Goffredo Malaterra, monaco
benedettino, sceso dalla Normandia alla corte di Sicilia, cronista ufficiale
del conte Ruggero, ci dà la più antica notizia del castello
di Gastaiel, ovvero Guastanella: quella della sua capitolazione,
La superba fortezza musulmana
cedeva alle armi del conte Ruggero assieme ai castelli di Platano, Muxaro,
Sutera, Rahl, Bifara, Micolufa, Naro, Caltanissetta, Licata e Ravanusa,
Era l'anno 1087 ed i tempi
erano assai tristi per le contrade girgentine, Esse costituivano, ormai,
con le altre della Sicilia centro?meridinale e orientale fino a Caltanissetta
e, più in là, fino a Castrogiovanni e Noto, gli ultimi dominii
arabi di Sicilia. Subivano le continue scorrerie normanne ed erano, a loro
volta, focolai di vendette e violenze. Qualche anno prima, infatti, nel
1064, erano stati devastati i dintorni di Agrigento e distrutto dalle fondamenta
Bugamo (Buagimi), castello a sei miglia dalla città.
Racconta lo storico agrigentino
Giuseppe Picone che i Normanni, nonostante vi avessero incontrato debole
resistenza, "ne fecero schiavi gli abitanti, fin le donne e i fanciulli,
indi spogliatili di tutto, li menarono seco in trionfo, La strage dei iiiiseri
Bugamesi avea sì colpito i girgentini, che questi non poterono frenarsi
dal sortire impetuosi contro i Normanni, ma furono respinti ed inseguiti
fino alle mura". Di rimando, i Musulmani, nel 1085, compirono una grossa
scorreria in Calabria, bruciarono Reggio, uccisero, fecero prigionieri
e, il loro capo, certo Ibn?eI~Werd, condusse persino le suore di un monastero
nell'harcin di Siracusa, Fu così che, per vendicare l'offesa, Ruggero
scese ancora una volta in Sicilia. Voleva farla finita con quei Musulmani
arroccati sulle rupi più inaccessibili a sbarrargli il passo per
la definitiva conquista, pronti a profittare di ogni sua assenza per disturbare
i suoi possedimenti e quelli del fratello Roberto il Guiscardo,
Terminata la spedizione d'Oriente
contro Bisanzio (1080?1085) anche quest'ultimo era sceso in Sicilia. Con
un esercito potente, facendo leva sugli odi religiosi, scatenò un'autentica
crociata e occupò Siracusa nel 1085,
A Ruggero toccò di
affrontare l'ultimo signore della Sicilia musulmana, Hamúd, che
si dice fosse di nobilissima stirpe e che aveva scelto di risiedere nella,
città di Girgenti.
Girgenti fu attaccata, assediata,
oppressa, incendiata, derubata e stessa sorte toccò, di lì
a poco, ai castelli vicini e quindi e Guastanella, Alla fine di luglio
di quel 1087, stremata, si arrese.
Scrive il Picone 'Tu nera,
orribile la fame che gli assalì. Consunte le provigioni, resistettero
i nostri all'impeto delle macchine guerresche apparecchiate alle brecce,
ed a scalar le mura, e giunsero a divorare cadaveri urnani".
Con la città furori
piegate una dopo l'altra, come si è accennato, le altre fortezze
musulmane.
Il Malaterra ricordò
l'epopea della conquista normanna, mentre i Musulmani Abu?I?Fedá
e Abu?Dinàr ne testimoniarono la tragedia,
Da un atto del 20 giugno 1250
(1), stipulato a Palermo dal giudice Simone De Philippis, conosciuto anche
come diploma di re Manfredi (2) e da una più tarda cronologia del
Vescovado di Girgenti (3), compilata dopo la metà del sec. XIII,
apprendiamo un fatto di una certa rilevanza e per il quale, la fortezza
di Guastanella, è ricordata nella storia di Sicilia.
L'anno della solenne incoronazione
a Roma dell'Imperatore Federico Il di Svevia, il 1220, Ursone, Vescovo
di Girgenti dal 1191, fu "preso dai Saraceni e incarcerato nel castello
di Guastanella e fu riscattato per 5000 tarì", (4)
La vicenda segna l'epilogo
della potenza normanna e l'inizio di nuovi tempi,
La forza e l'intelligenza
di Ruggero Il (1105?1154) avevano permesso la costituzione
in Sicilia di uno Stato ben organizzato, con ministri e funzionari di alto
valore.
