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Curia generalizia dell’Ordine dei Minimi

 

LXXXIII CAPITOLO GENERALE

 

"Identità e missione dei Minimi all’inizio del III

Millennio dopo 500 anni di storia: Religiosi e laici

Assieme con l’unico carisma, per la stessa missione"

 

Documenti preparatori

 

IV – LETTERA DEL P. GENERALE

AI RELIGIOSI E AI TERZIARI

PER L’INIZIO DEL NUOVO MILLENNIO

 

Roma 1999

Fr. GIUSEPPE FIORINI MOROSINI

Correttore generale

ai Religiosi e ai Terziari Minimi

salute, pace e benedizione dal Signore.

 

Carissimi,

A pochi giorni dell’inizio del terzo Millennio e alla vigilia del grande Giubileo che accompagna questo evento, vi invio la presente lettera per aiutarvi a vivere questo avvenimento con la specificità che ci caratterizza come religiosi Minimi, figli di s. Francesco di Paola. La mia, sarà una voce tra le tante; vi chiedo di accoglierla con semplicità, umiltà e attenzione. Per quello che vi dirò, credo, che s. Francesco, se fosse presente in mezzo a noi, non vi direbbe niente di diverso. Perdonatemi l’ardire, ma credo veramente in quello che sto per dirvi. Vi posso assicurare che questa lettera nasce da un profondo amore al santo Fondatore, all’Ordine, al carisma che abbiamo professato. E si muove nel contesto di una speranza viva: quella di vedere il nostro Ordine camminare pieno di vita accanto ai fratelli, all’interno di una Chiesa, che vuole essere sempre più e sempre meglio rivelazione del mistero dell’amore salvifico di Dio, sua continua presenza tra gli uomini. Sappiamo che, per realizzare tutto questo, la Chiesa richiama ancora una volta tutti i suoi figli a vivere con impegno la penitenza evangelica.

 

1. Il nuovo millennio è atteso con speranza

L’ingresso nel nuovo Millennio è per tutti gli uomini un motivo di riflessione e di gioia; tale evento si apre alla speranza di un futuro, che si preannuncia ricco di avvenimenti positivi e gravido di frutti in ogni campo. Anche se la continuità del divenire storico non segnerà in superficie nulla di nuovo, perché il 1° gennaio del 2000 è semplicemente il giorno dopo il 31 dicembre del 1999, e quindi nulla si può verificare di sorprendente in una notte, in realtà l’ingresso nel nuovo Millennio pone in atto un nuovo modo di essere e di pensare, che sono veramente eccezionali. Si apre un modo nuovo di scandire il tempo, che si ripeterà per mille anni. E saranno anni che dal punto di vista dell’evoluzione del sapere cammineranno veloci, anzi velocissimi. Rispetto al Millennio che si chiude non può esserci paragone. Il ritmo dell’evoluzione nel futuro Millennio sarà frenetico. Ecco perché si guarda con grande interesse a Millennio che sta per nascere e lo si saluta con grande entusiasmo perché gravido di tante promesse, che rendono vive le aspettative.

Per noi credenti il 2000 si apre nel ricordo del mistero dell’Incarnazione e tale ricordo richiama alla nostra mente il mistero di Cristo, Signore del tempo e della storia, e il mistero di Dio, che nella sua Provvidenza guida la storia umana. Ma Dio guida la storia e Cristo continua la sua Incarnazione nel tempo e la sua regalità servendosi anche di uomini, che, di volta in volta, secondo le esigenze degli eventi che si susseguono, egli invia ispirando loro particolari carismi, atti ad influire nel solco non solo del particolare momento, ma anche della storia futura. I carismi, che caratterizzano i Fondatori e le Famiglie religiose, sono parte di quel patrimonio evangelico, che, in quanto tale, è sempre necessario per il retto cammino dell’umanità.

Con l’indizione del Giubileo e le iniziative che lo hanno preparato, il Papa ha invitato la Chiesa a trarre le debite conclusioni dalla riflessione sulla centralità del mistero di Cristo nella storia, al fine di riscoprire il suo messaggio, riannunciarlo con impegno, accoglierlo nuovamente con autenticità e per viverlo con fedeltà. In questo modo il Papa spera di rilanciare la vita e la missione della Chiesa e promuovere il riscatto dell’intera società umana. Pensiamo a certe richieste agli Stati di compiere gesti socialmente e politicamente significativi durante l’anno giubilare, come per esempio il condono del debito agli Stati poveri e il condono della pena ai reclusi per reati minori. La purificazione giubilare assume, così, i toni del rilancio della vita e della speranza. Ispirato da quel dono particolare dello Spirito, che lo sta sorreggendo negli anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II è certo che la potenza della grazia di Dio farà irruzione nella storia dell’uomo all’inizio del nuovo millennio, ed ha esortato tutti ad essere pronti a preparare e ad accogliere questa grazia: Una cosa è certa: ciascuno è invitato a fare quanto è in suo potere, perché non venga trascurata la grande sfida dell’Anno 2000, a cui è sicuramente connessa una particolare grazia del Signore per la Chiesa e per l’intera umanità.

Le riflessioni che voglio parteciparvi con questa lettera, partono da questo invito del Papa e si muovono nella prospettiva di vita e di speranza, nella quale ci immette l’attesa della grazia di Dio. Anche noi siamo parte viva della Chiesa e abbiamo da traghettare qualcosa nel nuovo Millennio: la nostra famiglia religiosa, il nostro carisma, l’eredità di cinque secoli di storia. Un traghettamento, però, che dobbiamo fare nell’ottica della ripresa, del rilancio, dell’inizio di un cammino nuovo: un impegno anche per noi, quindi, di muoverci nell’ottica della speranza e della vita.

 

2. S. Francesco e l’Ordine alla fine del secolo XV

Mi viene in mente in questo momento la figura di s. Francesco che naviga sul suo mantello verso Messina, o in viaggio per terra e per mare verso la Francia. Sono stati viaggi, motivati e attuati da cause storiche ben determinate. Essi, però, hanno avuto altresì il significato e il compito di diffondere il nostro carisma penitenziale. Dovunque andava s. Francesco portava con sé l’esperienza della sua vita e il particolare carisma che Dio gli aveva donato. Possiamo affermare che Dio si serviva proprio di questi viaggi per diffondere tale carisma, che si rivelava gradualmente, perché tale era nei piani di Dio, come principio di rinnovamento della persona con ripercussioni anche in campo sociale e politico. Soprattutto il suo viaggio verso la Francia ha avuto la conseguenza di una crescita del nostro carisma, che veniva così traghettato su altri lidi, culturalmente e socialmente diversi, che molto avrebbero giovato alla sua comprensione, definizione e sistematizzazione. Pensiamo alla sosta a Roma e all’incontro con Sisto IV e poi i buoni uffici dei re di Francia presso il Papa, proprio per il consolidamento di questo carisma attraverso l’approvazione di una Regola propria.

Se ci soffermiamo, poi, a considerare gli anni del periodo francese del nostro Fondatore, come non pensare che essi furono quelli della fine del secolo XV, caratterizzati dalla paura e dalla speranza del secolo futuro? Durante questi anni s. Francesco con i suoi religiosi, avviato ormai l’Ordine anche in terra francese, ma pur sempre ancora alle origini, si preparavano ad entrare nel nuovo secolo traghettando in esso la realtà della nostra famiglia, la cui configurazione giuridica e carismatica non era ancora pienamente compiuta.

In quegli anni s. Francesco con i suoi religiosi è tutto impegnato nella definizione del carisma. La realtà nuova in cui la Provvidenza di Dio lo aveva posto, così diversa da quella ove era nato e aveva mosso i primi passi nel servizio di Dio, richiedeva da lui grande discernimento per ripensare il carisma della penitenza evangelica, che Dio gli aveva ispirato. Urgeva un adattamento, che egli accetta di fare con fede. Senza venir meno alla forza della penitenza, che egli comprese come il cuore del carisma che Dio gli ispirava nella scia degli antichi Padri, spinto dalla cultura di fine secolo, dominata dall’ansia e paura dell’incognito, che spingeva tutti alla riscoperta dell’invito evangelico alla penitenza, Francesco opera il primo grande cambiamento, lasciando cadere l’elemento eremitico e precisando meglio il carisma del nostro Ordine nella sua dimensione penitenziale. I suoi frati saranno, perciò, non più i poveri in spirito, come li aveva definiti nella prima Regola, ma coloro i quali nella Chiesa dovranno fare frutti degni di penitenza, al fine di mantenere vivo l’impegno evangelico della conversione, così esposto allo svuotamento di significato, o, addirittura, alla dimenticanza. I contenuti della sua proposta di vita non cambiavano di molto, ma, parlando espressamente di penitenza, egli rendeva maggiormente comprensibile il significato di questa proposta e la sua efficacia per la riforma da tutti invocata.

