Sophia Senyk

L'ESICASMO NEL MONDO UCRAINO PRIMA DI PAISIJ VELICHKOVSKIJ

LE TESTIMONIANZE DELLA LETTERATURA MONASTICA


 

 La Laura di Kiev, culla del monachesimo in Ucraina, edifica­ta da Antonio e Teodosio e altri santi monaci, ebbe sempre un'im­portanza unica e per questa ragione la si può prendere come rap­presentativa della vita monastica in Ucraina. Ciò nonostante, non è la sua rilevanza spirituale, ma il suo contributo alla cultu­ra religiosa, il suo influsso sulla cultura in generale, il suo ruolo nella vita della Chiesa e della società in Ucraina che ha attirato l'attenzione. Anche se non disponiamo di uno studio specifico sulla Laura di Kiev, possiamo comunque affermare che, per di­mensioni e attività essa risultava anomala rispetto alla maggio­ranza dei monasteri dell'Ucraina. Questi infatti erano general­mente strutturati in edifici di piccole dimensioni, skit ed eremi.

La stessa Laura di Kiev, in realtà, conosceva forme analoghe: verso la fine del XVIII secolo aveva venti skit dipendenti dal monastero principale e abitate dai monaci che cercavano mag­gior solitudine e tranquillità. Anche l'idea che il popolo aveva del monaco era quella del solitario che si consacra per la sua sal­vezza alla preghiera e all'ascesi.

Un monachesimo che vede il suo ideale nella solitudine e nel silenzio presuppone testi che nutrano il suo ideale. Questo studio è un tentativo di esaminare quali testi erano conosciuti e quale fu il loro influsso prima della Filocalia, ossia prima della traduzione in slavo della Filocalia e degli altri testi da parte di Paisij Velichkovskij.

Devo sottolineare il carattere frammentario di questa presen­tazione. Skit e celle non lasciano tracce abbondanti, nemmeno inventari dei libri che possedevano né, ancor meno, descrizioni della vita che vi si viveva. Coloro che si danno alla vera esichia nella quiete della preghiera non sono propensi a dilungarsi in parole. Esiste una letteratura monastica, ma lo studio dei ma­noscritti monastici dell'Ucraina è appena incominciato. Ciò che seguirà saranno solo delle note preliminari, basate sulle limitate fonti disponibili.

Per prevenire eventuali malintesi, devo mettere in evidenza che il termine "esicasmo" sarà usato solo nel suo senso origina­rio di tranquillità e la letteratura esicasta sarà quella che esorta e insegna una vita di preghiera attenta.

 

La stampa fu inventata verso la metà del quindicesimo seco­lo, ma nei paesi ruteni non fu introdotta che alla fine del sedice­simo secolo. Durante la prima metà del diciassettesimo secolo furono stampate solo pochissime delle opere più lette, del tipo più tardi incluso nella Filocalia: gli scritti di Macario d'Egitto, Vilna 1627; di Doroteo, Kiev 1628; il Limonar’, ossia il Prato Spirituale, di Giovanni Mosco, Kiev 1628; gli scritti di Barlaam e Giosafat, Kutejno 1637. A queste si possono aggiungere le opere ascetiche di Basilio, Ostrih 1594, finché alle sue opere autenti­che ne furono aggiunte altre, fra le quali delle esortazioni alla vita solitaria. Come si può vedere, la disponibilità di libri stampati era molto ridotta e non corrispondeva al bisogno di ope­re scritte. Anche più tardi, nel diciassettesimo secolo e attra­verso tutto il diciottesimo, i libri stampati per la lettura spiri­tuale sono ugualmente scarsi. Ogni studio sulle letture usuali do­vrà perciò occuparsi del manoscritto.

Questo stato di cose ha dei vantaggi ben precisi per lo studio delle correnti e delle preferenze negli ambienti monastici. I ma­noscritti danno indicazioni più esaurienti sui soggetti di lettura scelti che non i libri stampati. Nel mondo monastico, per avere un determinato libro, la comunità monastica o il singolo mona­co dovevano sacrificare sforzi e tempo prima per ottenere una copia dell'opera desiderata e poi per copiarla. Perciò, i testi che erano copiati erano particolarmente stimati. Nell'esame della tradizione manoscritta, la prima caratteristica notevole è che non  vi appare alcuna selezione fra i testi. Le categorie della letteratura monastica, che sarebbero utili per una classificazione scientifica, non esistevano per i monaci di quell'epoca: essi dividevano la tradizione fra padri neptici e padri non neptici.

