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Introduzione alla vita filosofica. Consulenza filosofica e vita quotidiana |
INTRODUZIONE ALLA VITA
FILOSOFICA
Consulenza filosofica e vita quotidiana
Da
molto tempo, oramai, la filosofia come
disciplina sembra inseguire soltanto se stessa. Il suo scopo sembra
prevalentemente autoriproduttivo, nonostante gli alibi che essa
sbandiera non
troppo convinta, quello cioè di lavorare alla
rappresentazione della cultura
del proprio tempo o alla elaborazione di nuove possibilità
di sviluppo sociale
e civile. Il realtà la cultura del nostro tempo si
è liberata dell’ingombrante
presenza della filosofia, oppure l’ha divorata per mezzo di
quella macchina mediatica
che l’ha ridotta ad essere soltanto un tratto fra gli altri
nella
indistinguibile melassa dei messaggi che sostengono le invadenti forme
del
mercato culturale: ridotta a merce editoriale, televisiva,
festivaliera, il suo
discorso risulta non meno effimero, superficiale e transitorio di tutti
gli
altri.
D’altra
parte la domanda di elaborazione teorica
della società e delle sue articolazioni, non si rivolge
più alla filosofia,
quanto piuttosto ad altre sue filiazioni ormai liberate dalla
ingombrante tutela
materna, l’economia, la sociologia, la statistica…
Alla
filosofia come disciplina non resta dunque
che replicare se stessa producendo insegnanti di filosofia e discorsi
destinati
a un circolo molto esclusivo di autori/lettori?
Nel
momento in cui una nuova pratica della
filosofia comincia ad affacciarsi la domanda appare quanto mai
opportuna. Ma è
necessario che la stessa pratica filosofica chiarisca a se stessa e
alla
società con quali scopi e prospettive cioè verso
quale direzione si avvia. E se
intende soltanto ricavarsi, a sua volta, uno spazietto nella disciplina
e
lasciarsi precipitare con essa in quel vortice di
autoreferenzialità, oppure se
in essa oltre che un nuovo approccio e un nuovo linguaggio vi
è qualche
possibilità diversa per la nostra esistenza. Una
possibilità che può rianimare
la filosofia stessa, anche quella accademica.
Questo
percorso intende mostrare appunto tale
possibilità nuova. Esso
dunque dovrà apparire
prima di tutto come il resoconto dell’itinerario attraverso
il quale, io stesso,
ho scoperto che il movimento della pratica filosofica introduce non
solo ad
un’altra dimensione della filosofia, ma anche e soprattutto
ad un’altra
dimensione dell’esistenza: da un lato una filosofia che non
si avvicina più come
un oggetto del sapere, ma che si assorbe nell’esistenza
diventando parte di essa,
e dall’altra una condizione personale nuova, che corrisponde
a nuove coordinate
a nuovi punti di riferimento. Così ho intrapreso il percorso
che porta alla
vita filosofica, e ho realizzato che stavo mettendo in gioco me stesso,
che la
filosofia che credevo di conoscere era più di un veicolo,
con il quale dare inizio
ad un gioco di cui io stesso ignoravo gli sviluppi e il significato.
Alla
vita filosofica si può arrivare soltanto
attraverso un simile cammino personale di ricerca nel quale io stesso
sono il
problema, ed io stesso, passo dopo passo, sono trasformato: la domanda
e la
risposta nella medesima carne. Non c’è un altro
modo di entrare nella vita filosofica
se non quello di verificarne la verità dentro di
sé. Il resto è storia della
filosofia, è teoria, grande o piccola. È la
filosofia delle accademie, ma non è
la vita filosofica.
Non
si può prevedere l’esito di un percorso di
vita, lo si può, lo si deve guidare, progettando se stessi,
la propria
esistenza, ma il cammino resta sempre una incognita. Se
l’intento è quello di
diventare ciò che si è, difficile è
riconoscere se stessi in quel che si è
diventati. Ma, ad un certo punto, si trova la soglia oltre cui passare.
Si
trova il punto di partenza e lo si riconosce senza il minimo dubbio,
perché
contiene dei segni, delle tracce, in cui riconosco qualcosa di mio. In
quello
spazio che si apre so che vengono a frutto anni di studio e di letture
e di
esperienze, e tutto ciò che ho vissuto incontra la propria
ragion d’essere.
La
vita filosofica non può che apparire da una crisi
di questa natura. Nella quale
tutto ciò che eravamo appare magari solidamente fondato,
certo, ma proprio per
questo inadeguato: la crisi da cui scaturisce una nuova volontà
di sapere è quella in cui d’improvviso
vediamo coi nostri
occhi che la strada è stata interrotta, che credevamo di
essere arrivati, ma
eravamo fermi da troppo tempo: ecco che la strada si riapre e noi
sappiamo che
non possiamo più stare fermi. Sappiamo che esistere
veramente significa andare.
Andare, insieme, verso se stessi e verso gli altri. Consapevoli del
fatto che siamo
noi stessi soltanto se siamo nel mondo. Soltanto lì
(cioè qui) possiamo
incontrarci. Attraverso un movimento che è insieme di
riflessione (di studio,
di ricerca, di meditazione personale) e di
scambio, perché nessuno di noi è mai
senza l’altro: solitudine e comunità, dialogo
interiore e
colloquio, sono i due volti
di questo cammino.
