Nicola Cabasilas

 

 


La vita in Cristo: testi scelti


 

Lib.I, capp.2-3. PG 150,501.

 

Con una certa meravigliosa violenza, con tirannide amica, Cristo a sé solo ci attira, a sé solo ci unisce. E’ questa, io credo, la violenza con la quale costringe gli invitati a entrare nella sua casa, al suo convito, dicendo al servo: Spingili a entrare, perché la mia casa si riempia (Lc 14,23).

E’ chiaro che la vita in Cristo non riguarda solo il futuro, ma già ora è presente per i santi che vivono e operano in essa. E da dove viene la possibilità di vivere tale vita, o come dice Paolo, di camminare in una vita nuova ? (Rm 6,4). Che cosa spetta agli uomini di fare, perché Cristo si unisca a loro in tale maniera? Vi è infatti quel che viene da Dio e quello che procede dal nostro sforzo, l’opera che è puramente di Dio e quella che reca onore a noi. O meglio, il nostro contributo sta solo nell’accogliere la grazia, nel non dissipare il tesoro, nel non spegnere la lampada già accesa: non introdurre nulla che sia contro la vita, che produce la morte.

Il fine di ogni virtù sta in questo: che nessuno rivolga la spada contro di sé, né fugga la felicità, né scuota la corona dal capo. Infatti è Cristo presente nell’anima nostra a seminare ineffabilmente l’essenza medesima della vita. Cristo è davvero presente e alimenta le fonti della vita da lui stesso portata con la sua venuta. Ma non è presente, come un tempo, quando aveva in comune con noi il cibo, la parola, l’esistenza quotidiana, bensì, in modo diverso, e tanto più perfetto, per il quale diventiamo concorporei con lui, partecipi della sua vita.

 

 

Lib.II, capIV. Lib.I,capII. PG 150,540.500.

Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto: venite alle nozze! (Mt 22,4). Questo solo manca alla festa: che accorrano gli invitati: una volta venuti, di che avranno ancora bisogno per la loro felicità? Più di nulla ormai. Nel secolo futuro andremo incontro a Cristo già pronti: però ora ci prepariamo andandogli incontro. Allora dovremo presentarci a lui avendo tutto, nel tempo presente invece è necessario andare a lui per ricevere tutto.

Allora le vergini stolte non potranno entrare nella stanza nuziale, ma nel secolo presente gli stolti sono invitati al convito e alla coppa dell’amore. Allora non sarà più possibile che un morto ritorni alla vita, un cieco riabbia la vista, un corpo corrotto sia plasmato di nuovo. Mentre ora, occorre soltanto volontà e ardore di desiderio e tutto il resto viene di conseguenza.

Sono venuto nel mondo, dice nostro Signore, perché abbiano la vita (Gv 10,10). E sta anche scritto: La luce è venuta nel mondo (Gv 3,19). Infatti il Salvatore genera, fa crescere, nutre, è luce, respiro, per sé plasma nei santi lo sguardo, lo illumina per mezzo di sé e infine offre sé stesso alla loro visione. Insieme nutre ed è il nutrimento; è lui che porge il pane della vita e ciò che porge è sé stesso: la vita dei viventi, il profumo di chi respira, la veste di chi vuole indossarla.

 

 

Lib.IV,Cap.6. PG 150,609.

