava sempre più
dolce e cristallina
proveniente
dall'orologio, la quale
diceva: "Gra
zi e Gi get to e pu re a te Ka ti a, sono le ore
sedici e trentaquattro minuti, grazie per avermi
dato
la carica,
fatelo tutti i giorni.
Era questo il
risultato che Gigetto voleva ottenere e ci
riuscì pienamente ma soprattutto, grazie alla
preghiera
fatta con Katia al
Buon Gesù. La dolcissima bimba, all'udire
l'orologio che emetteva dei suoni articolati, si
sentì
svenire, ma Gigetto
se ne accorse in tempo e la sorresse con le sue
forti braccia, poi la mise seduta su una sedia
e aspettò con
pazienza che si riavesse da un'emozione così
grande.
Quando riaprì gli
occhietti disse: "Ora Paola
e tutti noi, abbiamo
"Un orologio come amico", un grande orologio
parlante, montato dal grandissimo Gigetto,
nel famoso
laboratorio magico di Paola". E aggiunse:
"Adesso però, bisognerà che qualcuno ci aiuti a
portarlo in
casa prima che
ricominci a piovere, perché ho già notato che
verso ponente, ci sono dei nuvoloni minacciosi
in
arrivo".
Appena detto ciò,
sentirono bussare e dire: "Sono Paola
posso entrare?" Sì
sì entra pure Paola". Rispose
Katia.
Appena entrata, non ebbe neanche il tempo di
dire: "Be", che subito l'orologio le disse:
"Ciao Paola sono
l'orologio
parlante, ora anche il tuo amico. Poi, le
domandò: "Sei contenta?" Ella, non poté né
rispondere e né
udire
nulla, perché aveva gli occhi chiusi ed era fra
le robuste braccia di Gigetto, il quale stava
appoggiando la
bellissima
mamma di Sara, sulla seggiola dove pochi attimi
prima, era seduta la dolcissima Katia. Dopo
qualche
momento,
anch'ella come Katia si riprese e non esitò a
domandare all'orologio: Sai che sei bellissimo e
gentile?
Lui timidamente le disse: "Grazie; grazie di
cuore per queste tue dolcissime parole. Se mi
darete la carica tutti i
giorni
vi prometto
che darò sempre
l'ora esatta in ogni momento delle giornate a
venire". Le domandò ancora:
"Adesso dovrò
rimanere qui per sempre oppure mi trasferirete
in un'altra stanza?" No no disse Paola. E
ancora:
"Prima che inizi di nuovo a piovere, ti
porteremo al calduccio in casa mia al riparo
dalle intemperie. Adesso con
questo robusto
carrello ti trasferiremo in un bel posto in casa
mia". Paoletta disse: "Carichiamolo con molta
cura
stando attenti che
non si rovini, poi andrò qualche secondo in auto
a controllare l'ora esatta; vado e torno".
Appena arrivò, disse
di mettere a posto le lancette perché erano
esattamente le ore 17 e 44 minuti, e questo
avvenne. Fecero
appena in tempo ad entrare al riparo, che si
scatenò un violento nubifragio. Sistemarono per
benino l'orologio a
colonna e attesero
che Sara (la quale
si trovava in cucina a preparare la cena),
entrasse nel
salone ad ammirare quel bel capolavoro parlante.
Nel contempo, arrivò di corsa Matilde (la
figlioletta tutto pepe
di Sara), la quale
domandò alla nonna: "Posso mangiarmi un gelato?"
Sì, ma prima voltati con calma e, senza
spaventarti, guarda
cosa c'é alle tue spalle". Essa fece esattamente
come le disse la nonna e quando gli fu di
fronte non si
spaventò ed esclamò: "Corbezzoli che
bell'orologio". E ancora: "Come si chiama questo
orologio?"
Ancor prima che
rispondesse Paoletta, rispose lui e senza
spaventarla disse: "Ciao piccola Matilde, da
oggi in poi
sarò il tuo nuovo
amichetto e come puoi sentire, sono un orologio
parlante. Sai? A parte orologio
a colonna, non
ho ancora un nome ….
