Aleksej M. Ljubomudrov

"IL CAMMINO DELLA SALVEZZA"

L'ITINERARIO SPIRITUALE DEL MONACO VIKTOR VEJDENGAMMER, FIGLIO SPIRITUALE DELLO "STAREC" IOSIF

 

 

 

Se un pellegrino in visita a Optina Pustyn' chiedesse incuriosito che cosa sia il modesto edificio che sorge nell'angolo sud-occidentale dello skit del Precursore, si sentirebbe rispondere: “E’ la casetta di Vejdengammer". Chi era costui e come mai il suo nome è ricordato fino a oggi accanto a quello dei famosi starcy del monastero?

Il monaco Viktor Vejdengammer trascorse a Optina gli ultimi sedici anni della sua vita, svolgendo in obbedienza il compito di ingegnere edile. Il suo ricordo è tramandato da alcuni edifici costruiti sotto la sua direzione: la chiesa di San Leone di Catania e altri edifici nei monasteri di Optina e in quello vicino di Samordino. Ma non è tutto. Il suo destino straordinario è stato narrato dallo scrittore ortodosso russo Ivan Sergeevic Smelev nel romanzo Le vie del cielo. Insolite sono effettivamente la sua personalità e la sua vicenda biografica.

Viktor Alekseevic Vejdengammer (1843-1916) proveniva da una famiglia di tedeschi naturalizzati russi. Suo nonno, Johann Friedrich von Weidenhammer (1787-1838), consigliere di corte, è noto come fondatore di un pensionato a Mosca (nel quale, tra l'altro, fu educato lo scrittore Ivan S. Turgenev). Nel mondo Viktor Vejdengammer era ingegnere, un tipico intellettuale agnostico, indifferente alla religione e di livello morale non particolarmente elevato. Era sposato e aveva dei figli, ma non viveva con la famiglia. Un giorno incontrò una ragazza, Dar'ja Koroleva, di cui si innamorò seriamente, ma che non poté sposare legalmente perché la moglie non gli concedeva il divorzio.

Negli anni '90 egli fu incaricato della costruzione della ferrovia Kozel'sk-Suchinici. Vejdengammer sì stabilì con Dar'ja a Kozel'sk, nelle cui vicinanze si trova Optina Pustyn'.

Dar'ja era una ragazza credente e straordinariamente mite. Secondo i ricordi di chi la conobbe, la sua limpida personalità influiva sul suo compagno e con lei egli si trasformò. Dar'ja frequentava la vicina Optina Pustyn' e ben presto divenne figlia spirituale dello starec Iosif. Lo ieroschimonaco Iosif (al secolo Ioann Efimovic Litovkin, 1837-1911), era assistente e discepolo del santo Amvrosij, alla cui morte si prese cura spiritualmente delle monache di Samordino, per divenire poi starec di tutta la comunità di Optina. Padre Iosif possedeva il dono della chiaroveggenza e della guarigione. La forza della sua preghiera era straordinaria: nel racconto della sua Vita sono numerosi gli esempi di peccatori irriducibili che, dopo averlo visitato, rinnovavano totalmente il loro spirito. Il santo Iosif praticava la "preghiera del cuore", l'attività interiore. "Questa continua elevazione dell'intelletto e del cuore verso Dio si rifletteva sul volto dello starec, che appariva sempre buono, luminoso, gioioso, con un sorriso angelico". Alcuni testimoniano di aver visto la luce benedetta di Dio che visibilmente splendeva sul suo capo e sul suo viso.

Quando Dar'ja andava da padre Iosif, Vejdengammer l'accompagnava, ma non parlava con lo starec e la aspettava su una panchina. Egli sopportava la sua devozione, ma definiva i consigli del confessore "deliri di un vecchio".

Dopo un certo tempo Vejdengammer fu trasferito a un altro cantiere. Prima della partenza Dar'ja andò da padre Iosif, sì confessò e si mise in viaggio, ma nella fretta di arrivare alla stazione finì sotto il treno, che le troncò le gambe. Morendo, Darin'ka si pentì davanti a tutti della sua convivenza al di fuori dal matrimonio. Il viso della morente, secondo le testimonianze, "era bellissimo, giovane e calmissimo... esso esprimeva la serenità ottenuta con l'espiazione. Darin'ka aveva ottenuto ciò che tanto desiderava: la redenzione del peccato suo e di Viktor Alekseevic".