(1) Pergamena della Cattedrale di Agrigento, trascritta nel volume terzo
dei "Privilegi", a pag. 75 e segg, Riportata da Giuseppe Picone in Meniorie
storiche agrigentine.
(2) Diploina di re Manfredi, senza data. Riportato dal can. Rosario
Di Gregorio in CoiisideraJoni sopra la storia di Sicilia, Palermo 1858.
(3) Libellus (le successione pontificum Agrigenti, in Collura. Le più antiche carte dell'Archivio Capitolare di Agrigento, Palermo 1961.
(4) Libellus, cit.
La sua autorità
aveva permesso, altresì, che genti e religioni differenti, convivendo
sullo steso suolo, arricchissero lo Stato anziché indebolirlo con
le loro diversità. Ai Musulmani fu riservata larga tolleranza e
molti tra loro rivestirono cariche importanti nell'esercito e nell'amministrazione.
Il regime feudale instaurato fu limitato e tenuto saldamente unito dal
senso politico dei sovrani normanni. Le solide fondamenta dello Stato ressero
a qualche debolezza di re come Guglielmo 1 (1154?1166), detto il Malo per
le feroci e crudeli repressioni, e di Guglielmo Il (1166?1189), detto il
Buono perché amato dai suoi sudditi. La pace, il benessere e la
giustizia che Guglielmo Il seppe comunque garantire rappresentarono il
frutto più maturo della potenza normanna di cui godette la Sicilia
sotto l'ultimo vero sovrano di quella dinastia. La sua morte ruppe il delicato
equilibrio politico e religioso. Così come la successiva morte di
Tancredi (1194), bastardo del figlio maggiore di Ruggero 11, fece svanire
la speranza di un ritorno alla prosperità e alla tolleranza normanne.
La Sicilia di Enrico VI di
Svevia (1194?1197), che ne rivendicava il trono in quanto marito della
figlia di Ruggero 11, Costanza d'Altavilla, conobbe di nuovo crudeltà
e terrore e, quand'egli mori, prematuramente, precipitò nell'anarchia,
Ugo Falcando, lo storiografo
di epoca normanna, così descrisse la grave situazione alla morte
di Guglielmo il Buono: "Ma tra tanto scompiglio, mancato il timore dell'autorità
regia, difficil è che i Cristiani si trattengano dall'opprimere
i Saraceni, e che questi, diffidando di loro e stanchi altresì di
tanti torti, non si levino in armi, non prendano qua un castello su la
marina, là una rocca tra i monti. Il che, se avvenisse, come potrebbero
i Siciliani difendersi con una mano dalle scorrerie de'Saraceni e con l'altra
combattere dure battaglie contro i Teutonici?".
1 Musulmani perseguitati fuggirono
sulle montagne fortificate dell'interno e la situazione di pericolo e il
malcontento favori il nascere di condottieri di alto livello, sotto la
cui guida costituirono un vero e proprio emirato ribelle nel cuore della
Sicilia.
Il clima di rivalità
e di lotte durò fino a quando il figlio di Enrico e Costanza, il
futuro Imperatore Federico 11, non uscì dalla minore età
e non consolidò il suo potere.
In questo periodo di turbamenti
accaddero i fatti del vescovo Ursone. I Musulmani, ora detti Saraceni,
erano particolarmente numerosi a Girgenti e, nei dintorni, s'erano saldamente
impadroniti delle fortezze e dei castelli. "Inaspriti contro i predominanti
Cristiani (1), coglievano ogni occasione per ribellarsi ed allearsi con
i principi tedeschi che volevano usurpare il Regno.
Ad uno di questi atti di ribellione
è da assegnare la cattura del Vescovo Ursone e la sua carcerazione.
Egli fu allontanato dalla Chiesa di Girgenti per tre volte: dall'Imperatore
Enrico VI perché ritenuto figlio di Tancredi, suo rivale; dal conte
Guglielmo Capparono, allora signore di Girgenti, a cui l'alto prelato si
rifiutò di prestare giuramento di fedeltà; dai Saraceni,
al tempo dell'Imperatore Federico, che lo sequestrarono e detennero a Guastanella,
La Chiesa Girgentina fu spogliata
dei privilegi e dei beni e i Saraceni occuparono la cattedrale e il campanile.
Cacciarono chierici e cristiani e "nessuno osava andare in chiesa a battezzare".
Nessun cristiano voleva più uscire di casa neppure per andare a
coltivare i seminati e le vigne.