Gli scritti della skit di Manjava, un centro di spiritualità  esicasta, citano una molteplicità di padri, senza alcuna distinzione fra di loro. I riferimenti negli scritti di Manjava citano i detti dei padri, Isacco il Siro, Giovanni Climaco, Doroteo di Gaza, Pietro Damasceno, ma le citazioni di Basilio sono numerose, sono pure citati Efrem (probabilmente i suoi scritti non auten­tici) e Teodoro Studita. Paisij Velichkovskij leggeva e commentava indiscriminatamente ai suoi monaci in Moldavia le opere ascetiche di Basilio, Climaco, Doroteo, Teodoro Studita, Simeone il Nuovo Teologo e altri. Possiamo aggiungere che la Regola di Nil Sorskij, che circolava in Ucraina fra il sedicesimo e il di­ciottesimo secolo, similmente non distingue tra i padri.

Questa mancanza di un preciso criterio di scelta appare con evidenza nei singoli volumi manoscritti, che raramente consistono di una sola opera o contengono un solo autore. Il tipo più frequente di volume per la lettura era un compendio, sbornyk, che raramente esibisce un'uniformità di contenuti. Per lo più, la scelta sembra fortuita: ai capitoli di Isacco il Siro sul ringra­ziare Dio e sulla custodia del cuore e la vigilanza seguono gli articoli dottrinali di Atanasio.

Accentuazioni contrastanti nelle opere di questi padri che so­no scontate per gli studiosi della spiritualità, in pratica non co­stituivano un problema per i monaci che copiavano questi scrit­ti e che cercavano di viverli. L'attenzione sia ai padri neptici che ai non neptici assicurava un equilibrio alla vita monastica. Mentre Isacco è citato in merito ai silenzio e alla purificazione dello spirito, Basilio è proposto per insegnare la concordia delle menti e dei cuori nella comunità monastica e l'ordinamento della vita in comune. Presso i singoli monaci e nei monasteri che era­no considerati come modelli, questi due aspetti erano sempre combinati: l'accentuazione sul ritiro, sul silenzio e sulla preghiera in privato assieme ad un'osservanza accurata della vita in co­mune, specialmente dell'ufficio in comune. Giosafat, all'inizio del diciassettesimo secolo, la skit di Manjava nel corso dello stesso secolo e nel secolo seguente, e Paisij Velichkovskij nel diciotte­simo esemplificano tutti l'unione dei due aspetti del monache­simo, che partendo da considerazioni puramente teoriche, po­trebbero sembrare escludersi mutuamente.

Si accettava e si diffondeva un'opera in quanto era nella tra­dizione. Il senso di un deposito comune di "tutti gli scritti dei padri portatori di Dio" era così forte che tutte le opere si presu­mevano venissero da una sola fonte. Paisij Velichkovskij scrive in una lettera: "Il libro di Nil Sorskij non si trova in greco, ma solo in slavo; l'ho copiato quand'ero giovane, con molti errori ortografici". Com'è possibile che Paisij non conoscesse l'iden­tità di Nil Sorskij? Infatti, cercando invano l'originale greco su cui verificare gli errori del copista, sembra ignorare che Nil ha scritto direttamente in slavo.

Molto raramente si trova una selezione di testi incentrati uni­camente sulla preghiera e sulle sue condizioni. Un simile volu­me fu copiato da Giosafat all'inizio del diciassettesimo secolo. Evidentemente scelse dagli altri manoscritti quegli scritti che corrispondevano alla sua propria inclinazione: opere sulla pre­ghiera attribuite a Giovanni Crisostomo, articoli sotto il nome di Simeone il Nuovo Teologo, la Regola di Nil Sorskij. I testi scelti rivelano come Giosafat fosse interamente nella tradizione che vedeva il monaco ideale dedito alla preghiera nell'ascesi e nell'esichia, e la testimonianza su di lui al suo processo di beati­ficazione lo corrobora.

