INSEGNAMENTI E CONSIGLI SPIRITUALI DELLO

STARETS SERAFINO DI SAROV


 


Coloro che hanno deciso di servire veramente Dio devono esercitarsi a conservare costantemente nel cuore il suo ricordo e a pregare incessantemente Gesù Cristo, ripetendo interiormente:  
« Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore...
»

 

“Quando la mente e il cuore sono uniti nella preghiera e l'anima non è turbata da nulla, allora il cuore si riempie di calore spirituale e la luce di Cristo inonda di pace e di gioia tutto l'uomo interiore.”


 

Questi Insegnamenti sono una specie di riassunto della spiritualità dello starets di Sarov. Sono indirizzati unicamente a quanti aspirano alla vita monastica? Ce lo potremmo chiedere se non sapessimo che l'ortodossia non conosce frontiere rigide tra i monaci e i laici.

 

 

Dio

 

Dio è un fuoco che riscalda e infiamma i cuori e le vi­scere. Se sentiamo scendere nel cuore il freddo del demonio, il demonio infatti è freddo, ricorriamo al Signore ed egli verrà a riscaldare il nostro cuore con un amore perfetto, non solo verso di lui, ma anche verso il prossimo. Il gelo del demonio fuggirà davanti al suo Volto.

Dov'è Dio non vi è alcun male...

Dio ci dimostra il suo amore verso il genere umano non solo quando facciamo il bene, ma anche quando lo offen­diamo, meritandoci la sua collera...

Non dire che Dio è giusto, insegna Sant'Isacco il Siro... Davide lo chiamava « giusto », ma suo Figlio ci ha mo­strato che è buono e misericordioso. Dov'è la sua giustizia? Noi eravamo peccatori e Cristo è morto per noi (Omelia 90).

 

 

I motivi per cui Cristo è venuto nel mondo

 

1) L'amore di Dio per il genere umano. « Sì, Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, per­ché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).

2) Il ripristino nell'uomo decaduto dell'immagine divina e della somiglianza a questa immagine, come canta la Chiesa.

3) La salvezza delle anime. « Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui » (Gv 3, 17).

 

 

La fede

 

Innanzitutto bisogna credere in Dio « perché egli esiste e ricompensa coloro che lo cercano » (Ebr 11, 6). Secondo Sant'Antioco la fede è l'inizio della nostra unione con Dio... La fede senza le opere è morta (Gc 2, 26).

Le opere della fede sono: l'amore, la pace, la misericordia, la magnanimità, l'umiltà, il portare la croce e la vita secondo lo Spirito. L'unica fede che conta è questa, non può esistere una fede senza le opere.

 

 

La speranza

 

Tutti coloro che sperano fermamente in Dio sono innal­zati verso di lui e illuminati dal chiarore della luce eterna.

Se l'uomo trascura i propri affari per amore di Dio e per fare il bene, sapendo che Dio non lo abbandonerà, la sua speranza è saggia e fondata. Se invece l'uomo si preoc­cupa dei propri affari e si rivolge a Dio solo quando gli capiti qualche disgrazia e si rende conto di non potersela cavare da solo, questa speranza è vana e fallace. L'auten­tica speranza cerca innanzitutto il Regno di Dio, convinta che tutto il necessario per la vita terrena gli verrà dato in sovrappiù. Il cuore non può trovar pace se prima non ottiene questa speranza.

 

 

L’ amore di Dio

 

Colui che è pervenuto all'amore perfetto di Dio vive in questo mondo come se non ci vivesse. Si considera infatti estraneo a ciò che vede e aspetta pazientemente l'invisibile... Attirato verso Dio, aspira unicamente a contemplarlo...

 

 

Contro l'ansia inutile

 

E’ tipico dell'uomo pusillanime e poco credente l'inquietarsi eccessivamente per le faccende mondane…  Se non attribuiamo a Dio i beni di cui godiamo in questo mondo, come possiamo attenderci da lui i beni promessi nell'aldilà?

Cerchiamo invece il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto ci verrà dato in sovrappiù » (Mt 6, 33).

