6) Perché ha vinto il falco

di Maurizio Tortorella del 10 aprile 2003

 

Ha negato al comandante in capo mezzo milione di uomini in più. Ha dato soddisfazione solo a metà agli influenti grandi giornali americani. Perché per lui è «la velocità annienta il nemico. E provoca meno danni collaterali e meno vittime tra i nostri soldati».

 

 

Ancor più che l'esercito anglo-americano, il vero vincitore del conflitto in Iraq sembra finora Donald Rumsfeld, il segretario di Stato alla Difesa statunitense. Eppure in molti, nei primi giorni dell'attacco lanciato il 19 marzo, avevano criticato la «dottrina Rumsfeld» che ha guidato le operazioni belliche in questa seconda guerra del Golfo.

Una dottrina basata sulla massima velocità, su tempi ridottissimi per l'invasione e la conquista di Baghdad, con un numero limitato di uomini, al punto che nei giorni difficili degli scontri a Nassiriya, Najaf e Kut, i giornali americani hanno invocato, e ottenuto, il convolgimento della Quarta divisione di fanteria (finora quasi inutilizzata).

Agli stessi strateghi del Pentagono, e perfino al generale Tommy R. Franks, il comandante in capo delle forze alleate, erano state attribuite serie perplessità sulla teoria della guerra veloce: non è un segreto, per esempio, che Franks avesse chiesto oltre 500 mila uomini per l'operazione Iraq, cioè la stessa massa d'urto che le forze della coalizione anti Saddam avevano messo in campo nella prima Guerra del 1991. Quegli uomini, a suo avviso, erano il minimo indispensabile per poter tenere in mano un paese grande tre volte l'Italia. Ma Rumsfeld ne aveva concessi meno della metà.
DOPO IL NO TURCO

E anche quando la Turchia aveva posto ostacoli ai movimenti delle truppe statunitensi, che si prevedeva avrebbero attaccato da nord, Franks e Rumsfeld si sono trovati in dissenso sulla necessità di attendere un mese, come voleva il primo, allo scopo di trasferire altre forze sul fronte meridionale, o di attaccare comunque con quelle già a disposizione.
Alla fine è prevalsa la linea del ministro. Perché il cuore della
«dottrina Rumsfeld» si basava sull'idea che più delle dimensioni dell'attacco, sarebbe stata la sua velocità a trasformarsi in elemento vincente. «È solamente la velocità che conta» ha detto più volte il settantenne ministro ai suoi più stretti consulenti e collaboratori: «La velocità annienta il nemico. E provoca meno danni collaterali e meno vittime tra i nostri soldati».

PARALISI DEI COMANDI IRACHENI

Almeno finora, al ventiduesimo giorno di guerra e dopo la cattura di Baghdad, Rumsfeld sembra aver visto nel giusto. La rapidità di movimento degli americani pare essere stata in grado di paralizzare le reazioni dei comandi militari iracheni. «Non hanno nemmeno fatto in tempo a capire da che parte stavamo arrivando» ironizza un il generale Jack Keane, vicecapo di stato maggiore dell'esercito Usa e uno dei più stretti consiglieri di Rumsfeld.
Ma è da tempo che l'amministrazione di Washington sta lavorando a questa profonda modificazione delle sue strategie militari.
Lo stesso vicepresidente Dick Cheney marcoledì 9 ha dichiarato che «quanto sta accadendo in Iraq prova il successo nello sforzo di innovare l'apparato militare statunitense».
La dottrina Rumsfeld è anche un portato delle innovazioni tecnologiche, nel settore militare e in quello delle telecomunicazioni.

Gli alleati hanno disposto di strumenti elettronici in grado di accecare il nemico, e al contempo capaci di controllare l'intero campo di battaglia (e le mosse degli avversari) secondo dopo secondo.

Anche per questo, 13 anni dopo, le forze statunitensi si sono mosse, in questa seconda guerra del Golfo, con una rapidità incomparabilmente superiore a quella di cui erano stati capaci nel 1991. Anche se la velocità massima dei suoi mezzi terrestri, come per esempio quella di un carroarmato, non si è modificata affatto da allora: 67 chilometri all'ora.

Certo, la dottrina Rumsfeld ha mostrato anche una buona dose di temerarietà: ha esposto i soldati americani e inglesi a rischi infinitamente superiori, rispetto alla vecchia teoria che faceva precedere ogni attacco da bombardamenti aerei a tappeto.

Però ha prodotto finora risultati migliori dal punto di vista delle vittime civili coinvolte e, più cinicamente se si vuole, anche un considerevole risparmio economico.
Ai tempi della prima guerra contro l'Iraq, la dottrina vincente era quella di Colin Powell, oggi segretario di Stato, il quale ogni volta metteva in campo mezzi e soldati in numero decisamente superiore alle strette necessità.