Un altro raro compendio nel quale tutti i testi si incentrano sullo stesso tema data dal diciottesimo secolo. Nel 1742 un mo­naco che si firmava solo con le iniziali I.P.G.C.S.V.V. trascris­se un volume che intitolò Breve istruzione sul modo di condurre una vita monastica che piaccia a Dio. Le iniziali C.S.V.V. indi­cano che questo monaco era un basiliano, ossia cattolico, e pro­veniente da qualche regione dell'Ucraina occidentale. "I" signi­fica inok (monaco) o, molto probabilmente, ieromonax (ieromo­naco). Il volume contiene articoli sulla preghiera, compreso un testo sulla preghiera di Gesù, articoli sulle lacrime e il perdono, sul silenzio, "parole dei padri raccolte in breve sulle cose più necessarie concernenti la pazienza”, vari estratti dai detti dei padri, una scelta delle opere ascetiche di Basilio (o attribuite a lui) e delle esortazioni alla preghiera attribuite a Giovanni Crisostomo, uno scritto di Nilo Asceta sugli otto  loghismoi e altri estratti di Evagrio e di Doroteo. Questo volume è fra i più notevoli per la scelta uniforme dei suoi contenuti – una specie di Filocalia in breve.

La copia di questo volume è contemporanea ai primi anni della vita monastica di Paisij Velichkovskij in Ucraina. Possiamo qui ricordare ciò che Paisij scrive nella sua autobiografia sul proprio  lavoro di copista di testi che trovava benèfici per la vita interio­re e anche come altri monaci prendessero in considerazione e facessero tesoro di questi testi. L'eremita Isixij che trovò su di un isola presso le colline Mosny in Podillja, avendo sentito di un libro dei padri "di gran beneficio" (non identifica il libro) in un monastero in Cernihiv, non esitò a partire a piedi per pren­derlo in prestito. I monaci di Cernihiv prestarono il libro pre­zioso, ed egli lo portò con sé per copiarlo. In seguito rifece il viaggio per restituire il libro a Cernihiv - una distanza stimata da tutti in 2000 verste, come ci dice Paisij - camminando per oltre 2000 chilometri per avere un testo spirituale. Paisij de­scrive anche il proprio lavoro quando copiava Giovanni Clima­co nella skit di Sant'Onofrio nel monastero di Ljubec. Egli co­piava di notte e siccome, al pari degli altri monaci, non aveva candele, ma solo schegge di legno, lavorava alla loro luce. Que­ste bacchettine davano più fumo che luce, e regolarmente, quando il fumo riempiva la piccola cella, Paisij era obbligato a fermarsi, aprire la finestra e ritirarsi finché la stanza si fosse aerata. Un libro copiato malgrado queste avversità era ovviamente consi­derato cosa preziosa, una ricompensa di tali fatiche. Quando si domandava al giovane Paisij di leggere al refettorio del mona­stero di Ljubec, i monaci abbandonavano il loro cibo e si stipavano attorno a lui per non perdere una sola parola. Egli ricor­da con gratitudine particolare quei monaci nei vari monasteri che condivisero con lui i loro preziosi libri "di gran beneficio per l'anima, che innalzano l'anima al combattimento divino e al podvyh monastico". Tutti questi esempi della prima parte del diciottesimo secolo, da monasteri lontani l'uno dall'altro in Ucraina, dimostrano che la ricerca di guida negli scritti spiri­tuali per una vita interiore di preghiera, che è così trasparente nel caso di Paisij, era diffusa fra i monaci di tutta l'Ucraina, sia ortodossi che cattolici. Il fatto che il monaco P.G. fosse in gra­do di scrivere un volume degli scritti esicasti, che diceva di aver compendiato da varie opere dei padri, significa che queste ope­re erano in circolazione.

Potrebbe essere utile richiamare l'attenzione su ciò che i mo­naci non leggevano e sulle difficoltà inerenti ai testi che posse­devano. Fra le letture dei monaci ucraini si nota l'assenza di te­sti greci medievali e tardivi. Gli scritti a disposizione dei mona­ci erano antichi, e le traduzioni dal greco potrebbero essere gia state fatte al tempo dell'introduzione del cristianesimo nella Rus'. La sola eccezione è quella di Pietro Damasceno (XII secolo) che era ben conosciuto come testimoniano l'inclusione frequente delle sue opere nei compendi e i riferimenti a lui.