E’ meglio che noi disprezziamo ciò che non ci appartiene, cioè le cose passeggere e temporanee, e desideriamo invece ciò che è nostro,        l'incorruttibilità e l'immortalità. Allora saremo degni di vedere Dio faccia a faccia, come gli Apo­stoli durante la trasfigurazione di Cristo, e conosceremo l'unione soprarazionale con Dio, come gli spiriti celesti. In­fatti noi saremo « simili agli angeli » e « figli di Dio, essendo figli della resurrezione (Lc 20, 36).

 

 

L’attenzione per l’anima

 

Il corpo dell’uomo è simile ad un cero. Il cero deve consumarsi, l’uomo deve morire. L'anima invece è immor­tale e dobbiamo preoccuparci più della nostra anima che del nostro corpo. “Che giova all'uomo guadagnare l'uni­verso se perde l’anima? Che cosa l'uomo potrà dare l’uomo  in cambio della propria anima? “ (Mt 16, 26).

« Noi riteniamo che l'anima sia la cosa più preziosa di tutte, Dio infatti non s'è degnato di unirsi con nessun'altra creatura se non con l'uomo, che ha amato più di ogni altra creatura » (Macario il Grande). Dobbiamo quindi preoccu­parci soprattutto della nostra anima e irrobustire il corpo nella misura in cui deve contribuire alla fortificazione dello spirito.

 

 

Di che cosa dobbiamo nutrire l’anima?

 

Della parola di Dio, perché la parola di Dio, come dice Gregorio il Teologo, è il pane degli angeli di cui si nutrono le anime assetate di Dio.

Bisogna nutrire l'anima anche delle conoscenze riguardanti la Chiesa: come è stata preservata dalle origini fino ai nostri giorni, le sofferenze che ha dovuto patire. Dob­biamo sapere queste cose non con l'intenzione di dominare sugli uomini, ma per saper rispondere qualora venissimo interpellati. Soprattutto però bisogna farlo per se stessi, per acquisire la pace dell'anima, come dice il salmista: « Pace a quanti amano i tuoi precetti, o Signore », oppure « Pace agli amanti della tua legge » (Sal 119, 165).

 

 

La pace dell’anima

 

Non vi è nulla al di sopra della pace in Cristo, grazie alla quale vengono annientati gli assalti degli spiriti del cielo e della terra. « La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti »(Ef 6, 12).

L'uomo ragionevole dirige il proprio spirito verso l'in­teriore e lo fa scendere nel cuore. Allora la grazia di Dio lo illumina e si viene a trovare in una condizione pacificata e più che pacificata: pacificata perché la coscienza è in pace; più che pacificata perché nel suo intimo contempla la dello Spirito Santo...

Possiamo fare a meno di rallegrarci quando vediamo coi nostri occhi di carne il sole? Quanto è maggiore la nostri gioia quando lo spirito vede, con l'occhio interiore, Cristo, il Sole di giustizia! Allora partecipiamo alla stessa gioia degli angeli. A questo proposito l'Apostolo ha detto: « La nostra patria è nei cieli » (Fil 3, 20).

Chi cammina nella pace raccoglie i doni della grazia come con un cucchiaio. I Padri, essendo nella pace e nella grazia di Dio, vive­vano a lungo.

Quando un uomo acquisisce la pace, può allora river­sare su altri la luce che rischiara lo spirito... Ma deve ricor­darsi della parola del Signore: « Ipocrita, leva prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pa­gliuzza dall'occhio del tuo fratello » (Mt 7, 5).

Nostro Signore Gesù Cristo prima di morire ha lasciato questa pace ai suoi discepoli come un tesoro inestimabile dicendo: « Vi lascio la pace, vi dò la mia pace » (Gv 14; 27). Anche l'Apostolo ne parla in questi termini: « La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù » (Fil 4, 7).

Se l'uomo non disprezza i beni di questo mondo, non può avere la pace. La pace si acquisisce attraverso le tribolazioni. Chi vuol essere gradito a Dio deve superare molte prove.