Non
è il caso di spendere in apertura molte parole
per giustificare uno stile che
comunque si presenta da sé. Perché ha rinunciato
al conforto della parola
autorevole, e quindi fa a meno dell’autorità della
citazione e del sostegno puntuale
della famiglia filosofica che ci sta alle spalle. Accontentandosi di un
dialogo
iniziale, che come tutti i dialoghi, apre molte prospettive e lascia
che, di
volta in volta, una emerga sulle altre. E così piuttosto si
avventura in una
direzione nuova centrata sul tentativo di dare voce alla parola
d’esperienza,
situata nel tempo e nello spazio. Tentativo di narrare il percorso
della
ricerca, di seguirlo nel suo sviluppo, rinunciando così
all’idea di parlare
sempre dalla fine, a giochi fatti, dalla prospettiva di una
verità raggiunta.
Qui
una verità da raggiungere non c’è,
c’è
piuttosto l’apertura di un sentiero lungo il quale ho
liberamente scelto di
addentrarmi. E c’è una trasformazione, di cui
queste pagine vorrebbero essere
la testimonianza.
Naturalmente,
come sempre accade, la scrittura non
è fedele, essa deforma i tempi degli avvenimenti, e non
concepisce la
simultaneità che invece viviamo tanto spesso nelle nostre
esperienze. Mette
però a disposizione del lettore un cammino di ricerca
fecondo.
In
questo senso, la scansione dei temi che appare
in queste pagine è necessaria ma non realistica, discende
dalla necessità,
appunto, di rendere intelligibile il percorso, ma separando e
distinguendo ciò
che è unito, inevitabilmente, viola
l’integrità dell’esperienza. Allora deve
essere chiaro che il percorso apparirà completo alla fine,
ma solo a condizione
di tenere ben fermo il principio per cui le molte cose che accadono
insieme
negli eventi della vita, vanno raccontate secondo un ordine lineare, ma
tale
ordine è ovviamente la nostra finzione.
D’altra parte, io credo che la pratica filosofica debba rinunciare al modello del sistema che pone se stesso fuori del tempo, come un sempre vero che cerca di imporsi, e affidarsi piuttosto al suo accadere temporale, così, anche in questa testimonianza, ogni pagina acquista senso dalla successione in cui è collocata non perché vi si costruisca uno sviluppo logico rigoroso e conseguente, ma perché di volta in volta il ritornare sugli stessi punti li rende più ricchi e ne consente uno sviluppo. Così ogni singola pagina rappresenta un cammino verso una realizzazione ancora ignota, che non prevede totalità raggiungibili, né altre nostalgicamente rievocabili, quanto piuttosto continue e imprevedibili trasformazioni. Ripetere, ritornare, ripresentarsi, ripiegare, ripercorrere, sono alcuni dei verbi che meglio esprimono questo gesto di ricerca.
Sarebbe
un errore, dunque, pensare che questo sia
un manuale o un trattato concluso, insomma un testo con pretesa di
completezza
e di esaustività, anzi, ancor più, dato
l’argomento, con la pretesa di
insegnare la verità dell’esistenza a chi viva
ancora nell’ignoranza. Le cose
non stanno così. Non soltanto in queste pagine si sostiene
un’idea della filosofia
come gesto, come cammino, come scelta esistenziale, non soltanto
cioè si
presenta una tesi e la si argomenta, ma questa stesse pagine
rappresentano
anzi, meglio, sono un mio percorso
di
avvicinamento alla filosofia come vita e come pratica.
Queste
pagine dunque mettono in scena, riga dopo
riga, argomento dopo argomento, il succedersi di una esperienza
filosofica come
essa si è determinata. E il lavoro di affinamento che segue
la scrittura, dal
primo istintivo apparire fino alla forma definitiva della pagina
pubblicata,
poco aggiunge alla profondità dell’esperienza
stessa nel suo prodursi.
La
filosofia di cui si parla in queste pagine ha
bisogno tanto della sincerità che sempre si deve a se stessi
quanto dell’umiltà
che si deve al demone della scoperta. Anche a prezzo di qualche
ripetizione, di
molte riprese, di un continuo ritornare sui propri passi, per andare
avanti,
per portarsi in una
posizione più
avanzata.
Naturalmente,
ciò che qui si vede della mia
ricerca è soltanto la dimensione della testimonianza, che
non è la prima faccia
dell’esperienza, ma piuttosto una parte di essa, un tratto, e
non
necessariamente il primo. E, d’altra parte, nemmeno
l’ultimo.
Il
momento della scrittura non rappresenta, in
questo caso, il semplice verbale di un gesto avvenuto altrove, ma in
molti casi
rappresenta il momento del dialogo
interiore, cioè un atto di confronto e di
sviluppo, attraverso il quale cerco
dentro di me il divenire di un’idea prima di metterla alla
prova
dell’esistenza, il momento in cui la fisso e la osservo per
poterla valutare,
il momento in cui accetto che quell’idea mi interroghi, ed io
mi offro per una
risposta. In questo scambio si realizza un dialogo, di cui queste
pagine sono,
talvolta, non semplicemente lo specchio ma prima di tutto il gesto.
Prof. Stefano Zampieri
Mestre (Venezia)
PER CONTATTI: s.zampi@libero.it