Altre opere tardive furono tradotte in slavo per la prima vol­ta da Paisij. Raccontando la sua lunga ricerca di questi libri all'Athos, Paisij ne fornisce la ragione. La lingua di queste opere, come anche quella di epoche più antiche, era incomprensibile per i monaci greci del suo tempo che non avevano alcuna cono­scenza letteraria. Se la tradizione greca della spiritualità esica­sta era un libro sigillato perfino per i monaci greci del diciotte­simo secolo, tanto più lo era per gli slavi. I monaci slavi, spe­cialmente quelli d'Ucraina, che copiavano testi al monte Athos, sceglievano in primo luogo gli autori antichi che erano loro co­nosciuti; nessuno rivolse la sua attenzione ai padri più recenti. Anche se ne avessero sentito parlare, è dubbio che li avrebbero tradotti - per questo compito erano necessari una più grande cul­tura e un impegno fuori dall'ordinario.

Il manoscritto ricopiato da Giosafat, al quale abbiamo già fatto riferimento, contiene accanto ad altri testi di spiritualità esica­sta anche il Metodo della preghiera esicasta del monaco Niceforo.

La trascrizione del Metodo mostra che era conosciuto e che godeva di una certa diffusione nei paesi ruteni. Ma nessun’altra traccia può esserne trovata in altre trascrizioni manoscritte. I cataloghi dei manoscritti monastici sono lungi dall'essere completi, e molto non è sopravvissuto fino ai nostri giorni.

 

Tuttavia una sola menzione di quest'opera può essere consi­derata un indizio dello scarso interesse dei monaci ruteni per questo tipo di scritti. L'aspetto fisiologico della preghiera e an­che la natura della luce taborica non riuscirono a suscitare l'in­teresse dei monaci ruteni.

La ragione non è difficile da trovare. Un'accentuazione dell’ufficio, celebrato anche nelle skit che maggiormente stimavano l'esichia, bezmolvie, ne faceva la base di tutta la preghiera. Al di fuori dell'ufficio il monaco doveva rimanere nella preghiera di Gesù; un metodo fisiologico scientifico sembrava superfluo. Quanto all'esicasmo come dottrina teologica, i monaci ucraini non se ne sentivano minimamente attratti, come da ogni costru­zione teologica in genere. L'orizzonte culturale dei monaci non suscitava in essi il gusto per sottigliezze teologiche astratte o per speculazioni sugli stati di preghiera.

Noteremo di sfuggita che le stesse preferenze nei testi esica­sti sono evidenti nel Dobrotoljubie di Paisij Velichkovskij e in un modo più spiccato nella traduzione russa di Teofane il Recluso. Ossia sceglievano scritti di direzione spirituale pra­tica lasciando da parte la speculazione teologica.

Si è menzionata la difficoltà dei monaci greci a capire i testi greci. Talvolta le traduzioni slave erano altrettanto inintelligi­bili per i monaci slavi.

In Ucraina uno degli autori più conosciuti di spiritualità esi­casta, se le citazioni costituiscono una prova, fu Isacco il Siro. Lo si cita costantemente e i suoi scritti si trovano in ogni biblio­teca monastica. Le sue opere furono presto conosciute in Ucrai­na; un manoscritto data dal 1416. Ma nel 1420 Herasym, il vescovo di Volodymyr Volyns'kyj (più tardi metropolita), mandò il copista Timoteo a Costantinopoli per copiare le opere di Isacco. Evidentemente la traduzione anteriore era considerata in­sufficiente.

La nuova versione del testo comunque non risolse la difficol­tà di rendere Isacco più chiaro ai monaci d'Ucraina. Tre secoli più tardi Paisij Velichkovskij scriveva:

 

Avevo un libro di Isacco il Siro che avevo ricopiato in parte quando ero giovane essendo alla Lavra delle Grotte di Kiev e che una persona coscienziosa terminò su mia richiesta all’Athos ... Benché all'Athos volessi leggere questo libro so­vente e con attenzione, in alcuni passaggi non ne trovavo il senso.

 

Così passò un anno intero a correggere la vecchia traduzione di Isacco, ma rimanendo insoddisfatto del risultato.