Nulla contribuisce alla pace interiore più del silenzio e, se possibile, il dialogo incessante con se stesso e raro con gli altri. Dobbiamo quindi concentrare i nostri pensieri, i nostri desideri e le nostre azioni sull'acquisizione della Pace di Dio e gridare incessantemente con la Chiesa: « Signore, do­naci la Pace! ».

 

 

 

Come conservare la pace dell'anima?

 

Dobbiamo dedicarci con tutte le nostre forze a salva­guardare la pace dell'anima e a non indignarci quando gli altri ci offendono. Dobbiamo astenerci dalla collera e impe­dire alla mente e al cuore qualsiasi movimento sconsiderato.

Gregorio il Taumaturgo ci ha dato un esempio di mode­razione. Avvicinato per strada da una donna di malaffare che gli chiedeva di pagare il prezzo della fornicazione che pretendeva avesse commesso assieme a lei, invece di sde­gnarsi, Gregorio disse tranquillamente al suo compagno: « Dalle quello che chiede ». Preso il denaro, la donna fu gettata a terra da un demonio. Ma il santo scacciò il demo­nio con la preghiera.

Se ci è impossibile non indignarci, dobbiamo almeno frenare la lingua...

Per salvaguardare la pace, dobbiamo scacciare la malin­conia e cercare di avere lo spirito allegro...

Quando un uomo non può provvedere ai propri bisogni, gli è difficile vincere lo scoraggiamento; ma questo riguarda le anime deboli.

Per salvaguardare la pace interiore dobbiamo evitare di giudicare gli altri.

Bisogna entrare in se stessi e chiedersi: « Dove mi trovo? »

Dobbiamo evitare che i nostri sensi, soprattutto la vista, ci procurino distrazioni: i doni della grazia infatti appar­tengono solo a chi prega e si prende cura della propria anima.

 

 

La custodia del cuore

 

Dobbiamo vigilare e preservare il nostro cuore da pen­sieri ed emozioni indecenti. « Vigila soprattutto sul tuo cuo­re: da lui sgorgano le fonti della vita » (Pr 4, 23). Così nasce la purezza nel cuore. « Beati i puri di cuore vedranno Dio » (Mt 5, 8).

Ciò che di buono è penetrato nel cuore, non dobbiamo versarlo inutilmente all'esterno: ciò che è stato accumulato può essere al riparo dai nemici visibili e invisibili solo se è conservato come un tesoro in fondo al cuore.

Il cuore, riscaldato dal fuoco divino, ribolle quando è pieno di acqua viva. Se quest'acqua viene rovesciata fuori, il cuore si raffredda e l'uomo resta come gelato.

 

 

Le tentazioni

 

Dobbiamo liberarci da qualsiasi pensiero impuro, spe­cialmente mentre presentiamo a Dio le nostre preghiere, per non mischiare il puzzo con i profumi.

Dobbiamo respingere immediatamente i pensieri tenta­tori... stando attenti soprattutto alla gola, all'avarizia e alla vanità...

Se ci opponiamo a quello che il demonio ci suggerisce all'orecchio ci comportiamo bene.

Il diavolo può influenzare soltanto gli schiavi delle pas­sioni, mentre può avvicinarsi solo dall'esterno a quelli che si sono purificati dalle loro passioni.

Quando è giovane, l'uomo può evitare di essere tur­bato dalle tentazioni carnali? Deve pregare il Signore di spe­gnere sul nascere la scintilla del vizio...

 

 

 

Il discernimento degli spiriti

 

Quando l'uomo accoglie nel proprio cuore qualcosa di divino, se ne rallegra; quando è qualcosa di diabolico, ne rimane turbato.

 

 

 

La contrizione

 

Chi desidera la salvezza deve avere il cuore disposto alla contrizione e al pentimento: « Mio sacrificio è uno spi­rito contrito, tu non disprezzi il cuore affranto e umiliato »(Sal 51, 19).

Con lo spirito contrito l'uomo può tranquillamente su­perare le insidie del demonio la cui sola ambizione è di turbare lo spirito e di seminarvi la zizzania, come dice il Vangelo: « Padrone, non hai seminato del buon grano nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? » (Mt 13, 27-28). Se però l'uomo conserva un cuore umile e pensieri pacificati, tutti gli attacchi del demonio rimangono senza esito.