Se ti può far piacere, potrai darmi tu un nome;
quello che più ti piace ed io, lo accetterò
volentieri. La
bimbetta pensò un attimo, poi gli domandò: "A me
piacerebbe chiamarti "Marcellino" ti piace? Egli
rispose:
"Oh sì sì, tanto …
grazie così d'ora in poi, sarò il vostro
orologio Marcellino". A questo punto i presenti
fecero un
forte applauso.
Sara, sentendo quello scroscio di applausi,
incuriosita uscì dalla cucina e di corsa andò
in salone per vedere
cosa stesse succedendo di tanto bello.
Arrivata che fu, non
s'accorse dell'orologio e domandò: "Siete
diventati tutti matti?" Improvvisamente, smisero
di applaudire,
rimanendo tutti lì impalati con lo sguardo fisso
in un sol punto.
Vedendo che non si
muovevano
scocciata alquanto, si voltò pure lei e quando
vide quel bellissimo orologio a colonna, a gran
voce esclamò: "Che
bello!"
Detto ciò, garbatamente l'orologio le domandò:
"Ma che bella signorina, qual è il tuo nome?"
Fece solo in
tempo
a dire: "Il mio nome è". E poi anch'essa come le
altre prima di lei, a poco a poco socchiuse gli
occhietti, e
mentre
stava per svenire dalla grande emozione, si
trovava già fra le braccia di Gigetto il quale
andò a sdraiarla
comodamente,
sul sofà a orecchioni, accanto al caminetto.
Quando si riebbe, ricordò tutto quello che
l'orologio le
aveva
domandato pochi attimi prima, quindi si mise
seduta e iniziò a rispondere all'orologio
dicendogli: "Perdona
ma
non avrei mai potuto immaginare che un orologio,
potesse parlare e proprio in casa mia". E
ancora: "Sai? Il
mio
nome è Sara e sono la mammina di questa
bimbetta, il cui nome è Matilde". L'orologio
salutò Sara dicendo:
"Ciao
Sara, lo sai che sei proprio una graziosa
mammina? Il mio nome è Marcellino e, lasciami
dire che ti dona
moltissimo
quel bel vestitino a pois quasi trasparente che
indossi". Essa, assai contenta per ciò che
Marcellino le
aveva
detto, gli andò più vicino che poteva e lo
abbracciò, dopodiché timidamente e con un fil di
voce gli disse:
"Mio
caro Marcellino, dicendo quello che hai detto,
mi hai molto lusingata, ed io che sono una
ragazza timida,
arrossisco
facilmente però, mi piacciono i complimenti
sinceri come quello che mi hai appena fatto … ti
ringrazio
infinitamente. Proprio in quell'istante,
l'orologio batté un solo don ben chiaro, e le
lancette, segnavano le sette e
trenta, ma poiché
era ormai sera, erano le diciannove e trenta. La
piccola Matilde prese la parola e domandò a
Sara: "Mammina,
quand'è che ceniamo?" Rispose Paoletta dicendo:
"Mentre la tua mamma va in cucina Katia ed
io prepareremo il
tavolo, Gigetto invece accenderà queste belle
candele, poi ci siederemo a mensa e desineremo
Okay, così potrò parlare ancora un pochino con
il nostro amico Marcellino": Disse Matilde.
Quand'ebbero finito di
cenare, a Gigetto
venne l'ispirazione di comporre una poesia per
la sua dolcissima Katia, perciò lasciò le
quattro
donne libere i conversare e garbatamente
si accomiatò da
loro, poi salutò Marcellino e andò
immediatamente in
camera. Una volta
lì, chiuse l'uscio dopodiché (sapeva che
nell'angolo in fondo a sinistra c'era un
meraviglioso
secretaire
intarsiato in madreperla. Prese una seggiola, si
sedette, poi aperse il tiretto alla sua destra
dal quale
estrasse carta,
penna, calamaio e una gomma. Dopo aver acceso
l'abat-jour, stette un attimo pensieroso poi...
iniziò a scrivere il
titolo il quale era:
Poesia per Katia.
Oh,
che felicità Katia!!! Tu per me, sei una
creatura unica; divina … sai?
Mentre ti osservo, par d’aver innanzi a me in
anima e corpo, la presenza della Madonna.
Entrando umilmente con passo felpato nell'ego
tuo, noto in te un pizzico di tristezza e
timidezza per cui tu,
tenero
virgulto, sbocciato con tanto amor, ancor prima
di conoscerti, non disprezzi un esser infimo
qual io son.