Sono gli anni che vanno dal 1493, anno dell’approvazione della prima Regola, al 1501, quando fu approvata la seconda Regola. Sono anni ricchi di fermento per il nostro Ordine trapiantato in Francia, Anni in cui l’entusiasmo e la generosità nella sequela penitenziale sono premiati da uno straordinario fiorire di vocazioni. Anni in cui lentamente s. Francesco viene riconosciuto come riformatore della vita della Chiesa e il suo Ordine come il prodotto più bello dello sforzo rinnovatore della Chiesa. L’ingresso nell’Ordine di eminenti personalità, come Binet, Boyl, Gebert ed altri, che approdavano nel movimento dell’Eremita calabrese, insoddisfatti da altre esperienze, era il segno più eloquente della forza spirituale e del ruolo riformatore che la nuova famiglia religiosa assumeva nella Chiesa. Sono anni, perciò, di vita e di speranza per la Chiesa, che vede così concretizzati i tanti desideri e progetti di riforma, che si agitavano al suo interno.

Sono gli anni della crescita e dell’espansione dell’Ordine, grande e significativa per quel tempo: dalla Francia i nostri religiosi partono per la Spagna, la Germania, la Boemia. Unica è la ragione per la quale essi sono richiesti: la qualità evangelica della loro vita, segnata da semplicità, povertà, sobrietà, distacco dal mondo. Il loro genere di vita appariva come l’antidoto alla mondanizzazione imperversante e dominante. Pur senza alcun progetto consapevole e volontà manifesti, nella Chiesa era partito un movimento riformatore. Ed è in questo contesto di rinnovamento che l’Ordine si arricchisce anche del secondo ramo, le claustrali.

Sono gli anni della grande scelta che il Fondatore fa per tenere in piedi e garantire la struttura del carisma penitenziale contro ogni possibile indebolimento futuro. La decisione di proporre il quarto Voto della vita quaresiamle nasce in questo contesto. L’indebolimento della disciplina penitenziale, soprattutto in seno alla vita religiosa, era il segno più eloquente della mondanizzazione della Chiesa e il cedimento verso un pensare secondo gli uomini, che cozzava con il pensare secondo Dio, che Gesù invece chiese dai suoi seguaci (Mt 16, 23). E’ nel contesto di questi anni di riflessione, incalzati dal desiderio intenso di riforma, che s. Francesco e i suoi religiosi decidono del quarto Voto. La soluzione di legare con voto per i frati l’astinenza quaresimale appariva loro, insieme con la proibizione di ricorrere alla Santa Sede per ottenere cambiamenti della Regola, un mezzo sicuro al fine di conservarne per il futuro la purezza della Regola e difendere il rigore e la forza della penitenza.

Sono gli anni in cui il fascino della vita del nostro Fondatore colpisce anche i laici, che chiedono a lui di condividere con i frati del primo Ordine lo stesso progetto di vita. S. Francesco, fatto unico ed eccezionale nella storia della Chiesa, scrive per loro una Regola, approvata nel 1501, tutta incentrata sulla conversione: Promettete la conversione della vostra vita e il cambiamento dei vostri modi di agire. E’ tale e tanta la fiducia e la speranza che s. Francesco nutre per l’ascesi quaresimale, che propone l’astinenza quotidiana anche ai terziari, lasciando loro la libertà di scelta: in spiritu libertatis.

Tutto in questi anni è vissuto all’insegna della fiducia, della speranza, della vita: è la gioia di un gruppo giovane che inizia la sua avventura. Il Fondatore è la guida, il maestro, il testimone, il modello. Egli è amato, è venerato, è seguito con amore, anche se non mancano per lui le incomprensioni, le difficoltà, le delusioni dovute alla poca disponibilità di alcuni frati. In quegli anni egli mostra di voler guidare l’Ordine con chiarezza, con decisione e con fermezza, portandolo là dove lui voleva, nella consapevolezza di aver avuto una precisa missione da parte di Dio. E tutto questo ha mostrato di saperlo fare, perché aveva chiaro, nei suoi contenuti e nelle sue implicanze, l’obiettivo che si prefiggeva e da dove esso prendeva le mosse nel progetto di Dio. L’Anonimo mette chiaramente in relazione l’ispirazione del carisma penitenziale con i mali del tempo: s. Francesco si muove, quindi, all’interno di questo disegno di Dio con profonda saggezza e grande sicurezza.

Quando muore s. Francesco, lascia la nostra famiglia religiosa con una identità definita, con una organizzazione consolidata, con molti religiosi e numerosi conventi, che erano il segno concreto dell’attualità di un carisma, valido per la tanto desiderata riforma della Chiesa. E i primi religiosi si muovono anch’essi con lo stesso entusiasmo, con la stessa consapevolezza del Fondatore, animati dalla stessa fiducia e speranza di essere gli agricoltori idonei della messe del Signore. Questo istinto di vita che li spingeva è stato certamente uno dei fattori del successo dell’Ordine e della sua rapida diffusione. Molto dipende, infatti, per la crescita di un Istituto religioso la gioia di vivere che i suoi membri hanno dentro; non una generica gioia di vivere, ma quella collegata al carisma, che essi professano.

 

3. Dopo la Visita Canonica, un invito a rivivere la nostra storia

 

Il nostro sguardo verso il passato non è solo memoria di ciò che è stato, ma deve significare motivo di forza e di speranza per riprendere il nostro cammino all’interno della Chiesa, rilanciando la vita dell’Ordine, esortando i religiosi e i terziari tutti a rivivere la storia della origini. Giovanni Paolo II ci ha esortati in tal senso: Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! A conclusione della Visita Canonica – questa lettera è l’atto ufficiale di chiusura -, sento di dirvi, che in questo momento nell’Ordine ci sia proprio bisogno di fiducia, di entusiasmo e di speranza. Esiste fra una tentazione di appiattimento, di sfiducia, di lasciarsi andare, dinanzi alla quale dobbiamo reagire con forza. L’Ordine è vivo e vitale: lo è per il carisma che porta, lo è per la sua attualità di fronte alle esigenze del mondo d’oggi, lo è per il fermento di idee che stanno circolando al suo interno, lo è per la generosità e lo sforzo di tutti. Dobbiamo crescere, però, in generosità ed entusiasmo. Dobbiamo crescere nella persuasione che abbiamo tra le mani un tesoro evangelico, che come i talenti della parabola dobbiamo far fruttificare per il bene di tutti: della Chiesa, della società, di noi stessi e della nostra crescita numerica e qualitativa. La resistenza dinanzi alle tentazioni sopra enumerate dovrebbe costituire uno sforzo di conversione nel corso di questo Giubileo, che segnerà come un dono della grazia di Dio l’apertura del nuovo Millennio e può dare consistenza alle nostre speranze.

Voglia Dio che riesca a comunicarvi con questa lettera i valori della fiducia, della speranza e dell’entusiasmo, in questo momento importante per noi anche per la preparazione e la celebrazione del prossimo Capitolo Generale. Allo scopo vorrei richiamare alla vostra mente alcune immagini del nostro santo Padre, quelle che siamo abituati a vedere nella sua iconografia. Dalla riflessione su queste immagini, sui fatti storici ai quali esse sono collegate e su come esse ci parlano dell’umanità e della santità di s. Francesco, noi ricaveremo forti stimoli per la nostra vita.

La scelta di dirvi così il mio pensiero per il grande appuntamento che ci attende, è motivata dalla mia profonda convinzione che solo un ritorno al Fondatore e alla sua esperienza, può dare a noi la forza giusta perché il traghettamento nel terzo Millennio di tutto il patrimonio storico e di grazia che possediamo e del grande potenziale di bene e di vita che c’è in questo momento in noi, possa significare per l’Ordine un rilancio e una crescita in tutti i sensi. La riflessione sul Fondatore ci educa a quella creatività evangelica, che gli è appartenuta, e che oggi il Papa ci chiede insistentemente per attuare la fedeltà creativa in riferimento ai nuovi areopaghi esistenti nel mondo.

 

4. Il primato della spiritualità

 

La prima immagine alla quale mi richiamo è quella di s. Francesco in estasi dinanzi allo stemma Charitas. Ricordate in proposito il quadro del Murillo: il

volto dolcissimo e inebriato di Francesco rivolto verso l’alto in atteggiamento di contemplare il Charitas, che da un lato gli illumina il volto e lo rende

raggiante. E’ racchiusa in questo quadro l’esperienza contemplativa del nostro Fondatore, che abbraccia tutte le scelte che ha fatto per raggiungere

questa esperienza: la grotta, la solitudine della cella, i lunghi tempi dedicati alla preghiera, la vita eremitica come assolutizzazione del primato di Dio. Tutta

questa esperienza è concentrata nello sguardo estatico verso la Charitas, che è la rivelazione del mistero di Dio (1Gv 4, 12-16). Una contemplazione

che non è solo estasi di fronte al mistero di Dio, ma è anche scelta e impegno di conformare la propria vita a tale mistero.