La contrizione comincia con il timore di Dio, dice il martire Bonifacio. Da questo timore nasce la vigilanza, ma­dre della pace interiore e la coscienza in grado di vedere le brutture dell'anima, come in una fonte pura e traspa­rente...

Durante tutta la nostra vita, non facciamo altro che of­fendere la maestà di Dio. Dobbiamo quindi umiliarci da­vanti a lui, chiedendo perdono per le nostre colpe.

Un uomo caduto dopo essere stato nella grazia, può rial­zarsi ancora? Sì. Come per esempio quell'anacoreta che, andato al pozzo per attingere l'acqua, vi incontrò una donna con la quale peccò. Tornato nella sua cella, pur rendendosi conto della colpa commessa, continuò a vivere da asceta, nonostante i consigli del malvagio che cercava di distoglierlo con il pretesto del peccato commesso. Dio fece conoscere la vicenda ad un anziano e lo incaricò di andare a lodare il giovane monaco per la sua vittoria sul demonio.

Quando ci pentiamo sinceramente delle nostre colpe e ritorniamo al nostro Signore Gesù Cristo con tutto il cuore, egli si rallegra e invita alla festa tutti i suoi amici mostrando loro la dramma ritrovata... Non esitiamo quindi a volgerci al Signore misericordioso e non lasciamoci andare all'indifferenza o alla disperazione.

La disperazione è ciò che più rallegra il demonio, è il peccato che conduce alla morte, di cui parla la Scrittura (1Gv, 5,16).

La contrizione consiste, tra l'altro, nel non ricadere nello stesso peccato.

 

 

La preghiera

 

Coloro che hanno deciso di servire veramente Dio devono esercitarsi a conservare costantemente nel cuore il suo ricordo e a pregare incessantemente Gesù Cristo, ripetendo interiormente:

 

« Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore... »

 

Comportandosi così, evitando le distrazioni e conser­vando la propria coscienza in pace, ci si può avvicinare a Dio e unirsi a lui. A parte la preghiera ininterrotta, afferma Sant'Isacco il Siro, non c'è altro mezzo per avvicinarsi a Dio.

In chiesa è bene tenere gli occhi chiusi per evitare le distrazioni; si possono aprire se si avverte sonnolenza, ma allora è meglio fissare lo sguardo su un'icona o sulla lam­pada accesa davanti.

Se il nostro spirito si disperde durante la preghiera, dob­biamo umiliarci davanti a Dio e chiedere perdono... infatti, come dice San Macario, « il nemico cerca solo di distogliere i nostri pensieri da Dio, dal suo timore e dal suo amore ».

Quando la mente e il cuore sono uniti nella preghiera e l'anima non è turbata da nulla, allora il cuore si riempie di calore spirituale e la luce di Cristo inonda di pace e di gioia tutto l'uomo interiore.

 

 

La luce di Cristo

 

Per poter ricevere nel proprio cuore la luce di Cristo, dobbiamo staccarci, per quanto possibile, da tutti gli oggetti visibili. Dopo aver purificato l'anima con la contrizione e le buone opere, dopo aver chiusi gli occhi di carne, ripieni della fede nel Cristo crocifisso, facciamo scendere il nostro spirito nel cuore per acclamare il Nome del nostro Signore Gesù Cristo; allora, nella misura della nostra assiduità e del nostro fervore verso l'Amato, troveremo nel Nome invo­cato consolazione e delizia, il che ci inciterà a ricercare una conoscenza ancora più elevata.

Dopo che lo spirito si è radicato nel cuore con simili esercizi, la luce di Cristo viene a brillare nell'interiore, illu­minando con il suo chiarore divino l'anima, come dice il profeta Malachia: « Per voi, adoratori del mio nome, sor­gerà il sole di giustizia con raggi di salvezza » (Ml 3, 20). Questa luce è anche la vita, secondo la parola del Vangelo: « Egli era la vita, e la vita era la luce degli uomini » (Gv 1, 4).