La difficoltà di capire i testi è confermata dall'esame di un'altra opera, anch'essa molto popolare e conosciuta in Ucraina: la Sca­la di Giovanni Climaco. Alla traduzione slava fu aggiunto pro­babilmente in Serbia nel trecento un breve glossario. In Ucrai­na questo glossario fu ampliato perché, come dice un manoscritto del sedicesimo secolo, vi si impiegano delle parole degli anti­chi traduttori fra le quali alcune sono slave (ossia in slavo eccle­siastico), altre serbe, altre ancora bulgare o greche, che non so­no mai state tradotte in ruteno"

Le parole greche spesso si traducevano letteralmente; si ha la sensazione che il traduttore avesse sovente l'impressione che questo fosse il modo più sicuro per rendere quel che aveva capi­to solo approssimativamente. I manoscritti di opere che erano state originariamente tradotte in slavo in Bulgaria o in Serbia, contenevano oltre agli errori del copista anche parole e frasi sco­nosciute ai monaci ucraini.

Alla luce di tali esempi possiamo valutare meglio ciò che Teo­dosio di Manjava scriveva nel XVII secolo in merito all'insegna­mento spirituale raccolto dai padri e che stava trasmettendo nel suo Testamento.

 

Ma tutte queste cose trasmesse e scritte esigono un maestro ispirato ... Gli scritti ... non possono parlare da sé, ma richiedono un servitore e una guida, che sappia far passare in  pratica per i suoi discepoli ciò che è scritto, affinchè la parola scritta diventi salvifica.

 

Ossia è la tradizione viva, attraverso la parola viva del superiore che rende questi testi vivi e vivificanti. Era la tradizione vivente che interpretava i testi in sé sovente difficili da afferrare e che li rendeva intelligibili.

 

Abbiamo considerato questi scritti in quanto letti da monaci. Ma va ricordato che le letture dei laici devoti erano le stesse. Ciò significa che dei laici potevano essere incitati dalle loro let­ture ad abbracciare la vita monastica e aiuta a spiegare perché agli occhi della società in genere l'ideale della vita monastica fosse l'eremita. Paisij Velichkovskij racconta come a casa, da bambi­no, leggesse Efrem e Doroteo e le vite dei santi monaci; fu la lettura di questi libri che confermò la sua decisione di farsi monaco. Più di un secolo prima Giosafat aveva provato la stessa influenza di questi scritti; fu formato spiritualmente e si risolse a diventare monaco quand'era ancora apprendista mercante, in gran parte leggendo "libri spirituali, fuori, in ne­gozio”.

Un altro manoscritto nelle mani di Giosafat era un Proloh, versione slava del sinassario greco. Queste brevi vite di santi per ogni giorno dell'anno liturgico non erano lette solo nei mo­nasteri, ma anche dai laici. Nel seicento il Proloh incominciò a includere degli apoftegmi dei padri del deserto, dei brani di Bar­laam e Giosafat, di Evagrio sulle otto passioni e altri suoi testi, e dei passi d'Isacco il Siro e di Climaco.

L'influsso di questa corrente esicasta in Ucraina si può gene­ralmente rintracciare solo indirettamente, annotandone le preferenze nel copiare certi scritti, la diffusione di piccoli mona­steri e skit, il fascino di una solitudine reale per i monaci. Inoltre è difficile da puntualizzare l'influsso della corrente esicasta sulla prospettiva spirituale dei monaci.

Per finire vorrei citare un breve brano che ci dà un'impressione fugace di questo aspet­to in gran parte inaccessibile. E’ tratto dal Testamento di Teodo­sio della skit di Manjava, un discepolo del fondatore della skit, Jov Knjahynyc'kyj, e suo successore come superiore. Il Testa­mento fu scritto verso la metà del seicento; Teodosio vi conse­gna delle istruzioni spirituali e descrive la vita quotidiana di Man­java, esortando i monaci a continuarla nella stretta osservanza. Ma non sono le singole osservanze che sono importanti. Nell’introduzione scrive:

 

Benché molti dei nostri santi Padri incomincino le loro istru­zioni sulla vita monastica con il timor di Dio, e altri con la rinuncia al mondo e all'acquisizione di beni, Doroteo e molti altri incominciano con l'amore; così anch'io incomincerò al loro seguito con l'amore e l'umiltà e la pazienza, perché la vita monastica (come so per esperienza) è mantenuta da esse.

 

 

Tratto da A.A.V.V., Amore del bello - Studi sulla filocalia - ed. QIQAJON COMUNITA' DI BOSE a cui si rimanda per l'approfondimento