Questo quadro ci è
offerto da chi aveva direttamente vissuto, alcuni anni prima, la tragedia,
ossia da ben 45 testimoni chiamati a deporre nell'inquisitio sul possedimento
della Chiesa di Santa Maria di Rifesi, formalizzata nel citato atto del
20 giugno 1250.
Misteriosa e fugace, tremenda
ed implacabile come il vento del deserto, appare nella vicenda una contessa
a capo dei Musulmani girgentini che assalirono e spogliarono la cattedrale,
"Né valse il segreto Raimondo (o altri) con moltitudine di gente
armata a frenare l'ira di quella fiera contessa, di cui la storia non ci
rivela il nome, che'i Musulmani cattivarono Ursone, e lo detennero per
quattordici mesi nel Castel di Guastanella, dal quale uscì libero
se non ricompratosi pel prezzo di 5000 tafi d'oro". (1)
(1) M. Amari, Storia dei Musídmani di Sicilia, pag, 243.
Le notizie della fortezza di
Guastanella, posteriori ai fatti narrati, sono scarse o mancano del tutto.
Il suo territorio sarebbe stato occupato dal nobile Bartolomeo di Montaperto
sotto Federico 11, fu poi posseduto dai Chiaramonte nel sec, XIV e da Raimondo
Moncada dall'aprile del 1392, Appartenne al demanio reale subito dopo,
venne inglobato (1408) nella baronia di S. Angelo Muxaro sotto il re Martino
il Giovane e assegnato ai De Marinis.
Si è voluta, da parte
di qualche studioso, assegnare un'origine remota alla fortezza e, addirittura,
supporla come rocca sicana, Certo è che il suo nome, nelle varianti
Gastaiel, come la ricorda il Malaterra (2) e Guastitel, come la riporta
Fra' Simone Da Lentini (3), storico del XIV sec,, è arabo anche
se di incerto significato.
Certa appare anche la sua
esistenza anteriormente alla conquista araba. Lo lasciano credere, da un
lato, le fonti cronachistiche arabe nell'asserire che i Bizantini "costruirono
fortalizi e castella, né lasciarono monte che non v'ergessero una
rocca (4)", e, dall'altro, i frammenti di tegole bizantine disseminati
nelle parti più a valle della rupe. Ed interessante è in
tal senso la vistosa croce greca scavata nella roccia sulla cresta del
monte,
Restano indimostrate le argomentazioni
su più o meno importanti ruoli rivestiti in epoca punica e cartaginese
o addirittura prima, Che possa essere stata un posto di vedetta cartaginese,
rappresentando "un anello del circuito di segnalazioni ottiche che venivano
effettuate tra diverse torri di avvistamento per mezzo dellafossa dei segnali,
scavata nella roccia e destinata a contenere combustibile, com'è
tuttora visibile sulla cima del monte", secondo la congettura di Giuseppe
Di Giovanni, (5) e solo un'ipotesi affascinante, E, tuttavia, due minuti
frammenti di ceramica, raccolti al fianchi dell'altura, in una nostra recente
visita, seppure non possano costituire valida prova, lasciano aperto il
discorso. Uno, d'epoca preistorica, presumibilmente dell'età del
tardo bronzo, è stato trovato nel lato sud?ovest, a una ventina
di metri dietro la casetta rurale che si incontra iniziando la salita.
L'altro, minutissimo e fine, d'epoca greca, a vernice nera, era tra il
cocciame di ceramica medievale del basso lato ovest.
Torna poi utile al discorso
che di faccia a Guastanella, a meno di un chilometro, si eleva il Monte
del Comune (mt, 649) in territorio di Santa Elisabetta. Qui, nelle profondità
di una grotta, abbiamo visto una gran quantità di materiale archeologico
dell'antica età del bronzo assieme a vasi frammentati d'epoca più
recente, fors'anche contemporanea.
(1) G. Picone, Memorie st(ìri(,he agrigentine, pag. 464,
(2) G. Maiaterra, De rebus gestis, Bologna 1928,
(3) Fra' Simone da Lentini, Cronache siciliane secc . XII, XIV, XV,
Bologna 1865,
(4) An Nuwari, in M, Arnari, Biblioteca arabo-sicula, Torino 1880?188
1, Il, p. li 3.
(5) G. Di Giovanni, Rafflidali e Sant'Angelo Muxaro, Agrigento, 1986,
I ruderi e gli ambienti
ricavati nella roccia, in vetta a Guastanella, (mura, ingrottate ad arcosolio)
risalgono all'epoca dei fatti tramandatici. E non pare sconfinino oltre
il sec, XIV i cocci di ceramica che si offrono nel pendii del monte.