Se anche negli altri misteri ci è dato di trovare Cristo, in essi però incominciando a riceverlo ci prepariamo a poter essere con lui; invece nell’eucaristia ci è già concesso di possederlo e di essere uniti a lui perfettamente. Quale altro mistero ci dà di essere un solo corpo e un solo Spirito con lui, e di dimorare in lui e di averlo dimorante in noi? Perciò, io credo quando Cristo dice che la beatitudine dei giusti è un festino in cui egli serve a mensa (cf Lc 12,39).  Così dunque il pane di vita è premio. Ma quelli che ricevono il dono calcano ancora la terra quali viandanti, si coprono di polvere, inciampano e hanno da temere la mano dei ladri; perciò il pane di vita, com’è giusto, provvede alle loro necessità presenti; sostiene le forze, guida e purifica, finché non pervengano in quel luogo dove, secondo il detto di Pietro, è bene per l’uomo di stare (cf Lc 9,33); è quello il luogo dove non c’è più posto per niente altro, ma per i santi che ormai dimorano in quella regione pura dalle cure mondane, e Cristo solo puramente unito ad essi è la loro corona.  Ecco dunque: in quanto forza purificante destinata a questo dal principio, Cristo libera da ogni macchia: in quanto partecipe delle nostre lotte, di cui fu guida come nostro fratello primogenito, avendole affrontate per primo, dà forza contro i nemici; e, in quanto è anche premio, non si ottiene senza sforzo.

 

 

Lib.IV,cap.6. PG 150,616.

 Cristo libera gli schiavi e li rende figli di Dio, perché, essendo lui stesso figlio e libero da ogni peccato, li fa partecipi del suo corpo, del suo sangue, del suo Spirito e di tutto ciò che è suo. In tal modo ricrea, libera e deifica, col nostro essere fondendo sé stesso: sano, libero e veramente Dio.

Cosi il sacro convito fa di Cristo, che è la vera giustizia, un bene nostro, più di quanto non siano nostri gli stessi beni di natura; sicché ci gloriamo di ciò che è suo, ci compiacciamo delle sue imprese come se fossero nostre e infine da esse prendiamo il nome, se custodiamo la comunione con lui.

Non ci è richiesto quindi nulla di umano; ma dobbiamo portare nell’anima ciò che è di Cristo, averlo con noi al momento della morte e, prima di ricevere le corone, mostrare in tutti i modi questa sapienza, questa ricchezza nuova, senza l’aggiunta di alcuna moneta falsa, poiché quello solo è il prezzo che si può pagare per il regno dei cieli.

Dio non ci ricrea della stessa materia con la quale ci ha creati; infatti fece il primo uomo prendendo il fango della terra, ma per la seconda creazione dà il proprio corpo e per rianimare la vita non si limita a fare l’anima più bella lasciandola però alla sua natura, ma versa il suo sangue nel cuore degli iniziati, facendo sorgere in essi la sua vita.

Se  allora, come dice la Scrittura, soffiò un alito di vita (Gen 2,7), ora ci comunica il suo Spirito: Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre! (Gal 4,6).

 

 

Lib IV,cap.6. PG 150,617.

 Quando Cristo ci conduce al Padre e ci trasferisce dalla terra, non permette che abbiamo nulla di terreno; lui stesso si adatta in tutto ai nostri bisogni e non lascia inoperosa alcuna delle sue potenze per prepararci a un tal fine.

Se chiamiamo malattia e guarigione quel che ci avviene, non solo Cristo va dal malato, si degna di guardarlo e di toccarlo, facendo per lui personalmente quanto è necessario alla cura; diviene egli stesso farmaco e dieta e quant’altro può contribuire alla salute.

Se poi si parla di nuova creazione, è lui con il suo essere e le sue proprie carni a rinnovare ciò che manca, e quel che sostituisce al nostro essere corrotto è lui stesso. Non ci ricrea della stessa materia con la quale ci ha creati; infatti fece il primo uomo prendendo il fango della terra; ma per la seconda creazione dà il proprio corpo e per rianimare la vita non si limita a fare l’anima più bella lasciandola però alla sua natura. Versa invece il suo sangue nel cuore degli iniziati, facendo sorgere in essi la sua vita. Se all’inizio del mondo, come dice la Scrittura, ispirò un alito di vita (Gen 2,7), ora ci comunica il suo Spirito: Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, il quale grida: Abba, Padre (Gal 4,6).

 

 

Libro V, cap.VI. PG 150,720-721.