 

L’esperienza di Dio ha significato per s. Francesco luce, forza, entusiasmo, speranza non solo per se stesso, ma anche per la sua missione, soprattutto

quando ha dovuto interpretare la volontà di Dio per eseguire il progetto al quale lui lo chiamava. Ricordiamo con quanta dolcezza e fiducia si rivolgeva

alle persone chiedendo loro qualcosa in nome di Dio, pronunziando solo le parole: per carità. L’esperienza di Dio è ciò che attirava di più in lui. Se

chiediamo perché mai un uomo così solitario, amante del silenzio, riservato oltre ogni misura, sia potuto assurgere a segno e modello di rinnovamento

della Chiesa nel secolo XV, la risposta noi la troviamo nel fascino che esercitano sugli altri gli uomini che vivono una forte esperienza di Dio.

Riconosciamolo con umiltà: il vero problema della riforma della Chiesa in ogni tempo, e anche nel nostro tempo, sta nella capacità di fare una forte scelta

di Dio, e di viverla con radicalità in ogni momento. Solo così si spiega il successo ecclesiale e sociale dell’eremita Francesco. Forse che Madre Teresa

di Calcutta, per fare un esempio dei nostri giorni, attirava solo per le opere che realizzava? Ciò che colpiva e attirava in lei non era forse la capacità di

esprimere il volto di Dio, che ella presentava con il suo volto di contemplativa e con la sua capacità di amare? Così è stato di s. Francesco al suo tempo.

Anche per lui c’erano le opere, gli interventi per la giustizia, i miracoli, ma il fascino era tutto concentrato in quel volto che esprimeva l’interiore

esperienza di Dio. E il successo del nostro Ordine alle origini sta tutto qui: in una chiesa mondanizzata, che aveva smarrito il senso del secundum Deum,

la nostra famiglia religiosa appariva forte nella linea della spiritualità. Ricordate il nome con il quale i nostri religiosi venivano indicati in Francia: i

bonhommes, gli uomini buoni.

 

All’inizio del nuovo Millennio siamo invitati ancora una volta a riscoprire la linea della spiritualità. Lo esige la Chiesa; e la sua voce è risuonata chiara

nell’ultimo Sinodo dei Vescovi, il secondo dedicato ai problemi europei. Riscoprire la linea della spiritualità significa fare la scelta di Dio e del suo

primato; significa riassaporare il primato della charitas pronunziata come ispirazione di fondo della vita; significa dare tempo al colloquio con Dio;

significa ricopiare in noi quello che il Simonetta diceva, in sintesi, dell’esperienza contemplativa di Francesco: o pregava o dava l’impressione

dell’orante. E’ una disposizione che traduce pienamente quello che il Fondatore ci ha chiesto quando ci ha proposto nella Regola l’orazione assidua,

secondo Lc 18, 1. Solo così salveremo noi stessi e il mondo, consapevoli che il resto, apostolato, accoglienza degli emarginati, santificazione del mondo

e promozione dell’uomo, verrà da sé. E’ necessario che la gente riscopra in noi gli uomini di Dio, perché oggi il problema è quello di incontrare proprio

lui, il Signore della vita, il Creatore e il Centro dell’universo, il Bene sommo, che tutto attrae. Il resto è già possibile trovarlo nel mondo bello e

confezionato presso altri indirizzi culturali. Non è necessario entrare nella vita religiosa, e in quella tipica dell’Ordine dei Minimi, se il motivo che ci spinge

dovesse essere quello di un’azione filantropica a favore dell’uomo. E questo è vero anche per voi terziari. Chiamati, come siete, a santificare con la

testimonianza di vita e con l’azione apostolica le realtà di questo mondo, il vostro essere tali alla sequela del Padre s. Francesco sarebbe inutile se non

foste anche voi mossi da ciò che dice la vostra Regola: fissate in Dio il vostro cuore.

 

E allora conviene che noi tutti, religiosi e terziari, cresciamo di più in questa verità, che è un tesoro di speranza con il quale noi entriamo nel nuovo

Millennio. Questa fede ci apre anche alla speranza di crescere di numero e di qualificare di più la nostra vita come Ordine e come singole comunità o

fraternità.

 

E’ opportuno allora per noi frati rivedere tutto quanto nei nostri codici di vita si riferisce alla preghiera, sia quella individuale che quella comunitaria, per

verificare se la nostra preghiera, per quantità e qualità, è adeguata alla tipologia di vita consacrata che esprimiamo. Ricordo in proposito che oltre alla

recita comune del breviario il Fondatore ci invita ad una preghiera maggiore (Ut potior orandi detur occasio), che si ricollega al vacare Deo della

tradizione monastica, presente nell’invito delle Regole precedenti a dedicarsi alla preghiera nei tempi liberi fino a quando le forze lo consentono

(quantum vires suppetunt devotioni et orationi vacare non omittant. A questa verifica siamo sollecitati anche dalla constatazione che tanti laici oggi

recitano il breviario come lo recitiamo noi. E’ chiaro che in questa verifica non vi chiedo solo un ossequio formale alla nostra tipologia di vita,

aggiungendo unicamente qualche pratica di preghiera in più, ma di scoprire il ruolo di essere protagonisti di una speranza, quali testimoni di Dio e guide

esperte per l’incontro con lui. Si tratta di esprimere con la preghiera vissuta la priorità di Dio, la supremazia nei nostri comportamenti del rapporto di

fede con il Signore, che genera in noi l’abitudine a leggere secondo Dio tutti gli avvenimenti della vita e a porre nel Signore il fondamento e la radice di

ogni speranza. Per ottenere tutto questo noi frati non possiamo ridurre la preghiera comunitaria solo alla recita corale della liturgia delle ore, ma bisogna

fare qualcosa di più. La preghiera poi, deve essere più viva, più creativa, aperta a quelle esperienze dello spirito, nelle quali gli stessi laici in molti casi

stanno andando oltre l’esperienza che viviamo noi nelle nostre comunità. Come è triste la nostra abitudine al sacro, con la conseguente perdita di

quell’estasi dinanzi al mistero di Dio, che dovrebbe alimentare la preghiera dei figli di Francesco di Paola!

 

Sull’impegno di una preghiera, vissuta in questo modo e con questa ottica di speranza, dovete situarvi anche voi terziari. Vi invito, pertanto, a riscoprire

il capitolo della vostra Regola sulla preghiera. Non a caso esso viene introdotto con le parole di Gesù (Mt 16, 33): Cercate prima il regno di Dio e la

sua giustizia; segno è che la priorità del rapporto con Dio è quello che dà consistenza al vostro impegno a favore dell’uomo nel vari campi della vostra

azione, sia quella lavorativa per guadagnarvi la vita, sia quella più direttamente pastorale. Ma è anche segno che il tema della fedeltà alla preghiera non si

affronta solo con un metro quantitativo, ma spinge ad uno sguardo di fede e di speranza sugli eventi, che solo una profonda comunione con il Signore

può dare.

 

Assieme, poi, religiosi e terziari, dobbiamo scoprire il ruolo di educatori alla preghiera che la Chiesa ci riconosce e le nostre rispettive Costituzioni

prescrivono per noi come missione tipica, che scaturisce dal nostro carisma. Non dimentichiamo che la sete di spiritualità è uno degli areopaghi del

mondo contemporaneo, che interpellano la vita consacrata e il movimento dei laici ad essa collegato.