Giglio
sei per me, in mezzo a tanti bei fiorellin di
prato, ma non al par di te … sì tutti belli ma,
non come tu; sei.
È
straordinariamente dolce la gentilezza tua; sì
Katia, mia piccolissima Katia - tu, tu sei una
donna veramente
sublime
e, molto, molto speciale.
Sai?
Eterna mia dolcezza, mai e poi mai scordar
potrò, quel nostro primo incontro, in quel
boschetto incantato
di "Ciupaciup".
Tu, piccolo
grande amor, sei per me una fulgida stella
mattutina e da quella stella, aggrappato rimarrò
e,
giammai,
ti lascerò.
Quando ebbe finito di scrivere, avvertì una presenza alle sue
spalle, per cui posò il lapis e, lentamente si voltò.
Con stupore e in
penombra, vide che c'era la sua amatissima Katia, allorché, le
domandò: "Da quand'è che mi eri
alle
spalle?" Ella impacciata per essere stata scoperta, con vocina
fioca, gli rispose: "Amor mio, perdonami ma, la
mia curiosità era
tanta; sì sì lo so di essere stata una sciocchina perciò, dopo
qualche minuto, mi tolsi le scarpe e
in punta di piedi
entrai, perché non volevo che ti accorgessi di me". Gigetto la
prese in braccio e le disse: "Non
preoccuparti Katia,
ora accendo la luce così ti vedrò meglio". Katia disse: "Andrò
io ad
accenderla e poi andremo
a sederci
comodamente sul letto così potremo parlare di tante cose carine;
anche del nostro futuro, dopodiché
quando crolleremo dal
sonno, ci sdraieremo e faremo la nanna perché è già tardino".
Bene rispose lui. Quando la
sua bellissima
bambolina gli fu accanto, Gigetto s'accorse che era leggermente
rossa in viso, per cui le domandò:
"Amore
mio, perché arrossisci?" Ed ella rispose: "Sai? Devi sapere che
sono molto timida ed emotiva e arrossisco
facilmente. Quando
ti sei accorto della mia presenza alle tue spalle, in quel
momento ho avvertito un fremito
improvviso in tutto
il corpo dovuto probabilmente alla forte emozione e, a parer mio
devo essere arrossita proprio
in quel preciso
istante, ti chiedo comunque umilmente perdono e non lo
farò mai, mai … più te lo prometto".
Egli continuò: "Non dire
così, in fondo in fondo non c'è nulla di male, perché l'ho
dedicata a te e avrei desiderato
farti una sorpresina
più tardi o domattina; suvvia mon amour, non piangere". Quasi
subito il suo pianto chetò e
appena si riprese,
gli domandò: "Sai Gigetto? Questa poesia mi piace tanto, per cui
domattina posso farla leggere
a Paola, Sara e
Matilde?" La risposta fu: "Sì Katia, se ti fa piacere, ti darò
il manoscritto e lo potrai fare". Detto
ciò il sonno prese
il sopravvento e tutti e due, si addormentarono l'uno accanto
all'altra sino al mattino seguente
come due pulcini". A
dar loro la sveglia, fu Marcellino con i suoi dieci rintocchi
cristallini.
Allorché i nostri due
inseparabili innamorati, una volta vestiti, si decisero ad uscir
dalla camera. Katia, uscì non a
mani vuote ma bensì,
con il manoscritto della poesia, arrotolato nella sua
tiepida manina destra. Quando
furono
in sala, diedero il
buongiorno a Paoletta, Sara e alla piccola Matilde, la quale
stava finendo di dare la carica alla
molla di Marcellino
con l'apposita chiave a T. Nel frattempo, Katia diede a Paola il
manoscritto perché lo leggesse
poi domandò a
Gigetto: "Vuoi venire con me, a dare il buongiorno al nostro
caro Marcellino?" Egli rispose: "Sì sì,
con molto piacere".
Indi, si voltarono e andarono a salutarlo.
La poesia, venne
subito letta e piaciuta dalle tre giovani
donne, le quali si complimentarono molto con Gigetto.