Quando l'uomo contempla dentro di sé questa luce eterna, dimentica tutto ciò che è carnale, dimentica se stesso e vorrebbe nascondersi nel più profondo della terra per non essere privato di questo bene unico, Dio.

 

 

La vigilanza

 

Chi segue la via della vigilanza non deve fidarsi unicamente della propria comprensione, ma deve far riferimento alle Scritture e paragonare i moti del proprio cuore e la pro­pria vita alla vita e alla attività degli asceti che lo hanno preceduto. In questo modo gli sarà più facile essere preser­vato dal maligno e discernere chiaramente la verità.

Lo spirito di un uomo vigilante è paragonabile ad una sentinella di guardia alla Gerusalemme interiore. Alla sua vigilanza non sfuggono né « il diavolo che come leone rug­gente si aggira cercando una preda da divorare » (1 Pt 5, 8), né coloro che « aggiustano la freccia sulla corda per col­pire nel buio i retti di cuore » (Sal 11, 2). Egli segue l'insegnamento dell'Apostolo Paolo che ha detto: « Prendete l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio» (Ef 6, 13).

Chi percorre questa strada non deve prestare attenzione ai rumori che sente, né deve preoccuparsi degli affari altrui... preghi invece il Signore: « Purificami dalle colpe nascoste » (Sal 19, 13).

Parafrasando Sant'Isacco il Siro potremmo dire: « En­tra in te stesso e considera quali passioni sono diminuite in te; quali si sono zittite in seguito alla guarigione della tua anima; quali sono state completamente annientate e ti hanno abbandonato definitivamente. Guarda se sulla ferita dell'a­nima comincia a crescere una carne sana e viva: è la pace interiore. Considera anche quali passioni rimangono ancora: sono materiali o spirituali? Come reagisce la tua mente? E’ in guerra contro queste passioni oppure fa finta di non vederle? Si sono formate nuove passioni? Se sei così vigi­lante, potrai conoscere il grado di santità della tua anima ».

L'uomo dev'essere vigilante all'inizio e alla fine della propria vita: il resto, con ciò che comporta di felicità o di disgrazie, è indifferente.

 

 

Il timore di Dio

 

Chi si è impegnato a seguire la via della vigilanza inte­riore deve possedere innanzitutto il timore di Dio che è principio di sapienza, ricordandosi delle parole del salmista: « Servite il Signore con timore, esultate in lui con tremore »(Sal 2,11).

Deve percorrere questa via con prudenza e rispetto per il sacro... « Maledetto chi compie fiaccamente l'opera del Signore » (Ger 48, 10).

Chi teme Dio, per amore suo riesce bene in tutte le sue azioni.

Quanto al diavolo, non bisogna temerlo: chi teme Dio avrà il sopravvento sul diavolo, di fronte a lui il diavolo è impotente.

Ci sono due tipi di timore: se non vuoi fare il male, temi Dio e non farlo; se vuoi fare il bene, temi Dio e fallo.

Non si può giungere al timore di Dio senza essersi prima sbarazzati delle preoccupazioni di questo mondo. Liberato dalle preoccupazioni, lo spirito viene spinto dal timore di Dio verso l'amore per la sua misericordia.

 

 

Il distacco dal mondo

 

Il timore di Dio si ottiene quando, dopo essersi staccati dal mondo e da tutto ciò che è nel mondo, si concen­trano i pensieri e i sentimenti sulla legge divina e ci si getta interamente nella contemplazione di Dio e nell'attesa della beatitudine promessa ai santi...

 

 

La vita attiva e contemplativa

 

L’uomo è chiamato, anima e corpo, a seguire una doppia strada: l’azione e la contemplazione.

 

- La vita attiva comprende: il digiuno, l'astinenza, le veglie, le metanie, la preghiera: « Stretta è la porta e angusta la via che porta alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano » (Mt 7, 14).

 

-         La vita contemplativa consiste nell'elevazione dello spirito verso Dio, nella vigilanza interiore, nella preghiera pura e, tramite tutte queste pratiche, nella contemplazione delle cose spirituali.

 

Chi aspira alla vita contemplativa deve cominciare dalla vita attiva. E’ impossibile accedere alla via contemplativa senza passare per quella attiva.