 

5. L’impegno di solidarietà

 

La seconda immagine sulla quale richiamo la vostra attenzione è quella di s. Francesco, che, in mezzo alla gente, svolge un’attività di conforto, di

liberazione, di guarigione. Ne esistono tante. Ho davanti agli occhi l’affresco di Giuseppe Chiari nella Chiesa dei Monti a Roma. S. Francesco soccorre

amorevolmente alcune persone vittime di un crollo e tende la mano verso di uno di questi, cercando di sollevarlo. Al fondo c’è l’edificio in rovina, segno

del malessere diffuso nel mondo. E’ una immagine che ci richiama l’azione sociale di s. Francesco, svolta come esercizio di una solidarietà, che è

componente della spiritualità penitenziale. Il nostro Fondatore ci ha avviati sulla strada della penitenza evangelica nel segno della sequela di Cristo per

raggiungere la pienezza della perfezione, che è la carità. La compassione che egli sente verso i fratelli, il desiderio di condividere fino in fondo i problemi,

le aspirazione e le speranze, sono l’altra faccia di quella carità, per la quale egli vive l’estasi dell’incontro con Dio. Il nostro Fondatore ci ha così offerto

con la testimonianza della sua vita una visione completa del nostro carisma. Sotto la sua guida l’Ordine è entrato immediatamente nel contesto di tale

visione del carisma ed ha condiviso con lui, sia in Calabria che in Francia, un apostolato di condivisione veramente eccezionale. Questo inizio è stato

decisivo per dare un’impronta all’Ordine e fare entrare i frati nel cuore della gente. Senza venir meno alla dimensione contemplativa e senza mettere in

discussione la particolare ascesi che praticavano, i nostri religiosi hanno sempre mostrato sensibilità verso i problemi della gente, aprendosi ad un

apostolato di accoglienza e di solidarietà. Abbiamo alle spalle in tal senso un’eredità straordinaria, non sempre e a sufficienza da noi conosciuta, perché i

nostri religiosi hanno saputo creare espressioni di grande solidarietà in ogni campo: dalla cultura all’assistenza spirituale e materiale, dai collegi per

studenti alle cooperative agricole, e nei momenti di gravi calamità, come la peste, sono scesi in mezzo agli ammalati, meritandosi il titolo di martiri della

carità.

 

Noi varchiamo la soglia del terzo Millennio portando con noi questa storia, che ci spinge ad approfondire di più e meglio quanto abbiamo studiato e

scoperto in questi anni. Ci portiamo nel nuovo Millennio, come fonte di speranza per una nostra vita penitente più autentica e una missione più adeguata

e conforme al carisma, la consapevolezza che non possiamo essere veramente penitenti se non siamo anche solidali con i fratelli più poveri, i minimi del

regno dei cieli. La penitenza deve necessariamente coniugarsi con la misericordia, il perdono, la riconciliazione. La penitenza ci apre alla carità e questa

motiva la nostra penitenza. Abbiamo da annunciare alla Chiesa e al mondo, aperti più che mai in questo inizio di Millennio alle sollecitazioni e suggestioni

della speranza, che non riusciremo a realizzare alcun bene se non accettiamo il sacrificio, e che ogni sacrificio compiuto in vista della carità è un dono di

speranza per l’umanità. Perciò coltiviamo dentro l’altra convinzione, consolidata in noi per la testimonianza offertaci dal Fondatore, che per nulla al

mondo possiamo rinunciare all’ascesi, sostituendo ad essa le nostre opere di solidarietà. Non lo consente neanche la Regola del terz’Ordine, che insiste

sulla dimensione della carità come modalità propria di vivere il carisma penitenziale da parte di chi vive nel mondo. Infatti il capitolo quinto di questa

Regola tratta di digiuno, astinenza e opere di misericordia, in perfetto equilibrio, aggiungendo la possibilità della vita quaresimale perpetua anche per i

terziari.

 

Entriamo nel nuovo Millennio aiutando gli uomini, con la forza del nostro carisma, ad attuare il progetto della fraternità universale, che è la grande

speranza degli uomini di tutti i tempi e che abitano sotto ogni cielo. L’itinerario sella spiritualità quaresimale è un itinerario che scorre parallelo a quello

della comunione. Se riuscissimo a convincerci di questo, quanta speranza di vita scaturirebbe per la nostra vita personale e per la nostra missione! Non

possiamo coltivare una spiritualità penitenziale senza associare ad essa una spiritualità di comunione. Dalla conversione si passa inevitabilmente alla

conversazione, nel senso che la penitenza ci fa crescere come persona che costruisce la comunità.

 

In questa convinzione dobbiamo crescere un po’ di più, perché così potremo riempire di vita e di speranza le nostre comunità e fraternità ed essere

spinti a vivere una solidarietà, che non sia solo ridotta a gesti di aiuto materiale, ma che abbia la capacità di ridonare ai fratelli la gioia e la speranza della

vita. Si tratta di rileggere con occhi diversi alcuni passi delle nostre Regole. Noi religiosi del primo Ordine dobbiamo rileggere i passi che esortano alla

solidarietà e carità all’interno della comunità, all’accoglienza degli ospiti, alla cura del malati, alla condivisione dei nostri beni con chi è nel bisogno. I

terziari possono rileggere con attenzione il capitolo della loro Regola, che spiega come essi debbono vivere la penitenza, collegata in modo particolare

alla solidarietà.

 

Tutti, frati e terziari, abbiamo la responsabilità e il dovere di offrire sia alla Chiesa che alla società, così sensibili oggi al tema della solidarietà, il dono del

nostro carisma penitenziale, nel senso che dobbiamo ribadire l’urgenza della penitenza, del sacrificio, della conversione, come via e mezzo per una

autentica solidarietà. Questa, infatti, può essere viva e reale solo se ha come promotori uomini che sanno rinunciare a se stessi e ai loro beni. E’ in questa

prospettiva che noi dobbiamo essere entusiasti del nostro carisma e credere nella sua vitalità e necessità per la costruzione della società futura. Non

insisteremo mai abbastanza sull’urgenza dell’ascesi, a cominciare dal superamento del nostro egoismo, per far crescere la nostra sensibilità e compiere

così gesti di solidarietà. L’esempio del Fondatore dovrebbe sostenere questa nostra convinzione. Non possiamo privare il mondo di questa luce,

altrimenti la solidarietà si ridurrà a gesti esteriori, che non faranno superare l’abisso che divide l’uomo dall’altro.

 

6. L’impegno di coerenza e di autenticità

 

La terza immagine che voglio analizzare è quella di s. Francesco che ha il fuoco tra le mani. Essa ha affascinato molto gli artisti perché hanno letto in

questo gesto la forza morale, la potenza interiore e le note che hanno caratterizzato la personalità di s. Francesco, come uomo, come Fondatore e come

maestro di vita spirituale.

 

Attraverso questa immagine noi guardiamo verso il nostro Fondatore per scoprire in lui altri motivi di vita e di speranza, con i quali vogliamo varcare il

Millennio che ci attende e consegnare così alla storia un carisma che ha preso le mosse proprio dai tesori di natura e di grazia che erano racchiusi in lui.

 

In questi anni abbiamo definito il nostro Santo come un uomo tutto di un pezzo, un uomo sicuro di sé, deciso nei suoi intenti e progetti, un uomo pieno di

vita, che ha diffuso vita intorno a sé, un uomo docile e aperto all’azione dello Spirito che ha saputo interpretare i bisogni del suo tempo e dare senza

timore il suo contributo, per quanto ha potuto e la Provvidenza gli ha concesso. Egli è stato tutto questo e lo ha realizzato nella proporzione in cui ha

compreso il carisma che Dio gli ha dato, l’ha accolto e l’ha cercato di immettere nella Chiesa e nella società del tempo. Non si può capire la personalità

di s. Francesco e la sua azione, se non la colleghiamo direttamente al carisma penitenziale, del quale è stato depositario per volere di Dio. Ed è proprio a

partire dalle vicende legate alla nascita, alla comprensione e istituzionalizzazione del nostro carisma penitenziale che noi cogliamo certi tratti della

personalità del nostro Fondatore che, accolti da noi come dono di Dio, ci consentono un traghettamento di speranza nel nuovo Millennio.

 

S. Francesco ha creduto nel carisma della penitenza quaresimale; lo ha riconosciuto come dono di Dio per la Chiesa del suo tempo e come proposta di

vita evangelica per tutti i tempi. Perché tale, cioè dono di Dio, lo ha difeso a tutti i costi contro ogni tentativo di negarlo, di minimizzarlo, di svuotarlo di

significato. Il fuoco tra le mani è il segno di questa sua convinzione e decisione, affidate alla grazia di Dio, sostenute dalla fede e dall’abbandono in lui: A

chi ama Dio, tutto è possibile. Gli ostacoli gli sono piovuti da ogni parte: la Chiesa gerarchica, che con le dispense concesse sulle osservanze

penitenziali degli ordini religiosi, camminava proprio in senso contrario a come camminava lui; gli esponenti delle altre famiglie religiose e la cultura

mondanizzata del tempo, che cercavano sostegno in passi biblici per svuotare di significato l’astinenza quaresimale, che egli invece proponeva con tanta

forza, e che essi, al contrario, ritenevano retaggio dei tempi passati, forma di penitenza superata dalla mentalità rinnovata, non più praticabile, dato

l’indebolimento della natura umana; i suoi stessi religiosi che facevano fatica a capire come si potessero riproporre certe norme ascetiche, mentre tutti gli

altri ordini le abbandonavano.

