Introduzione alla vita filosofica. Consulenza filosofica e vita quotidiana                     

Milano, edizioni Mimesis, 2010

Introduzione alla vita filosoficaINTRODUZIONE ALLA VITA FILOSOFICA

Consulenza filosofica e vita quotidiana

 

 

SULLA SOGLIA

 

Da molto tempo, oramai, la filosofia come disciplina sembra inseguire soltanto se stessa. Il suo scopo sembra prevalentemente autoriproduttivo, nonostante gli alibi che essa sbandiera non troppo convinta, quello cioè di lavorare alla rappresentazione della cultura del proprio tempo o alla elaborazione di nuove possibilità di sviluppo sociale e civile. Il realtà la cultura del nostro tempo si è liberata dell’ingombrante presenza della filosofia, oppure l’ha divorata per mezzo di quella macchina mediatica che l’ha ridotta ad essere soltanto un tratto fra gli altri nella indistinguibile melassa dei messaggi che sostengono le invadenti forme del mercato culturale: ridotta a merce editoriale, televisiva, festivaliera, il suo discorso risulta non meno effimero, superficiale e transitorio di tutti gli altri.

D’altra parte la domanda di elaborazione teorica della società e delle sue articolazioni, non si rivolge più alla filosofia, quanto piuttosto ad altre sue filiazioni ormai liberate dalla ingombrante tutela materna, l’economia, la sociologia, la statistica…

Alla filosofia come disciplina non resta dunque che replicare se stessa producendo insegnanti di filosofia e discorsi destinati a un circolo molto esclusivo di autori/lettori?

Nel momento in cui una nuova pratica della filosofia comincia ad affacciarsi la domanda appare quanto mai opportuna. Ma è necessario che la stessa pratica filosofica chiarisca a se stessa e alla società con quali scopi e prospettive cioè verso quale direzione si avvia. E se intende soltanto ricavarsi, a sua volta, uno spazietto nella disciplina e lasciarsi precipitare con essa in quel vortice di autoreferenzialità, oppure se in essa oltre che un nuovo approccio e un nuovo linguaggio vi è qualche possibilità diversa per la nostra esistenza. Una possibilità che può rianimare la filosofia stessa, anche quella accademica. 

Questo percorso intende mostrare appunto tale possibilità nuova.  Esso dunque dovrà apparire prima di tutto come il resoconto dell’itinerario attraverso il quale, io stesso, ho scoperto che il movimento della pratica filosofica introduce non solo ad un’altra dimensione della filosofia, ma anche e soprattutto ad un’altra dimensione dell’esistenza: da un lato una filosofia che non si avvicina più come un oggetto del sapere, ma che si assorbe nell’esistenza diventando parte di essa, e dall’altra una condizione personale nuova, che corrisponde a nuove coordinate a nuovi punti di riferimento. Così ho intrapreso il percorso che porta alla vita filosofica, e ho realizzato che stavo mettendo in gioco me stesso, che la filosofia che credevo di conoscere era più di un veicolo, con il quale dare inizio ad un gioco di cui io stesso ignoravo gli sviluppi e il significato.

Alla vita filosofica si può arrivare soltanto attraverso un simile cammino personale di ricerca nel quale io stesso sono il problema, ed io stesso, passo dopo passo, sono trasformato: la domanda e la risposta nella medesima carne. Non c’è un altro modo di entrare nella vita filosofica se non quello di verificarne la verità dentro di sé. Il resto è storia della filosofia, è teoria, grande o piccola. È la filosofia delle accademie, ma non è la vita filosofica.

Non si può prevedere l’esito di un percorso di vita, lo si può, lo si deve guidare, progettando se stessi, la propria esistenza, ma il cammino resta sempre una incognita. Se l’intento è quello di diventare ciò che si è, difficile è riconoscere se stessi in quel che si è diventati. Ma, ad un certo punto, si trova la soglia oltre cui passare. Si trova il punto di partenza e lo si riconosce senza il minimo dubbio, perché contiene dei segni, delle tracce, in cui riconosco qualcosa di mio. In quello spazio che si apre so che vengono a frutto anni di studio e di letture e di esperienze, e tutto ciò che ho vissuto incontra la propria ragion d’essere.

La vita filosofica non può che apparire da una crisi di questa natura. Nella quale tutto ciò che eravamo appare magari solidamente fondato, certo, ma proprio per questo inadeguato: la crisi da cui scaturisce una nuova volontà di sapere è quella in cui d’improvviso vediamo coi nostri occhi che la strada è stata interrotta, che credevamo di essere arrivati, ma eravamo fermi da troppo tempo: ecco che la strada si riapre e noi sappiamo che non possiamo più stare fermi. Sappiamo che esistere veramente significa andare. Andare, insieme, verso se stessi e verso gli altri. Consapevoli del fatto che siamo noi stessi soltanto se siamo nel mondo. Soltanto lì (cioè qui) possiamo incontrarci. Attraverso un movimento che è insieme  di riflessione (di studio, di ricerca, di meditazione personale) e di scambio, perché nessuno di noi è mai senza l’altro: solitudine e comunità, dialogo interiore  e colloquio, sono i due volti di questo cammino.