La vita attiva serve a purificarci dalle nostre passioni peccaminose... solo i puri infatti possono incamminarsi sulla via della contemplazione... San Gregorio il Teologo afferma: « Solo le persone perfettamente provate possono vivere la contemplazione senza pericolo ».

Dobbiamo accostarci alla vita contemplativa con timore e tremore, con cuore umile e contrito, dopo aver consultato a lungo la Scrittura e, preferibilmente, sotto la direzione di uno starets fidato, non con temerarietà o con una volontà propria piena di capricci.

Non dobbiamo abbandonare la vita attiva neanche dopo essere passati, grazie a lei, alla vita contemplativa; essa è infatti un sostegno per la vita contemplativa e ne facilita l'elevazione.

 

 

Gli sforzi ascetici

 

Non bisogna mai esagerare in nulla, bensì fare in modo che il nostro amico, il corpo, rimanga fedele e partecipi allo sviluppo delle virtù.

La via di mezzo è la migliore... Allo spirito bisogna dare ciò che è naturale, al corpo il necessario. Non dobbiamo neanche negare alla vita sociale le cose che legittimamente esige da noi: « Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22, 21).

Ad un giovane novizio che era venuto a chiedergli il permesso di portare un cilicio e delle catene, lo starets ri­spose ridendo: « Cosa vuoi che ti dica? Se un bambino ve­nisse a chiedermi una cosa simile, cosa gli risponderei? Una persona che mangia e beve tutto quello che vuole, che dorme a sazietà, che non sopporta il minimo rimprovero da parte del proprio superiore senza scoraggiarsi, è forse matura per portare delle catene e il cilicio? »

Bisogna essere pazienti verso se stessi e sopportare le proprie mancanze come si sopportano quelle degli altri, ma senza lasciarsi prendere dalla pigrizia e sforzandosi sempre di migliorare.

Se abbiamo mangiato troppo o fatto qualcosa di scon­veniente per debolezza umana, non sdegniamoci, non ag­giungiamo un male ad un altro, ma, conservando la pace interiore, dedichiamoci coraggiosamente alla nostra corre­zione. La virtù non è una pera che si mangia in un solo boccone.

Uno da solo non è in grado di attenersi ad una regola ferrea, né di privarsi di tutto quello che può alleviare i suoi mali. Chi indebolisce volontariamente il proprio corpo, an­che se con l'intenzione di giungere alla perfezione, è un insensato.

Non incominciare qualcosa che è superiore alle tue for­ze, altrimenti cadrai e l'avversario si prenderà gioco di te.

Alcuni hanno accumulato molti meriti nella loro giovi­nezza ma poi, a metà della vita, sono stati tentati dai demoni (soprattutto da quello della lussuria), non hanno saputo resistere e hanno perso tutto.

Ciascuno deve saper valutare i limiti delle proprie forze.

Dobbiamo attribuire tutti i progressi spirituali a Dio e ripetere assieme al salmista: « Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo Nome riporta la gloria » (Salì 15, 1).

 

 

 

La resistenza contro le tentazioni

 

Dobbiamo sempre diffidare degli attacchi del demonio. Come possiamo sperare che ci lascerà tranquilli se ha osato tentare il Signore stesso, Gesù Cristo?

Dobbiamo sempre invocare Dio e pregarlo umilmente affinché la tentazione non sia superiore alle nostre forze, e chiedergli di liberarci dal Maligno.

Se Dio abbandona l'uomo a se stesso, il diavolo è pronto a ridurlo in polvere, come un chicco di grano sotto la macina.

 

 

La tristezza, l’acedia, la disperazione

 

Nel monaco, oltre allo spirito di tristezza, c'è anche quello dell'acedia. Così la descrivono i Padri: « L'acedia si impadronisce del monaco verso mezzogiorno e lo mette in uno stato di inquietudine tale che non può più sopportare né la propria cella, né i fratelli che lo circondano; gli pro­voca il disgusto per la lettura, la voglia di sbadigliare e di mangiare. Dopo che si è saziato, il demonio dell'acedia ispira al monaco il desiderio di uscire dalla cella per chiacchierare con qualcuno, come se la conversazione fosse un modo per sbarazzarsi dell'acedia... Se non riesce a far uscire il monaco dalla cella, il demonio cerca di distrarne l'attenzione du­rante la lettura e la preghiera. Quella cosa non è al suo posto, gli suggerisce, e quell'altra dovresti spostarla...  Lo scopo di queste distrazioni è quello di rendere lo spirito ozioso e sterile ».