 

Francesco fu deciso: diede la prova del fuoco per invogliare a credere e ad avere fiducia sulla sua proposta di vita, che minava alla radice la

mondanizzazione della Chiesa, il suo cedimento alla mentalità del secolo, la sua incapacità di pensare secondo Dio. S. Francesco habuit spem contra

spem, sperò contro ogni speranza (Rm 4, 18). E fu lui, la sua fede, il suo istinto di vita a vincere, non solo perché ottenne quello che volle, la Regola

propria con il quarto voto, ma soprattutto perché si impose prima agli occhi di tutti i grandi spiriti riformatori del tempo e poi a quelli della gerarchia

come riformatore della Chiesa, come astro splendente che illuminava la caligine del tempo.

 

Si diventa uomini di speranza, capaci di incoraggiare e di dare motivazioni di vita agli altri, nella proporzione in cui si crede nei valori, dei quali si è

portatori. A noi il Signore ha dato il valore della penitenza, che è il richiamo fondamentale con il quale si apre la predicazione della buona novella da

parte di Gesù (Mc 1, 15). E’ un valore al quale la Chiesa è ritornata in tutti i grandi momenti di rinnovamento, come ha fatto anche nel nostro tempo,

preparando i fedeli ad entrare nel nuovo millennio con il grande Giubileo di conversione e di rinnovamento. Abbiamo, perciò, tra le mani il seme della

speranza per i tempi nuovi. Come ai tempi di s. Francesco, al di là di ogni discorso e programmi che possano solo indicare agli uomini come ripartire,

ma senza concedere loro la forza necessaria per attuarli, anche noi abbiamo la radice, il fondamento e la ragione ultima per credere nel futuro e nella vita

che può rinascere con le sue prerogative più belle; e tutto questo ce lo dàla penitenza evangelica, per cui oggi solo un ritorno ad essa può garantire tutti i

valori, che sono legati alla vita e alla speranza.

 

Importante, però, è credere nella penitenza e nella sua forza. E questa fede non può essere solo un ossequio della nostra ragione, ma anche una forza

che operi già in noi e si trasformi in testimonianza.

 

Io credo che su questo punto abbiamo di che riflettere ancora. Spesso rincorriamo altri temi di riflessione alla ricerca di un nostro rinnovamento,

pensando che siamo saturi delle parole dette sulla penitenza. Penso, invece, che dobbiamo insistere ancora sulla penitenza nelle nostre riflessioni per

credere di più nella forza rinnovatrice del nostro carisma. E questo è necessario per noi stessi, per la vita delle nostre comunità e fraternità, per la

missione che dobbiamo attuare nella Chiesa e nel mondo. E’ un impegno di persuasione che dobbiamo promuovere, per essere decisi, forti, radicali,

propositivi come lo fu s. Francesco nel suo tempo, contribuendo così al rinnovamento della Chiesa. Oggi, per la presenza di alcune lacune fra noi in fatto

di comunione fraterna, stiamo pensando che c’è bisogno di prestare attenzione al tema della comunione comunitaria per riportare vita, serenità,

concordia e felicità all’interno delle nostre comunità e fraternità. Sono convinto, però, che questa attenzione non può essere prestata al di fuori del

carisma penitenziale. Dai contenuti delle nostre Regole, dall’esempio di vita di s. Francesco e della primitiva comunità riunita attorno a lui, risulta che

proprio il carisma penitenziale, vissuto con autenticità e radicalità, può consentire una vera comunione. La penitenza evangelica, infatti, è amore che

tende al rinnovamento personale, è amore paziente e misericordioso, è amore benevole e accogliente, è amore che perdona e si riconcilia, è amore che

giustifica e dimentica. Il nostro carisma rende le nostre comunità e fraternità penitenti; le trasforma in luoghi dove ci si rinnova assieme, portando i pesi

gli uni degli altri, correggendosi reciprocamente.

 

Sappiamo quanta speranza e forza di vita può recare alla società di oggi un messaggio di questo tipo. Possiamo, pertanto, varcare le soglie del terzo

Millennio con questa forza di vita e con questa speranza, sapendo di poter contribuire al rinnovamento del mondo.

 

7. L’obbedienza fedele alla Chiesa

 

L’ultima immagine sulla quale voglio attirare la vostra attenzione è l’incontro di s. Francesco con il Papa. Gli artisti lo hanno ritratto in ginocchio ai suoi

piedi in segno di obbedienza o seduto accanto a lui nell’atto di ascoltare e di proporre. Penso ad alcuni recenti raffigurazioni del Cesselon e del Musio.

Obbedienza e consiglio: sono i sue aspetti attraverso i quali il nostro Fondatore ha sviluppato i suoi rapporti con la Chiesa gerarchica.

 

Se il movimento eremitico al quale s. Francesco ha dato vita a Paola ottenne subito l’appoggio della Chiesa, nonostante gli accertamenti subiti, ciò fu

dovuto alla sua fedeltà alla Chiesa. E’ molto eloquente la prima Regola di noi frati: Fra Francesco di Paola professa obbedienza e riverenza al

Sommo Pontefice Alessandro VI, ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa di Roma. Non era scontato un tale atteggiamento, se

consideriamo come i movimenti spirituali di osservanza, esistenti all’interno degli ordini religiosi, prendevano di mira proprio la gerarchia della Chiesa,

accusandola di eresia a causa della sua mondanizzazione. In s. Francesco non ci sono atteggiamenti di ribellione, ma di docile ed umile sottomissione;

egli sapeva superare i limiti delle persone per guardare diritto al ruolo che tali persone ricoprivano e alla missione che svolgevano, secondo un preciso

piano provvidenziale di Dio. Pensiamo al profondo rispetto con il quale scrive ad Alessandro VI: Sono certo che Dio habia electo la Sanctita vostra

a questa sedia a interponere ogni bona pace e concordia fra tutti Cristiani. Alla Chiesa del suo tempo, guidata da quella determinata gerarchia che

i tempi esprimevano, discutibile per quanto si voglia, egli dà tutto, mettendo a disposizione di essa il carisma che Dio gli suscitava, fermo e deciso ad

andare in fondo nella richiesta di una sua Regola propria, perché essa gli appariva come volontà di Dio.

 

Credo che il rapporto tra s. Francesco e la Chiesa gerarchica del tempo debba essere studiato alla luce proprio della maturazione del carisma che egli

guidava, coadiuvato in ciò dai religiosi che gli stavano attorno. Se da parte della gerarchia gli veniva imposto di muoversi nella scia degli antichi padri, s.

Francesco accoglieva a piene mani il suggerimento e proponeva una forma di sequela tutta incentrata sulla scelta prioritaria di Dio, che spingeva alla

conversione totale, il cui frutto più evidente era la fuga dal mondano e l’accettazione del pensare e giudicare secondo Dio (Mt 16, 23), che qualificava

immediatamente la vita come religiosa in contrapposizione a mondano e secolare. Non senza motivo Alessandro Vi definì il nostro genere di vita

spirituale, umile e quaresimale.

 

In questo senso e in questa prospettiva s. Francesco ha sposato i problemi della Chiesa e della società del tempo. Egli era consapevole di avere ricevuto

un’ispirazione da Dio e sapeva che doveva consegnarla alla Chiesa come dono, espressione del suo servizio umile e generoso. Anche il ruolo politico

che ha esercitato a favore della pace in Europa si è concretizzato essenzialmente nell’esortare il re di Francia a riscoprire il rapporto con Dio, che,

portandolo a pensare secondo Dio, avrebbe determinato una rotta diversa al cammino della società e degli Stati del tempo. Al di fuori di questo

servizio, essenzialmente e profondamente penitenziale, non si capirebbe l’azione politica di s. Francesco, se escludiamo il ruolo di intermediario tra il

Pontefice e il re di Francia.

 

Noi entriamo nel terzo Millennio portando questa amorevole attenzione del Fondatore per la Chiesa. Essa generò vita e speranza all’inizio del secolo

XVI. Lo nota Giulio II quando parla dei frutti che l’Ordine stava producendo nella Chiesa: I frati Minimi, come idonei agricoltori nel campo del

Signore, offrono alla mensa del Signore manipoli di messe abbondante, e, come veri operai della vigna del Signore, ogni giorno estirpano con

efficacia, le sterpaglie e le spine dei vizi e conducono felicemente nella sede della patria celeste le pecore del sacro gregge del Signore ben

nutrite ai pascoli della dottrina salutare.