Vejdengammer era disperato e voleva suicidarsi. Seppellì Dar'ja, secondo il desiderio da lei espresso, a Rudnevo (possedimento del monastero di Samordino), vicino alla chiesa, nel luogo che essa amava tanto. Ciò che avvenne in seguito lo racconta nei suoi ricordi una monaca del monastero, Amvrosija Oberuceva:

 

Ora egli era libero e voleva suicidarsi. E gli venne un pensiero: "Danecka amava tanto lo starec, andrò a dirglielo". Egli raccontò allo starec la morte di lei e gli confessò che ora non poteva più vivere... L'umile, mite starec disse con insolita sicurezza: "Tu devi entrare in monastero in ricordo di Dar’ja". "Come posso farlo, se sono un vizioso miscredente?". "Tu devi fare questo in memoria di Dar’ja", disse di nuovo con fermezza lo starec. "Io sono un bevitore, un fumatore". "Bevi e fuma, ma non farti vedere da nessuno". A lungo e molte volte Viktor Alekseevic protestò le sue colpe, ma la ferma risposta dello starec era sempre la stessa: "Non importa, nono­stante tutto tu devi entrare in monastero".

 

Le strade, per le quali lo starec Iosif conduceva a Dio coloro che si affidavano a lui, erano a volte del tutto incomprensibili per il comune buon senso; ma, così come le sue azioni, all'apparenza strane e scandalose, in realtà salvavano le vite degli uomini. Sotto la sua guida benedetta gradualmente avveniva una trasformazione del carattere umano. Vejdengammer entrò nel monastero e là si trasformò completamente. In conseguenza dei misteriosi movimenti dello spirito egli, come riferiscono coloro che lo conoscevano, "verso la fine della vita divenne un autentico monaco". Queste parole hanno un grande significato: autenti­co monaco è chi ha raggiunto un elevato livello spirituale.

 

Chi era dunque il monaco Viktor? Le notizie che siamo riusciti a trovare permettono di formarci un'idea della sua personali­tà. Julija Kutyrina riporta la testimonianza dell'arciprete Sergij Cetverikov, che diceva di aver visto a Optina

 

un monaco alto e bello, con una barba nera brizzolata, e un'espressione degli occhi penetrante e ultraterrena, come di chi vede un altro mondo. Egli era del tutto chiuso in se stesso, non parlava con nessuno, ad eccezione del suo confessore, lo starec Iosif. Nel monastero lo chiamavano monaco-architetto, e in effetti era stato lui il costruttore della nuova chiesa nello skit di Optina Pustyn'. Aveva molto lavorato per la sistemazione del monastero.

 

Ecco un'altra testimonianza simile: Tat'jana Jakovlevna Emerik visitò Optina Pustyn' nel 1902 con la figlia di Vejdengammer. Viktor Alekseevié uscì loro incontro, "ma rimase estraneo a tutto e a tutti, non parlò e non si interessò di nulla; era di alta statura, con una barba nera e occhi azzurri, che guardavano in un'altra vita".

Bisogna dire che anche i parenti di Viktor Alekseevic si dimo­strarono inclini alla vita monastica. Sua sorella minore, Ol'ga Alekseevna, viveva con la famiglia della nipote Anna, la figlia di Viktor, allevando i nipoti. Profondamente credente, si recava spesso in pellegrinaggio a Samordino. In seguito essa e la nipote di Viktor Alekseevic, Nina, si fecero monache proprio a Samordino. La loro presenza nel vicino monastero dovette essere di grande consolazione spirituale per il monaco Viktor.

Nella Cronaca dello skit del Precursore di Optina il nome di Viktor Vejdengammer si incontra più di una volta. Si sa che egli entrò a far parte della comunità dello skit il 13 giugno 1900, all'età di 57 anni. La sua prima obbedienza fu la lettura quotidiana del Salterio in chiesa, poi svolse l'obbedienza di architetto e progettò alcune costruzioni nei monasteri di Optina e Samordino. Il 25 dicembre 1901 il novizio Vejdengammer ricevette l'abito.

Nel 1913 egli ebbe un attacco di asma cardiaca e il superiore dello skit, l'igumeno Feodosij Pomorcev (1854-1920) dispose che gli fosse data l'eucaristia e l'unzione degli infermi. Il monaco Viktor morì il 17 aprile 1916. Questa data è degna di nota: quell'anno cadeva in quel giorno la Domenica in albis, e anche la vigilia della festa del martire Vittore. Nella Cronaca dello skit apparve un necrologio notevole, nel quale Viktor viene caratterizzato così:

 

Padre Viktor ricevette la comunione nella Settimana santa e in quei giorni radiosi si trovava in una elevata condizione di spirito. Le sue doti di semplicità, sincerità, bontà, schiettezza, estranee a qualsiasi ipocrisia e malignità, di sensibilità ai dolori del prossimo, gli valsero la stima di tutti e tutti lo amavano e lo trattavano con affetto. Il talento donatogli dal Signore si manifestava in modo particolare nelle sue conoscenze dell' arte ingenieristica, architettonica e tecnica; in questo ambito egli lavorò instancabilmente nel monastero e nello skit e con le sue cognizioni portò grande utilità alla comunità. Le sue alte qualità morali e la sua laboriosità danno solido fon­damento alla speranza che egli riceva una beata ricompensa nell' eternità.