Dei figli è proprio l’amore perfetto che bandisce ogni timore. Chi ama così non deve temere di perdere la mercede come i mercenari, o di ricevere le battiture come gli schiavi: questo puro amore è proprio solo dei figli. Così la grazia infonde la carità vera nell’anima degli iniziati ai misteri. Quale sia poi la sua operazione in loro e quale esperienza doni, lo sanno coloro che l’hanno conosciuta. In linea di massima si può dire che la grazia infonde nell’anima la percezione dei beni divini: dando a gustare grandi cose, ne fa sperare ancora di più grandi e fondandosi sui beni già ora presenti, inspira ferma fede in quelli ancora invisibili. La nostra parte invece è custodire la carità. Non basta semplicemente incominciare ad amare ed accogliere in sé questa passione; bisogna conservarla e alimentare il fuoco perché duri. Ora, restare nell’amore, nel quale è ogni beatitudine, significa appunto restare in Dio e possederlo dimorante in noi. Questo si attua, e l’amore sarà ben radicato nella nostra volontà, quando noi vi giungiamo mediante l’osservanza dei comandi e delle leggi del Diletto Salvatore. Perciò Cristo dice: Se osserverete i miei comandi rimarrete nel mio amore (Gv 15,10). La vita beata è frutto di questo amore. L’amore infatti concentra la volontà dispersa da ogni dove, la distacca da tutte le altre cose e dallo stesso io volente, per farla aderire a Dio solo.

 

 

Lib.VI, cap.11. PC 150,681-684.

 Dobbiamo credere fermamente che ci avverrà quanto abbiamo chiesto nella preghiera e non dubitare perché siamo cattivi. Abbiamo piuttosto fiducia, perché colui che è invocato è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi (Lc 6,35). Ben lungi dal disprezzare le preghiere dei servi che l’hanno offeso, lui stesso è venuto sulla terra per primo a chiamarli, quando ancora non lo invocavano e non facevano alcun conto di lui: dice infatti: Sono venuto a chiamare i peccatori (Mt 9,13).

Il Signore che ci ha creati quando non lo volevamo, come si comporterà quando lo invocheremo? Se ci ha amato quando era odiato, potrà forse respingere ora il nostro amore? Così spiega san Paolo: Se quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita (Rm 5,10).

Riflettiamo ora anche alla forma della nostra preghiera: certo non pretendiamo di chiedere e di ricevere quello che conviene agli amici, ma ciò che è permesso anche a servi colpevoli che hanno offeso il loro Signore. Non invochiamo Dio perché ci incoroni e ci riserbi qualche grazia del genere, ma perché ci faccia misericordia. Dal momento che non sono i sani che hanno bisogno del medico (Mt 9,12), chi se non i colpevoli dovrebbero implorare dal Signore amico degli uomini la misericordia, il perdono, la remissione del debito e simili doni, e non tornare a mani vuote dopo aver pregato? Se si ammette che gli uomini devono innalzare a Dio una voce implorante misericordia, questa è la voce dei peccatori, di chi cioè ha commesso azioni bisognose di misericordia. 
Ora noi invochiamo Dio con la lingua, con la volontà, con i pensieri, per applicare a tutte le facoltà con le quali abbiamo peccato, l’unico rimedio salutare: Non vi è infatti altro nome nel quale possiamo essere salvati (At 4,12).

 

 

 

Lib.VII,3. PG 150.696,697

E’ tanto importante che i viventi in Cristo abbiano l’anima libera da sollecitudini. Se si insinua nella volontà qualcosa utile in apparenza, chi vive in Cristo non vi volge il pensiero, come Pietro che, non appena ebbe inteso il Signore che lo chiamava, non si curò più di ciò che aveva tra le mani. - Infatti, anche i viventi in Cristo sono chiamati, con una chiamata continua e incessante, per mezzo della grazia impressa nell’anima dai misteri.

Questa grazia, come dice Paolo, è lo Spirito del Figlio di Dio che grida nei loro cuori: Abba, Padre (cf Gal 4,6).