 

Perché non ripartire anche noi con lo stesso amore, con la stessa attenzione e con lo stesso entusiasmo? Con questi atteggiamenti, che nascono dal

profondo del cuore, noi saremo ancora idonei operai nella Chiesa. Sapremo incarnare il carisma con quella creatività evangelica che ha avuto il nostro

Fondatore. Il tanto discusso problema della missione si risolve in questa ottica e con questo impegno. Dopo aver visitato le nostre comunità e fraternità,

debbo rilevare un certo appiattimento, una caduta di entusiasmo, anche se non generalizzata per grazia di Dio, in quanto esistono in mezzo a noi

manifestazioni di entusiasmo, di generosità, di creatività. Spesso, però, si vive alla giornata senza progettualità, senza programmi. Questo non può essere

espressione di un carisma, qual è quello penitenziale; esso, infatti, in forza della spinta rinnovatrice che viene dall’accoglienza del vangelo, dovrebbe

vivere le parole entusiaste, trasformanti e piene di vita dell’Apocalisse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Ap 21, 5).

 

Solo l’amore genera la vita. L’amore alla Chiesa va di pari passo con l’amore al carisma penitenziale: questi due amori non possono far altro che

generare vita in noi e, di riflesso, vita negli altri. Attraversiamo la soglia del terzo Millennio, ci appostiamo sulla sponda di questo nuovo tempo di grazia

consapevoli del tesoro di bene che portiamo con il nostro carisma. Se esso sarà sorretto da un intenso amore per la Chiesa, se lo metteremo a

disposizione del Papa e dei Vescovi, senza venir meno alla nostra identità, noi realizzeremo frutti di vita. Bisogna credere e amare per vivere e sperare.

 

8. Pellegrini e penitenti

 

L’ingresso nel nuovo millennio e il pellegrinaggio che caratterizza il Giubileo, ci consente una ulteriore riflessione sul nostro carisma, ed è quello del

distacco e della disponibilità. Per coglierne la portata ritorno all’immagine di s. Francesco che attraversa sul suo mantello lo stretto di Messina: Questo è

un altro suggestivo episodio della sua vita, che tanto ha colpito gli artisti. Pensiamo all’affresco esistente in Vaticano. Esso va preso anche come simbolo

di un modo di essere del Fondatore e manifestazione di un aspetto del carisma penitenziale. I fatti che si accompagnano a questo episodio li conosciamo:

s. Francesco si sta recando a Milazzo per rispondere ad un invito, che egli legge nell’ottica della volontà di Dio che vuole allargare i confini del nascente

movimento, seme di rinnovamento per tutta la Chiesa. Come sempre, anche per questo viaggio egli si è affidato alla Provvidenza di Dio, non portando

con sé alcun mezzo materiale; da qui nasce la richiesta di essere traghettato per amor di Dio. Al rifiuto del barcaiolo segue il prodigio, che ha tutto il

sapore dell’avallo di Dio alla disponibilità di Francesco, completamento abbandonato alla sua Provvidenza, secondo gli insegnamenti di Gesù (Lc 9,

2-3; 10, 3-4).

 

Il nostro Fondatore ha vissuto la penitenza come servizio del Signore, incontrando in lui i fratelli. E’ per questo che il suo deserto si popola di gente e la

sua contemplazione diventa azione, in una sintesi meravigliosa che per noi rimane ancora ideale e progetto. Per attuare questo servizio egli è sempre

disponibile a partire, a mettersi in viaggio; e nel suo pellegrinare trova sempre Dio e lo trova dovunque, in tutta la varietà delle situazioni che incontra,

consapevole che Dio va cercato dovunque, perché si trova dovunque. L’essere pellegrino, pertanto, significò per s. Francesco non solo un fatto reale, in

quanto camminò molto, ma una condizione di vita, un modo di essere dello spirito, del penitente appunto, che dispone il suo animo ad incontrare Dio in

ogni cosa e in ogni momento, vivendo in sobrietà e distaccato da tutto e da tutti, per rendersi capace di intravedere Dio che cammina sempre davanti

all’uomo e lo conduce verso mete sempre nuove. E’ così che la sobrietà di vita del penitente si coniuga con il suo essere pellegrino. Chi si lascia legare

dai propri progetti, dalle cose di questo mondo, dalle sue stesse conquiste, anche quando esse risplendono del successo pastorale, difficilmente può

scorgere Dio, che non accetta di essere imprigionato nelle nostre conquiste, quando vuole invece condurci verso nuove mete. La storia del popolo

ebraico dovrebbe essere molto significativa per noi.

 

Non mi fermo qui a ricordarvi la disponibilità di s. Francesco a vivere quel distacco da tutto e da tutti. Di questo distacco, quello praticato dai beni di

questo mondo, espresso da lui con molta forza attraverso il digiuno, l’astinenza, la povertà e sobrietà di vita era solo un segno. Il viaggio in Francia,

all’età di 67 anni, in un momento così importante e drammatico per il movimento eremitico di Paola, da lui mai progettato ma accolto e guidato, perché

voluto da Dio, è per noi il segno di come il carisma penitenziale ci ponga in uno stato di esodo continuo, sia per il compimento della volontà di Dio, che

si esprime soprattutto con la voce dell’obbedienza, sia per quello stile di apertura verso i segni dei tempi, che ci deve caratterizzare proprio come asceti,

che non si legano a niente, credendo nel Dio che fa nuove tutte le cose. Credo che debba essere letto in questo contesto l’invito contenuto nelle nostre

Costituzioni di frati: I singoli religiosi, le comunità, come tutto l’Ordine, si sentano sempre nella condizione di conversione e di esodo,

dirigendosi senza rimpianti e nostalgie del passato là dove Dio li conduce. Questa non è una semplice raccomandazione morale, ma un impegno

preciso per vivere in pienezza il nostro carisma.

 

Dobbiamo riaffermare con forza il legame tra il carisma penitenziale e l’essere pellegrini come condizione di vita, perché da questo legame scaturisce uno

stile di vita di libertà da noi stessi, dalle cose e dagli uomini, che ci rende veramente capaci di servire Dio e i fratelli. Come non ricordare allora quanto s.

Francesco scrive nella prima Regola di noi frati: I frati non posseggano nulla in proprio, né case né campi né altro, ma si considerino pellegrini e

forestieri in questo mondo al servizio del Signore… a nessuno di noi, cui non è lecito avere in proprio potere neppure il corpo e la volontà,

sarà consentito appropriarsi di alcunché non dato o permesso dal Superiore. Non so fino a che punto abbiamo meditato su questo testo:

ricordiamoci che tutto il capitolo sesto della prima Regola espone, attraverso la categoria della povertà di spirito, i contenuti del nostro carisma

penitenziale, così come era capito nella fase eremitica del nostro Ordine. Ora, in questo testo, è chiaro quale sia il senso dell’essere pellegrini per un

penitente: la totalità disponibilità al Signore nel contesto di un processo continuo di liberazione, che rende capaci anche di servire in Dio i fratelli.

 

Con questa consapevolezza, da tradurre con impegno, noi ci muoveremo con fiducia in questo inizio solenne del terzo Millennio, consapevoli di avere

anche noi qualcosa da proporre per alimentare la speranza che pervade l’animo di tutti.

 

9. La dignità e la responsabilità di essere Minimi

 

Varcando le soglie del terzo Millennio, noi dobbiamo sentire allo stesso tempo la dignità e la responsabilità di essere Minimi, quegli uomini, cioè, che

hanno ricevuto da Dio il compito di tenere sempre desto il richiamo evangelico alla penitenza.

 

La dignità nasce dalla consapevolezza di essere necessari alla Chiesa. I grandi temi del Giubileo, annunciati dal Santo Padre nella Lettera Apostolica

Tertio millennio adveniente, costituiscono i temi fondamentali del nostro carisma: la priorità del rapporto con Dio contro la secolarizzazione, la

conversione e la riconciliazione , la costruzione della civiltà dell’essenziale, la solidarietà soprattutto con gli emarginati, la comunione e l’unità. Possiamo

essere tentati di non percepire questa dignità o a non riconoscerla o addirittura a rinnegarla, forse perché presi dallo scoraggiamento per la persistenza di

una emergenza che non riusciamo a sconfiggere da molti anni. Certo il numero conta, ma non è solo il numero a darci dignità. Questa risiede tutta nel

modo come ci atteggiamo di fronte al carisma. E’ il caso di ricordare ancora una volta che, concludendosi il secolo XV, i nostri frati non erano più

numerosi di noi, eppure l’Ordine ha fatto irruzione nella vita della Chiesa come un torrente in piena ed ha portato i frutti che tutti noi conosciamo.