Osservando dalla
finestra, pareva che il mal tempo, concedesse una breve tregua,
allorché Paoletta rivolgendosi
a Katia le domandò:
"Pare che oggi non dovrebbe piovere in tal caso ne approfitterei
per fare una capatina a Fate
pin là, nel primo
meriggio e acquistare i nostri telefonini; sei d'accordo?
Naturalmente verranno con noi Gigetto,
Sara e la piccola
Matilde". La risposta non si fece attendere e fu: "Per me va
benissimo, andiamo pure".
Ad ogni ora, Marcellino
emetteva i suoi graziosi rintocchi e ogni mezzora un solo
rintocco ma volendo, si poteva
regolare
diversamente. Quando batté tre rintocchi, Sara domandò alla
sua mamma: "Usciamo adesso?" Sì
gioia
rispose
lei. Detto ciò, andarono di corsa a truccarsi. Quando ci
provarono, non fu così semplice (il che ci volle non
poco tempo), perché
una cosa non era lì, l'altra mancava, un'altra non la trovavano,
un'altra ancora cadeva in
terra rotolando
sotto i vari mobiletti dei doppi servizi, per cui bisognava
inginocchiarsi sul pavimento, allungare
le braccia per
raccogliere ciò che era caduto e magari avere fra la mani anche
un po' di ragnatele. A questo punto
visto che la
partenza si protraeva sempre più a lungo e il tempo passava
inesorabile, Gigetto un pochino deluso,
decise di non
partecipare alla sortita. Andò quindi dal suo amico Marcellino a
sfogarsi un po' ed egli gli disse: "Sai
Gigetto? Le donne
sono donne; e loro si sa, sono
alquanto vanitose e lente nel truccarsi e da che mondo e mondo
hanno sempre fretta
ignorando inoltre che la medesima fu e tutt'ora è: sempre stata
una cattiva consigliera".
Gigetto disse: "E
sì, dici bene caro Marcellino, ora aspetterò che le ragazze
siano pronte per la partenza e dopo
troverò una scusa e andrò ad appartarmi in laboratorio a
costruire dei giocattoli per i bimbi poveri".
E così avvenne. Ci volle
la mano di Dio, ma alla fine dopo tante peripezie e molto
rattristate (in modo particolare
Katia), Matilde,
Sara, Katia e Paola, riuscirono a partire senza Gigetto per
"Fate pin là". Dieci minuti prima di
questo rito, Marcellino
batté cinque rintocchi ben distinti, quindi erano le
diciassette, per cui ci vollero ben
due
ore e dieci minuti
per mettersi in ghingheri e partire. Quand'ebbe salutato e
augurato buon viaggio alle quattro
ragazze e visto la
loro partenza, Gigetto tirò un sospiro di sollievo poi, andò a
salutare Marcellino e si avviò nel
laboratorio magico per
dare inizio alla costruzione di vari
giocattoli. In quel luogo stette a
lungo, solo di tanto in
tanto usciva per
andare da Marcellino a dialogare un po' e vedere che ore
fossero. Dopo aver costruito un bel po'
di graziosi giochi
con i mezzi a sua disposizione, avvertì un certo languorino allo
stomaco, per cui uscì ed entrò in
casa. Mentre salutò
Marcellino, diede uno sguardo alle lancette e vide che già
segnavano le venti e trentadue,
allorché molto
preoccupato per non vederle comparire e non sapendo che pesci
pigliare, non pensò minimamente
di entrare
furtivamente in cucina per cucinarsi qualcosa (anche poco, solo
quel tanto che gli sarebbe bastato per
sfamarsi).
In
cuor suo, pensava che fosse stato un furto aprire il
frigorifero, arraffare quel che di più buono c'era,
imbandire così il tavolo e, desinare in solitudine, al lume di
dodici candele, divise in due bei candelabri di peltro.
Guardò
nuovamente l'ora; le lancette del quadrante di Marcellino,
segnavano le ventidue e quindici, perciò pensò
bene
di ritornare nel laboratorio magico, lavorare sinché non fosse
stato colto dal sonno, dopodiché ritornare in
casa,
salutare il suo amico Marcellino e dirgli che quella sarebbe
stata l’ultima volta che si sarebbero visti quindi
sarebbe
stato un triste addio per sempre. Andò proprio così.
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