 

Una morte simile, nella Settimana santa, fu sempre considerata come un segno di particolare misericordia da parte di Dio.

E’ giunta fino a noi un'unica lettera di Vejdengammer, datata il dicembre 1911. Scritta alla nipote Ol'ga Aleksandrovna Smeleva, essa fu conservata nell'archivio del marito di costei, Ivan Sergeevic Smelev. Quante cose veniamo a sapere del suo autore, anche da una sola lettera! Lui, che aveva subito un grande dolore, quanta sensibilità di cuore e quanta saggezza spirituale dimostra consolando la parente rimasta orfana, quanta premura perché essa cammini sulla strada della salvezza:

 

Sii vicina alla fede, a Dio e alla chiesa... non cedere all'agnosticismo e a vari intellettualismi religiosi: tutto questo corrompe, uccide, toglie coraggio, energia e rende la vita insopportabile, mentre la fede senza ragionamenti, la preghiera commisurata alle forze, la vicinanza a Dio e alla chiesa danno calma e serenità di spirito, rendono l'uomo energico, pronto all'azione, infinitamente forte, perché “Dio è con noi”! Un grande bene e una grande forza sono la fede e la speranza in Dio: nulla fa paura e tutto si può sopportare. Sicuramente anche là, oltre la tomba, la tua mamma prega il Signore per te e per tuo marito, affinché il Signore vi conduca alla fede, alla chiesa e all'ortodossia.

 

La preghiera scaturita dal cuore del monaco di Optina affinché il Signore conducesse la giovane coppia Smelev "alla fede, alla chiesa e all'ortodossia" non rimase inascoltata: alcuni decenni più tardi Ivan Smelev arricchì il tesoro della letteratura russa di straordinari libri spirituali, uno dei quali rievoca proprio la vicenda dello stesso padre Viktor. Si tratta del romanzo Puti nebesnye (Le vie del cielo): il primo volume uscì a Parigi nel 1937, il secondo nel 1948.

Smelev ricostruì le vicende, alcuni dettagli delle biografie e i caratteri di persone reali, Viktor Vejdengammer e Dar'ja Koroleva, che fece comparire con i loro nomi. Lo scrittore poteva aver conosciuto dallo stesso Viktor, che era lo zio della moglie, le vicissitudini della sua vita.

Nel suo romanzo, Smelev si proponeva di mostrare come un intellettuale non credente fosse giunto alla fede, e di rappresentare realisticamente la figura di un'eroina praticante, profondamente credente. Nelle sue lettere Smelev dice spesso di essere stato conquistato da quello che definisce il "miracolo della rinascita dall'alto":

 

Sì, sotto i miei occhi un non credente divenne credente fino... alla cocolla! Questa è la realtà. Mi ha sempre tormentato (anche ora, eccome!) questo misterioso processo di trasformazione . . Questo percorso mi ha sempre provocato, costringendomi a scrivere: socchiudi l'entrata, scopri almeno un pò come questo avviene".

 

Smelev intendeva scrivere un nuovo tipo di romanzo, che avrebbe dovuto fondarsi su una concezione del mondo consapevolmente ortodossa. Egli lo chiamò "tentativo di romanzo spirituale", e in una certa misura fu effettivamente un fenomeno unico nella cultura russa. In esso viene mostrata la vita di un'anima umana guidata dalla provvidenza divina e in lotta spirituale con le forze del male. Qui noi incontriamo il riflesso non solo della vita psicofisica dell'uomo, ma anche di quella autenticamente spirituale.

Attraverso sofferenze e gioie, per le misteriose vie della grazia, i protagonisti giungono alla Fonte della vita. Dietro le vicende e i caratteri dei protagonisti affiora la cultura dei santi padri, la concezione ascetica ortodossa del mondo, quelle tradizioni che rimanevano estranee alla cultura mondana dei secoli XIX e XX. Darin'ka è un personaggio nuovo per la narrativa, quello di una ortodossa praticante. Smelev apre le profondità della vita spirituale dell'eroina, per la quale la fede è il fondamento della vita.

Al centro del romanzo è la lotta spirituale dei protagonisti contro le passioni e i cattivi pensieri, contro le tentazioni e gli assalti delle forze oscure; al tempo stesso in queste pagine la profonda adesione alla chiesa, la tensione della preghiera, il mondo interiore dell'anima cristiana trovano una penetrante descrizione. Viktor Vejdengammer giunge gradualmente alla consapevolezza dell'azione misteriosa della provvidenza, delle invisibili "vie del cielo" per cui gli uomini sono condotti alla salvezza.

 

 

 Tratto da: A.A.V.V., Optina Pustyn' e la paternità spirituale, ed. Qiqajon - Comunità di Bose a cui rimandiamo per l'approfondimento dei temi relativi allo Starcestvo russo. In questo volume sono pubblicati gli atti del X Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa - sezione russa - svoltosi a Bose il 19-21 settembre 2002.