 

Pur pochi di numero, se viviamo il carisma penitenziale con la freschezza, la spontaneità e l’amore delle origini, noi saremo ancora gli operai idonei della

vigna del Signore, e la Chiesa avrà ancora un segno verso il quale guardare, quando vuole proporre a tutti i cristiani il cammino della penitenza

evangelica. Certe vicende della società contemporanea stanno evidenziando ancora di più il fallimento di una visione della vita basata sul consumismo,

sul materialismo, sul secolarismo. Mali che, in verità, hanno contaminato anche la vita della Chiesa. Come nel secolo XV, noi con il nostro carisma

possiamo annunciare e testimoniare i contenuti della civiltà dell’essenziale, di una vita fondata in Dio e guidata dai valori dello spirito.

 

La comprensione della nostra dignità porta tutti noi a sentirci responsabili del ruolo che dobbiamo svolgere nella Chiesa. Nella società e cultura

contemporanea, che ha contaminato anche i credenti, si fa fatica a parlare di penitenza; eppure, lo abbiamo ascoltato a più riprese in questi anni da

persone che ci hanno parlato da diversi punti di vista (psicologico, teologico, sociologico, pastorale), oggi non si può fare a meno di parlare di penitenza

se vogliamo costruire una società diversa. Abbiamo allora la responsabilità di sentirci investiti di questa missione. Se non lo facciamo noi, Dio susciterà

altri nella Chiesa a svolgere questa missione, e noi, dichiarati infedeli, saremo emarginati dal piano di salvezza che Dio sta svolgendo per l’umanità.

Convinciamoci che il problema delle vocazioni si risolverà non solo nell’ottica delle nostre iniziative pastorali, che sono pur necessarie, ma nell’ottica di

una rinnovata e accresciuta chiarificazione del carisma che Dio ci ha affidato, e nella fedeltà ad esso; chiarificazione e fedeltà che riguarderanno,

naturalmente anche la missione che da tale carisma scaturisce.

 

L’ingresso nel nuovo Millennio ci trova impegnati nella preparazione del LXXXIII Capitolo Generale e poi, a distanza di pochi mesi, nella celebrazione

dello stesso. In linea di continuità con l’Assemblea del 1997/98 il prossimo Capitolo ci sollecita a ripensare la nostra vita alla luce delle ultime indicazioni

del Magistero della Chiesa: il documento post-sinodale Vita consecrata, con la sua problematica su identità e missione, sui nuovi areopaghi, sulla

fedeltà creativa, sulla condivisione del carisma con i laici; il documento Nuove vocazioni per una nuova Europa, che ci sollecita a ripensare la

pastorale vocazionale in Europa soprattutto attraverso il contagio, cioè una fedeltà testimoniata a Cristo che fa innamorare le persone; il documento

post-sinodale La Chiesa in America, che prospetta le linee della nuova evangelizzazione nel grande Continente Americano.

 

Il tema del Capitolo ci trova allineati su queste problematiche. Momento importante e occasione privilegiata sarà la riflessione comune che faremo con le

Monache e i Terziari per studiare assieme come parlare oggi di penitenza nella Chiesa. Stiamo riflettendo tutti su questo tema, che tocca direttamente la

nostra identità e missione oggi nella Chiesa e nel mondo. Per aiutare la ricerca e la riflessione di tutti vorrei suggerire alcune idee, in parte già comunicate

al Congresso Nazionale del Terzo Ordine nello scorso mese di giugno.

 

1. E’ lecito trovarci tutti assieme, i tre rami della grande famiglia dell’Ordine dei Minimi, per riflettere sul carisma penitenziale, al di là delle nostre

specifiche modalità con le quali viviamo, ciascun ramo dell’Ordine, il carisma. Il motivo della condivisione e della riflessione a più voci sta nel dovere e

nell’impegno, che appartengono all’Ordine in quanto tale, di parlare di penitenza nella Chiesa, di proporla e di testimoniarla.

 

2. Sollecitati dal Papa noi dobbiamo individuare i nuovi areopaghi all’interno dei quali dobbiamo alzarci, come Paolo nell’areopago di Atene, e dire con

la forza che ci viene dal Signore: fate frutti degni di penitenza perché se non farete penitenza non avrete salvezza, né in questo mondo, né nell’altro.

Come poi ciascun ramo dovrà vivere la fedeltà creativa negli areopaghi individuati, saranno le riflessioni specifiche che si faranno al proprio interno a

stabilirlo, rispettando le specifiche caratteristiche carismatiche e le reciproche autonomie.

 

3. Non dimentichiamo che per sua natura, in quanto è l’esigenza primaria e fondamentale per entrare nel Regno, la penitenza è un requisito necessario

per ogni realtà umana che si vuole salvare. Per sé non dovrebbero esistere areopaghi, nei quali non sia necessario immettere la proposta della penitenza

evangelica: se di areopaghi particolari si deve parlare, essi si presentano solo nell’ottica del di più. Il nostro carisma – ci è stato ripetuto a più riprese in

questi anni – attraversa tutti i carismi e mai potrà dirsi che è superato nella Chiesa.

 

4. Richiamo, dalle Conclusioni dell’ultima Assemblea del primo Ordine, la n. 22, che mi sembra la più idonea ad aiutarci a sviluppare la nostra

riflessione:

 

Nello spirito del nostro carisma gli areopaghi dai quali ci sentiamo interpellati in modo particolare sono quei luoghi fisici, psicologici, sociali

dove annunciare la "buona novella" della conversione, della liberazione e della riconciliazione. Pertanto la nostra presenza… si farà sentire

innanzitutto:

 

a) là dove più forte è la povertà spirituale, con l’ascolto, la direzione spirituale, la formazione alla preghiera, il rapporto educativo con i

giovani;

 

b) dove più forte è la povertà materiale, con la solidarietà concreta verso i diversi bisogni, che si esprimerà tanto in un’azione diretta, quanto

partecipando all’opera di organismi preposti ad hoc;

 

c) dove prevale lo spirito di divisione, con un’azione di riconciliazione tra i membri della famiglia, nei rapporti intraecclesiali, con i fratelli

delle varie confessioni cristiane, con gli indifferenti e i lontani.

 

In tutte queste situazioni è Cristo che soffre e noi, facendoci prossimo dei nostri fratelli e portando nella nostra carne i patimenti di Cristo,

vivremo secondo il dono ricevuto.

 

Io credo che questo testo può essere una buona base di partenza per le nostre riflessioni e discussioni comuni in seno al Capitolo Generale.

 

5. Individuati gli areopaghi, dobbiamo trovare il linguaggio idoneo per parlare agli uomini di penitenza. E questo è un obiettivo veramente difficile perché

non tutti capiscono il linguaggio religioso. Dobbiamo allora sforzarci di usare un linguaggio ‘mondano’, nel senso che possa essere recepito anche da chi

non usa una terminologia maturata nel contesto di un linguaggio teologico e religioso. Credo che troviamo un prezioso aiuto per questa ricerca nel Piano

di pastorale vocazionale dell’Ordine, che presenta il nostro carisma e la nostra spiritualità in termini di vita. La penitenza viene accettata e praticata in

funzione della vita e di tutti quei valori legati ad essa: si fanno sacrifici per la salute, per lo sport, per il successo, per creare futuro ai figli ecc. Il linguaggio

della vita è ben compreso da tutti, perché la vita è considerata da ogni uomo come il bene più grande. Se noi riusciamo a dimostrare che esistono altre

dimensioni di vita ed altri beni per i quali sacrificarsi e dai quali si riceve una qualità o dimensione più alta di vita, noi avremo aperto la strada alla

comprensione dell’evangelico Fate frutti degni di penitenza (Lc 3, 8), anche quando dobbiamo annunciare la privazione e l’ascesi.

 

6. Dobbiamo avere il coraggio di andare controcorrente e mettere in guardia i fratelli nella fede dai pericoli della mondanizzazione e della conformazione

alla mentalità di questo secolo. S. Francesco nella Regola del terz’Ordine esorta a fuggire i rumori del mondo. La tentazione è molto forte anche per

noi frati. Rischiamo di perdere la sensibilità per le cose del cielo, ritrovandoci a pensare e ad agire come la cultura corrente, le mode, la massificazione

dovuta ai canali dell’informazione ci impongono. Dobbiamo sapere accogliere l’invito del Papa a riconsiderare la necessità del combattimento spirituale

per rimanere fedeli al Signore e diventare santi. Il Papa lamenta che ad esso oggi non si fa più riferimento, svalutando i mezzi classici per viverlo e

attuarlo: la preghiera e l’ascesi. Noi Minimi dobbiamo avere il coraggio di parlare di ascesi e di preghiera, consapevoli di andare controcorrente.