Una cosa è l'acedia, un'altra lo scoraggiamento. Capita che una persona, in questo stato d'animo, preferisca distrug­gere se stesso o essere privato della conoscenza piuttosto che restare in questo vago tormento. Bisogna uscirne al più pre­sto possibile. Guardati dallo spirito di scoraggiamento per­ché da lui nasce ogni male.

Per salvaguardare la pace interiore, bisogna quindi fug­gire la tristezza e cercare di conservare sempre lo spirito allegro perché, secondo il Siracide, la tristezza uccide e non vi è in essa alcun vantaggio. « La tristezza secondo Dio pro­duce un pentimento salutare, mentre la tristezza del mondo produce la morte » (2 Cor 7, 10).

Peggio di tutto è la disperazione: è la cosa che procura al demonio la gioia più grande. E’ il « peccato che conduce alla morte » di cui parla la Scrittura (1Gv 5, 16).

 

 

La malattia

 

Il corpo è schiavo dell'anima, l'anima è la regina. Quan­do il corpo è indebolito dalla malattia, è un segno della misericordia di Dio: la malattia indebolisce le passioni, l'uomo rientra in se stesso. Può anche succedere che la ma­lattia sia causata dalle passioni. « Elimina il peccato, spa­riranno le malattie », afferma San Basilio Magno.

Il Signore ha creato il corpo, non la malattia, l'anima, non il peccato. Allora che cos'è salutare e necessario? L’unione con Dio e un rapporto d'amore con lui. Perdendo l'amore ci separiamo da Dio e, una volta separati, diventiamo preda di numerosi mali. Se uno invece sopporta con pazienza la malattia, questo gli viene contato come una « impresa » ascetica, anzi, ancora di più.

 

 

Dovere e amore verso il prossimo

 

Dobbiamo trattare il prossimo con dolcezza, stando at­tenti a non offenderlo in alcun modo.

Quando voltiamo le spalle a qualcuno o lo offendiamo, è come se mettessimo una pietra sul nostro cuore.

Ad una persona smarrita e turbata dobbiamo ridare coraggio con una parola affettuosa. « Getta il mantello sul peccatore, in modo da ricoprir­lo », consiglia Isacco il Siro.

Quando avviciniamo qualcuno, dobbiamo essere puri in parole e in spirito, uguali verso tutti, senza mai nessuno: altrimenti la nostra vita sarà inutile.

Dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, secondo il precetto del Signore: « Ama il prossimo tuo come te stes­so » (Lc 10, 27), ma in modo tale da saperci moderare affinché questo amore non ci allontani dal primo e più im­portante comandamento: « Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me » (Mt 10, 37).

San Dimitri di Rostov dice bene a questo proposito: « C'è nel cristiano un amore imperfetto quando paragona la creatura al Creatore, oppure quando ha più riguardi per lei che per il Creatore; l'amore è invece autentico quando il Creatore è messo al primo posto ed è amato al di sopra di qualsiasi creatura ».

 

 

Il giudizio del prossimo

 

Non dobbiamo giudicare, neanche se vediamo con i no­stri occhi che qualcuno sta peccando e infrangendo un co­mandamento divino. Critica la cattiva azione, ma non chi l'ha commessa. Non spetta a noi giudicare, bensì al Giu­dice supremo. « Non giudicate e non sarete giudicati » (Mt 7, 1), e ancora: « Chi sei tu per giudicare il servo di un altro? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi perchè il Signore ha il potere di farcelo stare » (Rm 14, 4).