 

Non è il caso di spendere in apertura molte parole per giustificare uno stile che comunque si presenta da sé. Perché ha rinunciato al conforto della parola autorevole, e quindi fa a meno dell’autorità della citazione e del sostegno puntuale della famiglia filosofica che ci sta alle spalle. Accontentandosi di un dialogo iniziale, che come tutti i dialoghi, apre molte prospettive e lascia che, di volta in volta, una emerga sulle altre. E così piuttosto si avventura in una direzione nuova centrata sul tentativo di dare voce alla parola d’esperienza, situata nel tempo e nello spazio. Tentativo di narrare il percorso della ricerca, di seguirlo nel suo sviluppo, rinunciando così all’idea di parlare sempre dalla fine, a giochi fatti, dalla prospettiva di una verità raggiunta.

Qui una verità da raggiungere non c’è, c’è piuttosto l’apertura di un sentiero lungo il quale ho liberamente scelto di addentrarmi. E c’è una trasformazione, di cui queste pagine vorrebbero essere la testimonianza.

Naturalmente, come sempre accade, la scrittura non è fedele, essa deforma i tempi degli avvenimenti, e non concepisce la simultaneità che invece viviamo tanto spesso nelle nostre esperienze. Mette però a disposizione del lettore un cammino di ricerca fecondo.

In questo senso, la scansione dei temi che appare in queste pagine è necessaria ma non realistica, discende dalla necessità, appunto, di rendere intelligibile il percorso, ma separando e distinguendo ciò che è unito, inevitabilmente, viola l’integrità dell’esperienza. Allora deve essere chiaro che il percorso apparirà completo alla fine, ma solo a condizione di tenere ben fermo il principio per cui le molte cose che accadono insieme negli eventi della vita, vanno raccontate secondo un ordine lineare, ma tale ordine è ovviamente la nostra finzione.

 

D’altra parte, io credo che la pratica filosofica debba rinunciare al modello del sistema che pone se stesso fuori del tempo, come un sempre vero che cerca di imporsi, e affidarsi piuttosto al suo accadere temporale, così, anche in questa testimonianza, ogni pagina acquista senso dalla successione in cui è collocata non perché vi si costruisca uno sviluppo logico rigoroso e conseguente, ma perché di volta in volta il ritornare sugli stessi punti li rende più ricchi e ne consente uno sviluppo.  Così ogni singola pagina rappresenta un cammino verso una realizzazione ancora ignota, che non prevede totalità raggiungibili, né altre nostalgicamente rievocabili, quanto piuttosto continue e imprevedibili trasformazioni. Ripetere, ritornare, ripresentarsi, ripiegare, ripercorrere, sono alcuni dei verbi che meglio esprimono questo gesto di ricerca.

 

Sarebbe un errore, dunque, pensare che questo sia un manuale o un trattato concluso, insomma un testo con pretesa di completezza e di esaustività, anzi, ancor più, dato l’argomento, con la pretesa di insegnare la verità dell’esistenza a chi viva ancora nell’ignoranza. Le cose non stanno così. Non soltanto in queste pagine si sostiene un’idea della filosofia come gesto, come cammino, come scelta esistenziale, non soltanto cioè si presenta una tesi e la si argomenta, ma questa stesse pagine rappresentano anzi, meglio, sono un mio percorso di avvicinamento alla filosofia come vita e come pratica.

Queste pagine dunque mettono in scena, riga dopo riga, argomento dopo argomento, il succedersi di una esperienza filosofica come essa si è determinata. E il lavoro di affinamento che segue la scrittura, dal primo istintivo apparire fino alla forma definitiva della pagina pubblicata, poco aggiunge alla profondità dell’esperienza stessa nel suo prodursi.

La filosofia di cui si parla in queste pagine ha bisogno tanto della sincerità che sempre si deve a se stessi quanto dell’umiltà che si deve al demone della scoperta. Anche a prezzo di qualche ripetizione, di molte riprese, di un continuo ritornare sui propri passi, per andare avanti, per portarsi in  una posizione più avanzata.

Naturalmente, ciò che qui si vede della mia ricerca è soltanto la dimensione della testimonianza, che non è la prima faccia dell’esperienza, ma piuttosto una parte di essa, un tratto, e non necessariamente il primo. E, d’altra parte, nemmeno l’ultimo.

Il momento della scrittura non rappresenta, in questo caso, il semplice verbale di un gesto avvenuto altrove, ma in molti casi rappresenta il momento del dialogo interiore, cioè un atto di confronto e di sviluppo, attraverso il quale cerco dentro di me il divenire di un’idea prima di metterla alla prova dell’esistenza, il momento in cui la fisso e la osservo per poterla valutare, il momento in cui accetto che quell’idea mi interroghi, ed io mi offro per una risposta. In questo scambio si realizza un dialogo, di cui queste pagine sono, talvolta, non semplicemente lo specchio ma prima di tutto il gesto.

 

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Prof. Stefano Zampieri

Mestre (Venezia)

PER CONTATTI: s.zampi@libero.it