Così sempre essi passano sopra a tutte le cose per potere sempre seguire Cristo; perché, come dice la Scrittura, non è giusto trascurare la parola di Dio per il servizio delle mense (At 6,2). In primo luogo essi non antepongono nulla a Dio e poi aspettano di ricevere da lui, dispensatore di ogni bene, tutte le altre cose, secondo quella promessa del Dio verace, per cui, chi cerca per primo il regno di Dio, avrà tutto il resto per giunta (cf Mt 6,33). Perciò il Salvatore, liberando da ogni cura coloro che aderiscono a lui, fa un gran conto di questa legge, affinché non siano privati dei beni più grandi e perché si affaticherebbero invano, preoccupandosi di cose di cui lui stesso ha cura prima di loro.

 

 

 

Lib.11°,cap.IX. PG 150,560-561.

In direzione del Salvatore e a sua misura, è preordinato l’amore umano fin dal principio, come a suo modello e fine, quasi uno scrigno così grande e così largo da poter accogliere Dio. Ecco perché anche quando possiede tutti i beni dell’esistenza, l’uomo non è sazio, niente placa il suo desiderio, ma ha ancora sete, come se non avesse ottenuto nulla di ciò che desiderava. L’occhio infatti è stato creato per la luce, l’udito per i suoni, ed ogni cosa per ciò cui è ordinata. Ma il desiderio dell’anima va unicamente a Cristo. Qui è il luogo del suo riposo, poiché lui solo è il bene, la verità, e tutto ciò che ispira amore. Ecco perché niente impedisce a coloro che hanno  incontrato Cristo di amare con tutto l’amore infuso nelle loro anime fin dal principio, e di godere quanto può godere l’umana natura e quanto in essi ha aggiunto la virtù dell’acqua rigeneratrice del battesimo. La potenza di amare e di godere non può essere pienamente attualizzata dai beni di questa vita, perché il loro nome inganna, e se qualcosa sembra buona, è uno sciocco simulacro del vero. Qui, invece, in rapporto a Cristo, non essendoci nulla ad impedirlo, l’amore si manifesta meraviglioso e ineffabile, e la gioia è grande quanto non si può dire; Dio infatti ha ordinato a sé l’uno e l’altro affetto, al fine che lo amiamo e di lui solo godiamo. E’ logico dunque che questi due sentimenti abbiano un certo rapporto con quel bene infinito, e che gli siano - se così può dirsi - proporzionati. Sì, nel cuore umano è deposta evidentemente una grande e mirabile disposizione all’amore e alla gioia. Questa diviene operante in pieno alla presenza di colui che è il vero amabile e il vero diletto. E’ questa quella gioia piena di cui parla il Salvatore (Gv 15,11).

 

 

 

Dalla “Spiegazione della divina liturgia” di Nicola Cabàsilas.

Cap.XIII. S Ch 4,106-107.

Implorare da Dio misericordia significa chiedere il suo regno, quel regno che Cristo ha promesso di dare a chi lo cerca, specificando che aggiungerà in più le altre cose di cui abbiamo bisogno (Mt 6,33).

Ma da dove possiamo ricavare, mi direte, che la misericordia di Dio significa il regno di Dio?

Dal fatto che Cristo, proclamando la ricompensa dei misericordiosi e quale premio di bontà essi riceveranno da lui, dichiara che troveranno misericordia, oppure che otterranno il regno.

Per di più in un altro contesto, quasi per spiegarsi meglio e indicare che cosa sia trovare misericordia, afferma: Il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: - e vuole così designare i misericordiosi - Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,34).

D’altra parte, se tra le azioni che compiono gli uomini compassionevoli vogliamo considerare l’oggetto della divina misericordia, noteremo che equivale appunto allo stesso regno. Infatti che fanno i misericordiosi? Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere.

Perciò quelli a cui Cristo fa misericordia, saranno ammessi alla sua mensa. Ma quale è questa mensa? Mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno (Lc 22,30).

Perché poi intravediate la magnificenza di quel festino, regale banchetto e non pasto per servi, sappiate che colui che servirà sarà il Sovrano universale: Egli si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli (Lc 12,17).