Non sappiamo per quanto tempo riusciremo a perseve­rare nella virtù. « Dicevo al tempo della mia fortuna: Niente mi farà vacillare! Nella tua bontà, Signore, mi avevi posto al riparo; ma poi hai nascosto il tuo volto e sono rimasto turbato » (Sal 30, 7-8).

Dobbiamo considerare noi stessi come i peggiori colpevoli, dobbiamo perdonare al nostro prossimo ogni trasgressione e odiare solo il demonio che lo ha tentato. A volte ci può sembrare che l'altro stia comportandosi male e invece, a motivo dell'intenzione che è buona, sta facendo il bene. La porta del pentimento è aperta per tutti e non si sa chi vi entrerà per primo: se tu che giudichi o chi viene giudi­cato da te.

Per non giudicare bisogna essere vigilanti su se stessi, non accettare idee strane da nessuno e rimanere come morti a tutto.

Giudica te stesso, allora smetterai di giudicare gli altri.

 

 

Il perdono delle offese

 

Non bisogna mai vendicarsi di un'offesa, qualunque essa sia; al contrario dobbiamo perdonare di tutto cuore a chi ci ha offeso, anche se il nostro cuore vi si oppone. « Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro per­donerà le vostre colpe » (Mt 6, 15), e ancora: « Amate i vostri nemici. Pregate per i vostri persecutori » (Mt 5, 44).

Se ti feriscono nell'onore, fai di tutto per perdonare, « e a chi ti prende il tuo, non richiederlo » (Lc 6, 30).

Dio ci chiede l'inimicizia solo nei confronti del serpente, il quale, fin da principio, ha indotto l'uomo in tentazione e l'ha cacciato dal paradiso.

Pensiamo a Davide, a Giobbe, a tutti i santi graditi a Dio i quali hanno vissuto ignorando l'odio.

Se anche noi vivremo così, potremo sperare che la luce divina brilli nei nostri cuori e ci rischiari il cammino verso la Gerusalemme celeste.

 

 

La pazienza e l’umiltà

 

Qualunque cosa ci succeda, dobbiamo sopportare tutto con pazienza, anche con riconoscenza, per amore di Dio.

Ti rimproverano, rispondi con elogi; ti perseguitano sopporta; ti accusano, non te la prendere.

Soffri in silenzio quando il nemico ti oltraggia e apri il tuo cuore solo a Dio.

Umiliamoci e vedremo la gloria di Dio, perché dove c'è l'umiltà, là si manifesta la gloria.

Come la cera non può ricevere l'impronta del sigillo se non viene riscaldata e ammorbidita, così l'anima non può ricevere il sigillo divino senza essere prima passata attra­verso prove e tribolazioni. Quando il demonio lasciò il Signore nel deserto, gli si avvicinarono degli angeli per ser­virlo (Mt 4, 11). Se si allontanano da noi durante le tentazioni, non vanno però lontano e ritornano presto...

Non ringraziamo Dio solo quando siamo nella prospe­rità...

L'Apostolo Giacomo ci insegna: « Considerate perfetto gaudio, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove... Beato l'uomo che sopporta la prova! Una volta superatala riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano» (Gc 1, 2, 12).

 

 

La misericordia

 

Siate misericordiosi verso i poveri e i pellegrini. I Padri, lampade della Chiesa, vi prestavano continua attenzione.

Riguardo a questa virtù, dobbiamo conformarci al co­mandamento divino: « Siate misericordiosi com'è miseri­cordioso il Padre vostro » (Lc 6, 33), e ancora: « Miseri­cordia voglio e non sacrifici » (Os 6, 6; Mt 9, 13).

I saggi sono attenti a questa parola, mentre gli altri non l'ascoltano. Per questo la ricompensa sarà diversa: « Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà, e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà » (2 Cor 9, 6).

Dobbiamo fare l'elemosina con benevolenza, secondo l'insegnamento di Sant'Isacco il Siro: « ... la serenità del volto sia preludio al tuo dono e una buona parola consoli la miseria ».

« Dona sempre e dappertutto », diceva lo starets, e soggiungeva: « Chi dona con allegria è amato da Dio. L'elemosina fatta in questo modo, anche se insignificante, porta con sé la propria ricompensa ».