 

7. E’ necessario partire dalla convinzione che con questa riflessione comune tra i tre rami dell’Ordine, ad un livello così ufficiale, qual è quello di un

Capitolo Generale, cambia il modo di rapportarci tra noi. Deve maturare la convinzione che il carisma penitenziale non è patrimonio solo del primo

Ordine, ma appartiene anche al secondo e al terz’Ordine. Bisogna per l’avvenire camminare assieme, accettando la complementarietà e la

collaborazione nella ricerca continua dell’identità. A questo proposito bisognerà pensare di proporre al Capitolo di istituzionalizzare forme di

condivisione, che ci tengano impegnati tutti anche per il domani, evitando che l’esperienza che stiamo per vivere possa essere solo l’espressione di un

gesto di momentanea buona volontà. E, visto che il governo generale dell’Ordine nel prossimo sessennio dovrà assumere l’impegno di prepararci alla

ricorrenza dei 500 anni della morte di s. Francesco, la condivisione del carisma dovrà allargarsi per un’altra condivisione: quella di essere Minimi.

Vedrei utile, in prossimità della celebrazione di questo V centenario, convocare un grande convegno sul significato dell’essere Minimi oggi nella Chiesa e

nel mondo, al quale invitare tutti gli Istituti religiosi che portano il nome di Minimi.

 

8. Dalla riflessione bisogna passare anche all’azione. E’ necessario, nell’ottica della condivisione del carisma, studiare i modi come possiamo aiutarci ad

essere fedeli ad esso e alla missione che ne scaturisce, naturalmente nel rispetto delle nostre specifiche vocazioni.

 

10. Gli impegni dell’Ordine per l’Anno Santo

 

L’Anno Santo ha già una ricchezza di celebrazioni e di avvenimenti, che sono sufficienti per aprire lo spirito ad orizzonti nuovi di grazia e di vita.

Conosciamo il fitto calendario preparato per la Chiesa universale; nelle singole realtà conoscete anche il calendario delle Chiese locali per attuare le

iniziative generali della Chiesa e quelle aggiunte secondo i bisogni locali. Singolarmente e come comunità e fraternità dobbiamo sentirci impegnati a vivere

questi avvenimenti e a collaborare a farli vivere secondo le nostre competenze e responsabilità pastorali.

 

Abbiamo, però, anche le nostre esigenze come famiglia Minima. Vi indico, pertanto, alcune iniziative che sono proprie dell’Ordine e alcune

raccomandazioni per vivere meglio, con le nostre proprie modalità, alcune iniziative proposte dalla Chiesa.

 

1. La festa del 20 gennaio venga celebrata quest’anno con particolare solennità, sottolineando il titolo, nel contesto delle finalità del Giubileo, di

Madonna della conversione, con il quale stiamo invocando in questi ultimi anni la Madonna. Nella predicazione vanno sottolineati le motivazioni ideali

tra l’Apparizione-Conversione e la nostra spiritualità penitenziale.

 

2. 8 marzo: mercoledì delle ceneri e inizio della Quaresima. La Chiesa intende già solennizzarlo, invitando alla riconciliazione. Nelle nostre

comunità questo inizio deve essere solennizzato in modo particolare nell’ottica di una presentazione del nostro carisma. Sarà inviato qualche sussidio.

 

3. 11-12 marzo: al sabato si può fare un ritiro al popolo con confessione e la domenica (coincide con l’inizio della settimana vocazionale) durante la s.

Messa o in altra celebrazione disporre il gesto di riconciliazione voluto dalla Chiesa.

 

4. Per tutta la Quaresima dobbiamo curare con impegno iniziative idonee per far conoscere il nostro carisma.

 

5. 12-19 marzo: settimana vocazionale: deve essere curata con impegno. Manderemo come ogni anno i sussidi. Vi ricordo che c’è tanto materiale:

videocassetta, diapositive, stampe ecc.

 

6. 2-15 luglio Capitolo Generale. I Capitolari e qualche altro religioso in rappresentanza di tutto l’Ordine celebreranno a Roma il Giubileo con

possibile udienza particolare del S. Padre.

 

7. 27-28 luglio: Incontro giovanile a Paola.

 

8. 14-16 settembre: a Paola III Congresso internazionale di studi su s. Francesco. Oltre che la partecipazione di Religiosi è auspicabile anche la

partecipazione di laici delle nostre realtà.

 

9. Corso di aggiornamento per religiosi: stiamo studiando le modalità e i tempi. Esso è comprensivo anche degli Esercizi spirituali.

 

10. Tre giorni di spiritualità mariana a Roma S. Andrea delle Fratte: si terrà nel mese di Ottobre, con data da stabilire in base alla disponibilità dei

relatori.

 

11. L’annuale festa di s. Francesco, quest’anno deve avere il carattere di presentazione o di maggiore approfondimento del messaggio spirituale di s.

Francesco. Ci sono per questo tanti sussidi ormai.

 

12. Pellegrinaggio ai luoghi dove s. Francesco ha maturato la sua vocazione. La data non l’abbiamo ancora prevista. Vi parteciperanno i nostri

giovani, qualche religioso, i giovani in seria ricerca vocazionale.

 

13. Incontro nazionale del TOM a Paola in ottobre con la presentazione di figure di terziari esemplari.

 

14. Inaugurazione della nuova Basilica a Paola. Sarà sicuramente l’avvenimento più importante per noi. La data non è stata ancora prevista perché

al momento non possiamo prevedere la fine dei lavori.

 

15. Sussidi e stampe. Sono in corso di preparazione:

 

depliant per la preparazione alla confessione;

 

presentazione della nostra spiritualità, desunto dal nostro Piano di pastorale vocazionale;

 

traduzione del commento alla Regola del p. De Peyrinis;

 

studio storico-teologico sul nostro carisma;

 

raccolta in un solo volume degli studi di p. Galuzzi.

 

11. Conclusione

 

Carissimi fratelli, concludo esortandovi alla gioia e alla speranza. Il terzo Millennio si apre con il Giubileo, che è un avvenimento che parla di gioia, come

ha scritto il Papa: non soltanto di gioia interiore, ma di un giubilo che si manifesta all’esterno, visibile, udibile e tangibile.

 

La nostra gioia e la nostra speranza nascono proprio dalla consapevolezza di avere un carisma che porta alle radici della gioia e della speranza: la

conversione evangelica, che ci immette nella salvezza che Dio vuole darci. Il Papa lo ha detto espressamente, chiarendo i motivi di gioia per il Giubileo

che celebreremo: La Chiesa gioisce per la salvezza. Invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni, affinché le energie salvifiche

possano essere comunicate a ciascuno.

 

Con il 31 dicembre finirà la grande Deesis, con la quale ci siamo preparati al prossimo Giubileo e all’inizio del nuovo Millennio fin dalla conclusione

dell’ultima Assemblea Generale dell’Ordine. Abbiamo pregato il Signore per intercessione della Vergine, degli Apostoli, del Santo Fondatore e di altri

santi intercessori, tra cui nostri religiosi che non sono stati elevati ancora agli onori degli altari, perché l’Ordine approdi rinnovato nel nuovo Millennio.

Siamo sicuri che tanti intercessori avranno presentato sull’altare del cielo le nostre speranze e i nostri desideri.

 

Salga ora dal profondo del nostro cuore la preghiera al S. Fondatore:

Padre s. Francesco,

ci rivolgiamo a te in questo momento così solenne della storia,
per sentire la forza e la gioia
della tua guida, del tuo aiuto, della tua protezione.
Ti vogliamo sentire vicino,
come lo eri ai primi confratelli che ti hanno seguito
sullo stesso cammino della penitenza evangelica.
Vogliamo imparare da te
la generosità, la radicalità, la perseveranza nella sequela.
Vogliamo gustare la dolcezza e la fermezza della tua parola,
la chiarezza e la lungimiranza dei tuoi progetti,
la saggezza e l’amorevolezza della tua paternità.
Aiutaci a dare alla tua e nostra famiglia
la vitalità evangelica delle origini.
Si ripeta, padre s. Francesco, all’inizio del nuovo Millennio
il prodigioso sviluppo che essa ebbe
all’inizio di quel secolo,
che alla Chiesa additò te come astro fulgente
e l’Ordine come luce che illumina i penitenti.
Aiutaci, o padre.
Veglia sempre su di noi.
Noi ti amiamo e ti seguiamo sempre.

Amen.

Vi auguro ogni bene; soprattutto la pace e la gioia interiore, perché l’approdo nel nuovo Millennio sia felice, sotto la protezione della Vergine Maria e il patrocinio del padre s. Francesco.

Come successore di s. Francesco, vi benedico di cuore.

Paola, 20 dicembre 1999, nel 150° anniversario della morte de Ven. Padre Bernardo Maria Clausi.

 

fr. Giuseppe Fiorini Morosini
Correttore Generale

 

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